CHE COSA STANNO SUONANDO DI SOTTO?

di

Alfredo Balducci

 

 

 

Personaggi

BEN IGOR

RAND, l'amico

CRABER, il segretario

FIN, il giardiniere

HELÈNE, la moglie

ANN, la governante

LA MADRE

Un fotoreporter

 

 

La scena:

Uno dei salotti della villa di Ben Igor. Di fronte la porta finestra che conduce in giardino: a destra e a sinistra due porte che conducono in altri locali. Su un mobile un vaso rotondo per pesci.

 

PARTE PRIMA

 

 

(Brusio di voci che viene da sinistra. Ann entra da destra e attraversa la scena. Parla a voce alta e, subito dopo, il brusio cessa).

ANN – Silenzio, per carità!... Un po' di rispetto... i medici hanno raccomandato soprattutto il silenzio... (esce a sinistra e richiude la porta).

(Il telefono nella stanza incomincia a squillare: da sinistra entra Craber che va a rispondere).

CRABER – ... Pronto sì, sono Craber... è qui adesso, nelle mani dei medici... no, non è rimasto ferito, per fortuna... è ancora presto per dire se ci saranno conseguenze: sono i medici che devono rispondere... che effetto m'ha fatto appena l'ho visto?... Mi è sembrato tranquillo... sì, abbastanza tranquillo... di più non saprei... bene; riferirò della sua telefonata... la ringrazio... (depone il ricevitore ma il telefono squilla di nuovo)... Sono Craber, il segretario... sì, è qui... a casa sua, insomma... non è stato portato all'ospedale perché è stato lui a rifiutarlo... e poi, probabilmente, non ce n'era bisogno... (Sulla porta di sinistra appare Ann che fa qualche gesto)... un momento, per favore... (Ad Ann con una mano sulla cornetta)... non faccia entrare nessuno, intesi? (Ann scompare)... diceva, dunque?... Guardi che io non sono in grado di darle queste informazioni... può rivolgersi alla polizia, se crede... va bene, riferirò... (abbassa il ricevitore e va alla porta di sinistra; ad alta voce)... No, i riflettori non vanno qui: le riprese televisive le faremo in biblioteca... Ann, gli indichi la strada, senza passare di qua... (Suona il telefono; Craber ha un gesto di noia, poi va all'apparecchio)... sono Craber... Igor è di là con i medici... no, non è ferito, ma dopo quello che è successo vorranno fare dei controlli, no?... Non posso dirle niente... le ripeto che non sono in grado di dirle come si sono svolti i fatti... non c'ero mica in macchina con lui, io... (con una mano sulla cornetta, a voce alta verso sinistra dove è ricominciato il vocio)... silenzio di là!... (Appare Ann)... non faccia far confusione... qui non si sente nulla!... (Ann scompare e chiude la porta)... Mi scusi, ma c'è la casa piena di gente: giornalisti, fotografi... un inferno... sì, le ripeto che Igor è rimasto illeso e che in auto era solo... a un semaforo è successo, all'imbocco della circonvallazione... almeno per quanto mi hanno riferito... se vuole maggiori particolari deve chiederli alla polizia... va bene... appena potrò parlargli riferirò della sua telefonata... (abbassa il ricevitore; scrive un'annotazione e il telefono squilla ancora)... Sono il segretario di Ben Igor... dica pure, sto scrivendo... (ripete ciò che gli viene dettato)... amici partito et estimatori angosciati et indignati delittuosa tracotanza... (Uno scoppio di voci più alto)... Scusi, ma non posso ricevere qui questa comunicazione: la passo su un altro apparecchio... un attimo, per favore... (stacca una spina; a voce alta)... che diavolo succede, si può sapere?!... (Ad Ann che è apparsa)... qui non si può telefonare... vado a prendere la comunicazione nel mio ufficio... faccia fare meno chiasso, se ne è capace... (Esce).

ANN – (sulla soglia della porta di sinistra, alla gente che è nell'altra stanza) – Un po' di silenzio, per favore!... Non siete a casa vostra! (Il brusio si attenua; Ann chiude la porta, attraversa la scena ed esce dalla porta di destra).

(Da sinistra entra Rand a ritroso, parlando e respingendo qualcuno che è nell'altra stanza).

RAND – Non posso dirvi niente perché non so niente... ma cosa volete che sappia?... Non c'ero su quella macchina, io... sì, i proiettili sono andati tutti a vuoto... tre o quattro, non so... un po' di pazienza... appena avremo notizie ve le daremo... eeeeeh!... cominciate a seccarmi, adesso!... Agente!... Che cosa ci sta a fare qui, lei?!... Faccia sgombrare!... Non siamo al mercato!... (Entra definitivamente sbattendo la porta. Si dirige alla porta di destra e l'apre. Appare Ann).

ANN – Lei qui non può entrare.

RAND – Ma se vi ho dato una mano finora a tenere a bada quegli energumeni.

ANN – Ho l'ordine di non fare entrare nessuno.

RAND – E va bene!... Ci sono ancora i medici di là?

ANN – Sì, ci sono ancora i medici.

RAND – Stia bene attenta a quando vanno via, di non lasciar scivolare dentro qualcuno.

ANN – Non può entrare nessuno, le ho detto.

RAND – Giornalisti e fotografi sono come la sabbia: si trovano dappertutto quando tira un po' di vento.

ANN – Di là non entreranno.

RAND – Il suo padrone lo voglio io, caldo, caldo, prima degli altri.

(Ann rientra a destra e chiude la porta. Rand va a cercare di telefonare, ma si accorge che l'apparecchio è isolato. Apre la porta di sinistra; chiamando).

RAND – Craber!... Craber!...

CRABER (apparendo con un certo ritardo) – Sto telefonando nel mio ufficio... che c'è?

RAND – E non può lasciarlo a qualcun altro quel maledetto telefono?

CRABER – Ha bisogno di me?

RAND – Certo che ho bisogno... può immaginarselo, no?... Con tutto quello che c'è da fare.

CRABER – Dica.

RAND – Lei era qui quando è arrivato Igor?

CRABER – Sì, ero qui.

RAND – C'era qualche giornalista in giro, per caso?

CRABER – No, la stampa è arrivata più tardi.

RAND – Teniamola ancora a distanza, la stampa... almeno finché al giornale non siamo pronti con l'edizione straordinaria.

CRABER – Ho fatto mettere due agenti sul retro della casa... uno è qui fuori: nessun estraneo può entrare.

RAND – Telefoni al partito e si assicuri che tutta la segreteria sia stata informata della riunione.

CRABER – Va bene.

RAND – Poi lasci qualcun altro al telefono e si tenga libero per tutto il resto.

CRABER – D'accordo. (Craber esce a sinistra. Rand va alla porta di destra e l'apre: appare Ann).

RAND – Sono ancora dentro i medici?

ANN – Sono ancora dentro.

RAND – Se la prendono con comodo, mi pare.

ANN – Il tempo che ci vuole.

RAND – Non c'è pericolo di esagerare? I proiettili non l'hanno neppure sfiorato.

ANN – Chi è che deve decidere, i medici o lei?

(Ann si ritira e richiude la porta. Rand passeggia per la stanza guarda l'orologio; ha qualche gesto di impazienza, poi va a spalancare la porta di sinistra. A voce alta).

RAND – Craber!... Craber!...

CRABER – (appare dopo un po’) – La segreteria è stata informata: alla riunione ci saranno tutti. Il giornale ha bisogno subito di foto.

RAND – Le manderemo fra poco. Vada lei a vedere a che punto è questa visita... c'è un mastino di guardia al quale non vado troppo a genio.

(Craber apre la porta a destra ed entra nella stanza. Ritorna poco dopo).

CRABER – La visita è quasi finita.

RAND – Lo sa Igor che lo sto aspettando?

CRABER – Verrà subito di qua.

RAND – Bisogna prepararsi, allora... di là c'è il fotoreporter del nostro giornale, guardi di portarlo qui... (Craber si avvia verso sinistra)... cerchi di non farsene accorgere dagli altri, o si scatena l'inferno.

(Craber esce e rientra poco dopo con un fotoreporter).

RAND – Com'è andata?

CRABER – Credo di avercela fatta.

RAND (si accosta con l'orecchio alla porta di sinistra) – Pare anche a me: non si sente nulla.

CRABER (va verso la porta di destra) – Vado a vedere quanto manca. (Esce).

RAND (al fotoreporter) – Tienti pronto a scattare... poi le foto bisogna portarle subito al giornale: ne hanno un bisogno immediato.

CRABER (entra da destra) – E' qui! (si fa da parte per lasciar passare Igor).

RAND (avanza a braccia aperte) – Igor!... (L'abbraccia, poi, al fotografo che ha continuato a scattare)... dall'altra parte, ora... (Il fotoreporter si sposta e Rand ripete l'abbraccio)... basta così... Craber, telefoni al giornale che le foto stanno arrivando... (Craber e il fotoreporter escono da sinistra. Rand osserva Igor)... tutto sommato mi sembri in buono stato: il pericolo vero era quello dei medici, ma tu l'hai superato brillantemente.

IGOR – Non è ancora finito: sembra che ci siano altri esami da fare.

RAND – Aspetteranno il loro turno, questa volta. Prima abbiamo diverse cosucce da sbrigare insieme.

IGOR – Quali cosucce?

RAND – Non te l'immagini? Conferenze stampa, interviste, dichiarazioni, riprese televisive... il pubblico è assetato di notizie. Ho già buttato giù un abbozzo di programma.

IGOR – Un programma?

