LA TEMPESTA

danza di suoni e parole

di 

Luca A. Rossi

da W.Shakespeare 


PERSONAGGI

ALONSO re di Napoli
SEBASTIANO suo fratello
PROSPERO legittimo Duca di Milano
ANTONIO suo fratello e usurpatore del Ducato di Milano
FERDINANDO figlio del re di Napoli
GONZALO consigliere del re
CALIBANO schiavo selvatico e deforme servo di Prospero
TRINCULO buffone
STEFANO cantiniere, ubriacone
NOSTROMO
MIRANDA figlia di Prospero
ARIEL spirito dell’aria al servizio di Prospero
NINFE, MIETITORI che danzano


SCENA: a bordo di un vascello in mare; poi in un’isola deserta

SCENA I - A bordo di un vascello in mare. Tempesta, tuoni e fulmini

(Musica e danza).
Entrano il CAPITANO e il NOSTROMO
CAPITANO - Nostromo! Nostromo! Che novità!... 
NOSTROMO - Che c’è? 
CAPITANO - Dà voce alla ciurma!Qui coliamo a picco! Presto! 
NOSTROMO - Forza, ragazzi! Imbrigliate la vela maestra! Ventaccio soffia fino a scoppiare! 
Entrano ALONSO, SEBASTIANO, ANTONIO, FERDINANDO, GONZALO
ALONSO - Nostromo! Dov’è il capitano? Mettete all’opera tutta la ciurma. 
NOSTROMO - Voi tornate sotto coperta! 
ANTONIO - Dov’è il capitano? 
NOSTROMO - (fischio del capitano) Non lo sentite?… Via! sotto coperta; qui, date solo una mano alla burrasca. 
GONZALO - Brav’uomo, sta’ calmo! 
NOSTROMO - Ditelo al mare di star calmo! Alla tempesta importa poco il titolo di re. Tutti in cabina! 
GONZALO - Va bene. Ma ricòrda chi hai a bordo. 
NOSTROMO - Nessuno che mi prema più di me. (Agli uomini) Su, ragazzi, forza! 
Tirate giù il velaccio di maestra! Portatelo all’altezza della gabbia! (Un grido sottocoperta) Maledette grida! Fanno più strepito dell’uragano! Rientrano SEBASTIANO, ANTONIO e GONZALO Di nuovo qui! Volete proprio che coliamo a picco? Vi siete messi in testa di affogare? 
SEBASTIAN - Un accidente alla tua golaccia! 
NOSTROMO - Fatela voi la manovra! 
ANTONIO - Vatti a impiccare! Figlio di puttana! Scommetto che hai paura d’affogare. 
GONZALO - Quello non affoga, anche se questa nave facesse acqua come una baldracca, che non può tenersi dal pisciare! 
NOSTROMO - Su, sottovento! Su, coi due velacci! 
Entrano dei MARINAI, inzuppati 
MARINAI - Tutto è perduto! Non ci rimane che pregare! 
SEBASTIANO - Non ne posso più di questa gente! 
ANTONIO - Ci facciamo portar via la vita da degli ubriaconi… (Indicando il nostromo
GONZALO - Quello finirà impiccato, anche se il mare sembra spalancarsi ad inghiottirlo. 
VOCI DA SOTTOCOPERTA - Andiamo in pezzi! Si schianta tutto! 
GONZALO - Darei mille leghe di mare, per un acro di terraferma asciutta, coperta solo d’oriche!… Sia fatto il volere di Dio, ma avrei preferito morire all’asciutto. 
(Esce)

