Storie di Scorie

Come scavare una pattumiera nucleare:
Saluggia-Rotondella-Scanzano Jonico-Casaccia di Roma

di

Ulderico Pesce


(Nicola, un postino quarantenne, consegna la posta)

Umberto Fasseri, via Caligaris, numero 23. C’è il signor Fasseri? Ah eccolo là, grazie signor Fasseri. Scusate se approfitto ma siete tutti qua, posso subito liberarmi della posta e scappare al Sud. Imbriaco Antonio, via Fratelli Barberi, numero 3, Saluggia, provincia di Vercelli, c’è il signor Imbriaco? E’ una raccomandata, deve firmare… è arrivata veloce veloce, e poi dicono che le poste italiane non funzionano. E’partita dal Sud il 17 novembre, il 18, ieri, sarà arrivata a Torino, poi a Vercelli, ed ecco che oggi 19 novembre 2003, è qui a Saluggia. Eccolo là il signor Imbriaco. Ecco a lei, metta una firmetta e può leggere. 
Scusatemi ho l’ultima e poi scappo. Signor Nicola Jannace, via Lungo Dora Baltea, numero 2, Saluggia. O Dio, ma sta lettera è a mia. Io sono Nicola Jannace e stò sulla Dora Baltea, facc’ front al deposito nucleare. Mi scrive Antonietta Jannace. Mia sorella. 

“Da dove ti arriva la lettera?”. Mi chiederete.
“Dal mio paese.” 
“E dov’è il tuo paese?”
E a questo punto, adesso finalmente, arriva la soddisfazione. Prima se rispondevi: “Lucania”, ti sentivi dire: “A Lucca bella ci sono stata.”, oppure: “Lugano, bella, c’è il lago… ma fredda la Svizzera, come fai a resistere…”.
E tu la ad argomentare, a tentare di far capire da dove vieni… che la Lucania è a sud, assai a sud, quasi Africa… poi finalmente capivano e via con: “Ah si, cosa vuoi di più dalla vita?”

Ora c’è soddisfazione invece, non è più così. Dovunque ti trovi in Italia, addirittura in Germania:
“Ti tove essr tu?”
“Lucania”
“Ah… Lucania… Scanzano Jonico ia?”
“Si, proprio di Scanzano” 
“Terzo Covon ia?”
“Si, Terzo Cavone, Cavone, si dice: Cavone! Io sono proprio di Scanzano Jonico ja. Sono nato proprio a Terzo Cavone ja!”

“Dai finill e fa o fess’!”, dice mio padre, un contadino di 73 anni che grazie a quel pezzo di terra a Terzo Cavone, cinque ettari, ha fatto crescere e studiare cinque figli. Studiare… abbiamo il diploma. Lui, dico mie tat, è analfabeta.

Mi direte: “Ma che c’azzecca tuo padre a Terzo Cavone se prima distribuivi la posta a Saluggia?”. 
Ma niente il fatto è che la lettera che mi mandava mia sorella Antonietta diceva che mio padre si doveva fare un importante esame alla pancia che ci faceva male da un mese e si sospettava qualche cosa di brutto. A dicembre poi sarebbe nato il mio primo nipote, figlio di mia sorella Antonietta. E poi, io volevo proprio scendere a Scanzano perché il 23 novembre 2003 c’era la più grande manifestazione della storia della Basilicata, contro il governo Berlusconi che aveva deciso di costruire in fretta e furia il deposito unico delle scorie nucleari proprio a Terzo Cavone. E allora consegnai tutta la posta, comprai una girandola per il vento da portare a mio nipote che stava per nascere e me ne scappai al Sud. Presi il treno e scesi. 

Per arrivare a Scanzano ci misi assai tempo. Tutte le stazioni ferroviarie e le strade della Basilicata erano bloccate dai manifestanti, code lunghissime di tir fermi, la Basilicata isolata del tutto da na decina d’juorn comm’ai tempi di Carlo Levi. Arrivai davanti a un blocco, trovai sopra o cascion di un trattore gente che sonava, raccontai o fatt’, mi misero sul trattore e sonenn e cantenn m’accompagnarono a casa da mio padre.


“L’è scritt a lettera a to zie Maria?”
“Mo a scriv ue pà!”
“Scrivilla subbito ca s’preoccupa a cristian!”
“Mo a scriv ue pà!”
“Scrivincello int a l’America ca di si scorie atomic’ non ne vulimmo qua a Terzo Cavone!” 
“Mo a scriv ue pà!”
“Chi l’ha fatt’ le scorie quello se le suca! Scrivilla la lettera.”
“Mo a scriv ue pà!”
“Mo a scriv’ o cazz’… so tre ore ca m’dic ca mo a scriv! Scrivilla subbito.”
E mia mamma: “Non ‘o fa arrabbià a to’ tat ca ten mal d’panza e vomica e domani deve antare o ‘spidale pe la risonanza magnetica nucleara…”
“Io non ci vado o ‘spdal a fa si risonanz’…’ io voglio magnà e bev’fin a che mor e non c’vogl’tras int a sti sptal! E poi domani c’è lo sciopero, non adda mancà nisciuno, stasera amma preparà o’striscion’, fa priest’scriv sa lettera.”

“Si la scrivo la lettera a zie Maria, ma la scrivo comm’ dico io ue pà. Ci scrivo ca o pericolo è serio, che da un momento all’altro ci portano tutte le scorie d’Italia qua a Scanzano Jonico, a Terzo Cavone, in un unico deposito nazionale che dovrà essere pronto entro il 2008.”
E mio padre: “E l’anna vnì a mett proprio sott’ o culo nuostr’?”
“Il governo dice che a Terzo Cavone, a 800 metri di profondità, c’è assai sale, in mezzo all’argilla, vogliono sotterrare i fusti radioattivi nel sale, in mezzo all’argilla.”
“Spero d’m’trovà vivo quann portrann si schifezze!”
“Famm toccà ue pà…”
“Domani 23 novembre amma ess’ cientmila persone a protestare che l’amma fa scattà a sti governant’d’nient! Scrivi sta lettera a to zia Maria, ma non a fa preoccupà assai a povrell’.”

“Vabbuon la scrivo la lettera uè pà: “Cara zia Maria, e cari cugini, spero che al ricevere questa nostra lettera vi incontri tutti di ottima salute come non vi assicuro di noi tutti… Qua le cose che succedono sono terribili ce ne vogliamo scappare tutti in Argentina”.”

E mio padre urlando: “Ma no, non fa semp’ o cumunist’, non devi scrivere accussì ca s’preoccupa a cristian’.”

Mia zia Maria, sorella di mio padre, è partita da Terzo Cavone per Buenos Aires nel 1951, durante le lotte di occupazione delle terre a cui mio padre partecipò con tutte le forze. Partì la mattina del 31 maggio del 1951, ma lei non voleva partire, aveva un pezzo di terra alla zona Trisaia di Rotondella e là voleva restare. Piantò nu’nuzzl’ di cirasa sottoterra, lo innaffiò, promise di ritornare dopo un anno e andò a sposarsi in America. 
Non tornò l’anno dopo, tornò dopo tanti anni, per la nascita di mia sorella Antonietta, nel 1968. Andò subito a vedere quella cirasa. La trovò grande.

