TRINCEE

di

Giovanni Franci



Segnalato al 53esimo Premio Vallecorsi per il Teatro

Prima rappresentazione:
Roma, maggio 2005, Teatro Spazio Uno
Compagnia teatro Instabile
Con Marco Chenevier, Irene Danovaro, Chiara Fiorelli, Rosalia Piombino e Daniele Spadaro. Regia di Giovanni Franci.

"…qualsiasi azione che accade in questo mondo, 
ogni gesto, ogni sguardo,
significano sempre qualcos'altro, qualcosa di più,
di più grande, 
e quasi sempre di sacro."
j.Genet


Personaggi:
Ragazza
Ragazzo
Clara
Carla
Carlo: Padrone di casa/ figlio/ il ragazzo degli ulivi
Laura
Michele
Lui
Lei

Gli attori ad interpretare i ruoli sono cinque: due donne (sui 50 anni), una ragazza( 30 anni), un uomo( 50 anni)ed un ragazzo( 30 anni), la confusione che inevitabilmente ho creato si potrà risolvere solo leggendo il testo, grazie quindi per l'attenzione.
Amichevolmente vostro, l'autore.


Si Apre il sipario, si intravede nel buio uno spazio spoglio, di una camera probabilmente, dal lato destro entra una ragazza vestita di bianco, la scena continua a rimanere buia.

RAGAZZA:
E poi non è rimasto più nulla

RAGAZZO:
niente

RAGAZZA:
non avevamo proprio niente. 
Tra le mani,
solo un po’ di sabbia.

RAGAZZO:
e il rumore del mare nelle orecchie.

RAGAZZA:
Tutte le mie stanze sono vuote,
io ci sono diventata vecchia,
in queste stanze.
Sempre e solo queste.
Stanze vuote.

(cammina avanti e indietro orizzontalmente con il capo leggermente chinato)

Vorrei morire, ma non ne ho il coraggio, questa è la verità, 
Cristo! 
Se solo potessi strapparmi la testa dalle spalle.

RAGAZZO:
Tutto potrebbe cambiare.


RAGAZZA:
intendo dire che le cose potrebbero andare diversamente,
se solo potessi…
E’ tutta colpa di questa malattia,
che vive dentro,
non riesco a vivere, non sono capace a stare al mondo.
Anche le cose più stupide si presentano davanti come problemi insormontabili,
ecco
il caffè,
devo ricordarmelo sono settimane che me lo dico,
sono settimane che apro la credenza e manca il caffè,
è importante che a una certa ora della mattina e ad un’ora qualsiasi del pomeriggio le case odorino di caffè!
Quell’aroma di moglie,
di marito
di figli.

(ride)

con questo vestito bianco sembro un fantasma,
Dio mio che impressione, non potevo scegliere un abito migliore,
anche il bianco che è un colore vitale, di gioia, di luce…addosso a me diventa funereo, 
sembro morta,
ma che sarà mai, sono morta talmente tante volte che…
mi scoppia la testa, devo riposarmi.

RAGAZZO:
E’ difficile riuscire a chiudere gli occhi.

RAGAZZA:
Faccio fatica,
è così, 
sembro una matta a parlare da sola.
Bla bla bla…
Devo riuscire ad essere più concreta,
riuscire a vivere.
Prima di tutto.
Levarmi di dosso questo vestito,
sono stanca di vederlo.
Non c’è un briciolo di creatività su questa stoffa,
così bianca e stupida,
si appende sul corpo come fossi una stampella qualsiasi,
anonima, vecchia.

( si leva il vestito e rimane nuda, ferma in piedi al centro della scena)

sono ancora bella,

(guarda verso il pubblico come se guardasse in uno specchio)

nonostante tutto,
sono ancora bella,
ho conservato il mio fascino,
l’ho chiuso, nascosto da qualche parte sotto la pelle.

( si gira spaventata verso il fondo della scena come se avesse sentito un rumore, arriva un ragazzo con un manto rosso, copre il corpo della ragazza, e la stringe amorevolmente.)

RAGAZZO:
così, non avrai freddo.
RAGAZZA:
No, è vero,
con questa coperta non avrò più freddo,
il mio cuore,
lo sento già più vivo.
RAGAZZO:
Non è cambiato nulla,
è solo una coperta.
Niente di più.
RAGAZZA:
è già qualcosa
RAGAZZO:
Non essere ridicola.
RAGAZZA:
Non essere cattivo,
ti prego,
la mia solitudine non è ridicola,
non sono patetica,
faccio il possibile.
Quando canto una canzone mi commuovo,
quando ascolto una musica mi perdo nel mio stesso male,
e rimango a terra 
come una cagna,
a leccarmi le ferite.
Sudando senza fatica,
piangendo senza avere lacrime.
RAGAZZO:
anche la mia pelle è diventata dura,
e le mie mani sono piene di nodi.
Guarda!
Se mi osservo allo specchio vedo nuvole in viaggio,
cariche di pioggia sporca che non riesce a cadere,
gonfie come le mammelle di una vacca malata
Cristo!
Le mie gambe non corrono i miei passi,
anche quando vengo da te , 
in queste stanze.
Come fosse un percorso obbligato,
senza amore,
sinceramente senza nemmeno un po’ d’amore.

RAGAZZA:
Hai mai provato la fatica di fuggire?
Di essere qualcosa di diverso?
Per poi riscoprirti
variato sullo stesso tema che prima avevi odiato.
Ho provato a cambiare nome,
vita ,
identità.

RAGAZZO:
La vita può essere bella 
solo se hai la consapevolezza che un giorno
quando sarai all’inferno
potrai riderne.
Senza guardarti indietro con nostalgia,
senza rimpianti e robe del genere.

(pausa)

Fa freddo.
È colpa di queste pareti 
o degli spiriti che le abitano,
nella notte dei pensieri
non c’è speranza.
Non si può camminare a piedi nudi,
qui è impossibile.
Una volta che è tramontato il sole
non rimane altro che aspettare,
non si può cedere
all’impazienza
piuttosto bisognerebbe stringere i pugni
e infilarsi le unghie nella carne,
il dolore anestetizza il tempo.

RAGAZZA:
Tutto questo potrebbe diventare una commedia
da un momento all’altro,
o il contrario naturalmente.




RAGAZZO:
Bisogna muoversi strisciando,
trascinarsi le gambe,
a testa bassa,
per non farsi vedere dal nemico,
devi imbrattarti la faccia,
mimetizzarti,
se vuoi sopravvivere, fallo!
Oppure rimani così.
Nuda.
Resterai una vittima,
ora è l’ultimo spettacolo,
e così l’ultimo applauso,
così l’ultimo inchino,
seduti così come stiamo
ad osservare la nostra stessa morte,
deformata,
irrazionale.
Macroscopica!