SCENA II - L’isola. Davanti alla grotta di Prospero

PROSPERO e MIRANDA

MIRANDA - (piangendo, agitandosi nel sonno) Padre, se con le vostre arti avete scatenato tal fragore, con le stesse arti, fate ritornar la calma. Tutta quella gente che soffriva! Ho sofferto insieme a loro! Un così bel naviglio e tutte quelle nobili creature... tutto in pezzi! Tutti morti! 
PROSPERO - Rasserénati, via dal tuo animo l’angoscia. Quel che ho fatto, è solo per amor tuo. Tu non sai chi sei, né di dove io provenga. È tempo dunque, che ti dica di più. Si, il naufragio, l’ho predisposto io, con la mia arte, ma facendo si che di quelle anime, che hai sentito urlare, nessuna andasse persa. Riesci a ricordare il tempo, prima di venire in questa grotta, anche non avevi ancor tre anni? 
MIRANDA - Più simile ad un sogno che a qualcosa di vero… Non c’eran delle donne intorno a me, a servirmi? 
PROSPERO - Sì Miranda, c'erano. Che altro vedi, nell’abisso del tempo trascorso? Se hai questo frammento di memoria, potresti anche ricordare come ci sei venuta. 
MIRANDA - No, non ricordo nulla. 
PROSPERO - Dodici anni fa, tuo padre era il Duca di Milano, un potente signore.Tua madre era specchio di virtù, e mi diceva che tu eri mia figlia. Mio fratello è tuo zio Antonio. Ascolta a quale perfidia, può giungere un fratello. Affidai a tuo zio gli affari di governo, estraniandomi dallo Stato, tutto preso a penetrare le scenze occulte, e i misteri della vita. Mio fratello, si dette a rinnovar tutte le nomine della gente, che era stata mia, a rimpiazzarla e plasmarla a suo modo. Io, tutto dedito a coltivar la mente in solitudine, immerso in quegli studi, fui sua vittima inconsapevole. Investito di tal potere, si persuase d’esser lui il duca, e se ne assunse l’aspetto e le reali attribuzioni. Per me i miei libri, la mia biblioteca, erano già un ducato sufficiente. Poi, strinse un patto con il re di Napoli, impegnandosi a farsi suo vassallo, corrispondergli un annuo tributo. Il re di Napoli, s’impegnava a cacciarmi dal mio ducato, e lui gli consegnava Milano. Così, la notte stabilita, Antonio aprì le porte di Milano, nell’oscurità mi trascinaron via, e te con me, che piangevi.
MIRANDA - Come mai non ci assassinarono? 
PROSPERO - Nell'ambizione di rivestire di bei colori i lor torbidi intenti, e sapendo quanto il popolo mi volesse bene, non osarono. Ci caricarono su una barca, e ci spinsero in mare, dove avevano pronta una una goletta sconquassata, abbandonata perfino dai topi. In quel misero legno ci abbandonarono nel mare, venti pietosi, ci inviavano i loro sospiri. 
MIRANDA - Chissà che peso sarò stata per voi! 
PROSPERO - Un angelo sei stata, ch’è riuscito a sostenermi in vita: sorridevi serena, pervasa da una forza d’animo ispirata dal cielo; e mentre, io spargevo nel mare amare lacrime; quel tuo sorriso ridestava in me, un arcano coraggio, per resistere contro qualunque avversità futura. 
MIRANDA - E poi, come giungemmo a questa riva? 
PROSPERO - Fu la Divina Provvidenza. Avevamo con noi un po’ di cibo e un po’ d’acqua, che un nobile di Napoli, Gonzalo, incaricato dell’esecuzione di quel disegno, ci aveva dato, insieme a vesti, biancheria, stoffe ed altre cose che poi ci furono di grande aiuto; sapendo quanto cari mi fossero i miei libri, mi riportò dalla biblioteca, un certo numero di quei volumi, che per me valgono più del ducato. Come Dio volle, approdammo a quest’isola, e qui con me, tu hai appreso più di quanto sappiano quelle principesse, ch’hanno più tempo e più agio di te, ma meno premurosi precettori. Ora non so per quale disegno, la Fortuna, ha portato a queste rive i miei nemici. 
(Miranda si addormenta) 
PROSPERO(Chiamando) Ariel! Mio spirito avvicinati!
ARIEL - (entra) Salute padrone! Eccomi pronto ad ogni tuo volere: volare, nuotare, buttarmi nel fuoco, cavalcare sulle nuvole, ai tuoi comandi. 
PROSPERO - Dimmi spirito, hai suscitato la tempesta in mare che t’avevo ordinato? 
ARIEL - Come tu volevi. Piombato sopra il vascello del re, ho fiammeggiato dovunque terrore. A volte mi scindevo in varie fiamme, andando a divampare in vari posti, per poi riunirmi in un unico incendio. I fulmini, con fragore terribile di tuono, laceravano solfuree nubi. 
PROSPERO - Bravo spirito! E ci fu alcuno, al quale tutto questo finimondo, non abbia sconvolto la ragione? 
ARIEL - Nessuno. Non c’è stata una creatura che non sia impazzita di paura. Tutti si son gettati nell’acqua schiumosa. Ho visto il figlio del re, Ferdinando, gettarsi in mare per primo, gridando: “S’è spopolato l’inferno! I diavoli stanno tutti qui!” 
PROSPERO - Ben fatto, spirito! E tutti salvi?
ARIEL - Tutti. Poi li ho dispersi sull’isola, mentre il figlio del re, l’ho spinto a riva da solo, lontano dagli altri.
PROSPERO - Della nave del re, e della ciurma, che n’hai fatto? E del resto della flotta? 
ARIEL - La nave regia è sana e salva, in quella insenatura donde tu mi evocasti quella volta, per mandarmi, nel cuore della notte, a cercarti rugiada alle stregate Bermude. I marinai, stipati sotto le stive, li ho lasciati a dormire come ciocchi. Gli altri navigli della flotta, da me dispersi, si son poi riuniti, ora veleggiano in rotta verso Napoli, avviliti, perché credono d’aver visto colare a picco la nave del re. 
PROSPERO - Ariel, hai ben compiuto questo incarico, ma c’è altro lavoro. A che ora volge il dì? 
ARIEL - E' passato mezzogiorno. 
PROSPERO - Bisogna mettere a profitto il nostro tempo, da qui alle sei. 
ARIEL - Altro lavoro? Padrone, lascia che ti ricordi la promessa che hai fatto, e non hai mantenuto. 
PROSPERO - Che mi vuoi chiedere? 
ARIEL - Di liberarmi. 
PROSPERO - Prima che sia spirato tutto il tempo? Nemmeno a parlarne! 
ARIEL - Te ne prego, non ti dimenticare dell’ottimo servizio che t’ho reso, per tutto questo tempo. 
PROSPERO - Ti sei scordato i tormenti da cui t’ho liberato? 
ARIEL - Certo che no. 
PROSPERO - E invece sì. Che fatica sarà se ti mando a pestare un po’ di melma sul fondo degli abissi, o a volare sul vento di tramontana, o a calarti nelle indurite viscere della terra, bruciate dal gelo? È fatica far questo per me? 
ARIEL - No, no, signore. 
PROSPERO - Hai scordato la strega Sicorax, che, ingobbita dall'età e dalla cattiveria, somigliava a un uncino? 
ARIEL - No, signore. 
PROSPERO - Dimmi dov’era nata? Te lo ricordi? 