RAND – Non c'è da perdere tempo: il ferro va battuto finché è caldo. Fra mezz'ora c'è la riunione della segreteria, qui a casa tua.

IGOR – Qui?

RAND – E dove, se no? Meglio non farti muovere, per ora.

IGOR – Ma era proprio necessario che...?

RAND – Cosa dici, Igor? Vuoi che non sia necessario, dopo quello che è successo?

IGOR – Proprio per quello che...

RAND – Proprio per quello dobbiamo discutere, organizzare, decidere. Ti vedo un po' perplesso... o sbaglio?

IGOR – Mi sembrava...

RAND – Che cosa ti sembrava?... Sei ancora nelle nuvole per quello che ti è capitato. Torna a terra, dài.

IGOR – Penso che, prima, bisognerebbe scoprire chi è stato.

RAND – Chi è stato?! Siamo, per caso, al comando di polizia?! Tocca a noi aprire le indagini?… Che cosa dici, Igor?!... Secondo te chi pensa che sia stato, la gente? Ecco, quello è il colpevole.

IGOR – E se non fosse quello?

RAND – E' quello lo stesso. Cosa cambia, me lo vuoi dire?

IGOR – Non cambia nulla... dal nostro punto di vista.

RAND – L'hai detto! Dal nostro punto di vista. L'unico che esista.

IGOR – E se vien fuori che ci siamo ingannati, e che quello non c'entra per nulla?

RAND – E' il buonsenso comune ad accusarlo. Vuol dire che chiederà un biglietto di scuse alla pubblica opinione. (Violento scoppio di voci a sinistra)... Ma che cosa sta succedendo di là?... (Spalanca la porta; chiamando)... Craber!... Craber!...

CRABER (entrando agitato) – Non ce la faccio più con quelli: vogliono entrare a tutti i costi.

RAND – Mi meraviglio di lei, Craber, non riesce a cavarsela con un pugno di giornalisti?

CRABER – Sono belve scatenate quelle.

RAND – Ma cosa mi racconta?! Chiami un agente e butti fuori tutti. Devo proprio insegnargliele io certe cose? (Craber esce) Neppure di fare questo è capace il tuo segretario?

IGOR (che s'è avvicinato al vaso dei pesci rossi) – Lo sai a che cosa pensavo in quel preciso momento? (Accarezza il vaso)... a questo.

RAND – Stai parlando dell'attentato?

IGOR – Appunto.

RAND – Vuoi dire che...?

IGOR – Un motociclista che si affianca alla mia macchina ferma al semaforo... che tira fuori una pistola... che spara... e intanto la mia mente sta nuotando con i pesci di questo vaso...

RAND – Un po' strano lo è, effettivamente.

IGOR – ... inchiodato sul sedile dell'auto, pietrificato dal terrore... ma con il cervello libero di seguire le evoluzioni dei pesci dietro questo cristallo... Cosa dici, sto per diventare pazzo?

RAND – I medici non se ne sono accorti: è giusto avere qualche dubbio.

IGOR – E' stato per qualche attimo, però... poi il parabrezza s'è frantumato e non ho visto più nulla... o meglio, ho visto la situazione rovesciarsi.

RAND – Cioè?

IGOR – Ho capito che il pesce ero io sotto il cristallo del parabrezza, che non avevo vie d'uscita, che il mio mondo era limitato allo spazio che occupavo sul sedile dell'auto.

RAND – Niente male questa considerazione. Non dimenticare di tirarla fuori parlando con la stampa. Devi trovare una ragione plausibile per i pesci, però.

IGOR – Una ragione plausibile?

RAND – Perché proprio i pesci dovevano venirti in mente?

IGOR – Per il casco del motociclista... rotondo come questo vaso... sembrava che avesse infilato la testa qui dentro.

RAND – Perfetto.

IGOR – ... solo che, al posto del guizzare dei pesci, all'interno c'era il lampo dei suoi occhi.

RAND – Ci siamo! Complimenti, Igor: questa è d'effetto sicuro.

IGOR – E' la verità, Rand.

RAND – E che importanza ha? Anche la versione più fantasiosa, se è rivestita di parole usuali, lo sai anche tu, può scendere a un livello comune e rientrare in una categoria del quotidiano.

IGOR – Tu parli delle reazioni del pubblico.

RAND – E non è quello che conta?

IGOR – Non riesco a pensare alla politica, adesso.

RAND – E non lo devi fare. Daresti l'impressione di voler strumentalizzare l'accaduto.

IGOR – Non ho voglia di niente, adesso... c'è troppo chiasso intorno: motociclette, spari, grida della folla... chissà cosa mi andrebbe bene in questo momento... essere al posto di questi pesciolini, forse, sott'acqua, nel silenzio...

RAND – Buona idea! Riposati un po' con loro: c'è ancora una mezz'ora alla riunione della segreteria.

IGOR – Cosa dici, Rand, lo sapranno loro di essere prigionieri in un vaso, oppure il cristallo che hanno intorno dà loro il senso dell'infinito?

RAND – Che ne pensavi tu, dietro quel parabrezza?

IGOR – Avrei dovuto veramente essere un pesce per conoscere bene i miei rapporti con l'infinito.

RAND – Un infinito che ti sparava addosso. Bella roba! Ma anche per un pesce, del resto, l'oceano è sempre pieno di agguati.

IGOR – Meglio in questo vaso, allora?

RAND – Lì il cibo non manca mai, e non ci sono aggressioni.

IGOR – Non c'è neanche l'incontro con i propri simili, però.

RAND – Chissà se quello conta per loro.

IGOR – Conta più di tutto il resto, credo.

RAND – E allora, sopravvissuto, potrai godertelo tutto quest'incontro alla prima riunione con la base. Sentirai che acclamazioni.

IGOR – Non ci pensavo più che esiste la politica e che esiste il partito. Tu riesci qualche volta a dimenticartene?

RAND – Nemmeno quando parlo di pesci, parola d'onore.

IGOR (con una punta di dolore) – E come fai, Rand?

RAND – Che domande! Ma se neanche tu, in questi anni, hai avuto tempo di pensare ad altro!

IGOR – Non mi sembra nemmeno possibile, ora.

RAND – Ti pare che sia venuto il momento di mollare?

IGOR – Di riflettere, almeno.

RAND – Non c'è tempo, Igor. Non si può lasciarsi sfuggire di mano un'occasione come questa: bisognerebbe essere pazzi furiosi.

IGOR – Buttarsi avanti a testa bassa, allora, senza badare a dove si può finire?

RAND – E' il momento di dar fiato alle trombe. E' già in macchina l'edizione straordinaria del nostro giornale, la radio e la televisione si preparano ad informare il paese... "vile attentato a Ben Igor... la nostra democrazia e la nostra libertà sono in pericolo..." Mi stai seguendo, vero?

IGOR – Non ci riesco, Rand.

RAND – Via! Un po' di buona volontà, e di immaginazione, anche.

IGOR – Ti ho detto che non ci riesco.

RAND – Ti sembra un ragionamento tanto complicato?

IGOR – Non lo so... ho troppe immagini nella mente che si accavallano, troppi rumori negli orecchi.

RAND – Quelli ce li ho anch'io ed è il momento di farli cessare... (Si dirige alla porta di sinistra dietro la quale sono scoppiati clamori di voci spalanca la porta e parla sulla soglia)... Un po' di silenzio... zitti ho detto!... (Si fa silenzio)... Che cosa succede, siamo tornati a scuola, quando il maestro esce dall'aula?!... Igor ha bisogno di riposo: lasciatelo in pace per un po'... fra mezz'ora avremo la riunione della segreteria... la faremo qui e sarà una riunione brevissima... poi parleremo alla stampa, con tutti voi... e potrete scattare tutte le foto che vorrete... abbiamo tempo da vendere per le edizioni della sera e di domattina... intanto, verrò io a darvi qualche particolare... Craber!... Li faccia passare nell'altra stanza... (rientra e si rivolge a Igor)... resta qui tranquillo tu, e riposati... ti farò chiamare appena la riunione della segreteria è pronta...

(Rand esce a sinistra. Rumori da destra. Igor va ad aprire la porta di destra; chiamando).

IGOR – Ann... Ann!...

ANN (apparendo) – Sono qui, signore.

IGOR – Che cosa sta succedendo?

ANN – Stanno collocando dei riflettori in biblioteca e accanto alla scala, all'ingresso.

IGOR – Ah, già... la televisione!

ANN – L'hanno disturbata?

IGOR – No. Solo che potrebbero fare più piano.

ANN – Gliel'ho raccomandato, ma loro fanno quello che vogliono. Se vuole, faccio portare via tutto.

IGOR – Questo non credo sia possibile.

ANN – Perché no? Questa è casa sua.

IGOR – Non oggi. Oggi è casa dei giornalisti, dei fotografi, degli operatori televisivi.

ANN – Come vuole lei, signore. Dirò che lei si è lamentato del rumore, e che facciano più piano.

IGOR – Guarda se ci riesci.

(Ann esce; Igor si muove nella stanza; si ferma a riflettere; ha qualche gesto di dispetto).

IGOR (a se stesso) – ... Era il momento di parlare chiaro... perché ho lasciato a lui l'iniziativa del discorso?... Ora è più difficile... bisognerebbe creare una nuova occasione... ah, se invece...!

(Cambiamento di luci. Igor è vicino alla porta di destra, si gira e avanza ad incontrare Rand che, entrato da sinistra, viene avanti a braccia aperte. I due tornano ad abbracciarsi).

RAND – Tutto sommato mi sembri in buono stato: il pericolo vero era quello dei medici, ma tu l'hai superato brillantemente.

IGOR – Non è ancora finito; sembra che ci siano altri esami da fare.

