tornando a casa

atto unico

di

Alessandro Trigona Occhipinti

 

 

 

 

Scena 1

Lunedì, 15 Giugno. Sera.

Salotto di casa: al centro: una piccola poltrona, un divano, una televisione, un mobile bar. Sulla sinistra, una porta che dà sull’ingresso. Sullo sfondo, due porte: la prima, la cucina (si intravede il tavolo, una sedia, un lavello); la seconda, la camera da letto (non si intravede nulla, solo una parete dove si rifletteranno delle ombre). Tra le due porte, una piccola mensola con il primo telefono e la relativa segreteria telefonica. A destra, la porta del bagno. Lì accanto, un tavolinetto con il secondo telefono, con segreteria telefonica. In prossimità del proscenio delle piante e degli attrezzi da giardinaggio: innaffiatoio, forbici, palette, etc. Tutto è immerso nella penombra. L’illuminazione proviene da una ipotetica finestra (quarta parete).

Annalisa entra dall’ingresso in compagnia di un uomo. Annalisa è bella, affascinante. Indossa un abito scuro a maniche lunghe, molto corto. L’uomo ha una quarantina d’anni. Il suo aspetto è ben curato. E’ un uomo d’affari: si capisce, si deve intuire.

I due scherzano non badando troppo ai convenevoli.

Uomo:

Allora è questa la tua tana?

Annalisa:

Il mio rifugio...

Uomo:

Sì, certo. Il tuo rifugio.

Annalisa:

E’ qui che divoro le mie anime.

Si baciano. Annalisa accende le luci. L’uomo si porta al centro della stanza. Si guarda intorno.

Uomo:

Si vede che è tua... Ha qualcosa... qualcosa che non saprei.

Annalisa:

Non sapresti?

Uomo: (guardandola con intensità)

Guardandomi intorno sento, mi rendo conto che questa non può che essere casa tua. Non so. Ha veramente qualcosa di tuo. Il tuo sapore!

Annalisa: (avvicinandosi a lui con sensualità)

E ti piace questo?

Uomo: (stringendola a se)

Mi fa impazzire.

Annalisa:

Addirittura ti fa impazzire?

Uomo:

Più ti guardo e più ti voglio.

Annalisa:

E quanto mi vuoi?

Uomo:

Da non potere più resistere.

Annalisa: (seria)

Dimostramelo.

Si baciano.

Annalisa:

Sembra che tu abbia...

Uomo:

Sembra che io abbia?

Annalisa:

Premura...

Uomo:

Premura?

Annalisa: (allontanandosi da lui)

Voglia di tagliare corto...

Uomo: (irrigidendosi)

Non mi piace perdere tempo.

Annalisa: (prendendolo in giro)

Immagino... gli affari.

Uomo:

Esattamente... Gli affari

Annalisa: (servendogli da bere)

Un whisky?

Uomo:

Offrimi qualcosa di diverso.

Annalisa: (maliziosa)

Tipo?

Uomo: (deciso)

Scopare!

Annalisa:

E’ questo che vuoi?

Uomo:

Sono qui per questo.

Annalisa:

Almeno per stasera, sono tua.

Uomo:

Sì. Sei mia. Ti pago per questo.

L’uomo l’abbraccia. Comincia a spogliarla. Lei lascia fare.

Uomo: (fortemente eccitato)

Mi sento esplodere.

Annalisa: (ridendo)

Attento a non farlo qui. Adesso.

Uomo: (fortemente eccitato)

Me ne guardo bene.

Lei si aggiusta il vestito.

Annalisa: (ammiccante)

Andiamo di là?

Uomo:

E se ti volessi prendere qui.

Annalisa: (maliziosa)

Di là, staremo più comodi. E poi...

Uomo:

E poi?

Annalisa: (c.s.)

Potremmo fare una serie di giochetti che... non ti dico.

Uomo: (stuzzicato)

Che giochetti?

Annalisa: (c.s.)

Vieni e vedrai...

Annalisa va in camera da letto. L’uomo la guarda uscire prima di seguirla.

Uomo:

Manuela... Angelica... Annalisa... O come cazzo ti chiami? Non mi lasciare!

L’uomo la segue in camera da letto. Oltre la porta si sentono le loro voci, qualche gemito. Sulla parete oltre la porta, si intravedono le ombre dei due che si spogliano, si abbracciano, amoreggiano. Da sinistra, entra la figura di una donna che - come un fantasma - si va a sedere sulla poltrona rimanendo poi immobile.

Voce fuori campo Uomo: (godendo)

Mi fai impazzire.

Voce fuori campo Annalisa: (sensuale)

Togliti anche i calzini...

Voce fuori campo Uomo: (godendo)

Così sì. Così mi piace....

Voce fuori campo Annalisa: (sensuale)

Non ho ancora iniziato.

Voce fuori campo Uomo: (godendo)

Mi distruggi tu...

Voce fuori campo Annalisa: (ironica)

Aspetta, che continuo io.... Non puoi fare tutto tu da solo... Lascia divertire anche me.

Voce fuori campo Uomo: (godendo)

Io.... aaaaaah!

Voce fuori campo Annalisa: (come seccata)

Hai fatto tutto tu. Da solo.

Annalisa esce dalla camera da letto. Il tono della voce è compassato. Tranquillo. Non bada alla donna seduta sulla poltrona. Si avvicina alle piante e se ne prende cura.

Annalisa: (come tra se)

Avevo otto anni. (pausa) Sì, avevo otto anni quando sono andata per la prima volta alle giostre. Ricordi? (voltandosi verso la donna)

Madre:

Ricordo.

Annalisa: (come tra se)

Era domenica. Sì domenica. Papà mi ci aveva portato perché ero stata buona e brava. A scuola. (pausa) Allora, pensavo che tutto fosse come in un gioco, in un favola. Fatato! Come se nulla di cattivo potesse mai succedere.... (smorfia di dolore)

Madre:

Eri ancora piccola. Una bambina.

Annalisa:

Sì. Ero solo una bambina. Un’innocente bambina.

Oltre la porta della camera da letto, le ombre continuano a fare l’amore. I loro gemiti, le loro voci, distorte, si sentono. Annalisa si volta a guardarle.

Voce fuori campo di Uomo:

Il tuo corpo mi illumina.

Voce fuori campo di Annalisa:

Sono la luce.

Voce fuori campo di Uomo:

Il tuo corpo mi infiamma.

Voce fuori campo di Annalisa:

Sono il fuoco.

Voce fuori campo di Uomo:

Il tuo corpo mi possiede.

Voce fuori campo di Annalisa:

Sono il tuo volere.

Annalisa riprende a "raccontarsi". Forse passeggia.

Annalisa: (sorridendo)

A dodici anni, mi ricordo, bevvi un bicchiere di grappa pensando...

Madre:

Avevi creduto fosse acqua...

Annalisa: (accigliata)

Presi fuoco. La bocca. La lingua. La gola e poi anche lo stomaco. L’esofago, tutto prese fuoco. (pausa) Anche la mia testa.

Madre:

La tua testa.

Annalisa: (preoccupata)

Sì. La mia testa. Pesava piombo. Ed io, io non sapevo più... chi fossi.

Annalisa si volta di scatto a guardare la donna che a passi lenti va via. Rimasta sola, va verso la camera da letto. Si ferma. Si volta. Sorride poco convinta.

Annalisa: (confusa)

A quattordici anni collezionavo francobolli. Avevo album pieni di francobolli. Era una passione. Un hobby.... Ricordi? (lunga pausa) Era un chiodo fisso. No. Anzi... un incubo.

Esce. La scena rimane vuota.

Voce fuori campo Uomo:

Mi hai portato al delirio.

Voce fuori campo Annalisa:

Io non ho fatto niente.

Voce fuori campo Uomo:

Mi hai fatto morire.

Voce fuori campo Annalisa:

Ho solo fatto emergere quello che tu tenevi chiuso dentro di te.

Voce fuori campo Uomo:

E’ stato bellissimo.