ARIEL - Ad Algeri, signore. 
PROSPERO - Ah, sì? Davvero? Di tanto in tanto ti devo rinfrescare la memoria e ripeterti quello che sei stato, perché te lo scordi… Quella strega, la dannata Sicorax, per via dei suoi malefici incantesimi, fu scacciata da Algeri. Quella stregaccia guecia, fu portata quì gravida, e abbandonata da alcuni marinai; tu che sei ora mio schiavo, eri allora suo servo; ma siccome ti rifiutasti di eseguire dei suoi comandi, t’imprigionò nello spacco d’un pino, e là sei rimasto, perchè lei morì, lasciandoti là dentro a emettere lamenti interminabili. Fu la virtù della mia arte che, quando qui giunsi ed udii le tue grida, aprì la mascella di quel pino e ti fece uscire. Nell'isola non c'era alcuna forma umana, salvo Calibano, il figlio che la strega vi aveva partorito, un vero mostro, che tengo ora al mio servizio. Ora, se seguiti a brontolare, spacco una quercia, e t'inchiodo nel suo nocchiuto ventre a urlare e sbraitar dodici inverni.
ARIEL - Perdono padrone! obbedirò ai tuoi comandi, e farò il mio dovere. 
PROSPERO - Bravo! fra due giorni sarai la libero. 
(Esce Ariele. Prospero s’avvicina a Miranda, la sveglia) Su, svegliati! 
Andiamo dal mio schiavo Calibano. (musica)
(Chiamando) Calibano!… Schiavo, dove sei? Zolla di fango rispondi! 
Entra CALIBANO danza.
CALIBANO - Vi piova addosso una guazza maligna, come quella che mia madre raccattava, nelle paludi putrescenti! Che il puzzolente vento di libeccio, vi soffi addosso fino a coprirvi le piaghe! Quest’isola è mia, me l'ha data mia madre, Sicorax, tu me l'hai rubata. Appena arrivasti, mi volevi bene, m’offrivi spremute di more, e m’insegnavi i nomi della stelle. Anch'io che ti volevo bene, ti mostrai le bellezze di quest’isola: le acque fresche, le pozze saline, i luoghi sterili e quelli fertili…Che ti piovano addosso tutti i malefici di mia madre, rospi, scarafaggi e pipistrelli! Perch’io son tuo suddito, mentre prima ero re di me stesso. Mi tieni relegato in questa roccia, escludendomi dal resto dell’isola! 
PROSPERO - Bugiardissimo schiavo, sensibile soltanto alla frusta! Malgrado fossi un mucchio di monnezza, io ti trattai come essere umano, e t’alloggiai nella mia grotta, finché tu non osasti attentare, all’onore della mia figliola. 
CALIBANO - Se vi fossi riuscito, a quest’ora avrei popolato quest’isola di Calibani! 
PROSPERO - Abominevole schiavo, su di te non s’imprimerà mai il bene, perché solo di male sei capace! Per pietà m’ero preso cura, d’insegnarti a parlare, io dotai di parole e voce, i tuoi pensieri. 
CALIBANO - Tu m’insegnasti a parlare; e l’unico vantaggio è che ora ti posso maledire. Perciò ti colga la peste bubbonica, per avermi insegnato il tuo linguaggio! 
PROSPERO - Vattene seme di strega! Va’ a raccoglier legna! Bada malabestia, che se trascuri i miei comandi, ti riempirò di crampi le ossa, dolori così atroci, da farti urlare tanto, da far tremar le belve nelle tane. 
CALIBANO - No, no, ti prego! (Tra sé) Devo obbedire: la sua arte magica, ha tal potere, da superare Setebos, il dio di mia madre, e farne un servo. (Esce Calibano) 
Rientra ARIEL, invisibile, suonando e cantando; dietro di lui, attratto da quella musica, FERDINANDO .Danza
PROSPERO - E così, subisci una metamorfosi marina, trasformandoti in qualcosa di ricco e di strano. (A Miranda) Dimmi che vedi laggiù. 
MIRANDA - Che cos’è uno spirito? Che stupenda figura. 
PROSPERO - No figliola: quello mangia, beve e dorme, ed ha gli stessi sensi nostri. Il giovane, è uscito dal naufragio; e se non fosse affannato dal dolore, che fa marcire ogni bellezza, potresti dire che è un bell’uomo. Ha perso i suoi compagni, e va vagando, in cerca di loro. 
MIRANDA - Sembra un essere divino: perché non ho mai visto sulla terra nulla di così nobile. 
PROSPERO - (Tra sé) Bene! Tutto procede come l’animo mio mi suggeriva. 
FERDINANDO - (Vedendo Miranda) Meravilgia! Permettimi una preghiera: sei fanciulla o cosa? 
MIRANDA - Meravilgia no; fanciulla, sì, di certo. 
FERDINANDO - Mi rispondi nella mia stessa lingua?… Cielo! Se invece di trovarmi qui, fossi dove si parla questa lingua, sarei il migliore. 
PROSPERO - Il migliore? Che saresti se fosse qui ad udirti, il re di Napoli? 
FERDINANDO - Quello che sono: un uomo stupito di sentirti parlar del re di Napoli. Quel re ora sono io, dopo aver visto con questi occhi, che da allora non smettono di piangere, mio padre ch’era il re, annegare. (a Miranda) Se tu sei vergine, ed il tuo cuore non è volto altrove, io farò di te la regina di Napoli. (Gli bacia la mano)
PROSPERO - (Tra sé) Son già in balia l’uno dell’altra…Convien ch’io renda difficile questa rapida avventura; perché una troppo facile vittoria, non renda meno prezioso il premio. (A Ferdinando) Tu usurpi un titolo che non è tuo, e vieni su quest’isola da spia, con l’intenzione di sottrarla a me, che ne sono il signore. Ti incatenerò collo e piedi in ceppi; acqua di mare avrai per bevanda, per cibo:orrendi molluschi, radici disseccate e gusci di ghiande. 
FERDINANDO - Resisterò finché il mio avversario, non si dimostrerà più forte di me. (Fa per snudare la spada, ma Prospero, con un incantesimo, gli impedisce di muoversi) 
MIRANDA - Padre mio, non imponetegli sì dura prova; non è nostro nemico.
PROSPERO - Che sento! Il mio piede mi dice, quel che deve far la mano? (A Ferdinando) Di quella spada non potrai mai servirti. (lo disarma). 
MIRANDA - (Aggrappandosi alla veste del padre) Padre vi supplico! 
PROSPERO - Allontànati! 
MIRANDA - Pietà! Rispondo io per lui. 
PROSPERO - Zitta! Se dici ancora una parola, mi spingi allo sdegno, se non all'odio! Difendi un impostore?…Tu pensi che ci sia soltanto lui al mondo così piacente, perché non hai veduto altro uomo, che lui e Calibano… Sciocca!
PROSPERO - (A Ferdinando) Ora i tuoi nervi son ritornati quelli dell’infanzia, e non hai più forza. 
FERDINANDO - Mi sento tutti i sensi prigionieri, come in sogno. Ma questo sfinimento, la perdita di mio padre, il naufragio di tanti amici, le minacce di quest’uomo, a cui son costretto a cedere, non sarebbero peso insopportabile, s’io potessi mirar questa fanciulla, anche attraverso la grata d’un carcere, una volta al giorno. 
PROSPERO - (Tra sé) L’incanto funziona. (Ad Ariel) Ottimo lavoro Ariel! 
Sarai libero come i venti di montagna, ma devi eseguire i miei comandi. (Escono) 