RAND – Aspetteranno il loro turno. Prima abbiamo diverse cose da sbrigare insieme.

IGOR – E da discutere, anche.

RAND – Si capisce. Ho convocato la riunione della segreteria qui da te, tanto per non farti muovere di casa.

IGOR – Hai avuto troppa fretta, mi pare.

RAND – Ma se non c'è un minuto da perdere! L'edizione straordinaria sta per uscire. Che cosa vuoi aspettare?

IGOR – Di chiarirci le idee.

RAND – Lo faremo strada facendo. La macchina del partito è in moto: dove guidarla lo stabiliremo più tardi.

IGOR – Ma se non sappiamo ancora chi è stato!

RAND – Beh, che ti prende? Sei ancora sotto choc per quello che ti è successo? E' compito nostro trovare il colpevole? Siamo poliziotti, per caso?

IGOR – Solo scoprendo da dove viene il colpevole possiamo indirizzare giustamente la nostra azione.

RAND – Dico, vogliamo scherzare, Igor? Cos'ha a che fare la nostra azione con il colpevole o con i mandanti?

IGOR – Tu non vuoi...?

RAND – No! Per noi potrebbe essere piuttosto deludente trovare chi ha sparato. Potrebbe saltar fuori lo studente fanatico che crede di aver ricevuto l'incarico di salvare il paese... un caso pietoso che, magari, fa anche un po' di tenerezza. Vuoi mettere se il colpevole non viene fuori? Sono le forze oscure del male che hanno agito... è tutta un'altra cosa!

IGOR – Che efficacia può mai avere un'azione sospesa nel vuoto?

RAND – Nel vuoto, e perché? Pensi che la gente non abbia già scoperto il responsabile? Ognuno ha già svolto la sua piccola inchiesta personale e sa chi ha sparato.

IGOR – E se invece l'opinione pubblica avesse scelto un'altra strada per identificare il colpevole?

RAND – Quale strada?

IGOR – Quella dell'utile che si ricava da quest'attentato.

RAND – Cioè?

IGOR – Chi verrà a guadagnarci veramente?

RAND – Utili, ricavi, guadagni... non dimentichi mai la tua materia, eh? Cos'è, una malattia professionale?

IGOR – Non mi hai risposto.

RAND – Cosa vuoi che risponda, che guadagneremo noi?... Noi che abbiamo corso il rischio di perdere te, un famoso economista, uno dei maggiori dirigenti del nostro partito?

IGOR – Ma io sono uscito illeso.

RAND – E allora?

IGOR – Non può cominciare di qui un imprevedibile ragionamento?

RAND – Via, Igor, che cosa ti viene in mente?! Le persone comuni hanno un modo di ragionare semplice e diretto... non ci sono tortuosità, né malizie...

(Cambiamento di luci. Igor è al proscenio e parla a se stesso).

IGOR – No... no... ho sbagliato un'altra volta! ... Non era questo quello che volevo dire... non in questo modo... più forza, più decisione! ... Ancora un'occasione sciupata... ancora una!...

(Igor intanto s'è spostato verso destra, mentre Rand è vicino alla porta di sinistra. Ad un tratto i due si voltano insieme e vanno, l'uno verso l'altro, ad abbracciarsi).

RAND – Tutto sommato mi sembri in buono stato: il pericolo vero era quello dei medici, ma tu l'hai superato brillantemente.

IGOR – Perché sono vivo, Rand?

RAND – Cosa dici?

IGOR – Perché i proiettili sono andati a vuoto?

RAND – Ah... tu ti chiedi...?

IGOR – Perché non mi hanno ammazzato?!

RAND – Che domande, Igor!... La tua buona stella devi ringraziare.

IGOR – Non si può mancare il bersaglio da quella distanza.

RAND – Si può, invece, si può.

IGOR – Quattro proiettili nel parabrezza... e non uno che mi abbia sfiorato.

RAND – E hai il coraggio di lamentarti?

IGOR – Voglio sapere il perché.

RAND – Non essere assurdo!... Sì, capisco... ancora sotto choc, eh?... passerà presto, vedrai.

IGOR – Ho bisogno di una risposta.

RAND – E' stato un caso... un caso fortunato. Nient'altro.

IGOR – Quattro colpi a mezzo metro di distanza: non si può sbagliare.

RAND – E l'emozione... la fretta?

IGOR – Non c'era niente di questo. S'è levato il guantone lentamente, ha impugnato la pistola, ha sparato... sempre con estrema calma.

RAND – Una calma apparente per mascherare la paura di dentro. O si trattava di un robot?

IGOR – Non ha voluto uccidermi.

RAND – Lo escludo. Non si corrono tanti rischi per una semplice intimidazione.

IGOR – Non ha voluto uccidermi, ti dico.

RAND – E anche se fosse, che cosa cambia?

IGOR – E' da stamani che ci penso; non riesco a muovermi di lì, capisci?... Un'idea che travolge tutto, che devasta tutto.

RAND – Quale idea, vuoi deciderti a parlare?

IGOR – L'idea di un attentato di cui noi siamo gli unici beneficiari

RAND – Sei impazzito?!... (Corre alla porta di sinistra per assicurarsi che sia ben chiusa)... Con la casa piena di giornalisti!... Che razza di assurdità ti vengono in mente? Ti rendi conto, se una sola parola di quello che hai detto dovesse trapelare?!... (Prende paternamente Igor per le spalle e lo scuote)... Igor... su... torna in te!... E' stato un brutto momento, ma bisogna superarlo.

IGOR – Mi è nato un mostro dentro: il sospetto.

RAND – Uccidilo subito. Non lasciare che ti faccia del male.

IGOR – Chi ci guadagnerà con l'attentato?

RAND (con un gesto di rabbia) – Ancora con questa roba?!

IGOR – E' un chiodo che s'è piantato qui in mezzo: non è tanto facile smuoverlo.

RAND – Lo dovrai fare, invece. Vuoi mettere il partito in difficoltà?

IGOR – Non ce la faccio.

RAND – Lo devi, hai capito?!

IGOR – Pensaci per un momento, Rand... per tanti anni hai creduto di far parte di una famiglia... di lavorare e di vivere in mezzo ad amici, ai quali eri legato da stima, da affetto... e all'improvviso senti che sei rimasto solo... intorno a te non c'è più nessuno... sei diventato un oggetto, una povera cosa di cui ci si è serviti e che ora si può abbandonare...

RAND – Ma come hai incominciato a pensare a una cosa del genere?! ... Come t'è arrivata dentro quest'idea?!

IGOR – A poco, a poco, strisciando, come una serpe che lascia una traccia gelata dove passa.

RAND – E' pazzia, hai capito?!

IGOR – Sì, così... cerca di convincermi: io ho solo bisogno di quello.

RAND – Sei rimasto solo, dici? Lo vedrai come si solleverà il partito intorno a te...

IGOR – Ecco quello che ci vuole...!

RAND – ... come ci scateneremo tutti contro questo attentato criminale.

IGOR – Ora sto meglio, vedi, nel sentirti così sicuro.

RAND – Un oggetto da abbandonare... ma come hai potuto pensarlo? Non ricordi dove vogliamo portarti?... Eppure sai bene che in questo momento è riunita la commissione per attribuire la presidenza del "C.K.S."!

IGOR – E' inutile illudersi: siamo fuori gioco con quella.

RAND – Non più, adesso.

IGOR – Come hai detto?

RAND – Sono aumentate le nostre possibilità, ora.

IGOR (con un lamento) – Ah!...

RAND – Che hai?

IGOR – L'hai detto, vedi?

RAND – Che cosa, diavolo, ho detto?

IGOR – Che l'attentato serve a noi... a noi soltanto!

RAND – E allora?! Saremmo degli idioti a non sfruttare fino in fondo tutto ciò che può tornare a nostro vantaggio.

IGOR – Ora tutto è tornato come prima... una caverna desolata piena di rumori sinistri.

RAND – Cerca di ragionare, Igor: sei un uomo politico, no? Perché volevano ucciderti, mentre è in corsa la nomina per il "C.K.S."? Per sbarazzarsi di un candidato pericoloso, no? E' questo fatto, dunque, che rafforza la tua candidatura.

IGOR – E chi mai ha rischiato tanto per farci questo favore?

RAND – A volte le azioni sfuggono di mano a chi le compie.

IGOR – Sei sicuro che tutti accetteranno questa versione?

RAND – E' l'unica che venga fuori.

IGOR – Ce n'è un'altra, e devi tenerne conto.

RAND – E quale sarebbe?

IGOR – Quella che nasce dal sospetto che l'attentato sia stato organizzato nel nostro partito.

RAND (con uno scatto) – Piano, perdio!... (Si guarda intorno sospettoso)... nemmeno pensare le devi certe cose!... Sai cosa vorrebbe dire un'idea del genere che viene fuori da noi? un suicidio politico. Niente leggerezze, intesi? Capisco il tuo stato, la tua confusione, ma c'è un limite a tutto! Riposati, adesso: è la cosa migliore che tu possa fare, prima della riunione della segreteria... ti manderò a chiamare io, appena la riunione è pronta... (Si avvia verso sinistra ma torna indietro)... e che non ti venga in mente di accennare alle tue fantasticherie... è una cosa che resta fra te e me, capito?... Vedrai che mi ringrazierai in seguito... a botta calda si possono fare tanti errori... (ritorna ad andare verso sinistra)... cerca di riposare... ti farà bene... (Esce).

(Da destra entra Craber).

CRABER – Vuole dare un'occhiata ai telegrammi che sono arrivati, e all'elenco delle persone che hanno telefonato per avere notizie?