Voce fuori campo Annalisa:

Bellissimo è quello che tu vuoi che lo sia.

Voce fuori campo Uomo:

Voglio rivederti.

Voce fuori campo Annalisa: (maliziosa)

Allora "io" sono "bellissima".

Voce fuori campo Uomo:

Voglio riaverti.

Voce fuori campo Annalisa: (ridendo)

Sai dove trovarmi.

 

Scena 2

Giovedì, 18 Giugno. Mattino.

Dal bagno "emerge" Annalisa. È in accappatoio. Si friziona i capelli ancora bagnati. E’ pensierosa. Scompare oltre la porta della camera da letto. Suona il primo telefono. Annalisa si affaccia dalla stanza. Guarda il telefono. Non risponde.

Prima segreteria telefonica:

Questa è una segreteria telefonica. Per un appuntamento lasciate un messaggio dopo il segnale acustico... biiip

Voce fuori campo Uomo:

Pronto, ciao, sono io, Sandro. Oggi è, oggi è Giovedì, 18 Giugno. Ti volevo dire che Mercoledì, Mercoledì 24, sono a Roma. Un incontro di lavoro. Ne ho fino a sera. Poi, dopo cena, sarò libero. Vieni da me. Al solito albergo. Confermalo alla mia segretaria. Ciao.

Annalisa scompare oltre la porta della stanza da letto, poi riappare e attraversa la scena. Sempre in accappatoio. E sempre asciugandosi i capelli. Entra nel bagno. Riappare e va in cucina. La si intravede oltre la porta della cucina apparecchiarsi la tavola, sedersi e, quasi completamente nascosta, fare colazione.

Stacco

Scena vuota. Squilla il telefono. Scatta la prima segreteria telefonica

Voce fuori campo Diego:

Pronto, ciao, sono Diego. Vorrei rivederti. Al più presto. Diciamo Lunedì, 22. Alle dieci. Al solito. Se non sei già impegnata. Fammi sapere.

 

 

Scena 3

Venerdì, 26 Giugno. Sera.

Sul divano, Annalisa e un uomo amoreggiano.

 

Scena 4

Lunedì, 29 Giugno. Mattina.

Annalisa è in piedi con il secondo telefono in mano. Indugia componendo un numero.

Annalisa: (al telefono)

Pronto? Studio dell’avvocato Armelli? Vorrei parlare con l’avvocato? E’ in studio? (pausa) Sì. Grazie. (lunga pausa) Avvocato? Buongiorno, la chiamavo per un appuntamento. Avrei bisogno di parlarle. Di qualcosa di maledettamente complicato. (pausa) E’ molto difficile da spiegare. Vorrei venire a studio. Da lei. Per parlarle. Parlarle di persona. (pausa) Venerdì? Alle sette? Non possiamo anticipare? (pausa) Alle 16? Va’ bene. Benissimo. Allora a Venerdì. (pausa) Come mi chiamo? (incerta) Annalisa. Annalisa Masperi. (pausa) Grazie.

Annalisa prende nota sull’agenda. Guarda di fronte a se con lo sguardo fisso. Come di pietra. Pensierosa. Squilla il primo telefono. Annalisa, automaticamente, afferra la cornetta del secondo telefono e risponde.

Annalisa: (al telefono quasi con aggressività)

Pronto?

Squillo del primo telefono. Annalisa lo guarda. Entra in funzione la segreteria telefonica.

Voce fuori campo Luca:

29 Giugno. Sono Luca. Ci vediamo Venerdì. Venerdì, 3 Luglio. Ore 22.00. Non dirmi di no.

Annalisa: (con stanchezza)

No.

Annalisa scompare nel bagno.

 

Scena 5

Martedì, 30 Giugno. Pomeriggio.

Scena vuota. Suonano alla porta.

Voce fuori campo Annalisa: (dalla camera da letto)

Un attimo...

Suonano alla porta. Annalisa esce dalla camera da letto abbottonandosi un paio di jeans. Ha indosso un’ampia camicia a quadri. Attraversa la scena. Esce a sinistra oltre la porta che dà sull’ingresso. Si sente aprire la porta d’ingresso. E’ la portiera. Le due donne rimangono nell’atrio a parlare. Si intravedono appena.

Voce fuori campo Annalisa:

Oh, signora, è lei?

Voce fuori campo portiera:

Mi scusi, signorina Masperi. Volevo dirle che la riunione del condominio è stata anticipata a Venerdì. Venerdì, 3 luglio.

V.F.C. Annalisa:

Venerdì?

V.F.C. Portiera:

Sì. Venerdì. Alle diciotto e trenta. Il padrone di casa, mi ha detto, che ci tiene che lei vada alla riunione.

V.F.C. Annalisa:

E perché io?

V.F.C. Portiera:

Lei è la sua inquilina "prediletta". (ride) E poi si parlerà della perdita che proviene dal suo bagno. Riguarda lei, dice. Il bagno è il suo. Quindi, dice, tocca a lei seguire i lavori. E tutto.

V.F.C. Annalisa:

Ma io non so se posso...

V.F.C. Portiera:

E’ alle sei e mezza. Giusto prima di cena. Poi è libera di andare.

V.F.C. Annalisa:

Ho un impegno. Prima.

V.F.C. Portiera:

Alle sei e mezza? Di Venerdì?

V.F.C. Annalisa:

Alle quattro. Di Venerdì.

V.F.C. Portiera:

Allora fa in tempo.

V.F.C. Annalisa:

Devo andare da un avvocato. Alle quattro.

V.F.C. Portiera:

Problemi, eh?

V.F.C. Annalisa:

No. Non problemi. Questioni da sistemare.

V.F.C. Portiera:

Da sistemare?

V.F.C. Annalisa:

Sì. Da sistemare.

V.F.C. Portiera:

Alle quattro. Ma poi viene alla riunione. Lo vuole il "padrone di casa".

V.F.C. Annalisa:

Io non so se faccio in tempo. Poi... (confondendosi) poi... ho lezione di flauto.

V.F.C. Portiera:

Lezione di flauto? Venerdì? Alle sei e mezza?

V.F.C. Annalisa:

No! Cioè... non so. Cosa, cosa ho detto?

V.F.C. Portiera:

Signorina, ma si sente male.

V.F.C. Annalisa:

Male? No. No. Perché dovrei?

V.F.C. Portiera:

E’ diventata pallida. Poi, poi si è come confusa. Ha balbettato. Ha parlato di lezioni di flauto... Non so...

V.F.C. Annalisa:

No. Che flauto?

V.F.C. Portiera:

Ha detto che Venerdì ha lezioni di flauto. Non so.

V.F.C. Annalisa:

No. Io, io non so. Dovevo essere soprappensiero. Non ho nessuna lezione di flauto, io. Né Venerdì. Né mai. Volevo solo dire che... Venerdì sono dall’avvocato.

V.F.C. Portiera:

Alle quattro?

V.F.C. Annalisa:

Sì. Certo. Alle quattro. E poi....

V.F.C. Portiera:

Poi verrà qui da noi. Alla riunione. Alle sei e mezza.

V.F.C. Annalisa:

Se farò in tempo.

V.F.C. Portiera:

Farà in tempo. Farà in tempo. Sarà così. Lo so. Ne sono come sicura.

V.F.C. Annalisa:

Lo spero.

V.F.C. Portiera:

Se vuole il "padrone di casa"... lei può.

V.F.C. Annalisa:

Se "voglio"... posso!

V.F.C. Portiera:

Come ho detto io: "se lui vuole, lei può". Mi creda: è così.

 

 

Scena 6

Mercoledì, 1 Luglio. Giorno.

La scena è vuota. Suona il primo telefono. Entra in funzione la segreteria telefonica.

Voce fuori campo Carl:

Sono Carl. Carl Salter. Oggi è Mercoledì, 1 Luglio. Decisamente non ti trovo mai. Voglio vederti. Ho voglia di vederti. Ancora. Facciamo Lunedì, 6 luglio. Ore 22. Ho ancora voglia di te. Sai cosa intendo.