SCENA III - Altra parte dell’isola


Entrano ALONSO, SEBASTIANO, ANTONIO, GONZALO.

GONZALO - (Al re) Rallegratevi, l’essere scampati alla morte, è la ricompensa più grande di tutto quello che abbiamo perso.Tutti i giorni ci sono mogli d’uomini di mare, armatori di navi o mercanti, che si lamentano per disgrazie simili; ma tra milioni d’uomini, pochi si sono salvati. Dunque, cerchiamo di mettere sopra la bilancia, fortune e sfortune. 
SEBASTIANO - La cosa strana è che le nostre vesti, benchè siano state inzuppate dal mare, hanno serbato freschezza e colore, come se fossero state tinte a nuovo.
GONZALO - Si direbbe che abbiano serbato tutta la freschezza, di quando le indossammo pel matrimonio della principessa figlia del re, Claribella, col re di Tunisi. 
ALONSO - Mai l’avessi sposata in quel paese, mia figlia Claribella! Ho perduto mio figlio, nel ritorno. 
SEBASTIANO - Ma forse, è ancora vivo, l’ho visto che fendeva le onde a vigorose bracciate; la riva, pareva volersi abbassare per accoglierlo. Son sicuro che è giunto vivo a terra. 
ALONSO - No, è morto! 
SEBASTIANO - Se così fosse, Altezza, non avreste che ringraziar voi stesso, per non aver voluto far felice vostra figlia, preferendo accoppiarla a un africano. Ella, combattuta nell’animo com’era, tra ribrezzo e obbedienza, non sapeva da che parte pendere!
GONZALO - Vedete, signore, s’io fossi il re di quest'isola, sapere che farei?
farei che nella mia comunità, si facesse ogni cosa all’incontrario di quello che si fa normalmente: niente commerci, niente magistrature; l’ignoranza per legge obbligatoria; ricchezza, povertà, servitù, niente; niente contratti, scadenze, confini, tasse, niente; nessun lavoro: tutti in ozio, anche le donne. Nessuna sovranità.
SEBASTIANO - E niente matrimoni fra i suoi sudditi? 
ANTONIO - No, niente, amico mio, tutti in ozio, puttane e furfanti. 
GONZALO - Governerei con tale perfezione, da superare l'età dell’oro. 
(ridono) 
Entra ARIEL, invisibile, intonando una musica 
GONZALO - Bonanotte signori. 
(S’addormenta GONZALO)
ALONSO - Gonzalo s'è addormentato. Anch’io vorrei poter chiudere gli occhi ed insieme con loro i miei pensieri. 
SEBASTIANO - Signore, non respingete l'offerta del sonno, fa visita di rado al dolore, e quando succede è un vero balsamo.
ANTONIO - Noi due, faremo buona guardia e veglieremo alla vostra sicurezza. (Alonso si addormenta)
Nobile Sebastiano, convieni con me che Ferdinando è affogato? 
SEBASTIANO - Sì, è morto. 
ANTONIO - Dimmi allora: chi è dopo di lui l’erede al trono di Napoli? 
SEBASTIANO - Claribella, regina di Tunisi.Quella da cui partiti, veleggiando per ritornare a casa. A causa sua, fummo inghiottiti da un mare in tempesta, e pochi di noi furon rigettati a riva.
SEBASTIANO - E' vero, la figlia di mio fratello, ora regina di Tunisi, diviene erede di Napoli. 
ANTONIO - (Indicando i dormienti) Se non il sonno, ma la morte, si fosse impadronito di loro, non starebbero peggio di come stanno. Pensa da questo sonno, quanto potresti approfittarne! 
SEBASTIANO - Se ricordo bene, tu stesso hai spodestato, tuo fratello Prospero. 
ANTONIO - Infatti. E guarda come mi stan bene, i suoi vestiti.
Qui c’è tuo fratello, addormentato.Con tre pollici di lama di questo pugnale, io potrei metterlo a dormir per sempre; mentre anche tu, potreste chiudere in eterno, gli occhi a questo Messer Prudenza, che potrebbe condannare la nostra azione.
SEBASTIANO - D’accordo, nello stesso modo che tu hai avuto Milano, io avrò Napoli. Snuda la spada. 
ANTONIO - Snudiamo insieme le nostre spade, e quando alzo la mia, tu fa’ lo stesso, e lasciala cadere su Gonzalo. 
Musica - Rientra ARIEL, a loro invisibile, ruggito di leone. 
ARIEL - (Canta all’orecchio di Gonzalo che dorme) “Mentre tu stai russando, la congiura si sta tramando . Se ci tieni alla tua testa. Svegliati alla lesta!”. 
GONZALO - (Svegliandosi) Oh, Dio! (Scuote il re) Svegliatevi! (Ad Antonio e Sebastiano) Che sono quelle spade sguainate?
ALONSO - (Svegliandosi) Che succede? 
SEBASTIANO - Mentre vegliavamo al vostro sonno, ci giunse all’orecchio, un sordo riecheggiare di muggiti come di tori, o piuttosto leoni. 
ALONSO - Hai udito qualcosa Gonzalo? 
GONZALO - Quel ch’ho udito, è stato solo un canto molto strano, che m’ha svegliato. Poi vi ho scosso ed ho gridato. Stiamo in guardia, ed andiamo via da questo luogo. 
ALONSO - Sì, andiamo, e mettiamoci alla ricerca, del mio sventurato figlio. 
GONZALO - Dio lo scampi da queste belve. Perché son certo ch’egli è qui. 
(Escono tutti) 


SCENA IV - Altra parte dell’isola, senza vegetazione.