RAGAZZA:
e poi il diluvio,
vedo tutto andar via,
svanire,
ombre lunghe,
una visione macabra,
c’è una musica che suona,
e alcuni pensieri prendono carne,
ossa vene sangue muscoli!

(il ragazzo arretra lentamente fino a ritornare nel buio)

una metamorfosi,
di ciò che non era in ciò che è
da ciò che non fu mai
in ciò che potrebbe essere
come per magia.

(una nuvola di fumo avvolge la ragazza)

/la ragazza è a terra , un uomo entra e la prende in braccio, lei sembra dormire, l’uomo la porta fuori scena./

Buio

Si riaccende una luce rosso fuoco, con una musica assordante, in scena ci sono due donne immobili al centro, una con una scopa in mano, l’altra con uno straccio, la musica va scemando, la luce diventa sempre più normale lasciando scoprire l’interno di un appartamento (che prima non si riusciva ad intravedere) ci sono due poltrone rosse e qualche cenno di mobilio qua e là.
(le donne sono abbastanza simili, Clara è mora, e Carla è bionda, hanno tutte e due una cinquantina d’anni, o forse più)

Ci troviamo al centro di una discussione, iniziata da almeno dieci minuti…

CARLA:
…E la carta da parati!
Caspita!
Guarda questa carta da parati,
cosa sarà?
Fine seicento, anzi no,
Settecento!
Questo è pieno settecento,
non può che appartenere al settecento una tale raffinatezza,
settecento francese ovviamente,
ha gusto il padrone
e il gusto non può non andare d’accordo con la ricercatezza,
questa carta non è una dozzinale copia italiana,
noi siamo stati forti nel rinascimento,
ma nel settecento i francesi erano i migliori,
come si può allora preferire una copia italiana?
Anche se io,
a dirti la verità,
avrei scelto un color porpora

come le case di Pompei,
sei mai stata a Pompei?
CLARA:
No,
mai.

(si guarda intorno)

Io non ho mai
avuto niente di tutto questo,
credo di non averne bisogno.
Io ne ho viste di case belle
nella mia vita
ma non ho mai saputo
il valore
di tutte le cose belle che stavano nelle case belle.
Questo mestiere ti tiene la testa bassa,
neanche ci fai caso,
vedi solo lo straccio fare su e giù,
su e poi giù.
E quando mi alzo,
mi tiro su per spolverare,
tengo gli occhi chiusi chiusi chiusi
sono allergica alla polvere.
La testa
io
la tiro su a casa mia,
ma lì c’è ben poco da ammirare

(Carla ride)
Però ho un servizio di tovaglie di valore,
tanto valore,
me le diede mia madre in dote,
e a lei le aveva date suo padre,
mio nonno,
gli oggetti che ci portiamo dietro
sono più eterni delle nostre stesse ossa.

CARLA:
Già, hai ragione.

(si siede)

com’è comoda questa poltrona,
una volta
credo avessi vent’anni,
stavo seduta su una poltrona come questa,
ero ad una festa
la mia prima festa da sola,
intendo senza la mia famiglia,
avevo un vestito bianco bellissimo,
lo comprai una settimana prima
ricordo
che passai l’intera settimana
ad aspettare in trepidazione
il momento in cui
l’avrei indossato.
Era un incanto
ed io ero proprio un bel bocconcino…
conobbi un ragazzo,
era il figlio di un avvocato
o qualcosa del genere…
insomma,
senti qua:
io ero ubriaca
o forse fingevo non mi ricordo…

(Clara si siede divertita)

Ricordo che all’improvviso sentii le sue mani calde sotto la gonna.
Ti rendi conto?
Fu una sensazione bellissima,
un po’ umiliante, ma chi se ne frega.
Sai, la mia educazione non mi avrebbe mai permesso una cosa del genere,
comunque
io arrossii
mi piaceva da impazzire,
in quel momento eravamo due amanti
complici
nel proprio piacere
segreto.
Le sue dita accarezzavano le mie cosce,
mi solleticava
ed esitava ad arrivare al punto verso cui tutti i ragazzi vogliono arrivare.

CLARA:
A diciannove anni
Vivevo ancora nel casale dei miei genitori,
da poco
era finita l’estate,
ricordo che dovevamo raccogliere le olive dagli alberi,
ma avevamo così tanti ulivi
che dovevano venire dei ragazzi dalla città
per aiutarci,
mio padre dava loro del denaro,
con cui si sarebbero comprati libri , sigarette…
Una domenica,
arrivarono al casale di mattina presto,
notai subito un ragazzo bellissimo,
davvero,
era di una bellezza inumana,
mi guardava
con i suoi occhi castani
e teneva le mani in tasca,
aveva i capelli neri
gonfi e arruffati,
pantaloni marroni
a righine
tenuti su da bretelle di cuoio,
non aveva la maglietta.
Aveva venticinque anni, mi disse,
studiava in città,
era un ragazzo perbene…
CARLA:
Ascolta…
Io gli dissi che quello non era il posto adatto per fare certe cose,
dissi che sarebbe stato meglio uscire fuori,
in giardino,
lui acconsentì,
mi portò fuori
tenendomi per mano,
nell’altra stringeva sul collo una bottiglia di vino.
CLARA:
Quella giornata fu caldissima,
non potevo fare a meno di guardare
il sudore che scivolava sulla pelle di quel ragazzo,
è la cosa più bella che abbia mai visto,
mi dicevo,
anche lui mi fissava,
eravamo attratti l’uno dall’altra…
CARLA:

(la interrompe bruscamente)

Mi Feci baciare,
fu il bacio più bello della mia vita.

CLARA:
Anche noi ci baciammo,
dopo un po’ non abbiamo più resistito,
eravamo saliti sullo stesso albero
mio padre era lontano,
eravamo lontani da tutti 
e mi baciò.
CARLA:
Mi disse che avrebbe voluto possedere 
tutto il mio corpo
e che un solo bacio sarebbe stato troppo poco.
CLARA:
mi trascinò ai piedi dell’albero,
scivolammo sul prato fresco 
e me lo ritrovai sopra di me
imponente
bello,
mi strinse i seni tra le sue mani.
sapevano di terra.
me li baciò.
CARLA:
anche a me 
baciò i seni,
riuscì a stento a sfilarmi la gonna,
avevo freddo,
il prato era umido,
avevo paura che qualcuno ci sorprendesse,
ma non potevo fermarlo
era troppo bello.
Si slacciò i pantaloni,
velocemente
tirò fuori il suo coso
e me lo mise dentro
dolcemente
piano piano
me lo faceva sentire tutto
poco a poco
non mi fece troppo male,
era un piacere caldo
bollente.
CLARA:
Io 
lo tenevo per i fianchi,
così che non potesse
spingere con troppa forza,
poi le mani me le strinse 
fra le sue.
CARLA:
Trattenne il fiato tra i miei seni
e si rialzò,
capii che aveva finito,
io mi rialzai
e mi tolsi le erbacce di dosso
lui fece lo stesso,
non riuscivamo a parlarci.
CLARA:
quando ebbe finito rimase un po’ 
dentro di me,
quello è stato il momento più bello di tutta la mia vita.
Si alzò,
si accese una sigaretta,
provai anch’io a fumare,
ma non ci riuscii,
non ci dicemmo una parola.
CARLA:
il giorno dopo lo sapevano tutti,
da brava figliola a femmina in calore,
sono tutte così,
più sono timorate di Dio più vogliono l'uccello tra le cosce…
lo disse lui stesso, in persona.
A tutti, proprio tutti,
le voci sarebbero arrivate alla mia famiglia,
non avevo scelta,
dovevo andarmene.