IGOR – No... non adesso... non ce la faccio, ora.

CRABER – Io torno nel mio ufficio. Mi chiami se ha bisogno di me.

(Craber esce. Igor si muove nella stanza, manifestando una certa sofferenza; finalmente si precipita ad aprire la porta di destra).

IGOR (chiamando)... – Ann!... (Compare Ann)... si può sapere che cosa stanno facendo?

ANN – Stanno facendo, dove?

IGOR – Lì fuori... quei rumori impossibili.

ANN – ... Ah, sì... i riflettori che hanno trascinato dentro, gliel'ho detto... in biblioteca e su per le scale... mi ero raccomandata che facessero piano...

IGOR – Sembra che vogliano buttar giù le pareti... senti... senti che roba...

ANN – Ma... ormai li hanno già collocati.

IGOR – E questi, allora, cosa sono, eh?

ANN – ... Questi... che cosa?

IGOR – Questi tonfi, li senti?

ANN – ... No, signore... in questo momento non ci sono rumori.

IGOR – ... ma ci senti bene?

ANN – Credo di sì.

IGOR – E ti sei mai accorta che io non ci sentissi bene?

ANN – No, certo... non è mai successo.

IGOR – E perché, allora, dovrei sentire rumori che non ci sono?

ANN – Non lo so, signore... anche adesso?

IGOR – Sì, adesso... tun... tun... tun... vengono di qua, forse... (Va a spalancare la porta di destra, ma la richiude)... no, non c'è nessuno... i rumori sono più lontani, più profondi... tun... tun... tun... (Ann tende l'orecchio; un istante di silenzio)... allora?

ANN – No, signore, non sento nulla.

IGOR – Ma è impossibile!

ANN – Forse... se posso permettermi... dopo quello che le successo stamani, lei è ancora scosso e...

IGOR – Dici?

ANN – Non trovò un'altra spiegazione.

IGOR – Può darsi. E se invece si trattasse di una maggiore sensibilità?

ANN – Come sarebbe a dire?

IGOR – Se le mie facoltà di udito fossero aumentate, al punto che io riesco a sentire quello che gli altri non sentono?

ANN – Come potrebbe essere accaduto?

IGOR – Non lo so nemmeno io. E' solo un'ipotesi.

ANN – Posso fare qualcosa per lei?

IGOR – Mandami Craber, per favore.

ANN – Subito, signore.

(Ann esce da destra. Igor resta in ascolto e con la mano scandisce i colpi che sente in quel momento. Da sinistra entra Craber).

CRABER – L'aspettano di là, Igor: la segreteria è al completo. Sono riuniti nel mio ufficio... (va a reinserire la spina del telefono) bisogna riportare qui la comunicazione.

IGOR – Ha finito Rand con i giornalisti?

CRABER – Sì, proprio ora.

IGOR – E come se l'è cavata?

CRABER – Fenomenale, come sempre: non l'ho mai sentito così in vena. Ha incominciato a parlare della vostra vecchia amicizia, dei giochi d'infanzia, degli anni di scuola... e ha finito per illustrare il piano per la ripresa industriale, e perché il partito ha chiesto per lei la presidenza del "C.K.S."... (Si accorge che Igor, assorto nei suoi pensieri, non lo sta ascoltando) ... è successo qualcosa?

IGOR – No, non è niente... mi scusi, Craber. Nemmeno lei li sente?

CRABER – Che cosa dovrei sentire?

IGOR – Questi rumori che vengono dal profondo... tun... tun... tun...

CRABER – Prima li ho sentiti anch'io, quando scaricavano i riflettori dal camion.

IGOR – Non quelli, Craber... parlo di questi, adesso.

CRABER (ascolta per un attimo) – No, adesso non sento nulla.

IGOR – E come faccio a sentirli io, allora?

CRABER – Non mi preoccuperei troppo: lei oggi ha avuto una brutta giornata.

IGOR – Anche lei la spiega in questo modo?

CRABER – Oppure si tratta di rumori strani che a volte ci entrano nella testa, senza che possiamo spiegarcelo. I fischi negli orecchi, per esempio.

IGOR – Ha mai sentito parlare di ultrasuoni?

CRABER – Vibrazioni con frequenze che non possono essere percepite dal nostro orecchio.

IGOR – E se il mio le percepisse?

CRABER – Solo alcuni animali ci riescono, sembra. Guardi che di là aspettano lei.

IGOR – Vado... vado...

(Igor esce a sinistra. Suona il telefono; Craber va a rispondere).

CRABER – Sono Craber... Igor è appena uscito da questa stanza... non posso richiamarlo: c'è la riunione della segreteria e aspettano proprio lui... se vuol dire a me, io lo vedrò fra poco, alla conferenza stampa... va bene, gli dirò di chiamarla... quanto manca all'uscita del giornale?... L'edizione è già in macchina?... Allora aspettiamo le copie... arrivederci...

(Craber lascia il telefono. Da destra entra Ann).

ANN – Sa qualcosa lei su come devono essere fatte le riprese televisive?

CRABER – Eravamo d'accordo di farle in biblioteca, mi pare.

ANN – E dove sarà il signore, seduto alla scrivania o sul divano?

CRABER – Questo proprio non lo so. Ma dobbiamo essere noi a decidere? ... Non c'è un operatore, un regista?

ANN – Ci sono solo due operai che non sanno nulla; però dicono che sono stati incaricati di spostare il mobilio.

CRABER – E come lo vogliono spostare se non sanno nulla?

ANN – Venga un po' lei a spiegarsi.

CRABER – Mi sembrano diventati tutti matti, oggi...

(Escono tutti e due a destra. Da sinistra entra Igor: cammina lentamente, come se fosse stanco; poco dopo, alle sue spalle, arriva Rand).

RAND – Nulla di grave, Igor?

IGOR – No... non credo ci sia da preoccuparsi.

RAND – Posso fare qualcosa?

IGOR – Puoi scusarmi con gli altri.

RAND – Sei già scusato: tutti hanno capito.

IGOR – Vedere uno che si alza all'improvviso e che lascia la riunione, deve fare un certo effetto, specialmente a chi sta parlando in quel momento. Era Tammer, mi pare.

RAND – Si, era lui, ma non se l'è presa per quello. Ha capito che non dipendeva dal suo intervento.

IGOR – Non so neanche che cosa stesse dicendo.

RAND – Va meglio, adesso?

IGOR – Posso respirare liberamente, almeno; prima avevo l'impressione di soffocare.

RAND – Vuoi provare a tornare di là?

IGOR – L'idea soltanto mi riempie di terrore.

RAND – Allora non c'è che annullare la riunione.

IGOR – Non potete continuare senza di me?

RAND – La tua presenza è indispensabile. Come facciamo a prendere impegni su di te, con il tuo stato di salute?

IGOR – Tenetemi fuori per qualche giorno.

RAND – Bisognerà cambiare tutto il programma. Non è una cosa facile.

IGOR – Non esagerare, adesso. In fin dei conti, era un programma che avevi costruito in pochi minuti, dopo l'attentato.

RAND – Questo sì, ma...

IGOR – Ma...?

RAND – C'è la nomina per il "C.K.S." che si dovrebbe decidere a momenti.

IGOR – Non si può più cambiare mossa, vero?

RAND – No. Con il tuo sono rimasti altri quattro nomi sul tavolo.

IGOR – Non eravamo in sette?

RAND – Due sono stati ritirati poche ore fa. Non lo sapevi?

IGOR – No. E perché sono stati ritirati?

RAND – Nuovi approfondimenti dell'inchiesta sullo scandalo dei noli marittimi.

IGOR – E' triste dover progredire sulle disgrazie altrui.

RAND – Sarà triste, ma è straordinariamente comodo.

IGOR – Uno scandalo a sgretolare... e un attentato a consolidare... o sbaglio?

RAND – Stssssss!... Vuoi farti sentire da qualcuno?

(Igor si porta una mano agli orecchi)

RAND – Ancora quei rumori?

IGOR (fa cenno di sì con la testa) – ... Non smettono mai, ma a volte mi sembra di non farcela a sopportarli.

RAND – Forse ho sottovalutato le tue condizioni. Dirò a Holtz di passare da te.

IGOR – Holtz, e perché?

RAND – E' una celebrità in campo psichiatrico, lo sai.

IGOR – Hai fatto da solo la diagnosi? Hai già capito che ci vuole lo psichiatra?

RAND – Voglio vederti al lavoro al più presto: ho bisogno di te. Holtz è l'unico che può aiutarti, credimi.

IGOR – Prima di tutto mi dirà che i rumori che sento esistono soltanto nel mio cervello.

RAND – Perché, esistono anche fuori, forse?

IGOR – Sono troppo precisi, troppo regolari nei loro intervalli. Solo una macchina può produrli, non un cervello umano.

RAND – E sei tu solo a sentirli?... Noi siamo diventati improvvisamente sordi?

IGOR – Come spieghi che certi animali avvertono l'avvicinarsi della tempesta o del terremoto, mentre noi non ci accorgiamo di niente?

RAND – Tu appartieni alla nostra specie, sei dotato degli stessi nostri sensi.

IGOR – Questo è quello che sappiamo finora. Siamo certi che le eccezioni non siano possibili?

RAND – Non parlerai seriamente, vero?

IGOR – Tu che ne dici, Rand? T'impressionerebbe il fatto di avere un amico in grado di prevedere i turbamenti atmosferici... e magari, chissà, anche le crisi politiche...?

RAND – Va già meglio se hai voglia di scherzare.