Stacco

Sera. Annalisa fa giardinaggio. Ascolta i messaggi delle due segreterie telefoniche.

Voce fuori campo Ingegnere:

Ciao. (lunga pausa) Inutile dirti chi sono. Voglio averti. Oggi è Mercoledì. Domenica 5 mia moglie sarà fuori tutto il giorno. Non ho impegni. E i domestici non ci sono. Ci potremmo vedere da me. Vieni la mattina. E vai via prima di sera. (segnale acustico: biiip)

Voce fuori campo Diego:

Sono ancora Diego. Ore sette. So che, di solito, non "lavori" il Sabato. Ma

ho troppa voglia di vederti. Facciamo Sabato. Sabato 4 Luglio. Da Rosati. A piazza del Popolo. Ore ventuno. Ciao.

Alla voce registrata della prima segreteria telefonica si sovrappone il messaggio della seconda segreteria telefonica. Nel sentire questo secondo annuncio, Annalisa si volta quasi con preoccupazione.

Voce fuori campo segretaria avvocato:

Pronto? Sono la segretaria dell’avvocato Armelli. Volevo dirle... Sì. Volevo informarla che, per una accavallarsi di impegni, l’avvocato, Venerdì, non potrà riceverla prima delle sei. Se vuole possiamo vedere di spostarle l’appuntamento ad un altro giorno. Per ogni conferma, voglia contattarci. Grazie.

Annalisa:

Merda!

Doppio "biiip" delle due segreterie telefoniche. Annalisa prende un’agenda e la sfoglia segnando appuntamenti e spostando impegni. Nuovo "biiip" della prima segreteria telefonica.

Voce fuori campo Diego:

Sono di nuovo Diego. Ed è sempre Mercoledì, primo Luglio. Ore quattro o giù di lì. Non mi ricordo se per Sabato ti ho detto "alle ore ventuno" o "alle ventidue". Facciamo direttamente le ventuno e trenta e non ne parliamo più. Confermamelo. Ciao. (segnale acustico: biiip)

Annalisa: (con stanchezza)

Merda.

Scena 7

Venerdì, 3 Luglio. Notte.

Annalisa è vestita elegantemente. Un uomo la "bracca". L’abbraccia. La bacia. Lei appare sfuggente. Come se nella sua mente vi fosse qualcos’altro. Come se fosse "distratta". Anche quando cerca di scherzare, si evidenzia la sua "forzatura", la sua totale mancanza di naturalezza. Sulla poltrona è seduta la madre di Annalisa.

Annalisa:

Vuoi qualcosa da bere?

Luca:

Da bere? Te!

Annalisa: (fraintendendo)

Te? A quest’ora?

Luca è sorpreso. Annalisa si rende conto dell’idiozia detta. Cerca di riprendersi. Scherzando.

Annalisa: (schernendosi)

Oddio! Scusami, Luca. Devo avere equivocato.

Luca:

Decisamente.

Annalisa:

Ancora scusami.

Luca:

Non ti preoccupare.

Annalisa:

Allora, vuoi qualcosa da bere. (breve pausa) Oltre "me".

Luca:

Un cognac. Se ce l’hai.

Annalisa: (gli porge il bicchiere)

Ho tutto quello che fa al caso nostro.

Luca: (con malizia avvicinandosi e cercando di abbracciarla)

Tutto?

Annalisa: (non comprendendo l’allusione e quasi sfuggendogli)

Tutto?

Luca: (infastidito dalle "disattenzioni" di Annalisa)

Si. Certo. "Tutto!"

I due si fissano negli occhi. Annalisa appare quasi smarrita. Confusa.

Annalisa:

Io....

Luca:

Bambina, io ti pago. Per serate come queste. Non certo per perdermi dietro le tue cazzate.

Annalisa:

Come?

Uomo:

Si vede lontano un miglio che hai in testa chissà cosa.

Annalisa:

Non è vero. Non è…

Uomo: (andando verso la camera da letto e cominciando a spogliarsi)

Non è vero? Guarda che faccia hai!

Annalisa:

Io...

Uomo:

Guarda che non me ne frega niente. Non sei certo mia moglie che mi sommerge con le sue stronzate. Io ti pago per divertirmi. E ti pago bene. Quindi non rompermi i coglioni con i tuoi problemi. E vieni di là. Che c’ho ancora voglia. Quindi se vuoi i soldi. Vieni di là e vedi di farmi divertire.

Luca va nella camera da letto. La luce oltre la porta si accende. Sulla parete oltre la porta: l’ombra dell’uomo che, con calma, con estrema calma, continua a spogliarsi. Annalisa, ignorando il tutto, si prende cura delle piante.

Annalisa: (con precipitazione)

Da bambina mi piaceva tanto... (pausa e cambiando tono. Ora pacata) Da bambina mi piaceva tanto... giocare con papà.

Madre:

Lui ti prendeva in braccio. Ti sollevava. E ti faceva vedere il mondo. Il "vostro" mondo!

Annalisa:

Sì! Lui mi guardava. Mi parlava. Mi trattava come se, come se fossi già una donna. Un’adulta.

Madre:

Non ti voleva far sentire una bambina. Voleva che tu ti rendessi conto, capissi fin da allora che eri una persona. Una persona con la sua, la sua dignità.

Annalisa: (sofferta)

Papà era un uomo speciale. E mi voleva bene.

Madre:

Ti adorava. E gli piaceva farti sentire speciale.

Annalisa:

Anche quando è nata Grazia, lui ha fatto di tutto perché io non sentissi venir meno il suo, il vostro affetto.

Madre:

E’ sempre stato un uomo giusto.

Annalisa:

Lui, lui era un uomo di chiesa. Era un uomo molto religioso. Credeva, credeva molto in dio. E ogni Domenica ci portava alla funzione...

Voce fuori campo Uomo: (quasi spazientito)

Annalisa!

Annalisa, rassegnata, si avvia verso la camera da letto. Si ferma. Si volta verso la madre.

Annalisa:

Ricordi? Io, io andavo a lezioni di flauto. Mi piaceva. Mi piaceva molto suonarlo. Mi piaceva molto produrre musica. Suoni. Armonia.

Madre:

Ti è sempre piaciuto fare la musica. Creare. Ti dava solennità.

Annalisa va in camera da letto. Sulla parete in fondo, oltre la porta, si vede l’ombra dell’uomo spogliarla. Poi baciarla e adagiarla sul letto. Buio oltre la porta. Lunga pausa. Con i capelli arruffati, il vestito indossato a malapena, appare Annalisa. E’ evidentemente scossa, quasi sconvolta. Siede sul divano e accende il televisore, immergendosi nelle sue immagini. Annalisa si abbraccia le gambe. Gli occhi appaiono gonfi. Quasi piangenti. Oltre la porta della camera da letto, l’uomo comincia a chiamare Annalisa in un crescendo.

Voce fuori campo Uomo: (adirandosi)

Annalisa? (breve pausa) Annalisa? Dove sei? (lunga pausa) Annalisa! Annalisa! Dove cazzo sei finita? (lunga pausa) Questa è la volta che mi perdi. Puttana!

Annalisa scivola lentamente giù dal divano finendo con il trovarsi seduta per terra, abbracciata alle proprie ginocchia, quasi in posizione "fetale" con il mento poggiato sulle ginocchia. Gli occhi piangenti.

Stacco

Sabato, 4 Luglio. Mattino.

Annalisa è nella stessa posizione di prima. La televisione è ancora accesa. Nel silenzio, lentamente si alza, spegne la Tv e a passi lenti, sofferti si avvia verso la camera da letto. Vicino alla segreteria telefonica vede dei soldi. Li prende in mano. Sembra soppesarli. Li ripone. Prima di scomparire oltre la camera da letto si volta verso il pubblico. La voce è stanca. Forse anche sofferta.