CLARA:
io
lui
non lo vidi più.
Rimasi incinta
di Andrea.
Mio padre non seppe mai chi era il padre del mio bambino.
Mio padre 
aveva sempre gli occhi asciutti.
Asciutti!
Sono venuta in città,
quando Andrea aveva dieci anni,
rividi quel ragazzo un giorno
davanti all’università,
i segni del tempo non l’avevano imbruttito
anzi,
gli lasciai il mio indirizzo
così se si fosse ricordato di me
magari
avrebbe potuto scrivermi
o perché no,
venirmi a trovare…
così
avrebbe saputo
che avevamo avuto un bambino
quel giorno 
sotto agli ulivi.
CARLA:
in città 
la vita è difficile,
soprattutto se si è da soli,
bisogna lavorare
per poter sopravvivere
e si deve fare economia della propria libertà.
CLARA:
Però che bella che è la giovinezza.
CARLA:

è vero,
essere giovani è bello.

(rimangono immobili e in silenzio, si sente una musica provenire da lontano, si avvicinano lentamente e si sfiorano le labbra in un bacio, la musica smette dopo circa due minuti.)

CARLA:

(si alza dalla poltrona)

Ma ci sarà qualcosa da bere qua intorno?
Come vorrei un cognac,
non lo bevo da così tanto tempo che…
ho passato momenti indimenticabili
col cognac
tra le mani,
nel mobiletto…
forse qui
trovo qualcosa.
Cognac!
C’è il cognac!
Hai visto?
Quando si desideri una cosa,
voilà
si realizza!

(Prende due bicchierini, versa un po’ di cognac a lei e a Clara)

per un giorno
facciamo le signore,
vere.
Cin.

(brindano)

CLARA:
Dio mio
com’è forte!
Questo sarebbe piaciuto ad Andrea.
CARLA:
Ah
Ah
Ah
Mi chiedo
come fai a ridere
su una cosa simile?
Mah
Meglio così,
meglio per te…

(Clara rimane in silenzio, Carla si guarda le mani.)

una volta
queste mani
erano piene di anelli,
l’oro si addice
alla limpidezza dell’alcol
una donna
con le mani lisce
senza pieghe
bianche
senza macchie
CLARA:
Andrea era pieno
d’alcol
beveva
senza fermarsi
non ha mai lavorato
non l’ho mai visto piangere
non conosco il dolore
il suo era così:
impronunciabile
senza fine
senza pietà.

CARLA:
Non senti odore di incenso?
Che buono
come nelle città d’oriente,
profumo di incenso, di gelsomino…
una volta ho conosciuto il mio amore.
Ero sola
ed ha riempito il mio vuoto
mi è entrato dentro
come la felicità
in certe giornate di sole.
Un uomo vero un vero uomo.
CLARA:
Io odiavo la mia casa,
quella che mi ero trovata qui
in città.
Ma non l’ho mai cambiata,
da quando avevo dato l’indirizzo al professore,
se l’avessi cambiata
non mi avrebbe potuto scrivere
ne sarebbe potuto venire a trovarmi.
Per dirmi
che si era ricordato di me,
che in verità non mi aveva mai dimenticata.
Io, in casa mia, avevo freddo.


CARLA:
la mia casa era deliziosa,
io e il mio uomo non avevamo figli.
Né io né lui ne volevamo,
certe cose non si devono fare,
ma scherziamo?
Mettere al mondo un figlio?
La gente
dovrebbe perderlo il coraggio di fare una cosa simile,
i figli non si devono fare!
Altrimenti questa merda di mondo non finirà mai.
Ed è ora che finisca!
CLARA:
Una sera
ricevetti una sua lettera,
dal professore, intendo.
Sarebbe venuto a trovarmi la sera seguente.
"Come potevo scordare quel giorno sotto gli ulivi",
mi scrisse.
Chiamai subito Andrea
per dirgli che l’indomani sarebbe dovuto venire a casa
perché lo avrebbe conosciuto.
Finalmente,
suo padre.
Andrea venne,
il professore tardò
e lui iniziò a bere
mio Dio
che notte,
il professore non arrivò mai
e Andrea bevve
senza mai fermarsi
fino al giorno dopo
fino a che si vomitò lo stomaco.
È così
si vive
si muore
non cambierà
mai niente.
CARLA:
La vita però
può riservarti sorprese che neanche te le immagini,
la vita può essere bella
basta solamente essere predisposti
ai buoni influssi del tempo,
una specie di…
teologia meteorologica

(gesticola come se con le mani disegnasse dei cerchi)

o causalità degli eventi
con calcolo degli effetti
una specie di superstizione geometrica
un teorema provvidenziale 
condito da probabilità
e un pizzico di…come dire…
puerile stupore!

(beve)

CLARA:
Andare avanti non è facile,
ogni cosa ti tiene stretta,
anche la più misera
prima o poi
diventa un impegno
da portare avanti
sono le idee
che non ti fanno andare avanti
vivono come un cancro 
in una parte del cervello
l’altra parte, invece,
ti dice che devi dimenticare
nonostante tutto,
ti dici che ancora non sei morta
e che per morire c’è ancora tempo,
avanti
avanti…

(beve)