Io l’ho vista una sola volta zia Maria, quando venne nel 1968, poi non è tornata più da Buenos Aires. Quando arrivò credeva di trovare alla Trisaia di Rotondella la zona agricola che aveva lasciato, si agricola, veniva chiamato “aia” lo spazio addò s’ psava ‘o grano, l’area della Trisaia era così ricca di grano che ci volevano tre aie per pesare tutto il grano che mietevano i braccianti, ecco perché la zona tutt’ora si chiama Trisaia, Tris-aia, tre aie. 

“Me finill e chiacchiarià e scrivm sa letter’!”
“Mo la scrivo la lettera ue pà, quanta press’. Ti ricordi quando zia Maria venne nel 1968?”
“Eccome ca m’rcord. L’annai a piglià io o’ puort’ a Napoli.”

“La trovò cambiata la Trisaia zia Maria ue pà, t’arrcuord, avevano appena finito di costruire su più di 110 ettari di terra nera, fertile, il Centro Enea alla Trisaia di Rotondella, che doveva servire per “riprocessare” il combustibile nucleare.” 

“Non parlà difficile Nicò, che significa so processare?”

“T’dico che significa “riprocessare”. Cioè ue pà, se uno mette la legna nel fuoco p’s’mbocà, a legn’ s’appiccia e s’conzuma tutta quanta, diventa cenere. Nel nucleare il combustibile, che è l’uranio, non si consuma, rimane tutto nella caldaia. E allora quel combustibile che ha lavorato lo devi togliere dalla caldaia e, se vuoi, lo puoi “riprocessare”, lo puoi recuperare per farlo lavorare un’altra volta. Al Centro di Rotondella arrivarono negli anni sessanta 84 barre di uranio radioattivo che dovevano essere recuperate, provenienti da un reattore nucleare americano: Elk River.”
E mio padre: “Bella cosa, l’american hann fatt i comt’ loro e a noi ci hanno portato la merda!”
“Tieni ragione ue pà. Questo Centro fu un regalo che ci fece lo stato all’inizio degli anni ‘60, all’epoca nessuno disse niente, tutti cercavano lavoro, e nessuno si accorgeva che ci davano il pane ma era avvelenato. Che bel Centro che ci vennero ad aprire a Rotondella.”
E mio padre che mi sentiva senza mai guardarmi negli occhi disse solo: “C’era fame e miseria, criatur ca murienn’ di malaria e tifo… Lassamm perd’ cangia discorso no vogl’sent’parlà della Trisaia di Rotondella. Scriv’ la lettera no perd’ chiù tiemp.”

“No ue pà, te le devo dire due o tre cose assai importanti sul deposito nucleare che abbiamo a Rotondella, e le devo scrivere pure a zia Maria. Il 14 aprile del 1994 nel Centro alla Trisaia si è bucato un serbatoio contenente rifiuti liquidi radioattivi, il liquido pericoloso è uscito e si è depositato sul fondo della cella in calcestruzzo. Per legge questi liquidi dovevano essere solidificati nel 1975 e invece non l’hanno mai fatto. I rifiuti radioattivi liquidi vanno solidificati perché se sono solidi: vetro, ceramica, li puoi tenere meglio sotto controllo. Se invece rimangono liquidi ue pà, possono evaporare nell’aria, e poi, ue pà, quelli sono come l’olio, se ti cadono a terra non l’acchiappi più. Perciò è vietato tenere rifiuti radioattivi allo stato liquido. E invece sai quante tonnellate di rifiuti liquidi ci sono dentro la Trisaia? Quasi 3 tonnellate. La radioattività di sti liquidi arriva a 30.000 kurì. Il kurì è l’unità di misura della radioattività, tipo il litro. Per fare un confronto ue pà, sient buon, negli anni ‘70 ci fu un incidente in America, in Pennsylvania, evaporarono nell’aria 18 kurì, in America solo p’sti 18 kurì gridarono al disastro, e chiusero immediatamente la centrale. Da noi al Centro di Rotondella che è successo? Niente. Noi lì dentro abbiamo liquidi che fanno un potenziale di 30.000 kurì. Le cisterne di acciaio che contengono sti liquidi corrosivi e semp vollent’, le chiamano west 1 e west 2, ern’ fatt’ p’durà vent’ anni e poi annavano cangiate, i venti anni sò passati, il loro livello di sicurezza è finito, e infatti una si è bucata, ma nisciuno ci ha mai penzato a sostituirle. Ue pà ste cos’zie Maria l’adda sapè.” 

“O giesucristo santissimo circ’ da tranquillizzà a to zia.” 

“Che tranquillizzà! Ti dico che dopo la perdita del liquido i responsabili dell’Enea non dissero manco mezza parola dell’incidente alla Prefettura. Niente, miravano comm a semp’ a nascondere tutto. La magistratura lo seppe e aprì un’inchiesta. Il processo nel tribunale di Matera per la mancata solidificazione di quei rifiuti liquidi si concluse con la condanna a un mese di reclusione per due dirigenti dell’Enea. Questa è tutta la punizione che poi finì a niente. E i rifiuti liquidi intanto stanno ancora là. Se non sia mai succede quaccosa at ca Cernobyl’! 
Quando lavoravo dentro il Centro a Rotondella, come “scopatore” nella ditta di pulizia, ti ricordi ue pà?”

“Certo ca m’arrcord’, facei na lotta, andai a piangere da un senatore per farti pigliare e là rimanevi a faticare se non ti intrufolavi int’ a cazzi che non erano i tuoi!”
“Noi volevamo la sicurezza ue pà. Al Centro quanno noi dicevamo che eravamo preoccupati delle tre tonnellate di liquido radioattivo mai solidificato i dirigenti ci dicevano: “Che cazzo vi lamentate che a Saluggia, vicino Vercelli -dove fazzo o’ pustin’-, nel Centro Eurex, ne hanno 20 di tonnellate di rifiuti liquidi, e anche lì sono scaduti i contenitori.” E a Saluggia, questi liquidi, più 53 barre di uranio radioattivo, stanno a pochi metri da un affluente del Po’, la Dora Baltea. Una preoccupazione quando il fiume straripò a ottobre del 2000, fu tanta l’acqua che la piena del fiume fece crollare un ponte sull’autostrada A-4, se l’acqua toccava i fusti con il liquido radioattivo avvelenava tutta la pianura padana.”

“Ma quanta cazz ca vai sapenn, perciò ti cacciarono dalla Trisaia. No scherzà co’ ste cose ca ti sparano Nicò. Falla fnit e continua a scriv’ sa lettera a to zia.”