Annalisa:

Anche quando ero piccola... Mi capitava, mi immergevo in me stessa... nei miei pensieri, le mie paure. E vi scomparivo dentro.

Madre:

Sei sempre stata una bambina difficile. Non cattiva. Ma... estremamente sensibile.

Annalisa:

Mi chiudevo in me stessa. E diventavo irraggiungibile. Niente più sembrava potermi toccare. Fare male.

Madre:

Riuscivi a cancellare il mondo. Ed esistevi solo tu. Annullavi tutto. Anche me, papà, e tua sorella Grazia.

Annalisa:

Il mondo mi sembrava, in quei momenti, ostile. Ed io, io dovevo difendermi. In qualche modo.

Madre:

In qualche modo.

Annalisa:

Forse, forse è stato proprio questo a salvarmi. Dopo... quando adolescente... accadde... tornando a casa... quello che doveva accadere.

Madre:

Tornando a casa.

Annalisa:

Mi immergevo in me stessa e niente, dico niente, mi poteva più fare male.

Va nella camera da letto. Tutto è silenzio. E vuoto. Buio.

 

Scena 8

Lunedì, 6 Luglio.

Nella penombra si intravede la figura della madre, immobile, seduta sulla poltrona. Suona il telefono. Entra in funzione la prima segreteria telefonica.

Voce fuori campo dell’ingegnere:

Pronto? Annalisa? Sai chi sono. Oggi è Lunedì 6 Luglio. Dovevamo vederci ieri. Non sei venuta. Non capisco! Che cazzo di fine hai fatto? Chiamami!

Stacco

Voce fuori campo Diego:

Pronto, ciao, sono Diego. Sabato sono andato all’appuntamento. Non c’eri. Ieri ho provato a chiamarti. E c’era solo questa cazzo di segreteria telefonica. Ti è successo qualcosa?

Stacco

Voce Fuori campo Carl:

Annalisa? Sono tre giorni che ti cerco per avere confermato l’appuntamento di oggi. Non ci sei. Non ci sei mai. Che fine hai fatto? Ho voglia di te. Dimenticavo: sono Carl. Carl Salter. E oggi è il 6 Luglio.

Stacco

Voce fuori campo Diego:

Pronto, ciao, sono Diego. E’ sempre Lunedì, 6 Luglio. Speravo mi chiamassi. Non lo hai

ancora fatto. Ci prova di nuovo io ma non sei a casa. Non sei mai a casa. Comincio a preoccuparmi sul serio. Chiamami.

Suonano alla porta. Annalisa entra in scena dalla camera da letto. E’ in pigiama. L’espressione è assente. I capelli arruffati. Attraversa la scena e va ad aprire. E’ la portiera. Le due donne si intravedono appena.

Voce fuori campo Portiera:

Signorina Masperi, Venerdì sera sarebbe dovuta andare alla riunione del condominio. Il padrone di casa ci teneva che ci fosse lei. Per la perdita.

Voce fuori campo Annalisa:

L’altra sera? Io, io sono stata male. Molto male. Non mi sono ancora ripresa.

V.F.C. Portiera:

Lo vedo, signorina. Ha una faccia.

V.F.C. Annalisa:

Mi sento a pezzi.

V.F.C. Portiera:

E’ così pallida... Comunque non si preoccupi. Con il padrone di casa ci parlo io. Gli dico che lei è stata male. Molto male.

V.F.C. Annalisa:

La ringrazio.

V.F.C. Portiera:

Se ha bisogno di qualcosa, mi chiami, signorina. Non faccia complimenti.

V.F.C. Annalisa:

Grazie, signora. Non so come ringraziarla.

V.F.C. Portiera:

Lasci perdere.

V.F.C. Annalisa:

Arrivederci.

Riappare Annalisa. Lo sguardo è sempre assente. Squillo del primo telefono, entra in funzione la prima segreteria telefonica.

Voce Fuori campo di Carl:

Puttana d’Eva, Annalisa. Che cazzo di fine hai fatto? Non ti si trova mai. Fossi morta!

Annalisa, passando vicino al telefono, lo stacca.

 

Scena 9

Giovedì, 9 Luglio. Giorno.

Nella penombra, seduta sulla poltrona, c’è la madre. Annalisa è davanti la televisione. In posizione "fetale". Gli occhi stanchi. L’espressione abbrutita. Squilla il secondo telefono. Annalisa sussulta. Entra in funzione la seconda segreteria telefonica. Annalisa ascolta attentamente.

Voce fuori campo avvocato:

Sono l’avvocato Armelli. (pausa. Annalisa si precipita a rispondere) Ho quello che cerca....

Annalisa: (agitata)

Pronto? Pronto? Avvocato? Sono Annalisa. Annalisa Masperi.

Voce fuori campo avvocato (vivavoce):

Ah, signorina. E’ in casa. Pensavo...

Annalisa: (staccando il "vivavoce")

Sì. Sono appena rientrata. Sono stata fuori. (pausa) Come? E’ riuscito... (breve pausa) Ha rintracciato i signori Delisi? (pausa) E’ sicuro che siano loro? (pausa) Sicuro? (pausa) No. Aspetti. Non dica niente. Voglio... (breve pausa) Voglio che non faccia nulla. Aspetti. Io... (perplessa) Io... verrò a studio. Quando? Al più presto. Me lo dica lei. (pausa) Lunedì? Va bene. Lunedì. 13 Luglio. Alle diciannove? Va bene. A Lunedì, allora.

Riaggancia il telefono.

Annalisa: (a se stessa e pensierosa)

‘Ngiorno...

 

Scena 10

Lunedì, 13 Luglio. Pomeriggio.

La scena è vuota. Squilla il primo telefono. Entra in funzione la prima segreteria telefonica.

Voce Fuori campo di Diego:

Annalisa, sono Diego. E’ Lunedì, 13 Luglio. Sono più di otto giorni che non ho notizie di te. Non so più che fine hai fatto. Io... io ho voglia di vederti. Per favore, chiamami.

Stacco

Sera. Annalisa fa giardinaggio. E’ come assente. Seduta in poltrona la madre.

Annalisa:

Un giorno mia madre mi regalò un vestito. Un vestito rosso. Io ero contenta. Molto contenta. Lo indossai e mi sentii nuova. Nuova! (voltandosi verso la madre) Ricordi?

Madre: (impassibile)

Era bello! Gaio. E ti dava, ti dava una luminosità abbagliante.

Annalisa:

Mio padre mi raccontava delle favole. La sera. A volte mi leggeva anche la Bibbia. A volte, però. Perché temeva di spaventarmi.

Madre: (impassibile)

Temeva sempre di spaventarti. Di spaventarvi. A te e a Grazia.

Squilla il primo telefono. Annalisa si volta a guardarlo. Attenta. Entra in funzione la prima segreteria telefonica.

Voce Fuori campo di Diego:

13, 13 Luglio. Sera. Annalisa, sono Diego. Penso che tu sia sparita. Sparita sul serio. Le cose sono due: o sei partita all’improvviso oppure, oppure ti è successo qualcosa. Sono preoccupato e.... ho voglia di vederti. Ciao.

Annalisa si scuote. Riascolta il messaggio. Prende il telefono. Chiama.

Annalisa: (al telefono)

Diego? Sono io. (pausa) Sono stata fuori. Qualche giorno. (pausa) Qualche problema. (pausa) Adesso? Mi sembra difficile. Sono appena rientrata. (pausa) No. Un impegno. Nulla di che. (pausa) Domani? Io, io... Va bene. Se insisti. (pausa) Va bene. Al solito. Ciao.

Annalisa rimane pensierosa. Accende la televisione. Siede sul divano. Si abbraccia le ginocchia e si "immerge" in se stessa chiudendosi sempre più in posizione "fetale". Buio.

 

Scena 11

Martedì, 14 Luglio. Notte.

Dall’ingresso entrano in scena Annalisa e Diego. I due scherzano. Sembrano spensierati. Sulla poltrona, sempre in penombra, c’è la madre.