CARLA:
tutte vogliono essere puttane!
Ma in poche possono permetterselo,
donare la propria carne
per soddisfare bisogni personali e altrui
è la sublimazione della soggettività e dell’obiettività
è la metamorfosi del proprio ego
in una multi personalità sistematica e lineare,
la conoscenza carnale
astrae il nostro bisogno di stare assieme
di possedersi
non so se mi spiego,
ma quello che posso dire
è che tutto si limita ad una pallida e piacevole illusione,
niente di più,
fortunatamente
niente di più.
CLARA:
gli uomini
servono solo a riempire i nostri corpi 
di fallica mascolinità.
Non è altro che comunissima droga
nel vero senso del termine.
CARLA:
E poi…
L’uomo con carica ad interim,
una spietata e passionale voglia di credere
e di crederci a tutti i costi,
di incestuoso amore paterno
e gite la domenica verso il mare.
Proprietà privata
e domestica cura della propria esistenza.
Una cosmesi spirituale,
se così si può dire.
CLARA:
l’uomo per sempre.
L’amore per tutta la vita.
Il matrimonio è il massimo,
non si può crescere un figlio senza un uomo,
poi finisci per vomitarti lo stomaco
e non ti accorgi nemmeno che qualcuno c’era
pronto ad amarti,
qualcuno che è tutta la vita che aspetta di dare il suo amore,
io avevo davvero amore da offrire,
ma nessuno lo ha mai voluto.
CARLA:
L’amore,
non è altro che una droga dello spirito,
una tossico dipendenza
niente di più,
quasi una malattia patologica.
Bisogna
riuscire a vivere
se proprio ci si sente in grado di farlo
e nel momento in cui
sentiamo che stiamo perdendo il coraggio
dovremmo togliercela
la vita.
CLARA:
La verità
è che nella mia vita non ho mai riso.
CARLA:
Quando si ride si intravede una speranza amica mia .
CLARA:
io sono ancora piccola,
il mio corpo è cambiato,
ma a me non è cambiato mai niente,
la mia vita non è mai cambiata
tutto è rimasto sempre uguale.
CARLA:
Eppure,
qualcosa è cambiato.
CLARA:
Che vuoi dire?

CARLA:
Dai Clara,
so che ti vergogni a dirmelo,
ma non devi
anzi
alla tua età!
Non si era mai sentito prima,
Dio mio, ma perché non me ne hai parlato?
È tutto il giorno che aspetto che tu lo faccia.
CLARA:
Ma di cosa stai parlando?
CARLA:
Ma del bambino!
Non fare la scema.
È una cosa bellissima,
lo so che sei incinta.

(Clara è molto imbarazzata)

CLARA:
Non so come possa essere successo,
ho cominciato ad avere una nausea fortissima e allora…
mi sono rivolta ad un medico.
Non riuscivo a crederci,
veramente
ancora adesso faccio fatica.
CARLA:
Lo vedi
i miracoli succedono,
così
potrai prenderti cura di qualcuno
così saprai
dove infilare tutto il tuo amore.
CLARA:
Quando si è giovani
si crede di poter cambiare il mondo,
o addirittura che sarà il mondo prima o poi a cambiare.
Avrei voluto avere valigie da riempire
con abiti che non ho mai posseduto,
per andare al mare
con il figlio che non ho mai avuto.
Per me è stato tutto
Sempre troppo
Difficile.
Se almeno avessi avuto una ragione…
Se almeno avessi lottato per questo,
invece no,
mi era tutto dovuto
io non dovevo chiedere
tutto succedeva da sé
senza che io potessi farci niente.

(Entra un uomo, probabilmente il padrone di casa, ha una valigia in mano, Carla lo saluta con un cenno veloce, Clara non se ne accorge nemmeno e continua a parlare.)

Cosa ci fa allora un bambino dentro di me?
Sono stata… scopata
sì…s c o p a t a, una volta
e da lì è venuto fuori Andrea,
non ci sono state altre volte,
non ci sono state!
Non riesco a capire,
se almeno avessi visto un angelo,
partorirei un secondo Cristo?

CARLA:
Non dire assurdità, c’è il padrone.

CARLO:

(parla con un accento straniero)

Lasci stare.

(verso Clara, Carla cerca di nascondere goffamente i bicchieri)

Mi perdoni se posso sembrarle invadente, ma…
da quanto ho capito lei è incinta,
mi scusi se sono sfacciato, ma mi chiedevo come
faccia ad ignorare le cause, 
come dire,
di questa gravidanza,
anche se, senza offesa,
sembrano improbabili anche a me.

(silenzio)

Una notte, quando ero piccolo, feci un sogno su questo posto,
un posto proprio come questo,
stessi mobili
stessa carta da parati
e stesso odore,
da quel giorno capii che non potevo essere eterno,
che prima o poi
il mio cuore
avrebbe smesso di battere,
possedevo un futuro
che nell’attimo in cui lo nominavo,
capivo che era già diventato passato.
Ero terrorizzato.

CARLA:
ci pensate se in realtà le vite fossero due?
Due vite parallele,
cioè:
noi quando al mattino, in questa vita, apriamo gli occhi,
nell’altra vita li stiamo chiudendo.
I sogni non esisterebbero,
sarebbero solo due realtà inconsapevoli l’una dell’altra.
L’anarchia!
Magari quando aprirò gli occhi nell’altra realtà
mi troverò in una villa bellissima
e guardandomi allo specchio
vedrò che sono giovane e bellissima anch’io,
avrò un marito che mi avrà preparato la colazione,

cornetto,
anzi tre cornetti,
due cappuccini e un caffè,
il caffè è di mio marito, lui non digerisce il latte,
i due cappuccini sono uno per me
e l’altro
per mio figlio.
CLARA:
Hai un figlio nell’altra vita?
Tu?
Che non vuoi avere figli?
E anche un marito,
che non digerisce il latte?
Ma si muore anche dall’altra parte?
E un Dio? C’è un Dio anche nell’altra vita?
E se dall’altra parte fossi mussulmana?
CARLO:
Morire,
morire,
morire,
svegliarsi e morire,
siamo tutti puttane di fronte alla morte,
prima di ogni alba, al mattino,
tra i resti del giorno prima…
una canzone rock direbbe che la vita è una malattia incurabile.

(pausa)

Il mio sogno terminava con una donna in cinta,
seduta nel mio salotto,
era così bello:
una casa, una donna, un bambino, un marito,
una somma matematica così miseramente borghese.
Ma in fondo
è questo
quello che volevamo,
l’opportunità di possedere qualcosa.
Io ho,
tu hai,
egli ha,
questa è la vita.
Io sono invecchiato molto presto,
voi lo sapete bene,
non ho avuto il tempo di amare nessuno,
o se l’ho fatto,
non ho avuto tempo per dirlo.

CLARA:
[grida]

Avrei voluto essere felice.



CARLO:

(voce alta)

Io
ti ho amata!
Davvero, io ti ho amata davvero!
Ma non ho avuto il tempo per dirtelo,
non ho mai avuto niente,
neanche le parole,
solo disprezzo.
Non sono mai stato un poeta,
non so suonare il pianoforte,
sapevo solo bere,
bere,
bere,
ma ti ho voluto bene.
Mamma.

( si sente squillare forte il telefono, i corpi di Carlo e Carla, cadono a terra come morti, Clara sembra risvegliarsi improvvisamente da un sogno, il telefono continua a squillare, lei si riordina i capelli, trascina i due corpi sul divano , il telefono tace, silenzio…)

CLARA:
che dite preparo un tè?
Vi va un tè?
Sono così stanca,
mio Dio, mi sembra di lavorare da tutta una vita.
Però che bello avervi qui,
di solito mi sento sempre così sola,
oggi ci sei addirittura tu figlio mio,
ora che sei diventato un attore importante credevo ti fossi dimenticato di me.
Che bello avervi qui!
Mio figlio
e la mia migliore amica.
Siete sicuri di non volere nemmeno un caffè?