Entra CALIBANO con un fascio di legna e un mantello

CALIBANO - Tutti gli umori pestilenziali, che il sole succhia da paludi e stagni, ricadano su Prospero, lo infettino e lo riducano tutto una piaga. Gli spiriti che sono al suo servizio mi ascoltano, ma non posso far a meno di maledirlo. Loro non mi verranno a mettere paura, assumendo le forme di folletti, non mi butteranno nel fango, se lui non gli dà l’ordine di farlo. Ma se me li scatena contro, diventano scimmie per mordermi; o istrici, che si rotolano sotto i piedi, mentre cammino scalzo. A volte sono serpenti, che m’avvinghiano sibilando con le lor lingue forcute. Entra TRINCULO (Si stende a terra bocconi sotto il mantello) 
TRINCULO - (Scorge Calibano disteso a terra) Che vedo qui? Un uomo? Un pesce? Morto? Vivo?… Dev’esser proprio un pesce, all’odore di rancido e stantio, come di baccalà… Uno strano pesce! Ha le gambe e due braccia, come un uomo. (Tuono) Ricomincia il temporale! Sarò costretto a trovare riparo, sotto il mantello di questo coso; non c’è altro scampo a portata di mano. La sventura ti può dare le compagnie di letto più impensate! Mi riparo qua sotto. Entra STEFANO, cantando, con una bottiglia in mano, ubriaco. 
CALIBANO - Non mi tormentare!
STEFANO - (Scorgendo a terra Calibano e Trinculo) Che roba è questa? Non ci sarà mica il diavolo, qua sotto? Non sarò mica scampato al naufragio, per morire di paura per le tue quattro zampe! Marameo! 
CALIBANO - Lo spirito mi tormenta! 
STEFANO - Questo dev’essere un mostro dell’isola, un mostro a quattro zampe, in preda ad un attacco di malaria. Ma dove diavolo l’avrà imparata la nostra lingua?
CALIBANO - Non mi tormentare ti supplico! Un’altra volta sarò più svelto a portare la legna sotto casa. 
STEFANO - Nel delirio della febbre, dice frasi scombinate… Gli darò un sorso dalla mia bottiglia. Se non ha mai bevuto vino, può darsi che gli passi la febbre. Girati verso me, apri la bocca. Questo ti farà passare la tremarella per sempre.(Lo fa bere alla bottiglia) Bevi ancora, apri quelle ganasce un’altra volta! (Gli dà ancora da bere)
TRINCULO - (Da sotto il mantello di Calibano) Questa voce mi pare di conoscerla… Dovrebb’essere di… Ma no, impossibile! Quello a quest’ora sarà già annegato… Questi sono diavoli! 
STEFANO - Quattro gambe e due voci… Che strano mostro! La sua voce davanti, è fatta per dir bene dell’amico; quella del di dietro, per parlarne male. Con il vino di questa bottiglia, gli passerà la febbre… Un altro sorso! (Gli dà ancora da bere) 
TRINCULO - Stefano! 
STEFANO - Come! Con l’altra bocca mi chiami per nome? Altro che strano mostro! Questo è un diavolo! 
TRINCULO - Stefano!… Se tu sei davvero Stefano, toccami… parlami… Io sono Trinculo, l’amico tuo. 
STEFANO - Se sei Trinculo, vieni fuori! Ti tiro per le gambe. (Lo tira fuori da sotto il mantello di Calibano) Ma come t’è potuto capitare di metterti qui a fare da cesso, a un vitello lunare come questo? O è lui che caca Trinculi? 
TRINCULO - Era qui, morto, credevo, colpito da un fulmine… Stefano, allora non sei annegato, sei vivo? Per ripararmi dalla furia del temporale, m’ero intrufolato a terra, sotto questa gabbana. 
CALIBANO - (Tra sé) Se questi due non sono degli spiriti, cosa sono? Quello là dev’esser un dio, perché ha con sé un liquore celestiale. Mi devo inginocchiare innanzi a lui! 
STEFANO - (A Trinculo) Come hai fatto a salvarti? Io ho trovato la salvezza su una botte di vino di Spagna, gettata in mare dai marinai. 
STEFANO - Trinculo, raccontami come l’hai scampata. 
TRINCULO - Nuotando fino a riva, come una papera. 
STEFANO - Qua, bacia il libro santo. (Gli porge la bottiglia, e lo fa bere) 
TRINCULO - (Dopo aver sorseggiato alla bottiglia) Buono! Ce n’hai dell’altro? 
STEFANO - L’intera botte, amico mio. (A Calibano) E tu, vitello lunare? Come va la febbre, t’è passata? 
CALIBANO - Tu sei piovuto dal cielo, vero? 
STEFANO - Sì, sono l’Uomo della Luna. 
CALIBANO - Infatti ti ci ho visto, e t’adoro.
STEFANO - Vieni, giura su quel che dici, e bacia il libro sacro. (Gli fa dare un altro sorso alla bottiglia) Giura ancora. (Gli fa dare un altro sorso) 
TRINCULO - Questo mostro mi pare proprio uno scemo di mostro! E io, che avevo paura! È così debole che non sta in piedi… Tu “l’Uomo della Luna”… L’ha bevuta, questo fesso di mostro! 
CALIBANO - Ti mostrerò i segreti di quest’isola.(inginocchiato) Sii il mio dio ti prego! 
A quel tiranno che ho servito, non gli porterò più manco uno stecco! Voglio seguire te, uomo meraviglioso! 
TRINCULO - Questo dev'essere il mondo alla rovescia: dove c'è la bocca c'ha il deretano! C'è da ridere a scompiscio, questo mostro che fa suo Dio, un briacaccio sbornione come te! 
CALIBANO - (A Stefano) Ti porterò dove fioriscono i meli selvatici; con i miei artigli ti scaverò i tartufi; t’insegnerò come si prende al laccio la bertuccia; ti porterò nei boschi di noccioli; Vieni con me! 
STEFANO - Facci strada, senza troppe ciarle! Sai che ti dico, Trinculo? Col fatto che il re con il resto della sua combriccola, sono affogati, noi siamo i re di quest’isola. Che te ne pare?… 
CALIBANO - (Canta sguaiatamente, da ubriaco) “Bau-bau, Calibano “ha cambiato sultano. Bau-bau!”. (Escono)



SCENA V - Davanti alla grotta di Prospero


Entra FERDINANDO con un ceppo sulla spalla 

FERDINANDO - Questo mio servizio, mi sarebbe pesante e odioso, ma la mia padrona da vita a ciò che è morto, e rende ogni fatica un godimento.
Entra MIRANDA. Nel fondo, non visto, PROSPERO 
MIRANDA - Non lavorare così tanto! Vorrei che un fulmine avesse incenerito tutti quei ceppi che devi accatastare! Son sicura che quando sarà al fuoco, quel ceppo piangerà pel dispiacere d’averti affaticato. Riposati, qualche ciocco lo porterò io.
FERDINANDO - Mi spezzerei le braccia, e la spina dorsale, prima di vederti compiere un lavoro così faticoso. Molte donne ho corteggiato, ma nessuna con sì totale abbandono dell’anima. Tu sei così perfetta, che fosti creata con le miglior parti d’ogni creatura umana.
MIRANDA - Io non conosco alcuna donna, né ho mai visto nessun uomo prima d’ora, all’infuori di te e di mio padre, ma giuro che non voglio altro compagno all’infuori di te. Ma tu mi ami? 
FERDINANDO - Sì, Miranda, io ti amo. 
MIRANDA - (Asciugandosi una lacrima) Sciocca che sono! Mi viene da piangere, per qualcosa che mi fa contenta! 
PROSPERO - (Tra sé) Felice incontro di due anime così piene d'affetto! Che il cielo versi la sua grazia, sul sentimento che sta nascendo! 
MIRANDA - Sarò tua moglie se mi sposerai; se no morirò vergine. Puoi negarmi d’esser tua compagna, ma non tua serva. 
FERDINANDO - Sarai mia padrona, ed io il tuo umilissimo servo.
MIRANDA - Mio marito?… 
FERDINANDO - Sì, tuo marito con tutto il cuore. (Le porge la mano) 
(Escono Ferdinando e Miranda) 
PROSPERO - Io non sarò felice come loro, perchè mi manca la sorpresa, ma la mia gioia è completa. (Esce) 