Diego:

Sei fantastica.

Annalisa:

Trovi?

Diego:

Affascinante.

Annalisa:

Ne sei veramente convinto?

Diego:

Non ho alcun dubbio.

Diego la bacia. L’accarezza dolcemente e sensualmente.

Annalisa:

Vuoi qualcosa?

Diego:

Voglio solo te. E te solo.

Annalisa: (un po’ imbarazzata)

Diego, sei sempre così galante.

Diego:

Forse qualcosa in più.

Annalisa: (come spaventata)

Che vuoi dire?

Diego:

Non so.

Annalisa: (ridendo)

Innamorato?

Diego:

Innamorato, no. Ma qualcosa di te mi prende. Mi prende da morire.

Annalisa:

Ne sono lusingata.

Diego:

Sei bella.

Si baciano. Annalisa prende per mano Diego e lo guida nella camera da letto. La luce si spegne. Oltre la porta, sulla parete si proiettano le ombre dei due che si baciano, si spogliano. Improvvisamente l’ombra di Annalisa si discosta da quella di Diego. Appare Annalisa. E’ in gonna e reggiseno. Appare turbata. Accende la televisione e si mette a guardarla in posizione "fetale", immersa in se stessa. L’ombra di Diego rimane in attesa. Poi la luce nella stanza si spegne. Entra Diego che, senza dire nulla, si siede accanto a Annalisa. E’ senza camicia. Con i pantaloni appena abbottonati. Anch’egli guarda la televisione. Poi si volta a fissare Annalisa.

Diego:

Qualcosa non va? (lei tace. Non lo guarda) Qualcosa non va?

Annalisa: (senza guardarlo)

No! Non c’è niente che non va.

Diego:

Non si direbbe.

Annalisa:

Non si direbbe cosa?

Diego:

Che non ci sia niente che non vada.

Annalisa:

Perché lo dici?

Diego:

Mi hai lasciato di là. Da solo.

Annalisa:

Non mi andava.

Diego:

L’ho capito che non ti andava. E io?

Annalisa: (si volta con sorpresa a guardare Uomo)

Io, cosa?

Diego:

Io! Cosa ci sto a fare io?

Annalisa:

Tu? Non so. Che ci stai a fare tu?

Diego:

E’ quello che mi chiedo. Quello che "ti" chiedo.

Annalisa:

Non so io...

Diego:

Ah, bene. Stiamo proprio messi bene.

Diego va in camera da letto. Riappare tenendo in mano la camicia e la giacca. Annalisa non si volta neanche a guardarlo.

Diego:

Io vado.

Annalisa:

I soldi lasciali lì. Vicino alla segreteria telefonica. Come al solito.

Diego la guarda perplesso. Di controvoglia, tira fuori alcune banconote dal portafogli. Dopo averle osservate con aria scettica, le posa sulla mensola. Esce. Annalisa rimane sola, "immersa" in se stessa.

 

Scena 12

Mercoledì, 15 Luglio. Mattina.

Annalisa è al telefono. La madre è sempre lì, ferma, immobile, sulla poltrona.

Annalisa:

Pronto? Studio Armelli? (pausa) Sono Annalisa Masperi. Vorrei parlare con l’avvocato. (lunga pausa) Avvocato? E’ lei? (pausa) Buongiorno. Volevo dirle... (pausa. Incerta) Io... volevo dirle che... è inutile vederci oggi. (pausa) No. Ho deciso. E’ inutile. Ho deciso di lasciar perdere. Io... (pausa) Come? (pausa) Perché? Perché io... (pausa) Io non vedo più motivo. (pausa) Cos’è che pensa di aver capito? (pausa) Cosa? (sbuffa nervosa) Lasci perdere avvocato. Lasci proprio perdere. Io, io... (pausa) Passerò in settimana da lei per saldare quanto ancora le devo. Arrivederci.

Riaggancia. Rimane immobile.

 

Scena 13

Giovedì, 16 Luglio. Mattina.

Annalisa è sola, in accappatoio, "immersa" in se stessa e in una grossa tazza fumante. Squilla il primo telefono. Annalisa, incurante, non risponde. La prima segreteria telefonica non entra in funzione. Annalisa finisce di bere. Entra nella camera da letto..

Stacco

Giovedì, 16 Luglio. Pomeriggio.

Annalisa esce dalla camera da letto vestita in jeans e golf. Innaffia le piante, poi passa da una stanza all’altra. Squilla il primo telefono. Non se ne cura. Continua a fare ordine. Poi esce dalla porta d’ingresso.

Stacco

Giovedì, 16 Luglio. Sera.

La scena è vuota. Suona il primo telefono. Nessuno risponde. Il telefono tace. Annalisa entra dall’ingresso. Dopo alcuni istanti squilla nuovamente il primo telefono. Annalisa appare incerta se rispondere. Il telefono tace. Annalisa si prende cura delle piante.

Annalisa:

Avevo cinque anni quando mio padre mi portò al museo. Al suo museo. (pausa) Quello dove lavorava. Ricordi? (si volta verso la poltrona che è vuota. Torna a curarsi delle piante) Ricordo il flauto. Le lezioni di flauto. (pausa) Stavo proprio andando ad una lezione di flauto quando quelli... (sofferta) Quelli mi presero...

Annalisa si volta verso la poltrona vuota. Poi si alza e scompare in camera da letto.

 

Scena 14

Venerdì, 17 Luglio. Mattina.

Annalisa è "immersa" in se stessa, seduta sul divano. Più volte squilla il primo telefono. Lei stringe i denti, gli occhi. Non risponde. Si tappa le orecchie. La segreteria telefonica non entra in funzione. Tutto tace. Ad un tratto squilla il secondo telefono. Annalisa si volta, sorpresa, a guardare l’apparecchio. Incerta si alza. Risponde.

Annalisa:

Sì? (pausa) Sono io. Chi è? (pausa) Ah, è lei, avvocato. (pausa) Come? (lunga pausa) Sì. Certo. Nessun problema. (pausa) Tutto bene. No, assolutamente. Non è questo. Sono soddisfatta, molto soddisfatta del suo lavoro. Mi creda. (pausa) Come? Lei pensa... E’ convinto che io, io sia... (pausa) Vuole sapere se sono veramente io Maria, Maria Delisi? Ma glielo ho già detto l’altro giorno al suo studio. Non sono io! Assolutamente no! (pausa) Perché dice questo?

Senza che Annalisa se ne accorga, dall’ingresso entra Diego che rimane in silenzio ad ascoltare la telefonata.

Annalisa: (spazientita)

Perché allora l’avrei incaricata di cercare i Delisi? (si interrompe incerta) Pensavo di essere

stata chiara su questo. (pausa) Avvocato, non sono obbligata a darle ulteriori spiegazioni. (pausa) No. Certo. (pausa) Sono al corrente che la loro figlia è scomparsa anni fa. Ne parlarono tutti i giornali. (pausa) Come le ho già detto: non sono io... la loro figlia, la figlia scomparsa (pausa) Indire una conferenza stampa? Comunicare al mondo il "mio" ritorno? Ma lei, lei è pazzo, avvocato? E’ pazzo o dice sul serio? (pausa) Non è come crede. Io con tutta questa storia non c’entro nulla. Io sono solo, solo una qualsiasi... (pausa) Di questa storia non ne so niente. Proprio niente. (pausa) Avvocato, lei ha avuto quello che le spettava. L’ho pagata. E allora? Non insista. Lasci perdere. Lasci proprio perdere. (pausa) Come le ho detto, mio padre, mio padre morto... era una amico del signor Delisi. Avevano, avevano... (balbetta) Sì, litigato. Anni fa. Per questioni personali. (pausa) Prima di morire lui, mio padre, mi ha chiesto di ritrovare il suo vecchio amico... (pausa) E dargli una lettera... Una cazzata! Non l’ho fatto perché, perché ho visto le condizioni in cui si trova quell’uomo. (pausa) No. Non c’ho parlato. L’ho visto solo da lontano. Ho chiesto ai vicini. Mi sono informata. (pausa) Non sta bene. E anche la signora, (ha un singhiozzo) la signora Delisi sta male. Molto male. (breve pausa) Ho pensato che non ne valesse la pena. Disturbarli. Per una lettera che avrebbe anche potuto inquietarli. (pausa) Cosa c’è nella lettera? (indugia) La lettera chiariva l’equivoco che ha portato... mio padre e il signor Delisi a rompere la loro amicizia. (pausa) Della figlia del signor Delisi, mi creda, non so nulla. Proprio nulla. Mi creda, avvocato, è così. Non sono io la loro amata figlia che... torna a casa.