(sotto la camicetta di Clara si intravede un cuscino messo apposta da lei per simulare la gravidanza.)

Ehi!

(si tocca il pancione)

Già scalcia il mio piccolo marmocchio,
dai stai buono che ora arriva il papà,
ora arriva,
non ti preoccupare,
il papà non ritarda mai, arriva sempre puntuale
per tornare da noi.
La sua famiglia.
Eccolo, dev’essere lui.

(Si abbassano le luci fino al buio, un unico fascio di luce arriva dalla porta con una grande sagoma di uomo.)

Bentornato a casa,
amore mio.

(Buio)

(parte una canzone –wild is the wind- / al lato estremo sistro c’è la ragazza dell’inizio illuminata sul volto da un filo di luce che con voce squillante canta sulle parole della canzone…)

(al temine della canzone, si riaccende nel salotto una luce soffusa, si sente il borbottare di una televisione, su una delle due poltrone c’è una donna, Clara, ha al braccio una flebo, e sulle gambe, allungate su un poggia piedi, ha una coperta.
Per un po’ non succede nulla, Clara dorme, entra una donna vestita da infermiera, è Carla.)


CARLA:
Signora Clara?
Ci svegliamo?
Quanto dorme questa signora…

(Clara tira un po’ su la testa)

Pensavo si fosse addormentata di nuovo.
Cosa dice il telegiornale?
Le solite cattive notizie immagino…

(prepara un iniezione)

Extracomunitari che sbarcano, negri che stuprano, mussulmani che minacciano e americani che bombardano…
La solita roba,
niente di nuovo.
E il nostro paese non sa bene che pesci pigliare.
CLARA:
L’Italia è un paese magico,
dove sta al governo chi invece dovrebbe stare in galera.

(Clara parla lentamente e con fatica)

CARLA:
Già,
vuole che apra un po’ la finestra?
Oggi è una bella giornata,
fuori c’è un sole!
Ci sono giornate del genere in cui è facile che ci si innamori,
a me è successo,
anni fa,
pensavo di aver trovato l’uomo della mia vita…

(ride)

era una mattina di maggio,
io ero seduta su una panchina, nel parco,
leggevo un libro…
CLARA:
Che libro era?
CARLA:
Non mi ricordo, era su una filosofia orientale,
quei libri che parlano delle città d’oriente,
quelli che ti descrivono talmente bene le città d’oriente
che tu 
quasi riesci a sentirne il profumo,
di incenso e gelsomino…
Insomma,
ero seduta su questa panchina,
all’improvviso si siede un uomo,
accanto a me.
Io non lo guardai nemmeno,
fu lui a chiedermi che libro stessi leggendo.
Aveva una voce calda
e due occhi pieni di…
CLARA:
pieni di voglia di scoparti!
E questo è amore?
Non ti vergogni a raccontare certe cose?
Certe giornate di sole non dovrebbero esistere.

CARLA:
Che modi,
volevo solo scambiare due parole.
Con lei.
CLARA:
Io sto morendo.
Non riesco a mangiare,
non riesco a bere,
non posso andare al bagno da sola,
la notte non respiro,
e anche quando ho gli occhi chiusi non posso dormire.
CARLA:
perché dice questo?
Lei ha ancora un bel po’ di vita davanti,
non se la sprechi,
approfitti di questi giorni per rilassarsi e provi a dimenticare le sfortune che le sono capitate.
Lei è una bellissima donna,
per fortuna suo fratello si è accorto,
come dire,
che lei stava male,
e l’ha portata subito qui.
Lo sa che quando uscirà da qui, potrà andare a vivere con suo fratello?
Mi ha detto che le ha comprato un appartamentino proprio accanto al suo, così non starà mai più sola.
Ce l’avessimo tutti un fratello come il suo.
CLARA:
L’unica cosa che ho imparato nella mia vita è stata stare da sola.
Non ho bisogno di nessuno,
non c’è bisogno che qualcuno si disturbi per me,
ora.

(Nella stanza entra Carlo, il fratello)


CARLO:
Buongiorno!
Avete visto che bella giornata?
Come sta la mia sorellona?
CARLA:
Ha visto?
È arrivato suo fratello,
ciao Carlo, come stai?
CARLO:
bene,
bene grazie,
sono solo un po’ stanco, 
lo spettacolo che sto facendo a teatro è molto impegnativo
e difficile…
CARLA:
Deve essere bellissimo fare l’attore,
bisogna essere portati,
io non sarei mai capace a fare l’attrice.
Ma guarda!

(verso Clara)

si è addormentata,
è stanca,
è tutta la notte che guarda la televisione.

(parlano a bassa voce)

CARLO:
senta va meglio?
Come crede che stia?
CARLA:
è un po’ debilitata, ma è normale,
insomma,
nelle condizioni con cui ce l’ha portata due mesi fa…
le infezioni all’apparato genitale sono scomparse del tutto,
è rimasta solo qualche cicatrice,
il peggio è passato.
CARLO:
come cicatrice?
Che cicatrici?
CARLA:
Non ricorda?
La notte che la portò in ospedale,
scoprimmo subito che aveva la vagina cucita,
e lo aveva fatto da sola,
ma non le dissero niente?
CARLO:

(sconvolto)

Non ci posso credere
CARLA:
nel sonno parlava di un bambino che aveva dentro di sé,
che non voleva fare uscire,
la cosa strana è che in effetti
nel suo ventre
hanno riscontrato tracce di un aborto.
CARLO:
Mio Dio.
CARLA:
ne deve aver passate questa donna,
per arrivare a fare una cosa del genere.
CARLO:
posso rimanere un po’ solo con lei?
CARLA:
ma sì, certamente, esco subito.

(Carla esce, Carlo si siede davanti a Clara)

CARLO:
Sono arrivato troppo tardi,
vero?
Non parlo di oggi,
parlo di tutta la vita.
La vita che doveva essere nostra,
ma che non ci è mai appartenuta.
Né a me
né a te.
I tuoi occhi si sono chiusi,
il tuo sonno odora di morte.
Io vivo la mia morte
ed ora osservo la tua.
Non ho nessun diritto.
Arriva un momento in cui la morte è l’unica soluzione
per far sapere al mondo che anche noi eravamo vivi.