“Non è finita la cosa ue pà! Nel 1993 si bucò un tubo che parte dal Centro Enea e porta nel mar Jonio rifiuti di lavorazione, un tubo lungo 4 chilometri che passa sotto la strada statale 106 jonica e sbuca sulla spiaggia, vicino a uno dei grandi complessi turistici con cui ci stanno distruggendo la costa jonica in cambio di tre posti di lavoro come lavapiatti a tre giovani. Ti ricordi il tubo ue pà, tu mi ci portavi sempre a pescare con la barca cantann’ “il barcarolo” che l’avevi sentita a Roma quando facesti il soldato. T’arrcuord che tu cantavi e io scendevo sott’acqua e pigliavo proprio vicino al tubo seppie con tre occhi grosse come scarponi. Inzomma stu’ tubbo nel 1993 si mette a perdere. Il liquido accomenz a nzuppà la terra. E nzuppa nzuppa nzuppa. 
L’Enea, che gestiva il nucleare in Italia prima della Sogin, la Sogin lo gestisce da agosto del 2003, non diede nessuna notizia di questa perdita ma la magistratura lo seppe ed aprì un’indagine. 
Responso: il liquido è contaminato!
I due lavoratori dell’Enea che andarono a controllare quel liquido: Mazziotta e Nocella sono morti di cancro.
Il magistrato che aprì l’inchiesta si chiama Nicòla Pace. La tubatura vecchia, arruzznuta e contaminata, lunga quattro chilometri, doveva essere dissotterrata, fatta pezzi pezzi, stoccata e messa nei fusti, invece sta ancora là, e finisce dentro l’acqua del mare che nel frattempo ha conquistato, in dieci anni quasi duecento metri di costa. Hanno costruito la tubatura nuova ma la vecchia è ancora là, tiè, eccotela qua, t’agg’portat la fotografia. Lo stato dirà: “Sono abituati a tenere le schifezze nel mare, tengono già 52 navi piene di rifiuti radioattivi nel fondo del Tirreno e dello Jonio, che ci tengono anche una tubatura radioattiva non è poi la fine del mondo!” E invece no, se la tubatura vecchia è contaminata va tolta dall’acqua, va tolta da là, è pericolosa per i pesci ma pure per le persone, o nel Metapontino siamo gente da macello, gente che non vale niente, padri che non possono vedere i propri figli giocare sulla spiaggia con i secchielli e le palette, no i nostri figli devono giocare con i tubi arrugginiti e contaminati, per i nostri figli non ci sono favole, solo rischio di contaminazione e morte. Ce la devo mandare a zia Maria la fotografia e ‘ngiaggia scriv na lettera che n’adda parlà pur Brucculino. Per tutte ste schifezze nel Metapontino tanta gente muore di cancro, come nel Garigliano e vicino Latina dove ci sono altri due depositi nucleari.”

“Ma quanta cazz’ ca vai trovenn’, che c’entra mò la Trisaia, a zia Maria ci devi parlare del deposito che vogliono fare ora, lass’ fott o vecchio.”
“E no invece, le cose ce le dobbiamo dire chiare chiare prima di tutto sul pericolo della Trisaia che c’è ora. Antonietta tiene un bambino che sta per nascere. Ma vogliamo parlare del deposito nuovo? Allora, questo decreto con cui Berlusconi vuol riaprire il nucleare in Italia l’hanno approvato di notte mentre gli italiani con il cuore a pezzi aspettavano l’arrivo delle salme dei carabinieri uccisi a Nassiriya. 
A leggere l’inizio del decreto 314 emanato il 14 novembre del 2003… che poi l’hanno chiamato 314 in onore a Pitagora che ha avuto la scuola di matematica proprio qui a Metaponto, e si Pitagora ha fatto un teorema che dice “raggio x raggio x 314”. In questo decreto del governo ue pà, che fa “truffa x truffa x 314”, si inventano che c’è la situazione d’urgenza, il pericolo terrorismo.
Il decreto dice: “Le scorie radioattive italiane sono minacciate dai terroristi, l’unica misura che possa eliminare il rischio di atti terroristici, consiste nello stoccaggio centralizzato in deposito adeguato da costruire a Scanzano Jonico entro il 2008”.”

E mia mamma Era… no, non era morta, è viva, si chiama Era, come la dea, perché nacque in mezzo a un campo di grano a Metaponto, mentre mia nonna mieteva per qualche padrone. Nacque piccola e malnutrita proprio vicino al tempio di Hera, le Tavole Palatine, un tempio che costruirono i greci nel V sec. a.C. Mia mamma si chiama Era come la dea ma senza H. E mia mamma allora: “E tu invece di tranquillizzarla a to zia ci parli di terroristi e ci metti pure ste’ate preoccupazioni sop’ a la Trisaia?”.
E mio padre: “Tiene ragione tua mamma, sti’cose della Trisaia non le devi scrivere né a to zia Maria né a nisciuno. Sa che ngè lassa perd’non la scrivere la lettera a to zia Maria, lassamm perd’. Lei non la sap legg se la fa legg’ da quaccuno int’ a l’America, si sparge la voce del pericolo, e addio commercio di fragole e mandarini. Lassa perd sta lettera e strazza sta fotografia!” 

“E invece io la scrivo a zia Maria.”
“Lassa perd’damm sto fuogl’, o sai ca non m’sent buon, lassa perd non m’fa arrabbià.”
“No, la voglio scriv a zia Maria.” 
E mio padre inseguendomi con l’affanno attorno al tavolo: “Damm sto fuogl t’pozzn accid’!”
“Non o fa arrabbià a to tat lassanc sta’, non la vol la lettera, lassa perd, che domani si deve fare pure la risonanza magnetca nucleara”. 
“Non me ne fazzo di sti cose pericolose hai capito… e tu damm sta lettera mannagg a quello diavolo!!!”

“Guard’ quanti furmiqul’ncopp a ste mattonelle… damm stu scupin”!
Mia nonna Rosa, mamma di mio padre, attorno al fuoco, vede formiche sulle mattonelle perché ha avuto un ictus che l’ha rintronata. “Guard quanta furmiqul’!” Acciuffato u’sciusciafuoco di ferro tira colpi sulle mattonelle per sterminare le formicole che ovviamente vede solo lei e le mattonelle si rompono sotto i colpi di una contadina novantenne paralizzata dall’ictus ma che ancora tiene energia che at’ ca’ nucleare! 

Mia nonna ha partorito diciassette figli, insieme a tante altre contadine, all’inizio del ‘900, lasciarono zone povere come Avigliano, Rapolla, Ruoti, e vennero a Scanzano sullo Jonio per la terra.
“Non dì fesserie che Scanzano all’inizio del ‘900 non c’era ancora, è diventato Comune nel 1974 e fermt damm sta lettera.”

“Guard quanta furmiqul’ncopp’ a ste mattonelle, che disgrazia!”

E mio padre inseguendomi attorno al tavolo: “Tu sei la mia disgrazia damm stu fuogl’ e lass perd la lettera, me la fazzo scrivere da tua sorella Antonietta, che lei tante brutte cose non ce le scrive”. 