Annalisa si volta. Vede Diego. Il suo tono si affievolisce. Perde vigore sentendosi scoperta.

Annalisa:

Avvocato, ora la devo salutare. Sì. Lei ha avuto quanto le spettava. Mi spiace averla disturbata. Averle fatto credere... (breve pausa) Chissà cosa poi. (pausa) No. Non mi chiami più. Io, Io non esisto più. Non esisto più. Almeno per lei.

Riaggancia il telefono. Guarda con sorpresa Diego.

Annalisa:

Diego...? Diego, che ci fai qui?

Diego: (imbarazzato)

Ho provato a telefonarti. In questi giorni. Ma tu, tu non c’eri. Non rispondevi mai. Oggi è il 17. Sono quasi due settimane che non ho notizie di te! Così sono venuto a vedere. Ho chiesto alla portiera. Mi sono fatto dare le chiavi. Sono entrato.

Annalisa:

Perché sei venuto?

Diego: (imbarazzato)

Ero preoccupato. Temevo...

Annalisa: (sorpresa)

Eri preoccupato per me?

Diego: (imbarazzato)

Temevo ti fosse successo qualcosa. Di nuovo...

Annalisa: (sorpresa)

Di nuovo?

Diego: (c.s.)

L’ingegnere mi ha detto di te... Mi ha raccontato.

Annalisa: (sorpresa)

L’ingegnere?

Diego: (c.s.)

Sì. L’ingegnere Pulejo. Quello che ci ha presentati...

Annalisa:

Comincio a capire.

Diego: (c.s.)

Mi ha raccontato di te. E del bordello arabo dove ti avevano rinchiusa.

Annalisa: (come sorpresa)

Bordello arabo?

Diego:

Il bordello dal quale lui ti ha aiutato a fuggire.

Lunga pausa.

Annalisa:

L’ingegnere ti ha detto questo?

Diego:

Sì. Mi ha detto questo.

Annalisa:

L’ingegnere non sa quello che dice.

Diego:

Non credo che sia così.

Annalisa: (arrabbiandosi)

Certo perché tu gli credi? Credi a tutto quello che lui ti può aver raccontato?

Diego:

Sembra impossibile. Eppure sento, sento che c’è qualcosa di vero in questo...

Annalisa:

E cosa ti ha detto ancora l’ "ingegnere" di me?

Diego:

Dice di averti incontrata in quel bordello dove ti avevano portata dopo averti rapita.

Annalisa:

C’era da aspettarselo! Quel figlio di...

Diego:

Dice di averti aiutata a fuggire da lì. Dando dei soldi ad uno. Comprandoti un’identità falsa. Perché tu non volevi andare alla polizia. Né all’ambasciata. Dice che volevi evitare ogni clamore. Ogni pubblicità. Andando all’ambasciata avresti dovuto raccontare tutto. Spiegare...

Annalisa:

Sarebbe stato inevitabile!

Diego:

Dice che eri terrorizzata all’idea della polizia. Degli interrogatori. Dei giornalisti... (pausa)

Avevi paura che tutto questo ti avrebbe fatto a pezzi. A te e ai tuoi familiari.

Annalisa:

E poi? Cosa ti ha raccontato ancora "l’ingegner Pulejo"?

Diego:

Dice che tu sei una di quelle ragazzine che, ogni anno, finiscono nel giro delle tratta delle bianche.

Annalisa:

Dice questo?

Diego:

E’ vero, questo?

Lunga pausa.

Annalisa:

Tu gli hai creduto?

Diego:

All’inizio, no! Poi, poi ho cominciato a riflettere. Su di te. Sul tuo modo di comportarti. Il tuo "strano" modo di comportarti. E ora... questo tuo atteggiamento me lo conferma. Credo anche di avere capito chi sei tu veramente.

Annalisa:

Cosa vuoi dire?

Diego:

Ho sentito una parte della telefonata con quell’avvocato. Ho capito.

Annalisa:

Capito cosa?

Diego:

Chi sei! Chi sei tu veramente.

Annalisa:

E chi sono io "veramente"?

Diego:

I giornali si occuparono molto di te e del tuo caso. Fece scalpore, allora. Sei quella ragazza di quindici anni che, tanti anni fa, sparì per le strade di Roma. E di cui non si seppe più niente. La sua storia si è andata intrecciando con la vicenda di quell’attentato.

Annalisa: (come sbottando)

Tu parli. E non sai. Tu parli. E non capisci. Io non sono lei. Non sono quella ragazza. Io sono una, una qualsiasi. Una che non c’entra, non c’entra nulla. Con niente.

Diego:

Tu stai cercando di rintracciare i tuoi. Per capire se ci sono le condizioni. Per tornare a casa.

Annalisa:

Questa è follia! Follia pura! Tu non sai nemmeno di cosa stai parlando. Sei un’idiota, un semplice idiota che crede in tutto quello che gli altri gli vanno a raccontare.

Diego:

Se così fosse? Allora tu? Tu chi sei, veramente?

Annalisa:

Io? Io chi sono? Non so. Non so chi sono. Non più. (lunga pausa. Cambio luci. Annalisa comincia a curare le piante) Io, io so soltanto che avevo un cane, una volta. Un cane di nome Rufus. Era nero. A chiazze bianche. Era un bastardo. Un bastardo dal cuore grande, grande. Ricordi?

Nella penombra, entra la madre.

Madre:

Era la tua passione. Stavi sempre con lui. E lui con te. Lo portavi a spasso. E giocavate. Dio come giocavate. Sembravate una persona sola. Una persona sola! (smorfia di dolore) Se quella sera lui fosse stato con te. Forse...

Annalisa:

La domenica, papà ci portava tutte a villa Pamphili. A prendere il sole. In Primavera. Come mi divertivo. Con quel cane. Con voi. E poi? Poi non so più...

Madre:

Erano belli quei giorni. Si stava bene. Tutti insieme. Anche se tu, tu delle volte eri un po’ assente. Con la mente. Dentro i tuoi pensieri. Distratta. Anche a scuola...

Annalisa:

La maestra delle elementari era grassa. Grassa e antipatica. Io non la sopportavo. Così... (cattiva) così mi feci bocciare. Per non avercela più di fronte. Per non averla più con me.

Madre:

Sua figlia non studia, mi diceva quella. Si distrae sempre. E non vuole, non vuole mai fare niente.

Annalisa:

La mia migliore amica aveva i capelli rossi. E un apparecchio ai denti. (tenera) Ero felice, allora. Felice! C’era papà. C’eri tu. E Grazia. E poi c’era il cane e... c’ero io! Ma io... (inquietandosi) io alla fine, non so, non ci sono più. Io scompaio. Sparisco. Per sempre. Come cancellata. Non so come. Non so perché. Finisco. Come se io fossi una di quelle figure di carta che, da piccola, ritagliavo dai giornali.

Madre:

Sì. Una di quelle figure che ti divertivi a collezionare. A mettere insieme. E con le quali giocavi. Inventando storie, storie che poi, poi non finivi.

Annalisa:

E come se io fossi una di quelle figure, una di quelle storie che rimanevano sospese, come se, come se scomparissero. Davvero!

Madre:

Come se scomparissero! Tu!

Annalisa: (cupa)

Andavo a lezione di flauto. Mi piaceva, mi piaceva tanto. Creare suoni. Armonia. Un giorno, una sera, tornando a casa dalla lezione, io, io sono...