(pausa)

Io non ti ho mai amata,
fuggivo da te perché non ti amavo,
come potevi credere
che ti avrei amata
solo perché un giorno, sotto agli ulivi,
facemmo l’amore,
io non ti ho chiesto di innamorarti di me.
Hai fatto tutto da sola,
e poi un figlio,
ero giovane,
andavo all’università,
e da un giorno all’altro
mi sono ritrovato con un figlio
e con una donna da dover amare.
Io non volevo,
non volevo una casa,
non volevo una moglie…
ora sono solo.
Mio figlio,
è morto per colpa mia,
tu
stai morendo per colpa mia.
È alto il prezzo che si paga,
solo per aver voluto fare l’amore.
Anch’io sto pagando,
anch’io!
Due mesi fa, decisi di andare all’indirizzo che mi diedi quel giorno davanti all’università,
non potevo crederci,
vivevi ancora lì,
trovai lettere di Andrea, 
e a te, lo sai come ti ho trovata.
Fingere di essere tuo fratello per portarti in clinica non è stato difficile,
i soldi bastano a sedare i dubbi.
Scommetto che tu hai capito chi fossi,
ma non hai detto nulla.
Ora sono solo, non ho nessuno.
Ho solo i fantasmi di una vita che avrei potuto vivere.
Rottami di una vita che non è mai esistita,
ma di cui ne pago il prezzo.
Io stesso,
sono esistito solo nella tua testa,
quando sognavi di vedermi rientrare a casa
e di dirmi:
bentornato a casa,
amore mio.

(Buio)

(musica……la musica si attenua con la riaccesa progressiva delle luci, il salotto ora è tutto illuminato e ci troviamo al centro di una discussione allegra.)
(Carla sta stappando una bottiglia di champagne, ha invitato a cena Carlo e Clara che sono marito e moglie.)

CARLA:
Però 
che bello ritrovarsi dopo tanto tempo.
Sono felice
di essere stasera con voi,
i miei più cari amici.

CLARA:
Anch’io sono felicissima,
tu non ti fai mai sentire,
sei sempre così indaffarata.

CARLO:
già ,
se non esistessero queste feste…
CARLA:
lo sapete, sono fatta così.
ma non parliamo di me,
a proposto, come sta quel mascalzone di tuo figlio?

CLARA:
benissimo,
si è messo in testa di fare l’attore,
è anche bravino, lo abbiamo visto recitare due sere fa,
ti giuro che siamo rimasti a bocca aperta.
Farà strada
ha tutte le carte in regola per avere successo.

CARLO:
si è anche commossa, la mamma…
CARLA:
E chi ci pensava che sarebbe diventato un attore.
CARLO:
Già, chi ci pensava…
CLARA:
come vedi lui non è molto d’accordo.
CARLO:
Ma no, che dici.
CARLA:
E voi due?
Come va?
Raccontatemi di voi due.

CLARA:
A proposito di noi due,
l’altra notte ho fatto un sogno stranissimo, 
ve lo devo raccontare:
ho sognato che aspettavo un figlio,
ma intanto succedevano delle cose allucinanti,
non ricordo bene, ma
avevo perso tutto
il lavoro
la casa,
i soldi
e nel momento in cui realizzavo tutto questo,

(verso Carlo)

mi accorgevo di non avere mai avuto neanche te.
Noi due non eravamo mai stati sposati,
anzi
tu mi avevi abbandonata molti anni prima,
ora non ricordo il motivo, ma
anche nostro figlio
era come morto,
si era avvelenato
o una cosa del genere.

(verso Carla)

Anche tu c’eri nel sogno,
ma di te ne ricordo solo la presenza…
CARLO:
Mentre di me l’assenza.
CLARA:
Sì, ero sola. 
Tu te ne eri andato.
CARLO:
Finito un amore se ne fa un altro.
CARLA:
Quando finisce un amore
bisogna inventarsi un’altra vita.
Non sempre è facile.
CLARA:
Ma in realtà
l’amore non c’era mai stato,
non era mai iniziato nulla fra di noi,
se non nella mia testa,
amavo un fantasma.
CARLA:
allora la cosa è più complicata.
Quando si ama una cosa che esiste solo nella nostra testa,
bisogna cambiare vita,
nome,
identità,
bisogna sparire,
se se ne vuole uscire vivi.

CLARA:
Era così assurdo,
vivevo una vita che non era la mia,
ma che non potevo cambiare.

(pausa)

Ma lasciamo perdere,
e tu?
A proposito di amore,
lo senti ancora quello spagnolo?
CARLA:
Ma chi?
L’avvocato di Madrid?
No, non ci sentiamo più da mesi.
Però,
l’altro giorno,
mi è successa una cosa pazzesca:
mi sono sentita una sedicenne,
era una giornata splendida
e io stavo leggendo un libro nel parco.
All’improvviso mi accorgo che accanto a me
si era seduto un uomo bellissimo…
Lui mi dice:
Che libro stai leggendo?
Che volete che vi dica…un vero e proprio colpo di fulmine.
CARLO:
un nuovo principe azzurro
CLARA:
potevi invitarlo.

CARLA:
ma no, è molto impegnato.
CLARA:
che libro stavi leggendo?
CARLO:
ma che domande fai?
CARLA:
NO aspetta, me lo ricordo,
era un saggio sulle filosofie orientali…perché ti interessa?
CLARA:
curiosità.

(Fanno un brindisi)


CARLO:
All’amore!

(bevono)

Tutto è bene quel che finisce bene.

(Buio/musica)
(la musica sfuma, si accendono lentamente le luci, sulla scena ci sono di nuovo i due ragazzi dell’inizio, lei guarda fuori dalla finestra, lui si versa da bere.)

LUI:
come stai?
LEI:
Come sempre, forse meglio di sempre.
LUI:
…sempre, un’unità temporale indefinita.
LEI:
Sì, come te.
LUI:
come tutti, purtroppo.
LEI:
no, io sono diversa.
LUI:
sì, cero.
LEI:
Che fai? Mi prendi in giro?
LUI:
TU lo dici.

LEI:
Ecco, ora mi sento peggio.
LUI:
peggio rispetto a cosa?

LEI:
peggio rispetto a quando, vorresti dire.

LUI:
a un attimo fa, forse prima sono stato felice.
LEI:
Quella era la mia battuta.

LUI:
che importanza fa?
LEI:
rischiamo di confonderci.
LUI:
sarebbe un passo avanti.

LEI:
No, tre da gambero.

(fa tre saltelli indietro)

LUI:
e due da formichina.

(lei fa due passetti avanti.)
(Ridono per un attimo)

LEI:
che malinconia.
LUI:
cosa?
LEI:
I giochi, l’infanzia, insomma, il “come eravamo”.

LUI:
Sì, e il come ci siamo ridotti.

LEI:
come siamo arrivati a questo punto?
LUI:
Non essere così affrettata.
LEI:
Ok. Che tempo fa?
LUI:
Bello, è una splendida giornata.

LEI:
Non è vero, sta piovendo, il cielo è nero di nuvole nere.
LUI:
allora perché me lo chiedi?
LEI:
Volevo che tu mi illudessi.

LUI:
L’ho fatto.
LEI:

LUI:
e allora?
LEI:
non era quello che volevo.
LUI:
e cosa volevi?
LEI:
non è più importante,
ora importa cosa voglio adesso.
LUI:
egoista.
LEI:
sei tu che non fai che pensare a te stesso.
LUI:
è diverso, io non faccio altro che pensare, ma non so a cosa penso.