IGOR – ... Ma forse si tratta di premonizioni molto più modeste che riguardano soltanto me, la mia vita... segni minacciosi che hanno il valore di un avvertimento personale.

RAND – Di che cosa dovrebbero avvertirti questi segni?

IGOR – Questo devo ancora scoprirlo.

RAND – Perché non vuoi farlo con Holtz, allora? Lui può darti una mano.

IGOR – D'accordo, Rand: parlerò con Holtz.

RAND – Finalmente una buona notizia! Ora bisogna che vada a vedere che cosa si può salvare della riunione. La conferenza stampa la faremo senza di te: diremo che l'attentato ti ha sconvolto e che hai bisogno di riposo...

IGOR – Ti ringrazio.

RAND – ... Ma un'apparizione in TV nel prossimo telegiornale dovrai farla per forza.

IGOR – D'accordo per l'apparizione.

RAND – L'intervista la ridurremo all'osso, ma quattro parole dovrai pur dirle.

IGOR – Farò del mio meglio.

RAND (andando verso sinistra) – Io vado di là. Tu resta tranquillo. (Esce).

(Igor si prende la testa fra le mani e resta immobile per qualche attimo. Suona il telefono; Igor va a staccare la spina e si allontana, ma ha un'idea; torna a reinserire la spina e forma un numero).

IGOR (nell'apparecchio) – ... Pronto?... Assessorato ai lavori pubblici?... Vorrei parlare con l'assessore... Sono Ben Igor... pronto, assessore?... Sì, io in persona... assolutamente illeso... la ringrazio... e ringrazi anche il sindaco... ne parlerete stasera in consiglio comunale?... Sono confuso per tanta attenzione... di nuovo grazie a tutti... le ho telefonato per avere un'informazione... lei sa dove abito, vero?... Da stamani sento dei colpi venire dal sottosuolo... sono colpi sordi, regolari, come quelli che può produrre una macchina scavatrice... o che so io, qualcosa del genere... ci sono lavori in corso in questa zona?... Che cosa?... Darà subito ordine di sospenderli, almeno finché non mi sono rimesso? Allora ci sono davvero? Ah, non lo sa... ma sì, io li sento chiaramente questi colpi, ma vorrei esser certo sulla loro natura, sapere che dipendono da lavori in corso... non può rispondermi subito?... oltre alle opere dell'amministrazione, ci sono le licenze concesse ai privati?... e persino la possibilità di qualche abusivo?... capisco... deve informarsi... mi telefonerà appena avrà un quadro preciso... grazie, assessore... ci conto...

(Igor abbassa il ricevitore. Da destra entra Craber sventolando un giornale).

CRABER – E' appena arrivato... il titolo mi sembra azzeccato... (porge il giornale a Igor)... che ne dice?

IGOR (guarda il giornale distrattamente e lo appoggia sul divano) – Sì, anche a me sembra giusto... (Va a guardare oltre la finestra del giardino).

CRABER – Vuole che sottolinei i passi principali degli articoli che la riguardano?

(Igor non risponde, assorto nei suoi pensieri; finalmente si volta verso il segretario).

IGOR – Diceva qualcosa, Craber?

CRABER – Appunto, io...

IGOR (interrompendolo) – Mi scusi, la prego... ma a volte non riesco neppure ad accorgermi se qualcuno mi sta parlando.

CRABER – Ancora quei rumori?

IGOR – Ancora quelli: non smettono mai.

CRABER – Rand mi ha fatto fissare per lei un appuntamento con Holtz. Passerà di qui nel pomeriggio.

IGOR – Forse non c'è più bisogno di lui: l'ho scoperto da solo il perché di quei rumori.

CRABER – E quale sarebbe?

IGOR – E' il battito del mio cuore, la pulsazione del sangue nelle arterie... vibrazioni che escono dal mio corpo e che ritornano ingigantite, perché intorno a me e sotto i miei piedi c'è il vuoto, un'enorme cassa di risonanza nel deserto.

CRABER – Non capisco.

IGOR – E' un semplice, banale caso di solitudine.

CRABER – Come può pensare di essere solo, lei che è al centro dell'attività del partito? Ci sono migliaia e migliaia di persone che le sono vicine, che aspettano di ascoltare una sua parola, di leggere un suo scritto.

IGOR – Ecco che cosa divide! Ogni gradino che sali nella considerazione degli altri, approfondisce il solco che separa dagli altri.

CRABER – E questa legge agisce solo per lei?

IGOR – Perché qualcosa esista occorre la consapevolezza della sua esistenza. Io l'ho raggiunta.

(Suona il telefono; Craber va all'apparecchio).

CRABER – ... Sono Craber, il segretario... dica pure a me... sì... sì... ho capito... va bene... riferirò... (abbassa il ricevitore)... era l'assessorato ai lavori pubblici: l'assessore fa sapere che in questa zona l'amministrazione non ha lavori in corso, che non sono state concesse licenze a privati e che non risulta nemmeno l'esistenza di cantieri abusivi.

IGOR – Era la conferma che aspettavo... ora non ci sono più dubbi: sono riuscito a scoprirlo il mio inferno!... (Porta una mano al polso, quindi indica la cadenza dei colpi)... tun... tun... tun... il ritmo è lo stesso... tun... tun... tun... è convinto che abbia ragione, Craber?

CRABER – No, Igor: non la posso seguire su questo terreno.

IGOR – E' una fortuna per lei, mi creda. Non sa cosa si prova a raggiungere questa certezza.

CRABER – Ha bisogno di me?

IGOR – No, vada pure.

(Craber esce. Igor riprende in mano il giornale, fa per esaminarlo, ma lo getta via; porta di nuovo le mani alla testa sofferente. Fin appare al di là della porta–finestra e bussa leggermente sui vetri; Igor non sente subito, ma, poco dopo, si accorge della presenza di Fin e va ad aprire).

IGOR – Ah, sei tu!... Non ti avevo sentito, scusami... con tutto il rumore che c'è intorno a me...

FIN – Ho saputo del fatto... come state, signore?

IGOR – La corteccia non è stata scalfita... ma che fai lì?... Entra, accomodati...

FIN – Meglio no, signore: sono sporco di terra.

IGOR – Non importa, siediti... lì, su quella poltrona.

FIN – Come volete voi.

IGOR – Sai che mi fa un certo effetto vederti lì seduto? Non ci sono abituato: non ti ho mai visto in questa stanza. Eri mai entrato qui dentro, Fin?

FIN – Solo quando mori vostra madre, sei anni fa.

IGOR – Una sola volta in tanti anni che lavori qui!... E si capisce subito, sai... è come vedere una cosa fuori posto.

FIN – Lo so che non è il mio posto, signore.

IGOR – Non è questo: è l'abitudine, capisci, che ci conduce dolcemente per mano per sentieri conosciuti e prospettive abituali. Fin non può trovarsi qui, ma in giardino, o nel suo alloggio dietro la serra. Vederlo qui è un campanello di allarme per la nostra pigrizia: è faticoso inserire qualcosa di nuovo nell'usuale quotidiano.

FIN – State parlando di me, signore?

IGOR – Scusami, Fin: mi stavo sfogando... ma ora non so bene di che cosa e contro di chi... (Porta le mani alla testa con un gemito)... Ahi!...

FIN – State soffrendo, signore?

IGOR (dopo una pausa) – E' passato, non ci badare... Hai fatto bene a venire... avevo deciso di fermarmi un po' con te, in questi giorni... ma non si riesce mai a trovare il tempo necessario... ora è il momento giusto e possiamo parlare insieme... quanto tempo è che non lo facevamo?

FIN – Un paio di stagioni almeno, signore.

IGOR – Così tanto?!

FIN – L'ultima volta che ho parlato con voi c'erano ancora i frutti sul ramo.

IGOR – E' proprio vero, allora!... E che cos'è accaduto in questi mesi?

FIN – L'inverno è stato duro, signore, e lungo. Il gelo ha strangolato le piante alle radici, e il vento freddo non ha ancora cessato di spazzare la terra e di torturare i germogli.

IGOR – Una stagione ingrata, vuoi dire.

FIN – Non l'avevo ancora vista fino a oggi così gonfia di odio, nemica, oscura.

IGOR – Incredibile! Ne parli come di una persona vera... eccola qui davanti a noi con la sua figura precisa.

FIN – Prima c'era stata la sete a inaridire... non da noi, si capisce: qui l'acqua non manca mai... ma nelle campagne intorno... mesi di arsura tormentata: il cuore faceva male davanti alle crepe della terra schiantata... poi l'acqua è venuta, ma spariva nei solchi e nelle buche, senza lasciare bagnato...

IGOR – Lo sai, Fin, che non mi ricordavo del tuo modo di raccontare?! Le tue parole acquistano volume, diventano oggetti da toccare, stringere nel pugno.

FIN – Forse non è giusto il mio modo di parlare, signore.

IGOR – E' splendido, Fin, continua!

FIN – ... e all'improvviso, coltelli di gelo affondati sotto la crosta indurita... lame di ghiaccio taglienti, spietate...

IGOR (entusiasta) – Così dovremmo imparare ad esprimerci per comunicare immagini precise, emozioni, al posto di parole logore e sterili, vuote di colore e di significato! Così un tempo dovevano parlare i profeti o i predicatori di nuove filosofie!

FIN – Ecco quello che ha portato la passata stagione.

IGOR – E questa che è appena incominciata?

FIN – E' presto per saperlo: tutto è ancora all'oscuro, sepolto... ma ad accostare l'orecchio, si sentono già i rumori che vengono dal profondo...

IGOR (con emozione) – Come hai detto?!