Madre:

Ti piaceva tanto la musica!

Annalisa:

Quella sera, tornando a casa... Qualcuno mi si avvicinò e mi chiese qualcosa. Poi non

Ricordo, non ricordo più niente. Qualcosa mi comprimeva la bocca. Mi impediva di... capire. Il sapore... acre. Acre come...

Madre:

Quanto ti abbiamo aspettato, quella sera. Quanto abbiamo atteso prima, prima di dare l’allarme.

Annalisa:

Quando rinvenni non ero più io. Ero perduta. Per sempre. Mi avevano rinchiusa in un posto orrendo. Cupo. Sporco. Puzzava di muffa. Mentre quegli uomini continuavano, a turno, a tormentarmi con i loro stupri.

Madre:

Mi sembrava di impazzire. Di impazzire! La mia piccola... Dov’era la mia piccola?

Annalisa:

Continuamente loro venivano da me. E mi prendevano. Non so più. Il dolore era tanto. Tanto! Mi portarono via. In una cassa. Mi portarono lì. In quel paese. E mi sterilizzarono, anche. Per evitare, per evitare sorprese.

Madre:

La polizia portò avanti l’inchiesta. Ma tutto si andò ad ingarbugliare, a mescolarsi, con quella strana vicenda di quell’attentato. Così tutto divenne confuso. Maledettamente confuso.

Annalisa:

Ero come distrutta. Mi sentivo violata. Compressa. Scavata. Come se, come se tutti quei corpi, quegli uomini, prendendomi, mi scavassero dentro a tirare fuori qualcosa di me: un pezzo della mia vita. Mi sentivo male. Avvilita. Sarei voluta morire.

Madre:

Tutti parlavano. Tutti dicevano. Ma di te nessuna traccia. E quella storia. I giornali. La confusione che cresceva sempre di più. Ad intorbidire le acque. Con quei giornalisti, quei giornalisti che... non davano tregua.

Annalisa:

Allora decisi di uccidermi. Se volevo vivere... qualcosa di me doveva morire. Dovevo uccidere la mia vita, quello che fino ad allora era stata la mia vita prima che fossero altri a farlo. Così mi allontanai sempre di più da me stessa, uccidendo il mio passato, tutto quello che ero stata, le emozioni. Dovevo farlo se veramente volevo uscire viva da lì.

Madre:

Ogni giorno ti abbiamo aspettato. Ogni giorno. Fino a che è durata la speranza.

Annalisa:

Alla fine, di me era rimasto solo un guscio vuoto, un corpo vuoto che giaceva su di un materasso lercio di scarafaggi. Con quella porta che si apriva per lasciare entrare uno, uno che poi, senza neanche guardarmi, mi prendeva. Prendeva il mio corpo. Perché di me non c’era più niente da prendere. Annalisa non c’era. Non c’era più! Per nessuno!

Madre:

Io pensavo, credevo, speravo che un giorno saresti tornata.

Annalisa:

Loro aprivano quella porta. Entravano. E io, io ero là. Poi, poi loro uscivano. Mentre Annalisa? Annalisa restava lì. Chiusa. Giorno dopo giorno. Una sera, la porta si è aperta, ed è entrato un bianco, un italiano. Come me... Ed io? Io sono tornata. Tornata a casa.

Madre:

Non proprio a casa. Io ti aspettavo. E invece tu, tu sei rimasta lì, chiusa, in una casa come in quel bordello. Con una porta che si apre ed entra uno che poi, poi ti prende.

Annalisa:

Cosa avrei dovuto fare, mamma? Quando sono stata rapita avevo solo quindici anni. Non sapevo nulla, non sapevo fare nulla. E per tutti quegli anni io, io non ho fatto niente. Se non questo. Nessuno mai mi ha insegnato nulla. Nulla! Non avevo altre alternative. Se volevo, se voglio vivere.

Madre:

Tornare a casa. Da noi. Dovevi tornare. "Devi" tornare. Da noi.

Annalisa:

Non avevo scelta! Se volevo, se voglio vivere. L’ingegnere mi ha prestato dei soldi. Mi ha dato questa casa. Così ho cominciato. Si trattava solo di continuare a sfruttare il mio corpo, quel corpo che ormai da anni non sento più mio. (con disprezzo) Che mi desse almeno da vivere!

Madre:

Noi ti aspettiamo.

Annalisa:

Ho incaricato un avvocato di rintracciarvi, di scoprire che cosa ne è stato di voi. Sono venuta a cercarvi. Ma, all’ultimo, mi è mancato il coraggio. Per farlo. Quando ti ho vista, mi sono avvicinata. Tu camminavi, camminavi per la strada. Io ti sono venuta incontro. Ti avrei voluta abbracciare ma, ma i miei occhi hanno incrociato i tuoi e allora, allora ho capito. Che senso poteva avere tutto questo?

Madre:

Ma sei mia figlia!

Annalisa:

Non nei tuoi occhi, mamma! Non nei tuoi occhi. Non più ormai. Quella volta tu, tu mi hai guardata. E non mi hai riconosciuta.

Madre:

Come potevo. Sei una donna ormai!

Annalisa:

Mi hai guardata e non mi hai degnata di un’emozione. Mentre io, io impazzivo per te.

Madre:

Se lo avessi saputo... Ti avrei....

Annalisa:

Non sono più tua figlia! Non più ormai! Io, mamma, io, io non sono più niente!

Madre:

Non è vero! Tu, tu sei ancora....

Annalisa:

Tu neanche ti sei accorta di me. Ed io ho lasciato che tu mi superassi, che andassi oltre. E sparissi dietro l’angolo. E poi? Poi sono andata via anch’io. Per sempre.

Madre:

Avresti dovuto fermarmi. Dirmelo che eri, eri tornata... a casa.

Annalisa:

La tua faccia, mamma. Le occhiaie. Le rughe. Ho visto la tua faccia scavata dal tempo,

dalla sofferenza. Io, io, però, ti ho riconosciuta, ti ho riconosciuta subito. E tu? Tu mi hai guardata. Ma il mio volto ti è sembrato un volto qualsiasi, anonimo. Non mi hai riconosciuta.

Madre:

Dopo tutti questi anni. Dopo tutto quello che è stato! Come posso, come potevo…

Annalisa:

Certo che è così, mamma! Dopo tutto quello che è stato di me. Nei tuoi occhi non ci sono io. Nei tuoi occhi c’è ancora una bambina di quindici anni non io. C’è ancora tua figlia, quella bambina che una volta sono stata io e che oggi non sono più!

Madre:

Chiamarmi! Fermarmi. Dirmi tutto! Questo dovevi fare!

Annalisa:

Mamma, se lo avessi fatto ti avrei uccisa. Guardandoti negli occhi ho capito anche questo. Ho capito che nella tua, nella vita di papà, in quella di Grazia, non c’è più posto per me. Non ci può più essere posto per me. Io dovrei sostituirmi a quell’immagine che voi, voi avete ancora di me: una ragazzina di quindici anni, simpatica, anche carina, un po’ introversa.

Madre:

Ma tu devi tornare. Tornare a casa. Affrontare la situazione.

Annalisa:

Non posso farlo, mamma. Non posso proprio. Dopo tanti anni, nessuno aspetta più nessuno. E voi, sicuramente, non aspettate me. Aspettate la vostra bambina. Ed è giusto che sia così. Che voi continuiate ad aspettare la vostra cara bambina, quella bambina che io, che io non sono più!

Madre:

Sei andata via?

Annalisa:

Io non ho più una casa dove andare.

Madre:

Ma tu non hai colpa di quello che ti è successo.

Annalisa:

Questo non cambia i termini della faccenda. La natura delle cose.

Madre:

Ma tu...

Annalisa:

Io cosa?

Madre:

Me lo devi dire tu "cosa"?

Annalisa:

Non ho più nulla da dire, mamma. Non più. Ormai.