SCENA VI - Altra parte dell’isola


Entrano CALIBANO, STEFANO e TRINCULO

CALIBANO - Ti dicevo, che uno stregone s’è impossessato con la sua magia di quest’isola, e l’ha rubata a me. Se tu volessi, con la tua potenza, far vendetta per me, tu diverrai padrone di quest’isola, e io tuo servo.
STEFANO - Sì, ma come fare? Puoi tu condurmi dalla parte avversa? 
CALIBANO - Certo, mio signore. Te lo consegnerò mentre sta dormendo, e così potrai ficcargli un chiodo nella testa. E' sua abitudine al pomeriggio fare un sonnellino; dopo avergli preso prima i libri, tu gli potrai strappare le cervella, sfracellargli il cranio, conficcargli una pertica nel cuore, segargli la gola col coltello. Senza quei libri, egli è un povero sciocco; e non potrà più comandare nessuno spirito. La cosa cui fare più attenzione, è la bellezza di sua figlia.
STEFANO - È proprio tanto bella, questa figlia? 
CALIBANO - Sì, mio signore; degna del tuo letto. 
STEFANO - D’accordo, mostro. Ucciderò quell’uomo; sua figlia ed io saremo re e regina, e Trinculo e tu stesso, viceré. Che ne dici Trinculo? 
TRINCULO - Eccellente. 
(Ariele suona una canzone con uno zufolo e tamburo) 
CALIBANO - Non abbiate paura. L’isola è piena di sussurri, di suoni, rumori, armonie, che non fanno male, anzi dilettano l'animo. A volte son migliaia di strumenti, che vibrando e ronzano negli orecchi; altre volte voci, che se mi fossi svegliato dopo un lungo sonno, mi farebbero di nuovo addormentare. 
STEFANO - Che felice regno sarà questo: se potrò godere la musica a sbafo. 
CALIBANO - Quando avrai ammazzato Prospero. 
(Escono)



SCENA VII - Altra parte dell’isola


Entrano ALONSO, SEBASTIANO, ANTONIO, GONZALO
ALONSO - Colui che ricerchiamo è affogato, e il mare si beffa della nostra ricerca.
(Musica. Entra PROSPERO, invisibile. Entrano strane apparizioni recando una tavola imbandita, intrecciando intorno ad essa una danza, invitando il re e gli altri a sedersi a tavola; indi dileguano. 
SEBASTIANO - Uno spettacolo di marionette, così animate, da sembrar vive!
ANTONIO - Hanno lasciato da mangiare. (Ad Alonso) Signore, volete assaggiare? 
ALONSO - Io? No. 
GONZALO - Non c’è da aver paura delle stranezze che vediamo intorno.
Mentre tutti si accingono a sedere a tavola, scoppiano tuoni e fulmini 
Entra ARIEL, in forma di arpia; svolazza, battendo le ali. 
ARIEL - (Piantandosi davanti ai tre, sopra la tavola) Voi siete tre peccatori! E il destino ha imposto all'oceano, di vomitarvi sopra quest’isola. (Alonso e gli altri snudano le spade) Io, vi ho reso pazzi. Poveri sciocchi! I miei fratelli ed io, siamo ministri del Destino, la materia di cui le vostre spade son temprate, non può ferire il fragoroso vento, colpire l’acqua che si richiude su se stessa, ne torcer pelo alle nostre ali. Siamo invulnerabili! . Noi faremo diventar le vostre spade talmente pesanti, che non potrete più sollevarle. Voi tre avete cacciato da Milano, il buon Prospero.Te Alonso, gli elementi ti hanno privato di tuo figlio. Sei condannato ad una continua dannazione, peggiore d’una morte improvvisa. Ma se volete sfuggire alla loro ira, non vi resta che un sincero pentimento. (Ariele svanisce in un rombo di tuono. Al suono di una dolce melodia, entrano di nuovo le stesse apparizioni di prima che, danzando questa volta con ogni sorta di gesti smorfiosi, portano via la tavola imbandita)
ALONSO - M’è parso che parlassero le onde per ricordarmelo; che lo cantassero i venti, ululando; che anche il tuono, come canna d’organo, mi ripetesse quel nome: Prospero! (escono)
PROSPERO Bravo Ariel! Hai interpretato quell'arpia, con grazia davvero devastante. La magia ha effetto e questi miei nemici, son tutti in mio potere. 


SCENA VIII - Davanti alla grotta di Prospero


Entrano PROSPERO, FERDINANDO e MIRANDA

PROSPERO - Se ti ho punito severamente, ti ripagherà il premio che ricevi; perché t’ho dato, tutto ciò per cui vivo, e che affido alle tue mani. Le sofferenze erano prove, a cui sottoposi l’amore tuo per lei; e tu l’hai ben superate. Come mio dono, degnamente meritato, prendi mia figlia. Ma attento: se oserai infrangere il nodo virginale, prima, che siano celebrate le cerimonie del rito sacrale, mai la grazia del cielo, renderà feconda la vostra unione, sarà bieco rancore e discordia, che cospargeranno il vostro sacro talamo, erbe tanto velenose, da farvelo odiare a morte. 
FERDINANDO - Con lo stesso amore di oggi, spero in giorni sereni, bella prole, giuro che la più forte tentazione, che il genio del male possa ispirare, non potranno mai mutare e toglier lustro, ai riti di quel giorno. 
PROSPERO - Ben detto. Ella è tua. Ariel, mio spirito! Ariel! Entra ARIEL 
ARIEL - Son qui, padrone, pronto ai tuoi comandi. 
PROSPERO - Tu e i compagni, avete degnamente soddisfatto l'ultimo servizio affidatovi. Ora debbo impiegarvi in un altra recita. Va’, raduna gli spiriti che ho messo al tuo comando, che debbo mostrare a questa giovin coppia, una prova della mia arte magica. Non apparire finche io non ti chiamo. (Ariel Esce) Bada di esser leale, i giuramenti più solenni, son come paglia, al fuoco che c'è nel sangue. Vieni Ariel, ora!.