LEI:
è impensabile pensare di pensare non pensando.
LUI:
già, come va il lavoro?
LEI:
Noioso, come al solito, e quindi faticoso.
LUI:
pensavo ti piacesse fare l’attrice.
LEI:
lo pensavo anch’io, ma come vedi non è così.

LUI:
ci si annoia?

LEI:
tremendamente.

(silenzio)

LEI:
E a te come va il lavoro?
LUI:
Il solito, solitamente ci si annoia, di solito non cambia mai nulla.

LEI:
Solitamente vado al cinema, di solito leggo un libro
e al ristorante ordino sempre il solito.
LUI:
che c’entra ?
LEI:
Di solito il solito c’entra sempre.

(ridono per un attimo)

LUI:
perché ti sei tinta i capelli?
LEI:
piacciono al regista.
LUI:
sei diventata una mignotta?
LEI:
ci si nasce non ci si diventa.
LUI:
cosa?
LEI:
lasciamo stare, ormai è tardi, devo lasciare il paese…
LUI:
sei impazzita?
LEI:
no è la battuta preferita del regista.
LUI:
e allora?


LEI:
dice che questi capelli sono più adatti per dire questa battuta.
LUI:
Fammi vedere
LEI:

(recita enfatizzando)

Lasciamo stare, ormai è tardi, devo lasciare il paese.
LUI:
Non fa effetto.

LEI
immaginavo.
LUI:
Non che tu non sia brava.
LEI:
appunto.
LUI:
ma le regie noir non mi sono mai piaciute.
LEI:
Oh a me sì.
LUI:
la vita è un’altra cosa.
LEI:
ma è solo per finta, e solo per una volta,
e dai, amore.

LUI:
Non devi chiamarmi amore,
sembriamo una di quelle stupide coppiette
dei telefilm americani.

LEI:
Ma noi non siamo stupidi,
credo,
né tantomeno americani.

LUI:
per fortuna no.
LEI:
almeno questo.
LUI:
già.
LEI:
non ce la fai proprio ad essere felice?
LUI:
ci provo.
LEI:
ci sei mai riuscito?

LUI:
e tu?

LEI:

LUI:
e quando?
LEI:
quella sera che tornammo dall’opera,
qualche mese fa.
LUI:
era un giorno di pioggia come questo.
LEI:
quella sera eri pieno di attenzioni per me.
LUI:
tu eri bellissima.
LEI:
anche tu,
il mio uomo,
eri davvero mio.

Si abbassano le luci, i due ragazzi si fanno da parte sul lato sinistro, sul lato destro entra una coppia (sono quelli che interpretavano Carlo e Clara, ora hanno i nomi veri degli attori che porteranno in scena questo testo, io per comodità li chiamerò LAURA e MICHELE.) sono marito e moglie, si sentono per un po’ i rumori del temporale, stanno rientrando a casa dall’Opera, lei canta, lui sorride
(le luci illuminano solo la parte della scena in cui si svolge l’azione:
a sinistra, se a parlare sono i ragazzi, a destra se a parlare sono Laura e Michele.


LAURA:
Adoro l’Opera,
quell’atmosfera magica di un’altra epoca.
Le voci che risuonano nell’oro, e quei costumi, hai visto che belli?
MICHELE:
sì, erano bellissimi,
ma tu eri molto più bella.
Che fai arrossisci ?
LAURA:
Ma no, che dici.
Stupido, ti va un caffè?
Anzi no,
ce lo facciamo un bicchierino?
Dovremmo avere del cognac da qualche parte,
ti va?

MICHELE:
ma sì.
Perché no.
LAURA:
facciamo un brindisi.

(si versano da bere.)

A noi,
alla nostra felicità,
visto che si dice che i momenti di felicità scorrano via sotto la nostra indifferenza,
immortaliamoli con un bel brindisi.
MICHELE:
cin!
LAURA:
cin!

(rimangono immobili)

(luci su Lui e Lei)

LUI:
Forse essere felici vuol dire rendersi ridicoli.
Esserlo,
almeno per un attimo.

LEI:
Solo i bambini possono essere felici.
LUI:
è l’abitudine che fa diventare grandi.
LEI:
semmai ci fa diventare vecchi.
LUI:
sì, vecchi,
tu avevi paura di invecchiare.
LEI:
sono le tette grosse che mantengono viva una relazione.

LUI:
sei subito volgare.
LEI:
La realtà è volgare,
e quando si parla di realtà
si diventa volgari.
LUI:
l’amore è un’altra cosa.

(luci su Laura e Michele)

LAURA:
com’è forte questo cognac!
MICHELE:
Dovresti smetterla di bere.
LAURA:
E perché?
MICHELE:
Ma semplicemente perché ti fa male.

LAURA:
sentiamo, che ne sai tu di cosa mi fa bene e cosa mi fa male?
MICHELE:
Che vuoi dire?

LAURA:
che non ti devi preoccupare di me,
voglio dire non così,
non sono un monumento da salvaguardare…
MICHELE:
Non intendevo questo…
LAURA:
Invece sì
MICHELE:
Fai come vuoi,
certo che devi rovinare sempre tutto.
LAURA:
Ma cosa ho rovinato,
cosa?
MICHELE:
la tua aggressività
è insopportabile.
LAURA:
è diverso,
non riusciamo ad essere felici.
MICHELE:
Che novità,
questo lo sapevamo già.
LAURA:
E da quant’è che lo sapevi?
MICHELE:
Non so, è una sensazione, che si avverte.
LAURA:
Potevi dirmelo,
sarebbero cambiate molte cose.
MICHELE:
Prima credo di essere stato felice.
LAURA:
al brindisi?

MICHELE:
Il calcolo delle unità spazio temporali non è mai stato il mio forte.
LAURA:
sei distratto.
MICHELE:
che vuoi dire con:
sarebbero cambiate molte cose?
LAURA:
Non lo so, 
ancora non lo so.
MICHELE:
Che vuol dire ancora non lo so?
LAURA:
tu saresti felice con un’altra donna?
MICHELE:
e tu lo saresti con un altro uomo?

(Luci su Lui e Lei)

LEI:
Perché non riusciamo ad essere sinceri?
LUI:
Perché non sappiamo cosa vogliamo da noi e dagli altri.
LEI:
Perché è difficile cambiare, lasciare tutto…
LUI:
Perché una cosa, una volta ottenuta, è nostra.
LEI:
Ma io non sono una cosa.
LUI:
e io non sono quello che volevi.

(luci su Laura e Michele)

MICHELE:
tu ti annoi mai?