FIN – ... sotto terra è tutto un crepitare di radici che si allargano, di semi che si aprono, di steli che spingono verso la luce...

IGOR – Parli dei rumori sotto terra?!

FIN – Sì, di quelli.

IGOR (con un filo di voce) – Io li sento...

FIN – E' naturale.

IGOR – Esistono, dunque... esistono?!

FIN – Solo adesso l'avete scoperto? Certo che esistono... ieri ero nel prato delle magnolie... i fiori stavano per aprirsi... ho messo l'orecchio per terra e l'ho sentita arrivare, la fioritura, dal profondo.

IGOR (con eccitazione) – Lo vedi, dunque, lo vedi!... E gli altri che non ci credono!... Ma ci sei tu, adesso, che puoi testimoniare... lo faremo sapere a tutti, e tutti dovranno convincersi... ma che ci importa, poi, degli altri... della loro ignoranza, della loro incoscienza?... basta che lo sappiamo noi due: io e te... sul prato delle magnolie, hai detto?

FIN – Sì, signore.

IGOR – Può darsi che qualche pianta debba ancora fiorire, non è vero?

FIN – Può darsi.

IGOR – Andiamo, allora!

FIN – Andiamo, se volete.

IGOR (alzandosi con Fin) – Gli altri non contano... l'importante è che lo sappiamo noi due, capisci?... Io e te soli... andiamo!

(Escono tutti e due dalla porta del giardino).

 

 

 

 

PARTE SECONDA

 

 

(Sono passati pochi minuti. La scena è vuota; la porta del giardino è aperta. Da sinistra entrano Helène e Ann).

ANN – il signore è in giardino: può andare a raggiungerlo li, se vuole.

HELÈNE – No, l'aspetterò qui... non ne avrà per molto là fuori.

ANN – Non credo, signora... (guarda in giardino)... anzi, sta tornando. Posso andare, signora?

HELÈNE – Sì, grazie.

(Ann esce da destra. Igor entra dal giardino e non si accorge della donna seduta sul divano si volta a chiudere e porta le mani alla testa con un lieve gemito).

HELÈNE – Come stai, Ben? (Igor non ha sentito e resta voltato verso il giardino)... sono qui, Ben.

IGOR (si scuote e si volta verso il divano) – Ah, sei tu?!... Scusami, Helène, non ti avevo sentita entrare.

HELÈNE – Non sono entrata adesso: ero qui ad aspettarti.

IGOR – Incredibile! Torni sulla terra dalla luna, e chi ti viene incontro?... Tua moglie.

HELÈNE – Tutto a posto, vero Ben?

IGOR – Colpito ora, dalla tua visita.

HELÈNE – Non potevo davvero risparmiartela.

IGOR – Un rigoroso dovere sociale, vero? Non potevi cavartela con una telefonata?

HELÈNE – Via, Ben, non essere così cinico. Lo sai che c'era ancora la tua macchina ferma al semaforo, in mezzo ai poliziotti e a una folla vociante?... Un'emozione da non credere.

IGOR – Era un pezzo che non ti vedevo così... da quando il tuo cavallo cadde sull'ultimo ostacolo e si spezzò una gamba.

HELÈNE – Sei ingiusto, Ben: sono ancora sconvolta.

IGOR – Per il tuo cavallo? (Breve pausa) Vuoi bere qualcosa?

HELÈNE – Faccio io… (Va verso un mobile) Sempre allo stesso posto, no?... (Mesce da bere)... Non è cambiato nulla, nemmeno marca di aperitivo.

IGOR – E' quella che preferisci anche tu, mi pare.

HELÈNE – Fa sempre piacere essere ricordata... anche solo con una marca di aperitivo.

IGOR – Dopo tanti anni che siamo stati insieme, è l'unica cosa che ci è restata in comune.

HELÈNE – C'è stata anche Marion, per essere esatti.

IGOR – Che sbadato! Stavo per dimenticare mia figlia.

HELÈNE – Avrei voluto telefonarle per raccontarle quello che ti era successo, ma all'ultimo momento mi è venuto in mente che a Buenos Aires era ancora notte e non volevo buttarla giù dal letto. Telefonerò più tardi.

IGOR – Perché Buenos Aires... non sta più a Città del Messico?

HELÈNE – E' in Argentina da più di un mese. Non lo sapevi?

IGOR – Io non sapevo nulla.

HELÈNE – Massimiliano è stato trasferito di nuovo. Speriamo che quest'ambasciata sia l'ultima, povera Marion: è stufa di spostamenti. Strano che non te l'abbia fatto sapere.

IGOR – Sono secoli che mia figlia non mi scrive e non mi telefona.

HELÈNE – Non hai ancora fatto cambiare quelle orribili tende.

IGOR (con tono dolente) – Lo sai tu il perché?

HELÈNE – Il perché delle tende?

IGOR – Di Marion. Perché si è dimenticata di me?

HELÈNE – Come vuoi che faccia a saperlo?

IGOR – Come puoi non saperlo? Tua figlia è eguale a te, di fuori e di dentro.

HELÈNE – Grazie per il "di fuori", ma c'è qualche anno di differenza, se non sbaglio.

IGOR – Come è successo... quando?

HELÈNE – Con te non ha mai avuto troppa confidenza... tu non avevi tempo per lei... poi c'è stata la nostra separazione.

IGOR – E tu hai gettato su di me ogni colpa, vero?

HELÈNE – Ti sbagli, Ben.

IGOR – ... E Marion, magari, avrà pensato, che so... che avessi un'amante?

HELÈNE – E non ce l'hai, forse? Che cos'è la politica?

IGOR – E' un modo di essere vivi in mezzo agli altri.

HELÈNE – Un modo di essere che comincia a diventare pericoloso, mi sembra.

IGOR – E restare soli non è peggio?

HELÈNE – Non so: io di solitudine non ho mai sofferto.

IGOR – Sfido io! Quando mai l'hai tagliato il cordone ombelicale con i tuoi aristocratici parenti?

HELÈNE – Che cos'è, rimprovero o invidia?

IGOR – E come stanno i tuoi aristocratici amici sparsi in tutta Europa: in Inghilterra, in Alsazia, a Ginevra...?

HELÈNE – Dobbiamo proprio parlare di questo, e con quel tono?

IGOR – No, certo, scusami... non mi accorgo neppure di alzare la voce con tutto il frastuono che ho negli orecchi.

HELÈNE – Non è ancora cessato?

IGOR – Chi te ne ha parlato?

HELÈNE – Ann, appena sono arrivata: le avevo domandato subito come stavi.

IGOR – Tutto a posto, come vedi, solo questa orchestra in sottofondo. Una radio accesa che trasmette sempre la stessa musica.

HELÈNE – Non credi di dover raccontare tutto a un medico?

IGOR – Me ne manderanno uno nel pomeriggio, ma penso che sia inutile: io ho già la mia teoria.

HELÈNE – E sarebbe?

IGOR – Una congiura contro l'umanità. Un esercito di talpe sta scavando gallerie sotterranee: un reticolato di cunicoli nei quali, al momento opportuno, verrà collocato l'esplosivo, e poi... pluf! Non ci credi? Ma è la verità!... Io ho scoperto il complotto, e per questo hanno tentato di farmi tacere per sempre.

HELÈNE – Ma non ci sono riusciti. Un po' maldestri i tuoi congiurati. Dubito che riescano a far saltare il mondo.

IGOR – Scherzi a parte, un'ipotesi ce l'ho davvero, e sto controllandola proprio in questo momento. Da quando sei qui i colpi sono diventati più precisi.

HELÈNE – E che cosa vuol dire?

IGOR – Il senso della distanza che ci separa aumenta la consapevolezza della mia solitudine.

HELÈNE – Addirittura! Non riesco proprio a vederti da solo, Ben: hai sempre intorno un sacco di gente. Però ho sentito dire che ci si può sentir soli anche in mezzo alla folla.

IGOR – Il luogo non ha importanza: è il senso di vuoto che si ha dentro che conta.

HELÈNE – Vuoto soltanto? Eppure qualche buon ricordo dovrebbe esserti rimasto. In fondo, la nostra vita in comune non è stata tutta sgradevole. E anche la nostra separazione è avvenuta dignitosamente: una decisione comune accettata con stile.

IGOR – Anzi, con eleganza, direi, almeno da parte tua.

HELÈNE – E' solo ironia spicciola, o c'è dell'altro? Hai qualcosa da rimproverarmi?

IGOR – A te, Helène, e come potrei? Un comportamento così irreprensibile... una discrezione assoluta. La tua al nostro matrimonio è stata un'educata partecipazione.

HELÈNE – Sei abituato ad altre adesioni, tu, a quelle per alzata di mano.

IGOR – Ecco perché fra noi tutto è andato a rotoli: non c'è stata la maggioranza sufficiente.

HELÈNE (dopo una leggera pausa) – Dobbiamo continuare a punzecchiarci così, Ben?

IGOR – No, hai ragione.

HELÈNE (alzandosi) – Posso fare qualcosa per te?

IGOR – Puoi ricordarmi a Marion, quando ti capita.

HELÈNE – Le telefonerò appena arriverò a casa. Subito dopo sarà lei a chiamarti al telefono.

IGOR – Sei sicura che possa contarci?

HELÈNE – Certo. Marion conosce bene i suoi doveri.

IGOR (desolato) – Sì, hai ragione: posso contarci.

HELÈNE – E' meglio che tu non mi accompagni: di là c'è gente pronta a sbranarti.

IGOR – Prima o poi la dovrò affrontare, ma hai ragione: meglio più tardi.

HELÈNE – Addio, Ben.

IGOR – Addio.