“Non le scrive perché non le sa. E invece l’adda sapè per il figlio che sta per nascere. Aggia scrivo i manifesti di quell’ca è succiess’ e l’aggia azziccà in tutta l’Italia.”
“Tu nun azzicc’ nient’ è capit’ ca ti spezz la schena!”

“Che è sto casino? Basta! Che sei sceso a fare da Saluggia per aiutare papà o per fare il rivoluzionario?” Si è aperta una porta ed è entrata mia sorella Antonietta, ragioniera. Aspetta un bambino, è all’ottavo mese. Si è sposata con un sardo, Lussu. Lui, Lussu, prima ha combattuto per non permettere il deposito di scorie in Sardegna, poi, appena si è sposato a mia sorella e se ne è venuto a stare a Terzo Cavone, sta combattendo per non farlo fare qua. Dove va Lussu… va il deposito. Ci vorrei dire “senti Lussu… perché non te ne vai un anno in Siberia?” 

Mio padre, acchiappata finalmente la lettera che non potrebbe mai leggere, sedutosi vicino al fuoco, toccandosi la panza dolorante: “Ma famm capì, lo possono fare veramente il deposito sop’a la terra nostra? Ma che cazz’ e govern è questo ca po’ fa na cosa tanta grava senza dire manco una parola alla gente che vive ‘ncopp’a sta terra!?!” 
“Certo ca si. Ue pà la terra te la espropriano e fanno che vonn’ loro! Sta tutto a questo generale Jean che dirige la società che si chiama Sogin. Sto generale può evitare ogni gara d’appalto, e tiene a disposizione solo per far partire la costruzione del deposito 6.000 miliardi di vecchie lire.”
“A facc’ do cazz!”
“Ue pà Jean è libero di fa che vol, violare norme di difesa dell'ambiente, di licenze edilizie…”
“Ma comm’ noi p’allargà nu funstriell’ci vuole la risposta della Soprintendenza e sto generale po’fa no deposito tanto gruosso senza fa nisciuna domanda???”
“Accussì è ue pà… quant’era bello ca t’faciv generale pure tu!”
“Non fa o fess quann s’parl’ a serio. Dimm’ na cosa… ma sto generale non è controllato da nisciuno?”
“Si. Dal Ministero dell’Ambiente… il capo di gabinetto si chiama Paolo Togni.”
“E allora sto Togni lo può pure frenare al generale e a sta società Sogin che dirige.”
“Si ue pà ma o cazz’ è che Paolo Togni, che rappresenta il Ministero dell’Ambiente, e che dovrebbe controllare la Sogin e il generale Jean, è anche il vicepresidente della Sogin, è il braccio destro del generale Jean. Cioè ue pà, quello che è pagato per controllare è anche quello che deve essere controllato.”
E mio padre: “S’chiamma Togni so cristiano come quello del circo… mai cognome fu chiù indovinato. L’Italia è tutta nu’ circo equestre e nuj tnimm a Togni. 
Inzomma nun s’capisc’ chiù niente. Io sono stato bracciante, dormivo int a le chiazze, ‘nterra. A matina vnìa o patron a battere sul petto col bastone e ti dava la fatica per una giornata in cambio di un pugno di farina, di due dita di olio. 
Io ho lottato sop a stu piezz e terra qua a Terzo Cavone, nel 1950 e 51, l’abbiamo occupata la terra per dare da mangiare ai figli. La terra era dei latifondisti e noi braccianti arrivavamo e piantavamo le zappe e le bandiere, e ogni solco di terra teneva un nome. La Basilicata migliaia di poveri, di gente che non aveva che mangiare, costretta a pigliarsi quattro bagattell’ e a scenn p’sti calanchi… emigrazione: America, Torino, Grugliasco… la Basilicata un milione di abitanti cinquecentomila: emigranti. E noi per non emigrare marciavamo ‘ngopp’ a le terre, le femmine andavano nnant’ co la falce affilata in una mano e nell’altra un figlio da allattare, ci piazzavamo sop a le terre e seminavamo, grano, grano nel pugno da seminare e guai a chi ce le toglieva le terre. E arrivavano i carabinieri, contadini contro figli di contadini, e se qualcuno dei contadini protestava i carabinieri erano costretti a sparare e il sangue dei contadini ha macchiato di rosso la terra appena seminata. Così i contadini sono stati uccisi a Melissa, in Calabria, e così è morto Giuseppe Novello qua in Basilicata, a Montescaglioso, ucciso dalla polizia di Scelba la notte del 14 dicembre del 1949, e fu ferito Michele Oliva, alla spina dorsale, rimase invalido. Furono arrestate tante donne: Mariannina Menzano, Anna Avena, Nunzia Suglia, Cenzina Castria. A Pisticci arrestarono Minguccio Giannace, Chiellino e tanti altri. Tutto questo p’la terra, la terra, quant’è bella la terra, p’nui è comm no’ monument’, è umana la terra, capisc Nicò, -mi diceva mio padre fissandomi dritto negli occhi che gli brillavano-. Poi, finalmente, dopo tanta lotta, la cominciarono a distribuire la terra Nicò, ma la riforma fu finta, lo stato si scordò della terra e dell’agricoltura”. 
Si lo so ue pà, lo stato scelse l’industrializzazione del sud, dal 1954 al 1974 lo stato e la cassa del mezzogiorno stanziarono 23.000 miliardi di lire per fare le industrie nel Sud, e nonostante i 23.000 miliardi di lire per l’industria, l’occupazione nell’industria al sud diminuì del 3%.”
E mie tat’: “D’sti 23.000 miliardi di lire era meglio ca n’davn no tant’ a testa!
No invece, il governo vulia le industrie chimiche nel sud, e sacc ste cos’ Nicò, e così hanno distrutto il golfo di Taranto, di Gela, di Marghera, di Crotone, la chimica, solo la chimica vedevano i nostri governanti per fare affari, la chimica l’hanno portata fino a Tito scalo, fino in val Basento, dove hanno fatto toccare l’amianto ai lavoratori senza dirci manco mezza parola sul pericolo. L’industria chimica, andateci a Crotone o in val Basento, e le vedete le industrie della chimica abbandonate, ferraglia arrugginita ‘ncopp’ a terra fertile, ferraglia e ferraglia tonnellate di ferraglia vecchia.
Lo stato si scordò dei lavoratori della terra, quelli che faticavano da sole a sole, dall’alba fino a che scurìa, si scordò di noi, lo stato, e allora 7 milioni di braccianti e contadini, dal sud dell’Italia se ne scapparono al nord a fare gli operai, e così appesero alla catena di montaggio la loro anima. 
Io non me ne sono partito mai dalla terra mia, morire quasi di fame ma stare qua, e comm’a me tanti lavoratori. Oggi, dopo cinquant’anni, noi, vecchi, siamo ancora qua, a difendere la terra dove abbiamo creduto co’ tutta la nostra forza, ci teniamo i figli che non hanno voluto emigrare e che vivono grazie a queste terre e non ci sarà nessun generale che ce le toglierà le terre, noi staremo sop’ a ste terre notte e juorn, e vi aspetteremo, se arriverete vi lotteremo con le ruspe e i trattori questa volta, non con le zappe. Ngè na’ puisia di Scotellaro, sindaco di Tricarico e occupatore di terre, finito pure lui in galera insieme ai braccianti, una puisia di Scotellaro che noi braccianti alfabeti ripetiemm’ a memoria mietendo, la puisia dice: “Sradicarmi? Sradicarmi? La terra mi tiene, la terra mi tiene forte, e la tempesta se viene mi trova pronto!”