La luce torna normale. La madre esce. Annalisa si volta verso Diego.

Annalisa: (dura)

Tutto quello che ti ha detto l’ingegnere Pulejo sono pure fantasie, pure invenzioni di una

mente malata.

Diego:

Vuoi forse dire che...

Annalisa:

Io non sono mai stata rapita. E non sono mai stata in nessun bordello arabo.

Diego:

L’ingegnere Pulejo... L’avvocato... Quella ragazzina... non sei tu allora?

Annalisa:

Sono solo le tue suggestioni. "Tue" e dell’ingegnere.

Diego:

Annalisa, quella ragazzina... io la vedo. In te.

Annalisa:

Si è preso gioco di te. Ti ha voluto far credere... Chissà cosa poi?

Diego:

No! Sei tu quella! Io, io la vedo, adesso, davanti a me. E capisco, vedo quello che l’è successo. Lei che cammina per strada. Qualcuno che la ferma. Con una scusa. La vedo sparire. Come rapita. Sicuramente rapita. Strappata dalla sua vita. E portata via. Aveva solo quindici anni. E di lei ne hanno fatto carne di porco.

Annalisa:

Noooo! (lunga pausa poi cercando di controllarsi) Non è vero! Non è vero niente. Quello che dici! Sono bugie. Follie! Pura invenzione!

Diego:

No, Annalisa. Non ti credo. Non ti credo proprio.

Annalisa:

L’ingegnere gli piace inventare, gli piace inventarsi. E’ una mente malata, perversa. Inventa storie, avventure. Un giorno verrà da te e ti racconterà di aver visto l’abominevole uomo delle nevi. E tu gli crederai.

Diego:

Per quanto tu possa cercare di smentire ogni cosa, io rimango convinto che tutto questo sia vero.

Annalisa:

Povero ingenuo!

Diego:

Sei nervosa. Instabile. Un momento ti apri. E poi, poi subito ti chiudi. E’ proprio questo tuo comportamento a confermarmi ogni cosa. Solo così si giustifica l’atteggiamento tuo dell’altra sera. Il tuo non voler fare l’amore. Il tuo "scomparire" di questi ultimi giorni. Mentre, mentre quell’avvocato cercava di rintracciare i "tuoi" genitori... Cercava di capire se c’erano le condizioni per te di tornare a casa.

Annalisa:

Io, io sono stata male. A letto. Ho avuto la febbre.

Diego:

In questi giorni a casa non ci sei mai stata. Me l’ha detto la portiera. E poi... anche l’avvocato, il "tuo" avvocato, è convinto che...

Annalisa:

L’avvocato è uno che crede di vedere cose che non esistono. Come te.

Diego:

Annalisa...!

Diego le si avvicina. Cerca di toccarla. Lei ha un sussulto. Lo scansa bruscamente.

Annalisa:

No! Non mi toccare! Non... mi... toccare!

Lunga pausa.

Annalisa:

Tu, tu non sai di cosa stai parlando. Non capisci. Una cosa così, una cosa del genere... una vita, una vita che non esiste più. Che è stata presa. Rubata... mentre... mentre tornava a casa. E poi, ancora, un giorno la porta che si apre. Un uomo che entra. Un uomo, un ingegnere. Qualcuno lo ha portato lì. Per farlo sfogare. Non sapendo. Non immaginando nemmeno quello che poi sarebbe successo...

Diego:

E’ andata così?

Annalisa: (guardandolo infastidita)

Sono solo fantasie, fantasie di un pazzo, di un pazzo maniaco.

Diego:

Non credo che queste siano solo le fantasie di un mitomane.

Annalisa:

Molti miei clienti vivono di questo. Gente come lui. O come "te".

Diego:

Come me?

Annalisa:

Con l’aria da brave persone. Pulite. Sincere. Rispettabili. Con una professione avviata. E delle moglie che gli scaldano i letti mentre loro, loro si divertono con me.

Diego:

Vuoi offendermi?

Annalisa: (cattiva)

Sì. Sì. Ti voglio offendere, offendere! Voi uomini siete "tutti" uguali: pensate di affogare le vostre frustrazioni così, semplicemente, con una scopata.

Diego:

Annalisa!

Annalisa:

Annalisa! Annalisa non c’è, non c’è più, non esiste più

Diego:

Tu farnetichi!

Annalisa:

Vorrei che fosse così! Vorrei proprio! E invece... dopo quello che ho passato... avrò anch’io il diritto di... (tace)

Diego:

Il diritto di...?

Annalisa:

Di dire! (pausa) Hanno svuotato la mia vita. E io, in tutti questi anni, non ho potuto far altro che riempirla con quello che la gente mi ha lasciato dentro in quella stanza... (indica la camera da letto) liquidi in eccesso!

Diego:

Ma che dici?

Annalisa:

Cosa ne sai tu di tutto quello che ho vissuto? Un bordello arabo o la camera da letto di là è la stessa cosa.

Diego:

Anche con me è la stessa cosa?

Annalisa:

Tu come gli altri.

Diego:

Anch’io?

Annalisa:

Tu come gli altri.

Diego:

Io pensavo....

Annalisa:

"Tu"... pensavi...

Lungo imbarazzato silenzio.

Diego:

E ora?

Annalisa:

Ora niente.

Diego:

Resterai qui? Con l’ingegnere? A fargli da schiava?

Annalisa:

L’ho già fatto. Per troppo tempo.

Diego:

Allora?

Annalisa:

Non so. Il mondo è pieno di ingegneri.

Diego:

E di bordelli.

Annalisa:

E di bordelli.

Diego:

Te ne andrai?

Annalisa:

L’ho già fatto.

Diego:

E io?

Annalisa:

Tu hai tua moglie, i tuoi figli. La tua vita!

Diego:

Anche tu, però, hai qualcosa...

Annalisa:

Io non ho più una vita. Né una casa dove tornare. Qualcuno, è vero, me l’ha portate via tanti anni fa.

Diego:

Mentre tornavi a casa da una lezione di flauto.

Annalisa:

Se ti fa comodo crederlo.

Diego:

Vorrei aiutarti...

Annalisa:

Lascia perdere. Non serve...

Diego lentamente esce. Annalisa siede per terra. A ridosso del divano. Abbracciandosi le ginocchia e "immergendosi" in se stessa.

 

Scena 15

Giovedì, 30 Luglio. Mattina.

L’appartamento è vuoto. Non ci sono più mobili. Rimangono solo i due telefoni per terra che, alternativamente, cominciano a suonare. Poi tacciono. Entrambi.

 

Scena 16

Giovedì, 30 Luglio. Pomeriggio.

Entra la portiera che comincia a riordinare le poche cose rimaste. Suona il primo telefono. La portiera si guarda intorno incuriosita. Alla fine risponde.

Portiera:

Pronto? (pausa) Chi? (pausa) No. La signorina Annalisa non abita più qui. (pausa) Ma chi è? (pausa) Ah, ma è lei ingegnere? (pausa) Come sta? Bene? (pausa) Sì. La signorina è già andata via. Ha lasciato tutto in ordine. Nessun problema. (pausa) Sì. Tutto pagato. Nessun problema davvero. E’ andata via l’altra settimana. (pausa) Dove? Non lo so. Non ha lasciato detto niente. Ma credo che sia andata via da Roma. Almeno così ho capito. (pausa) Come? (lunga pausa) Ho capito. (pausa) Sì. Ho capito. Verrà una nuova inquilina. Domani. A vedere l’appartamento. Alle dieci. La tratterò bene. Non si preoccupi. (pausa) E’ straniera? Albanese? Va bene. Per me. E’ lo stesso. E’ lei il padrone di casa, qui. La tratterò con i guanti. Non dubiti. (pausa) Mi saluti la signora. E i suoi figli. (pausa) Arrivederla.

La portiera riaggancia. I telefoni cominciano a suonare, alternativamente. La portiera non se ne cura. Poi i telefoni tacciono. Per sempre.

 

tela