(Helène esce a destra. Igor che l'ha accompagnata per qualche passo, torna al centro e porta le mani alla testa).

IGOR (a se stesso) – No... no… uno stupido rilancio di battute... e sul suo terreno, poi... ti sei lasciato trascinare nel suo gioco... era quello ciò che volevi dirle?... Un'occasione irripetibile fatta a brandelli... e ora... e ora?!...

(Igor si trova vicino al proscenio, mentre la zona del divano è adesso immersa nel buio; si volta e la stanza si illumina: Helène è seduta sul divano. Igor fa un passo verso di lei).

IGOR – Helène!... Non ti avevo sentita entrare.

HELÈNE – Non sono entrata adesso: ero qui ad aspettarti.

IGOR – Non osavo sperare che saresti venuta.

HELÈNE – E come potevo risparmiartela questa visita?

IGOR – Non voglio che tu la consideri un dovere sociale.

HELÈNE – Ma se non è rimasto che questo, fra noi, Ben?!

IGOR – Sono rimasti i momenti felici passati insieme; è rimasta l'assurdità della nostra separazione.

HELÈNE – Assurdità?

IGOR – Sì, è stato un atto assurdo e inumano.

HELÈNE – Esemplare, invece: una decisione comune presa con calma da due persone responsabili. Perché sarebbe stata inumana?

IGOR – Perché mancava la passione.

HELÈNE – Questo, dunque, è per te l'umano? Un oscuro groviglio di sangue, sesso, istinto?

IGOR – No, non mi lascio trascinare in una discussione del genere... sei qui e questo solo conta. Due anni senza vederci, ti sembra poco?

HELÈNE – Io ti vedo spesso sui giornali o in televisione.

IGOR – E non ti tornano in mente gli anni passati insieme?

HELÈNE – A volte. Non sono ricordi del tutto sgradevoli, del resto.

IGOR – Anch'io ripenso spesso al passato. Credo di conoscerti meglio, ora.

HELÈNE – Strano che certe cose si vedano di più da lontano.

IGOR – Com'è stata la tua vita in questi due anni? Della mia è inutile parlare: è tutta scritta in un reticolato di impegni politici, assemblee, riunioni.

HELÈNE – Sono stata parecchio all'estero.

IGOR – L'ho saputo. E ho saputo anche che non ti sei creata un nuovo affetto. E' così?

HELÈNE – Sì, è cosi.

IGOR – Nemmeno io l'ho fatto.

HELÈNE – Evidentemente, la riacquistata libertà sta molto a cuore a tutti e due.

IGOR – Quale libertà, quella delle stanze vuote, dei silenzi?

HELÈNE – Non soffrirai di solitudine, tu, con un partito alle spalle.

IGOR – E se fosse proprio così?

HELÈNE – Mi sembrerebbe molto strano.

IGOR – Stanno scavando sotto i miei piedi, Helène... strati e strati di terra che vengono portati via, finché non ne rimarrà che uno, sottilissimo... uno strato che non potrà più reggere il mio peso... allora precipiterò nel vuoto, se non ci sarà una mano a trattenermi.

HELÈNE – Una visione un po' triste del futuro, povero Ben, ma non mi è nuova. Devo averlo letto da qualche parte, che tutta la nostra vita si svolge sull'orlo di un abisso: pronto ad inghiottirci.

IGOR – Torniamo a vivere insieme, Helène.

HELÈNE – Cosa dici?!

IGOR – Riprendiamo la vita in comune.

HELÈNE – Ma come... tu... ?!... Non ero davvero preparata a una domanda del genere.

IGOR – E ora che te la trovi di fronte?

HELÈNE – Non è possibile, Ben. Sarebbe un grosso errore. Non c'è nulla di cambiato in ciò che ha portato alla nostra separazione.

IGOR – Cambierà tutto, invece... e poi è già cambiato in me, lo sento.

HELÈNE – Ma in me tutto è rimasto come prima.

IGOR – Sono disposto ad accettarti così come sei.

HELÈNE – Non è da te, Ben, lo capisci?

IGOR – Voglio vivere accanto a te.

HELÈNE – Per continuare a recitare i nostri monologhi? Non siamo fatti per intenderci.

IGOR – Ho bisogno dite, Helène...

HELÈNE – Come puoi avere bisogno di qualche altra cosa che non sia la politica?

IGOR – Non mi farò assorbire come prima, te lo prometto: lascerò liberi degli spazi per noi due.

HELÈNE – E dove si apriranno questi spazi, fra una riunione della segreteria e un dibattito in parlamento?

IGOR – E se rinunciassi alla vita politica?

HELÈNE – Anche a questo saresti disposto? Allora è una cosa molto grave, povero Ben.

IGOR – Posso rinunciare a tutto, ma non a te.

HELÈNE – Vuoi rinunciare anche a pensare, forse? Anche cessando ogni attività politica, rimarresti sempre un uomo di parte. Non puoi guarire, Ben.

IGOR – Che significa questo?

HELÈNE – Sentiresti sempre qualcuno che toglie strati di terra sotto i tuoi piedi. Vedi, là dove ho letto che noi viviamo sull'orlo di un abisso, c'era scritto anche che l'unica cosa da fare è non pensarci mai.

IGOR – Vivere nell'incoscienza?

HELÈNE – Ne saresti capace?

IGOR – Potrei tentare.

HELÈNE – No. Ci sarebbero sempre colpi sordi dal sottosuolo, premonitori della catastrofe che incombe.

IGOR – Li sopporterò se mi starai vicina.

HELÈNE – Capisco: e un brutto momento per te... ma io sono generosa e non terrò conto di quello che hai detto. (Si alza).

IGOR – Vuoi andartene?

HELÈNE – E' molto meglio così, credimi, Ben.

IGOR – Non ti lascerò andar via, non perderò quest'ultima occasione...

HELÈNE (va verso destra ma si ferma) – Di là è pieno di giornalisti... meglio uscire di qua... (Si avvia verso il giardino).

IGOR – Sono solo, Helène... mi senti?... Ho paura!...

HELÈNE (si ferma accanto al divano sul quale si trova Igor) – Povero Ben!... Avresti bisogno di tua madre, e lei non c'è più... e io non sono mai stata capace di farti da mamma... (Esce dalla porta del giardino).

IGOR – Aspetta, Helène... non puoi andartene così... mi devi ascoltare... (La segue in giardino).

(Da sinistra e da destra entrano Rand e Craber).

RAND – Nessuna notizia?

CRABER – No, nessuna.

RAND (guarda l'orologio) – Eppure dovrebbero già aver finito. Strano che non abbiano ancora telefonato.

CRABER – Non vorrei fare lo jettatore, ma non ha pensato che non ci si affretta mai a comunicare le cattive notizie?

RAND – Buone o cattive, dovevano telefonarle subito.

CRABER – Non avranno ancora finito.

RAND – Questo è più probabile. (Craber forma un numero al telefono)... Che cosa fa, adesso? ... Occupa la linea?...

CRABER – E' inutile struggersi nel dubbio... (nel telefono)... Pronto? ... Sono Craber: è finita la riunione? Ho capito: sono ancora chiusi dentro... mi telefoni appena sai qualcosa?... grazie... arrivederci... (Abbassa il ricevitore; a Rand)... Ora si respira meglio, no?

RAND – Se questo è respirare. E Igor dov'è?

CRABER – L'ho visto in giardino con la sua ex moglie.

RAND – Dica la verità, Craber, come lo ha trovato dopo l'incidente?

CRABER – Perché non l'ha domandato ai medici?

RAND – Mi interessa la sua opinione. Ha notato grossi cambiamenti?

CRABER – Lei che conosce Igor da molto più tempo di me, è in grado di giudicare meglio.

RAND – Bravo Craber! Apprezzo la sua discrezione. Da quanto tempo è nel partito?

CRABER – Da cinque anni.

RAND – So che ha lavorato bene finora e penso che sia arrivato il momento di fare qualche passo avanti.

CRABER – Fa piacere sapere che il proprio lavoro è apprezzato.

RAND – Il partito ha bisogno di giovani. Ma non è il caso di darle un altro incarico adesso: Igor ha bisogno di lei, specialmente ora, nello stato in cui si trova.

CRABER – Speriamo che possa riprendersi presto.

RAND – Lei che ne dice, ce la farà?

CRABER – Che valore ha quello che posso dire io?... Non è meglio aspettare la visita di Holtz?... (Squilla il telefono; Craber corre all'apparecchio)... Pronto?... Craber...

RAND (curvo su Craber con ansia) – Allora?!...

CRABER (sempre nell'apparecchio) – ... Un momento... la passo sull'altra linea... (schiaccia un bottone e depone il ricevitore; a Rand)... non era per noi.

RAND – E i colpi, non sono ancora cessati?

CRABER – Quali colpi?

RAND – Quelli che Igor dice di sentire.

CRABER – Bisognerebbe domandarlo a lui.

RAND – Andiamo, Craber... va bene la riservatezza e la devozione, ma con me può lasciarsi andare. Sono molto preoccupato per le condizioni di salute di Igor.

CRABER – Siamo tutti molto preoccupati.

RAND – Mi riferivo a certi strani accenni che ha fatto stamani, non so se ne ha parlato anche a lei.

CRABER – Non ha avuto il tempo di dirmi molte cose, stamani.

RAND – Ma queste, se gliel’ha dette, non può averle dimenticate, almeno per la loro... diciamo, estrosità... non è vero, Craber?

CRABER – Non ho l'abitudine di riferire circa i miei colloqui con Igor.

RAND – Sulle faccende di partito non devono esistere segreti fra noi.