Caddi a terra come un sacco di patate. Io, dico io. Morto. Mio padre aveva urlato per dieci minuti e niente pareva un gallo all’alba e io, che ero stato zitto: steso a terra mezzo morto. Con mio padre, mia madre Era, e mia sorella Antonietta attorno a me che cercavano di rianimarmi a piccoli schiaffetti. Mi svegliai grazie a mia nonna: “Guard’ quanta furmiqul’ncopp a sti mattonell’!”.
Mi misero seduto sopra una seggia vicino a mia nonna. Mia madre prese un bicchiere di limoncello fresco: “Vivt’questo ca t’rpigl’subbito. I limoni so i nostri, bevi.” 
“Mica li hai raccolti vicino al tubbo?”
E mio padre: “Ma che è stato? Tien no cloro giallo che m’fai paura.”
“Sarà stato o limoncello”. Io non sapevo se dirglielo o non dirglielo quello che tenevo in corpo. Non sapevo che dire. E allora non so proprio come mi uscì la cosa ma ci feci una domanda io a loro: “Sapete che è l’energia nucleare?”
“Nicò ma mo che c’entra questo. Che tieni non m’fa preoccupà.” –disse mio padre.
“Allora ue pà, lo sai a che serve il nucleare? 
Te lo dico. Due sono le cose o si fa per fare la guerra, fanno la bomba atomica e quante altre cose brutte, oppure s’fa la corrente elettrica. Io per ora t’voglio parlà dell’energia elettrica. Allora per capire come funziona la cosa devi tenere ‘nnant’a l’uocchie la pala del mulino a vento, che è come la girandola che ho portato a tuo nipote. Immaginati ue pà che questa pala più gira forte e più carica quacche cosa, comm’ a ‘na molla, a una turbina, che si chiama dinamo, come a quella della bicicletta, si carica si carica e fa la corrente elettrica che va sopra i tralicci e poi nelle case. I primi modi per fare l’elettricità erano le centrali idroelettriche. Funzionavano co l’acqua ue pà. Questa pala era collegata a una cascata d’acqua, l’acqua passava veloce veloce nella pala e la faceva girare veloce veloce. La molla…” 
“Si la dinamo”, -disse mio padre. 
“Bravo ue pà, la dinamo si caricava si caricava e poi i tralicci portavano l’elettricità int a le case. In tutto il mondo erano assai le centrali idroelettriche, si faceva la corrente sfruttando l’acqua. Ma o problema nasceva quando tenevi poca acqua, se non pioveva non avevi acqua per fare l’elettricità. E allora inventarono l’energia termo elettrica. 
Semp’ la pala ue pà. A farla muovere però non c’era più l’acqua da sopra, ma il vapore acqueo da sotto. Mò ti dico. Quann’ mammà cucina la pasta, quann’ l’acqua bolle, se sopra la pentola c’è o’cupierch’ che succed?” 
“S’n’zomp o cupierch’ e il vapore schizza all’aria comm nu grill’.” 
“Bravo ue pà. Allora che fanno co st’energia termoelettrica. Pigliano una granda stofarola la riempiono d’acqua, ci mettono sopra o’ cupierchio, mettono sotto a la stofarola quintali e quintali di gasolio. Sopra al coperchio ci piazzano la pala che si deve fare girare per caricare la dinamo di corrente. Poi appicciano il gasolio sotto la stofarola, fuoco, fuoco, fuoco, l’acqua s’mboca subbito o cupierchio della stofarola salta, il vapore acqueo che esce da questa granda stofarola, canalizzato dentro un tubo che porta diritto alla pala, schizza comm’ na colonna verso l’alto, fa muovere la pala veloce veloce e la dinamo si carica si carica si carica e via sui tralicci a portare la corrente elettrica int’ a le case. Ma o gasolio ue pà costa assai oggi figurati nel 1973 quando ci fu la crisi petrolifera e il prezzo arrivò alle stelle, e allora si doveva trovare un altro sistema per fare l’elettricità. Ecco perché inventarono l’energia nucleare. Mo t’dico ue pà, mà, sntit’ buon. 
Sempre il meccanismo della pala. Allora. Int a certe rocce c’è l’uranio. L’uranio si prende dalle rocce, e quann s’piglia dalle rocce male non ne fa. Preso l’uranio dalle rocce, lo trattano e lo vanno a mettere int a na stofarola granna, di acciaio, chiusa, con il coperchio saldato sopra, comm a na stofarola a pressione. Quando l’uranio è là dentro fa comm a mie nonn co le mattonell’, uranio contro uranio, uranio contro uranio, fann a mazzat, e l’uranio si frantuma e s’mboca, e arriva int a no moment a duemila gradi. Mo tu penza ca l’acqua, quann si cuoce la pasta, arriva a novanta gradi e già bolle e fa saltare il coperchio, mò penza ca l’uranio int a na girata d’uocchie arriva a duemila gradi.”
“Allora zomba subbito o cupierch’ da ncopp’ a la stofarola e st’uranio s’n’va p’l’aria.” -dice mia mamma Era.
“E per non farlo zombare o cupierch’è saldato ncopp a la stofarola… che poi si chiama reattore. C’è un foro ncopp’ o cupierchio, nu prtuso piccolo piccolo, collegato a la pala che deve girare, quanno l’uranio bolle il vapore schizza comm a nu fulmine sop a la pala e la pala gira gira gira e la dinamo si carica si carica di elettricità e i tralicci portano la corrent int a le case.” 
“Che cosa bella ca è o’studio, -dice mia mamma- peccato che ai tempi miei non c’erano soldi. Tu può fa o professor uè Nicò p’ comm’ spieg’ bell’ ca par a quello di Guarco che esce pe la televisione. Ma che c’entra l’elettricità co stu svenimento tuo? Mica avevi meso i diti int a la spina de la correnta!”
“Ue mà si simpatica assai. Mo t’dico. Sto uranio ca mettn int a la stofarola…”
“Ca si chiama riattoro int a l’Italia”. 
“Si reattore, brava mà, si chiama reattore. Allora st’uranio, int al reattore dura nu par’ d’anni. Per due anni l’uranio fa a cazzotti co l’altro uranio e la temperatura per due anni è sempre di duemila gradi.”
“Ma che bella comodità st’uranio vid’s’l’ancapp’quacche chilo ca o mttimm int o scaldabagno. Stamm buon na vrnata san!” -dice mia mamma-. 
“Te lo porto mo che vengo a Natale ue mà. Te lo porto. Allora vi dico ora una cosa importante. L’uranio int a la stofarola si trasforma e genera 250 elementi che non esistono in natura e che sono radioattivi, fanno venire il cancro.” 