INTERLUDIO (In maschera, cantato e danzato da ninfe e mietitori) 
verso la fine PROSPERO si alza pronuncia qualche parola magica. 
PROSPERO - (Tra sé) M’ero dimenticato del bestial Calibano, dei suoi complici, e della loro infame cospirazione per uccidermi. (Agli spiriti) Ben fatto. Andate, la commedia è finita. (Gli spiriti si dileguano)
I giochi di magia sono terminati. Quegli attori erano spiriti dell’aria, ed in aria si son dissolti. Così l’immenso globo della terra, con le sue torri ammantate di nubi, i sacri templi, e tutto il suo contenuto, è destinato al dissolvimento; come quell’incorporea scena, che abbiam visto dissolversi, non lascerà di sé nessuna traccia. Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio-tempo d’un sogno, è racchiusa la nostra breve vita. Ariel, spirito, dobbiamo ora affrontare Calibano.
entra ARIEL, PROSPERO e ARIEL si fanno invisibili, pur rimanendo in scena, mentre entrano CALIBANO, STEFANO e TRINCULO, tutti zuppi 
CALIBANO - Vi prego, fate piano: che nemmeno la talpa, sottoterra, deve sentire. Ecco, siamo davanti alla sua grotta. 
TRINCULO - Mostro, c'è puzzo di piscio di cavallo, ed il mio naso se n’è molto indignato. 
STEFANO - E il mio lo stesso. Bada, mostro, che se m’arrabbio con te… 
TRINCULO - … saresti un mostro defunto. 
CALIBANO - Pazienza mio signore, la preda verso la quale ti porterò, ti ricompenserà d’ogni disagio. Parla piano però, che qui c'è un silenzio profondo, come il cuore della notte. Ecco, questa è la bocca della grotta. Entra e compi il misfatto, che farà tua quest’isola per sempre, e di Calibano, l’eterno leccatore dei tuoi piedi.
STEFANO - Cominciano a venirmi pensieri di sangue. 
TRINCULO - O, re Stefano! O Sire! Guarda che ricco guardaroba c’è qui per te. 
CALIBANO - Lascialo perdere, grullo, non vedi che sono stracci? Pensa prima all’assassinio! Se Prospero si sveglia, saremo mutati in oche , o in scimmie dal culo rosa.
S’interrompe per l’improvviso frastuono, abbaiano cani, voci di cacciatori. Entrano alcuni spiriti in forma di segugi e, incitati da Prospero e da Ariel, si buttano ad inseguire i tre che fuggono, incalzati dalla canizza; spariscono nel fondo 
PROSPERO I miei nemici son ora ridotti in mio potere. Presto le mie fatiche saranno finite, e tu potrai volare in libertà. (Escono)