CRABER – Sono anch'io in grado di giudicare ciò che riguarda il partito e ciò che appartiene al privato.

RAND – Vedo che stamani lei non è in vena di conversazione. Vado di là a sfogarmi con i giornalisti. Mi avverta immediatamente appena le telefonano i risultati.

CRABER – D'accordo.

(Rand esce a sinistra. Dal giardino entra Igor; è sconvolto. Craber fa un passo verso di lui).

CRABER – Non si sente bene… devo chiamare qualcuno? (Igor fa cenno di no con la mano)… venga a sedersi, allora… (l’accompagna al divano. Igor si prende la testa fra le mani)… ancora quei rumori?

IGOR – Tremendi.. insopportabili!

CRABER – Un calmante, forse… qualcosa che la faccia dormire... (Igor scuote la testa)... avrebbe avuto bisogno di quiete, oggi, e invece l'atmosfera è surriscaldata, i nervi stanno per saltare.

IGOR – Rand, dov'è?

CRABER – Di là con i giornalisti. Scalpita impaziente come un cavallo alla partenza.

IGOR – Impaziente?

CRABER – Stanno decidendo la presidenza per il "C.K.S.".

IGOR – Ah!

(Suona il telefono. Craber risponde subito)

CRABER – Pronto?… sì, un momento… (porge il ricevitore a Igor)… E’ sua figlia da Buenos Aires…

IGOR – Mia figlia?!… (si precipita all’apparecchio con grande emozione. Mentre Craber esce da sinistra)… Marion… cara… ti sento benissimo… e tu mi senti?… aspettavo questa telefonata… come stai?… sì, sì, prima io… io sto bene… una sciocchezza quello che è successo… un po’ di paura soltanto… come dici? la notizia è già arrivata all’ambasciata?… tutti vogliono sapere… parlami di te, Marion… non ero al corrente neanche del tuo trasferimento… mi hai lasciato per mesi senza notizie… sì, lo so, anch’io ho i miei torti, ma… come dici?… L’ambasciatore si congratula per lo scampato pericolo?… ringrazialo da parte mia… Ora parlami di te, della tua vita… non devi più dimenticarti di tuo padre che è qui, solo… sei l’unica cosa viva che abbia, anche se sei così lontana… sì, ho capito, tutto il personale dell’ambasciata mi porge i suoi rallegramenti e formula gli auguri più vivi… ho capito!… No, non sono seccato… cosa dici?!… ascoltare la tua voce è una gioia, Marion… come?… parla più forte, cara… sì. gridare devi se vuoi che ti senta… come?… vuoi già andar via?…Mi abbracci?… anch’io ti abbraccio, forte, forte… e vorrei tenerti sempre così, Marion, sempre… Marion…

(Si accorge che la comunicazione è interrotta e abbandona il ricevitore. E’ commosso e disperato; si alza e porta le mani alle tempie. Va alla porta–finestra, vede qualcuno in giardino e lo chiama)

IGOR – Fin... Fin!... (Appare Fin) Entra... entra, ti prego.

FIN – Non so se posso... così vestito...

IGOR (tirandolo per un braccio) – Non fa niente... vieni... siediti qui...

FIN – Come volete, signore.

IGOR – E' un sollievo parlare con te, lo sai?... Sento sciogliersi nodi… (si tocca il petto e la testa)… qui… e anche qui… con la tua voce mi scende dentro la calma.

FIN – Che cosa volete che dica?

IGOR – Qualunque cosa… ecco, parlami del tuo lavoro. Che cosa stai facendo stamani?

FIN – Una siepe sto piantando, a nord dell’aiola centrale.

IGOR – Dove sono le rose e le azalee?

FIN – Proprio li: una siepe fitta di rami legnosi che chiudano il passo alla tramontana gelata.

IGOR – Anche mia madre, ricordo, amava quell’aiola.

FIN – E' stata lei a volerla, lei che mi ha indicato i fiori da piantare, lei che ha scelto i colori... rosa pallido e azzurro tenero all'esterno, poi tinte più cariche andando verso il centro, fino ai turchini spalancati e alle ferite di rosso.

IGOR – E’ un quadro che avete creato insieme, dunque?!… e io che non l’ho mai saputo!… Da ora in poi voglio occuparmi anch’io del giardino… lavorare accanto a te… e tu mi insegnerai tutto quello che devo sapere, vero Fin?

FIN – E' la terra a insegnare, signore. Basta guardarla ed è lei a dire di che cosa ha bisogno.

IGOR – Lavoreremo insieme, certo... e, intanto, via quel "signore" altezzoso, scostante.

FIN – Come dite, signore?

IGOR – Fra noi deve esserci più confidenza: non voglio più che tu mi chiami "signore". E' una parola fatta per dividere, per distaccare... ci sono già troppe distanze fra gli uomini... in ogni luogo incominciano i deserti.

FIN – Finché è stata viva, era vostra madre la "signora": voi eravate soltanto il "signorino", ricordate?

IGOR – E adesso sono "Ben", capito?

FIN – Voi, però, siete sempre il "signore", anche se vi chiamo "Ben".

IGOR – Ma non mi sentirò più isolato, tenuto a distanza.

FIN – Che importanza ha un nome? Io l'inverno lo posso chiamare anche primavera, ma rimane lo stesso di sempre, con la sua mano gelata, pronta a stringersi intorno al mandorlo o al pesco che hanno avuto la fioritura anzitempo.

IGOR – Non ti sembra giusto abbattere questa barriera che esiste fra te e me?

FIN – La differenze ci sono: fra pianta e pianta, fra stagione e stagione.

IGOR – Quelle non le hanno stabilite gli uomini.

FIN – Ogni cosa ha il suo posto, signore: la confusione non porta che danno... questo, per esempio, non è il mio posto... (si alza)... e io non posso restare...

IGOR – Rimani, invece, ti prego.

FIN – No, signore, scusatemi... qui mi sento a disagio...

(Esce verso il giardino. Igor che ha cercato di trattenerlo si ferma sulla porta).

IGOR (a se stesso) – Neppure tu, dunque... neppure tu?!... (Con le mani alle tempie; disperato)... solo, devi restare, solo!... (Si lamenta)... Ahi!... ahi!... Nessuno a darmi una mano... e questo concerto che non ha fine! Ah… ahi... ah!... Solo mia madre, se ci fosse ancora, potrebbe aiutarmi... mia madre soltanto potrebbe ridarmi sicurezza, fiducia...

(Cambiamento di luci. Come in una visione onirica, la madre entra dal giardino con un fascio di fiori fra le braccia. Igor la guarda sbalordito e muove qualche timido passo verso di lei. La donna non lo guarda, intenta a sistemare i fiori in un vaso).

IGOR – Mamma… sei tu, mamma... qui?!... Avevo così bisogno di parlarti... e ora finalmente!... Sono qui, mamma... non ti accorgi di me?... non mi guardi neppure... perché?...

LA MADRE – Lo sai benissimo, invece, perché non voglio guardarti. Sono molto in collera con te, Ben: ho parlato con la tua insegnante e mi ha detto che sei svogliato e spreciso...

IGOR – ... Ma no, mamma, non sono più un bambino!... Guardami!... Ho bisogno di parlarti, di aprirmi... (si avvicina e spinge la testa verso le mani della madre. La donna gli tocca la fronte).

LA MADRE – Ma tu scotti... hai la febbre!... (Lascia i fiori e siede con Igor sul divano)... no, sei solo accaldato... (gli passa la mano sul viso)... sei tutto sudato, vedi... hai corso tutto il pomeriggio con gli altri ragazzi... e non sai che potrebbe farti male... non ci pensi tu alla salute che è così delicata, vero?

IGOR (si strappa con violenza alla carezza) – Non così, mamma! Sono disperato, capisci?... Che cosa faccio se tu non mi aiuti... che cosa?!

LA MADRE – Adesso vai nella tua camera a finire i compiti…

IGOR (quasi piangendo) – No!... No!...

LA MADRE – ... Io verrò più tardi a darti la buona notte... (Si alza ed esce verso il giardino).

IGOR (con la testa fra le mani) – Nulla!... Nulla!...

(Si accorge che la madre non c'e più; si alza e va alla porta del giardino, quasi per inseguirne l'immagine. Cambiamento di luci. La porta di sinistra si spalanca ed entra Rand esultante. Dietro di lui viene Craber).

RAND – Abbiamo vinto!... Vittoria!... La presidenza è nostra! (Abbraccia calorosamente Igor)... Questo ci voleva per rimetterti in piedi, vero?!...

CRABER (stringendo la mano ad Igor) – Congratulazioni, Igor.

(Da sinistra viene un nutrito brusio di voci).

RAND – La stampa!... Dobbiamo dare la notizia alla stampa... (Corre a sinistra e si ferma sulla soglia della porta spalancata; a voce alta)... Amici!... Ci è giunta in questo momento una notizia importante... la presidenza del "C.K.S." è stata attribuita!... La commissione incaricata ha accolto la candidatura avanzata dal nostro partito e ha eletto a tale carica... Ben Igor!... (Scroscio di applausi; Igor è ancora rivolto verso il giardino; Rand fa cenno a Craber di farlo avvicinare)... Ben Igor, l'illustre economista, autore fra l'altro di quel piano per la ripresa industriale che il nostro partito ha recentemente presentato al paese... viva il presidente Ben Igor!...

(Intanto Craber è riuscito a staccare Igor dalla porta del giardino. Ora, sostenuto da Craber e con le mani serrate alle tempie, Igor avanza barcollando, fra gli applausi scroscianti, verso l'illusione del consenso e il fantasma della solidarietà).

SIPARIO