“O pe la miseria leva lè, lassa perd, non ne portare per lo scaldabagno nostro che aggiò già chiamato a Luigino lo facciamo aggiustare. A ecco pcché il coperchio è saldato sop al riattoro, per non fare usciro sti vleni.”
“Brava mà. Mo che succede che l’uranio dopo che ha faticato per due anni dentro al reattore è quasi morto. Va cacciato dal reattore. Si devono cambiare le batterie, si deve mettere nuovo uranio. Ma quello che si caccia da là dentro non è più uranio e basta. E’uranio ma ci sono anche 250 elementi pericolosi ca si chiamano plutonio, cesio, torio, stronzio. Allora che succede che a cacciare l’uranio e sti altri elementi pericolosi radioattivi, mica sono le mani delle persone comm fai tu co la pasta, no, fanno tutto con bracci meccanici, gli uomini, vestiti come a marziani, stanno a metri e metri di distanza, lavorano con pinze telescopiche. E’ assai pericoloso quello che c’è nella stofarola.
Vi ricordate il disastro di Cernobyl’ del 26 aprile 1986? Quella notte successe che il reattore che conteneva tutti questi elementi pericolsi esplose e tutti quei veleni si dispersero nell’aria. Ecco perché morirono di cancro tante persone, ecco perché le mamme partorirono bambini deformi. Ecco perché non sappiamo quello che deve ancora succedere in tutto il mondo visto che il livello di radioattività aumentò di colpo il 29 aprile in Polonia, Germania e Austria, il 30 aprile in Svizzera e Italia settentrionale, il 3 maggio la radioattività salì di colpo in Israele, Kuwait e Turchia.”
“Bè inzomma di sto uranio tanto pericoloso, int a sto reattoro, -chiede spazientita mia mamma- doppo due anni che ha faticato che ne fanno? Addò o mettn’?”
“Queste barre di uranio bollenti ue mà, che contengono anche altri 250 elementi radioattivi, le prendono e le portano in Africa, si, fino al 1992 le hanno portate in Somalia, la giornalista della televisione Ilaria Alpi, con l’operatore Miran Hrovatin, sono stati uccisi perché avevano scoperto dove le interravano in Somalia. Quando invece vogliono fare le cose regolari prendono le barre di uranio e le mettono dentro grandi piscine. Quando ho fatto lo scopatore nel Centro Enea di Rotondella, si che ho lavorato con la ditta di pulizie, be io ste piscine con l’uranio le ho viste co’ l’uochie mij.”
“Madonna figghio mio t’aviss respirato quaccosa di pericoloso alla Trisaia?” Mia mamma dice di soprassalto portandosi tutte e due le mani sulla bocca.
“No ma tranquilla. Io andavo per scopare ma andavo vestito come un marziano, maschere tuta, quando scopavo mi pareva di stare sulla luna.” 
Mia sorella che aveva seguito tutto il racconto ricamando la copertina per il futuro figlio che stava per nascere mi chiese: “Insomma queste barre di uranio dentro alla piscina ci stanno in eterno?” 
“E mo vi dico ca questo è il bello. Insomma le barre di uranio… dopo che si sono raffreddate per un po’di tempo vengono cacciate dalla piscina comm’quando la pasta è cotta. Una volta cacciate ne puoi fare due cose. Le puoi prendere e trattare come un rifiuto, le puoi mettere nei fusti, isolate nell’acciaio e nel cemento, semp asciutte, lontane dall’acqua, che non sia mai l’acqua tocca i fusti si contamina e avvelena ogni cosa che tocca. Pensate al pericolo: alla Trisaia di Rotondella ci sono 64 barre radioattive a pochi chilometri dall’acqua del mare. E dove vogliono fare il deposito unico, qua a Terzo Cavone, abbiamo il mare a trecento metri, tanto che è intervenuto Rubbia, no grando scienziato che ci hanno dato il premio Nobel, e ha scritto voi siete pazzi a fare un deposito per le scorie in un’area vicino al mare, vicino a due fiumi, con falde acquifere di superficie, in una zona alluvionabile, franosa e altamente sismica. In più nel Metapontino l’acqua del mare s’ha magnato in 30 anni 600 metri di spiaggia. Il governo vuol mettere questi fusti pericolosi per 150.000 anni a trecento metri dal mare. Significa che fra quindici anni i fusti saranno sommersi dall’acqua che penetrerà sotto terra, toccherà i fusti e inquinerà il pianeta. Pazzi, questi che ci governano sono pazzi. 
Anche se ci dobbiamo dire a Rubbia che deve bloccare l’esperimento alla Casaccia di Roma, a 25 chilometri dalla capitale, dove c’è il deposito italiano che contiene il maggior numero di scorie radioattive, dove entro il 2008 devono provare a bruciare le scorie radioattive nel reattore Triga, esperimento unico al mondo che è costato tanti soldi al governo italiano. Vogliono bruciare le scorie alle porte di Roma, vicino agli acquedotti.
Ma se ne fottono. Pensate che il deposito della Casaccia scarica liquidi a bassa radioattività nel torrente Arone, dicono che questi liquidi pericolosi si diluiscono con l’acqua, ma il problema è che spesso nel torrente Arone c’è un filino d’acqua e allora i liquidi radioattivi non si diluiscono e passano vicino ai campi agricoli.
Comunque vi dicevo ue pà, mà, che queste barre di uranio possono essere messe nei fusti e stoccate, e sorvegliate per 150.000 anni, oppure le barre di uranio possono essere recuperate per metterle nel reattore un’altra volta. Ve l’ho detto prima che significa riprocessare, o recuperare.
L’uranio esaurito che ha lavorato nel reattore e che contiene altri elementi radioattivi, se lo lavori, può essere riutilizzato. Al Centro Enea di Rotondella questo hanno fatto. Arrivarono 84 barre dagli Stati Uniti d’America e li cominciarono a recuperare per utilizzarle un’altra volta in una centrale atomica che era a Latina. Quando io ho scopato nel Centro di barre ne ho viste solo 64. Due le portarono alla Casaccia di Roma e le altre che fine hanno fatto, sono state recuperate o sono sparite nel nulla? Nel 1982 è stata accertata dalla magistratura la disparità numerica tra i fusti di rifiuti presenti nel Centro e quelli elencati nei registri contabili.”
“Inzomma finisci veloce questa storia, -interviene mia sorella Antonietta-, che li stai facendo preoccupare idiota che non sei altro!”
“Allora queste barre vengono recuperate in questo modo. Mettiamo che un chicco di pasta è una barra. Prima viene sbriciolata, poi tutte le briciole vengono squagliate nell’acido nitrico, poi, infine, si prende questa crema e si centrifuga, come se si mettesse nel frullatore della mondial casa che ti sei mandata a pigliare tramite la televisione con i materassi dell’eminflex. In questo modo questa crema si stende a strati. I 250 elementi che erano presenti nella barra di uranio si separano e in base al peso che hanno si stendono. Tu li puoi vedere separati, stesi uno ncopp’a l’at, comm a l’uogl’ ncopp’ o’ vino. Sotto si va a stendere il plutonio che è il più pesante. Sopra tutti gli altri elementi.