SCENA ULTIMA - Davanti alla grotta di Prospero il cui ingresso è semichiuso

Entrano PROSPERO, nel suo mantello magico, e ARIEL

PROSPERO - Il mio progetto sta andando a buon fine, e gl’incantesimi vanno a segno; a che ora volge il giorno? 
ARIEL - L’ora sesta; quella in cui mi dicesti, che sarei stato liberato. 
PROSPERO - Così ti dissi. Ma dimmi spirito, che n’è del re e del suo seguito? 
ARIEL - Imprigionati nel bosco, non possono muoversi, se non sarai tu a liberarli. Son fuor di sé dalla disperazione; e più di tutti, il nobile Gonzalo; gl’incantesimi tuoi agiscon così forte su di loro, che a vederli, tu stesso, ne saresti impietosito . 
PROSPERO - Se tu che sei soffio d’aria, ne sei toccato, io, che appartengo alla lor stessa specie, e che provo le stesse passioni, non mi sentirò più di te mosso a pietà? Anche se m’han ferito con gravi torti , faccio che in me prevalga la ragione. Essi sono pentiti, ed io non spingerò oltre il mio castigo. 
(Esce Ariel - Prospero disegna un cerchio col bastone) 
PROSPERO - Elfi delle colline, dei ruscelli, dei laghi e dei boschi; voi che vi divertite ad inseguire il flutto che si ritrae, e voi gnomi, che al chiaro di luna, fate spuntare i funghi a mezza notte, con il vostro aiuto, ho abbuiato il sole del meriggio, radunato i venti, per scatenarli in mare e in terra, destando di colpo una furiosa guerra tra mare e cielo, accendendo il fragoroso tuono, e le fulminee saette. Tanto era potente la mia magica arte. Ma ora questa arte io abiuro, chiedendo come ultimo servizio, un po' di musica celeste, ch’io possa agire, sopra i sensi di coloro, con questo aereo incanto; poi spezzerò la mia bacchetta magica, e la seppellirò sottoterra, in mare, annegherò i miei libri. (Musica. Rientra ARIEL, seguito da ALONSO, GONZALO, SEBASTIANO, ANTONIO; tutti gesticolano come impazziti. Prospero ha tracciato in terra un grande cerchio nel quale essi entrano, restando lì fermi, incantati. Prospero li osserva) Una armonia, efficace medicina per una mente sconvolta, ridoni la salute al cervello, che inutilmente bolle nel cranio. Fermi, siete sotto l’incanto d’una magia. L’incantesimo si va sciogliendo, si risveglino i sensi, come l’alba che vince la notte. (Forte) Gonzalo, mio vero salvatore, ricompenserò, tornato in patria, i tuoi servigi. Alonso, tu sei stato crudele con me e con mia figlia; e tuo fratello, fu complice del misfatto. (Ad Antonio) Tu, che sei mio fratello, con l’ambizione nel cuore, scacciando la fratellanza; insieme a Sebastiano, hai pensato di uccidere il tuo re, per snaturato che tu sia, fratello, io ti perdono… (A parte) Poco a poco si riscuotano le loro facoltà. Nessun di loro, è ancora in grado di riconoscermi. Ariel va’, portami cappello e spada.(Esce Ariel) Voglio mutarmi d’abito, e mostrarmi qual ero un tempo: Duca di Milano. (Rientra ARIEL e, cantando, aiuta Prospero ad indossare le vesti)
ARIEL - (Cantando) “Quando canta il cucù il suo ritornello, “io me ne volo in groppa a un pipistrello, “a inseguire l’estate, “nel regno delle fate. 
PROSPERO - Mi mancherai molto, Ariel! Ma devi avere la tua libertà. Va’, invisibile alla nave del re: sotto coperta ci troverai, ancora addormentati, i marinai; svegliami, il capitano ed il nostromo, e falli venir subito da me. (Ad Alonso) Guardami re: io sono Prospero, l’oltraggiato duca di Milano. E per convincerti che sono vivo, ti stringo la mano, e a te e ai tuoi compagni do il benvenuto.
ALONSO - Se tu sei quel che dici, o se sei un incantesimo, non so; il tuo polso però batte, come quello d’un uomo di carne e sangue. Il tuo ducato io ti riconsegno, e ti chiedo perdono, dei torti che t’ho fatto. Ma mi chiedo come può Prospero esser quì vivo. Se tutto questo è vero e reale, si tratta d’una strana vicenda.
PROSPERO - Sei ancora sotto incamtesimo, che non ti fa riconoscere quello che c’è di vero davanti a te. Siate benvenuti, amici! (A Sebastiano e Antonio) Quanto a voi due, miei bravi galantuomini, potrei, se lo volessi, scatenar su di voi l’ira del re, denunciandovi come traditori; ma ora ho voglia di altre storie.
SEBASTIANO - (A parte) Il diavolo gli parla dentro. 
PROSPERO - (Ad Antonio) Quanto a te, che a chiamarti fratello mi infetterei la bocca, io ti perdono le tue colpe; ti chiedo soltanto il mio ducato, che, d’altra parte, sei costretto a restituirmi.
ALONSO - Se sei Prospero, raccontaci come ti sei salvato, e come c'hai incontrato quì, dove siamo stati gettati da tre ore, da un naufragio, nel quale ho perso mio figlio Ferdinando… 
PROSPERO - Per eguale perdita, io stesso posso dire d’aver ricevuto grande conforto, ed ora sono contento.
ALONSO - Una perdita eguale? 
PROSPERO - E altrettanto dolorosa e recente; ho perduto mia figlia. 
ALONSO - Una figlia! Saperli adesso entrambi vivi a Napoli, come re e regina! E quando l'avete perduta? 
PROSPERO - Nel corso dell'ultima tempesta. Ma siate certi, che io sono Prospero, duca di Milano, da lì cacciato fuori, e per un arcano destino, venne sbarcato sopra questo lido, dove il naufragio ha gettato anche voi. Poiché m’avete reso il mio ducato, io voglio compensarvi con qualcosa, che vi sarà di pari gradimento; mostrarvi una tal meraviglia da procurarvi altrettanta letizia, quanta ne ha dato a me ritrovare il mio ducato. Compaiono FERDINANDO e MIRANDA 
FERDINANDO - Ho maledetto il mare in tempesta, ma ora devo essergli grato del naufragio. 
ALONSO - D’un genitore al colmo della gioia ti circondino le benedizioni. Dimmi com’è che sei qui. 
MIRANDA - Come son belle le creature umane! Un nuovo mondo! 
PROSPERO - Nuovo per te, Miranda. 
ALONSO - Ferdinando, chi è quella fanciulla? La sua conoscenza non può esser più vecchia di tre ore. È forse la dea che ci ha divisi e poi riuniti insieme? 
FERDINANDO - È mortale; ma immortale è la Provvidenza che me l'ha data. L’ho scelta, in un momento,in cui nessun consiglio avrei potuto chiedere a mio padre, ne credevo d’averne ancora uno. È la figlia del Duca di Milano, del quale avete udito. Da lui, ho ricevuto, l'amore di questa fanciulla, che fa di lui un secondo padre. 
ALONSO - Tale sarà per lei, anche tuo padre. 
GONZALO - Se non avessi pianto, avrei così parlato: “O dèi guardate quaggiù, e fate scendere su questa coppia una corona benedetta! Ché certamente siete stati voi, a tracciare la stada che c'ha portato qui”. Era dunque disegno degli dèi che il Duca di Milano, venisse scacciato da Milano, perché la sua discendenza regnasse su Napoli? Siano scritti su colonne eterne, a caratteri d’oro, questi eventi accaduti in uno stesso viaggio: Claribella trovò marito a Tunisi, suo fratello trovò una moglie qui, nel luogo stesso ove s’era smarrito; Prospero ha ritrovato su quest’isola il suo ducato, e ognun di noi ritrova se stesso, dopo che ognuno, se stesso aveva perduto.
ALONSO - (A Ferdinando e Miranda) Datemi le vostre mani: che dolore e sventura vadano quel cuore, che non vi augura felicità. 
GONZALO Entra ARIEL con il CAPITANO e il NOSTROMO Ora dimmi un po’, grande blasfemo, che con le tue bestemmie, scaricavi da bordo in mare, la divina grazia, che notizie ci porti?
NOSTROMO - La più bella, è quella di trovarvi qui sani e salvi. L’altra, che il nostro vascello, che sol tre ore fa, abbiam creduto andato in pezzi in mezzo al mare, è intatto al largo, pronto al comando. 
Rientra ARIEL, spingendo avanti a sé CALIBANO, STEFANO e TRINCULO, tutti e tre con indosso gli abiti rubati 
STEFANO - Al mondo è questione di fortuna. Coragio, mostro, coragio!
TRINCULO - Che vedono i miei occhi!
CALIBANO - Se questi son spiriti, son davvero magnifiche creature! E com’è bell oggi, il mio padrone! Ma ho paura che mi castigherà. 
SEBASTIANO - (Indicando i tre) Che roba è questa, Don Antonio? Si possono comprare? 
ANTONIO - Uno di loro dalla puzza, sembra un pesce, e quindi ha un prezzo di mercato. 
PROSPERO - Guardate questi tre esseri. Questo sgorbio, sua madre era una strega, così potente, da manovrar le fasi della luna, creando le maree, senza averne l'autorità . Tutti e tre m’hanno derubato, questo mezzo uomo e mezzo diavolo, ha complottato con loro, per togliermi la vita. Due di questi compari vi son noti, perchè son dei vostri, questa creatura di tenebra, è roba mia. 
CALIBANO - Stavolta sarò pizzicato a morte. 
PROSPERO - Va’ bestia alla mia grotta, porta con te i tuoi compari. E se volete il mio perdono, ripulitela a dovere.
(Escono Calibano, Stefano e Trinculo) 
PROSPERO - (Ad Alonso) Sire, invito Vostra Altezza e il vostro seguito, a entrare in questa mia povera grotta, dove riposerete questa notte. All'alba raggiungeremo insieme la vostra nave e Napoli, dove verrà celebrato il matrimonio di questi due giovani figli; poi tornerò nella mia Milano, dove uno su tre dei miei pensieri, sarà dedicato alla morte. 
ARIEL - Tutto il mio lavoro è stato ben fatto.
PROSPERO - Sei stato bravo! Ora il tuo ultimo servizio: fa che i venti siano propizi, per raggiungere il resto della flotta. Va, torna libero nell’aria, e vivi lieto. Addio!
EPILOGO 
Ora la mia magia è finita; mi restano solo le mie forze, scarse per la verità. E' da decidere, s’io debba rimanere sempre qui, in questo luogo solitario, o partire per Napoli. Ma spero che non sia relegato su quest’isola, avendo riottenuto il mio ducato, e perdonato tutti i traditori; che vogliate sciogliermi da ogni vincolo, altrimenti fallirà tutto il mio progetto, ch’era quello di farvi divertire. Ora non ho più spiriti al mio comando, né potreri magici; e la mia fine sarà disperata, se non esaudirete questa mia preghiera. E se a voi piace d’esser perdonati dai peccati, fate che anch’io, venga assolto dai miei. (Esce) 
VOCE F.C.- Nostromo! Nostromo!... Che novità!... Che c'è?...

FINE