Il plutonio serve per fare la bomba atomica ue pà, non ti scordare questo, anzi, ti dico che sai quanti chili di plutonio sono serviti per fare la bomba atomica che distrusse Nagasaki? Tre chili. Sai quante centrali nucleari funzionano ancora oggi nel mondo? 441 centrali nucleari attive. Sai quante tonnellate di plutonio si producono in tutte queste centrali? 2.000 tonnellate di plutonio in un anno.” 
“Mamm e che pericolo, se qualcuno s’arrobba na cascietta di plutonio po’ strmnà o monn intero!”
“Si oramai il plutonio o tengono cani e porci ue mà. Te lo metti in cantina e se un vicino t’fa ncazzà ce lo tiri appriess’! Certe volte ue mà non c’è manco bisogno di arrobbarlo… te lo puoi pure comprare. Non è legale ma sai che traffico. Tu penza mà che in un quartiere di Roma nel 1998 fu sequestrata una barra di uranio radioattivo e furono arrestate una diecina di persone della banda della Magliana. Questi banditi vendevano dieci barre di uranio provenienti dalla California in cambio di venti miliardi. Un capo della guardia di finanza sotto falso nome versò i miliardi andò all’appuntamento per prendere le barre, ma ce ne era solo una. Gli assassini furono arrestati ma le altre nove barre sono ancora nascoste in un quartiere di Roma. La procura sta indagando ma i banditi della Magliana sono già fuori perché il traffico di materiale radioattivo in Italia è un reato minore. Pensate che basta prendere una sola barra di uranio e farla esplodere vicino a una bombola del gas e si contamina tutta Roma.
Inzomma mà il plutonio si compra. Non ti scordare che Panorama e La Repubblica dicono che nel Centro Enea della Trisaia hanno trovato tracce di plutonio ricavato lì dentro tra il 1975 e il 1978. Il Procuratore Giuseppe Galante ha aperto un’indagine su un traffico internazionale di questa porcheria partita dal Centro di Rotondella addirittura dopo il referendum del 1987 in cui gli italiani dissero no al nucleare. Tutti si ricordano che a Rotondella e Nova Siri arrivarono tanti ingegneri dell’Iraq!”
“Io non saccio se erano dell’Iraq ma saccio che quanno venivo nnanz’ alla Trisaia che ti portavo la colazione, vedevo semp gent’co na faccia brutta comm a si Bi Laden!” 
“I giornalisti sospettarono che il plutonio ricavato nel Centro serviva a Saddam Hussein che si doveva fare l’arsenale nucleare. Arsenale di cui oggi non c’è traccia da nessuna parte. E significa che in Basilicata nun simm stat’ cazz manco di far capire all’Iraq come si fanno le bombe atomiche!
E ti ricordi ue mà quell’aereo che esplose in aria sopra Ustica, un dc 9, morirono 81 persone?”
“E comm si ca m’rcord, povere mamme!”, rispose mia mamma. 
“Bene, le procure di Roma e La Spezia indagarono perché sopra all’aereo pensarono ci fosse plutonio destinato a Saddam. Molti giornali scrissero che il plutonio fatto esplodere sopra Ustica proveniva proprio dal Centro di Rotondella.” 
A questo punto mio padre si alzò dalla sedia, si avvicinò a me, e con una faccia assai preoccupata mi disse: “Nicò, tu ci hai contato tante cose, mò ti chiedo perché primma sei svenuto nterra. Tu tien quaccosa Nicò, dimm a vrtà a me Nicò”.
“Ue pà, non è niente di grave. Pensa alla salute tua che fumi come un turco e terrai i polmoni neri comm a tizzoni. A proposito ue pà sai quanto pesa un pacchetto di sigarette?”
“Ma che c’entra mo questo? Ca peserà un trenta grammi se è pieno.” 
“Mo ue pà, prova a pensare allo stesso pacchetto di sigarette pieno di uranio. Quanto pesa secondo te?”
“Che peserà… duecento grammi?”
“Un pacchetto di sigarette pieno di uranio pesa quasi 50 chili, è assai pesante. E allora se tu pigli una mollica di pane e la tiri con una fionda su un vetro che succede?” 
“O vitr non si rompe e la mollica cade a terra.”
“Se invece dentro alla fionda ci metti una pallina di uranio che succede?”
“Ma ca se pesa tanto è chiaro che lo rompi il vetro.” 
“Bravo ue pà. Ecco perché gli eserciti hanno deciso, ormai da tempo, di usare nella guerra del Golfo, in Bosnia, in Iraq, proiettili e bombe all’uranio impoverito. Se da un aereo tiri una bomba all’uranio impoverito sopra un carro armato non solo l’uranio lo taglia comm’ o curtiell’ taglia o burro, ma si disintegra tutto il quartiere. Grazie all’uranio le cose s’prtusano subito subito ma il pericolo è la polvere di questi proiettili che si frantumano, se respiri quella polvere ti viene il cancro subito subito, se respiri quella porcheria sei morto. Io sono stato volontario in Bosnia ue pà e prima mi fecero andare nelle basi militari di Aviano e Ghedi di Torre, in alta Italia, per l’addestramento, e lì ci sono 90 armi atomiche americane, poi mi mandarano in Bosnia.”
“Eccome, io non vulìa di nisciuna manera. Ma tu caparbio volesti andare!”, gridò a denti stretti mio padre.
“Sai quanti proiettili anticarro all’uranio impoverito spararono gli americani tra il 1994 e il 1995? 11.000! Solo a Sarajevo scaricarono 5.000 proiettili. Là i tumori in questi ultimi anni sono aumentati del 70%. Chissà quanta polvere si è sprigionata nell’aria da quei proiettili.
Tra tutti i soldati italiani che partimmo sai quanti hanno un tumore? Quasi 300 soldati malati, 30 già morti. Ca s’capisc’ ue mà, i soldati americani arrivavano con le tute, le maschere, i guanti, e noi italiani niente, stavamo sbracciati, perché nessuno ci aveva detto niente del pericolo.” 
“E st’uranio puveriello per fare le cartucce e le bombe –chiese mia mamma-, sti eserciti, lo vanno a pigliare int’ a le rocce o è quello che sta dentro le piscine delle centrali nucleari? Perché se è quello che sta nelle piscine significa che noi a Rotondella teniamo armi!” 
“Brava mà. Molti pensano che è proprio quello che sta nelle piscine, armi che gli stati che vogliono esportare la democrazia usano per colpire le popolazioni. Ma dobbiamo pensare anche ai soldati della loro stessa patria che partono per sparare e muoiono per le schifezze che respirano. La patria, si, m’è scappata la parola patria. Io non ho mai incontrato un soldato che è partito per il tricolore, erano tutti come me, partiti per soldi. Io guadagnavo quasi 10 milioni al mese, i sergenti… chissà i capitani e i colonnelli.” 
“E’ meglio morire di fame e stare bene ca guadagnare e morire int i sptal!” Disse mia mamma Era, che ancora, povera mamma mia, non aveva capito che tra i soldati malati di cancro c’ero pure io. Del resto non ero mica così sicuro di essermi ammalato in Bosnia. Prima ho fatto lo scopatore nel Centro alla Trisaia di Rotondella, poi andavo a pescare le seppie vicino al tubo, poi sono stato volontario in Bosnia, poi ho fatto il postino a Saluggia dove ho abitato a cinquanta metri dal deposito nucleare… mi manca solo una gita turistica a Cernobyl’ e poi è fatta!
Mia sorella Antonietta manco capì, sospettò avto avto e basta. Mi domandò, ma sempre guardando la copertina che stava ricamanno: “Nicò non è che ti è venuto quacchecosa pure a te in Bosnia”?
“No Antonietta, tranquilla.” L’unico che capì la verità fu mio padre. Sorrise, ed era uno dei rari sorrisi che mi ha fatto in tutta la sua vita, venne vicino, mi mise una mano sulla spalla e strinse forte, e con l’altra mano mi ridiede la fotografia della tubatura e il foglio della lettera che avevo cominciato a scrivere a zia Maria. Mi passò quel foglio accartocciato e mi disse: “Scrivilla la lettera a zia Maria. Nicò, amma fa nu’ bello striscione per lo sciopero di domani, lo scrivo io stesso, non fa niente ca so’ alfabeta, tu domani mattina lo trovi fatto. E portati il tamburo che io mi porto l’organetto, che dobbiamo suonare e cantare da che nasce il sole fino a che se ne và. Portati il tamburo Nicò. Ora mangiamoci una cosa e andiamocene a dormire che la giornata di domani sarà lunga”.
L’indomani, all’alba, presi l’organetto, quanta polvere uscì dal mantice, non lo suonavo da tanti anni, mio padre aveva lo striscione sotto il braccio. Forse l’aveva scritto proprio lui. Uscimmo di casa alle sei. Vennero anche mia mamma Era e mia sorella Antonietta. E anche mio nipote int a la panza. Arrivati davanti al Centro Enea alla Trisaia, c’erano già migliaia e migliaia di persone, donne, anziani, bambini, trattori, poliziotti, elicotteri, ciucci, e tanta gente sonava, sonavano forte le zampogne, i cuba cuba, mamma quante zampogne, e bambini, donne, immigrati africani, arabi, venuti per raccogliere i mandarini, bambini nelle carrozzelle, e ciaramelle e zampogne da tutte le parti, c’erano migliaia e migliaia di persone, incolonnate, c’erano dieci chilometri di persone che marciavano marciavano. Mio padre mi disse tira for o tamburo e sona, sona Nicò, e lui tirò fuori l’organetto, e lo striscione lo aprirono mia mamma Era e mia sorella Antonietta. Loro portavano lo striscione, teso teso, e io e mio padre sotto lo striscione suonavamo, organetto e tamburo, tamburo e organetto, e papà sonava semp chiù forte, io e mio padre con quella musica parlavamo, tutte le cose che non avevamo potuto dirci con le parole ce le stavamo dicendo suonando, andammo avanti per ore e ore, poi a un certo punto mi venne il desiderio di leggere che c’era scritto sopra lo striscione. 
Guardai mio padre, piangeva e suonava, e con una mano sonava l’organett’ e con l’altro braccio si asciugava le lacrime, c’era un sole bollente, anche se era novembre, piangeva mio padre come nu criatur, proprio che ci mancava il fiato, e penzai che se lo stato int a quello moment foss’stat na pret mie tat’ l’avess spaccat’ co i dient’.
Andai poco poco avanti sempre suonando l’organetto, per leggere lo striscione, mi girai, alzai lo sguardo e lessi quello che aveva scritto mio padre: “Pcché ‘o stato n’ accid’ li figgh?’”. 
A quello sciopero partecipammo più di centomila persone. Ne parlarono come prima notizia tutti i telegiornali. Quattro giorni dopo, era il 27 novembre 2003 e il governo Berlusconi non ritirò il decreto 314 come era giusto fare, cassò il nome di Scanzano Jonico dal decreto. 
Il ministro Giovanardi disse sul Corriere della Sera che gli amministratori locali erano d’accordo di portare le scorie a Scanzano, ma che dopo la rivolta popolare avevano fatto i furbi. Noi volevamo sapere i nomi di questi amministratori che avevano fatto i furbi, ma nomi nessuno ne fece, né il ministro né il sindaco di Scanzano, Mario Altieri. Ci fu una grande festa. Ma la preoccupazione è rimasta, perché il governo, entro il 2005, dovrà decidere il luogo geografico dove costruire il deposito unico. Mica ha capito il governo che l’errore è fare il deposito unico, e che è più saggio mettere in sicurezza quelli che già ci sono. Poi abbiamo solo 8.000 metri cubi di scorie che durano 150.000 anni, un campo di calcetto di scorie pericolose che possiamo portare in Francia. Costa meno. Ma questo governo non ragiona, e vedrete che presto interverrà l’esercito. Vedrete.
Poi, qualche mattina dopo i muri di tutta la Basilicata furono tappezzati da questo manifesto. Io ne ebbi uno e lo portai a casa da mio padre. Arrivato a casa, era ora di mangiare, mia madre aveva appena scolato il reattore con la pasta, trovai tutti attorno alla tavola, tranne mia nonna sempre là immobile vicino al fuoco. Aprii il manifesto di Forza Italia che diceva: “Scanzano ha vinto grazie ai lucani ma anche grazie alla sensibilità di Silvio Berlusconi”. 
Tutti lessero il manifesto. Anche mia nonna pareva con lo sguardo vivo che leggeva. E infatti mia nonna, che da due anni non faceva altro che parlare di frummiquele, rivolse lo sguardo verso tutti e disse: “Quissi c’hanno scritto sto manifesto, tengono la faccia comm’ o’ culo”! 
Int a quello momento la televisione fece vedere Fini con il cappellino degli ebrei in testa, era a Gerusalemme, disse: “Il fascismo è il male assoluto”. Mio padre chiecò la testa e disse: “Non si capisce chiù niente”. A un certo punto a Fini ci suonarono l’inno d’Italia, o fummlizz de la pasta n’tavola saliva sul lampadario e noi eravamo tutti là, immobili, a sentire l’inno della patria. La patria. Mio padre pensava, gli occhi immobili, si chiedeva: “Che patria? Che razza di patria è mai questa patria che vuole seppellire i vivi”? Mia mamma metteva la pasta int’ i piatti e l’inno sonava, mi sedetti attorno alla tavola. Tutti là immobili ad aspettare che l’Inno d’Italia finisse.