LAURA:
è normale.
MICHELE:
No,
da giovane pensavo fosse una mostruosità.
LAURA:
cosa?
MICHELE:
annoiarsi.
LAURA:
Quando si è giovani si pensa di poter cambiare il mondo,
o addirittura
che sarà proprio il mondo,
prima o poi,
a cambiare.
MICHELE:
E poi che succede?
LAURA:
che vuoi sapere?
MICHELE:
Quando è stato il momento esatto
in cui abbiamo perso l’entusiasmo?
LAURA:
Non lo so.
MICHELE:
Tu sogni?
LAURA:
sì, certo.
MICHELE:
Sogni in bianco e nero o a colori?
LAURA:
a colori, che c’entra?
MICHELE:
Curiosità.

LAURA:
e tu?
MICHELE:
Io in bianco e nero.
LAURA:
Neorealista!
MICHELE:
Una cosa del genere.

(silenzio)


LAURA:
Mi prometti di essere sincero?
MICHELE:
Perché ridi?
Non è un gioco essere sinceri.
LAURA:
Ecco, mi blocchi.
MICHELE:
Non essere ridicola, vai avanti.
LAURA:
Prometti di non mentire?

MICHELE:
Che vuoi sapere?
LAURA:
Te lo dico solo se prometti di non mentire.
MICHELE:
Perché insisti tanto?
LAURA:
Perché so quanto sia difficile.

MICHELE:
Cosa?

LAURA:
Essere sinceri.
MICHELE:
Prometto.
LAURA:
Hai mai sognato di scopare con un’altra donna?

(Luci su Lui e Lei)

LUI:
Il desiderio non può durare per sempre, non è una colpa.
LEI:
Essere dei porci è una colpa, eccome!
LUI:
Succede, non puoi farci nulla.
LEI:
Come si può continuare?
LUI:
Non ne ho idea, 

LEI:
Non esistono terapie.

(Luci su Laura e Michele.)


MICHELE:
Sì.
È successo.
LAURA:
Proprio scopare?
E me lo dici così?
MICHELE:
Me lo hai chiesto tu.
LAURA:
non posso pensare che tu nel nostro letto con me accanto
sognavi di farti chissà quale …troia!
MICHELE:
Ma che vuoi da me?
Hai cominciato tu
tu e i tuoi stupidi giochi.

LAURA:
Essere sinceri non è un gioco,
l’hai detto tu.
MICHELE:
E allora?
LAURA:
Potevi mentire.
MICHELE:
Me lo hai chiesto tu di non mentire.
LAURA:
Sì,
ma tu avresti potuto mentire lo stesso.
MICHELE:
Lo avresti preferito?
LAURA:
Non lo avrei mai saputo.
MICHELE:
Non ho mai sognato di farmi un’altra donna.
LAURA:
troppo tardi.
MICHELE:
non è questo quello che volevi?
LAURA:
No!
Ora importa quello che voglio adesso.
MICHELE:
egoista.
LAURA:
Sei tu che non fai che pensare a te stesso.

MICHELE:
Tu non mi parli mai di te.
LAURA:
Che vuoi che ti dica?
MICHELE:
come va il lavoro?

LAURA:
Male,
non sopporto il pubblico,
tutte quelle facce di merda, odio la gente,
odio le famiglie,
odio i padri e le loro mogli, i figli e le loro lotte,
odio la loro miseria, comune.
Subire i loro applausi mi mangia l’anima.
Gli applausi di chi vuol farti capire che ha apprezzato il tuo lavoro,
e nelle loro teste pensano:
Ma che è un lavoro quello?
Fare l’attrice, ah ah ,
semmai è un Hobby.
Ma intendiamoci,
odio anche la sentita partecipazione di quelli che credono negli artisti,
nell’opera e nella rappresentazione.
Ma , in fondo, se mi facessi scopare da venti camionisti a piazza S.Pietro, sarei solo una matta blasfema alla quale nessuno chiederebbe mai:
Perché l’hai fatto?
MICHELE:
Per il resto?
LAURA:
per il resto tutto bene, lo spettacolo è molto bello, sono tre frammenti, non si capisce bene se veri o solo sognati, della vita di una donna, abbandonata dall’uomo e con un figlio alcolizzato suicida…
MICHELE:
allegro!

LAURA:
ma poi, la stessa donna la vedrai felicemente sposata…
realtà e finzione, più o meno la solita roba,
ma il regista ha reso molto bene il testo.
MICHELE:
è frocio?
LAURA:
Chi?
MICHELE:
Il regista.
LAURA:
Naturalmente.
Ma l’autore no.
MICHELE:
Che vuoi dire?

LAURA:
Che all’autore piacciono le donne.
MICHELE:
Quelle come te?
LAURA:
Probabile.

MICHELE:
E come l’hai capito,
che ti ha fatto?
LAURA:
Calma, calma,
stavo solo scherzando.
MICHELE:
Ora tocca a te essere sincera.
LAURA:
allora lo vedi che è un gioco ?
MICHELE:
Sì,
un gioco al massacro.
LAURA:
Vuoi giocare?
MICHELE:
Sì, ma…
Cosa si vince?
E cosa si perde?

(luci su Lui e Lei)

LUI:
Io sarei disposto a perdere la vita.

(luci su Laura e Michele)

MICHELE:
La vita,
sono disposto a perdere la vita.

(silenzio)

LAURA:
Mi ha baciata.
Ora non me ne importa più nulla, ma…
In quel momento è stato bello,
lo avevo desiderato,
per me è stata come una palestra per il cuore,
per non farlo avvizzire del tutto.
Subito dopo non lo volevo più,
volevo te,
ebbi la certezza che solo per te avrei fatto di tutto nella mia vita.

MICHELE:
Stai zitta.
LAURA:
cerca di capire

MICHELE:
(urla)
Stai zitta!

(silenzio, Michele si siede)

LAURA:
posso toccarti?

(Michele non risponde, Laura gli prende le mani tra le sue mani)

Le tue mani.

MICHELE:
sono sempre le stesse.
LAURA:
Io amo queste mani,
grandi,
forti.
Michele?

MICHELE:
cosa vuoi?
LAURA:
Me le metti tra i capelli?

MICHELE:
Perché?
LAURA:
Non ti piacciono più i miei capelli?
MICHELE:
Mi piacciono da morire i tuoi capelli.
LAURA:
Toccami i capelli ti prego.
Ecco così.

( Laura si siede sulle ginocchia di Michele)

LAURA:
fai fatica?
MICHELE:
a fare cosa?
LAURA:
a parlare

(intanto un fascio di luce lascia intravedere Lui e Lei che ballano un lento e si dicono delle frasi, in sottofondo c’è INDIA SONG di J.Moreau.)

MICHELE:
Sì, un po’
LUI:
Bisogna vivere d’amore, la vita senza amore fa schifo.
LAURA:
credi sia normale?
MICHELE: 
credo di sì.
LEI:
Voglio di nuovo il tuo corpo.
Voglio piangere sul tuo petto.
LAURA:
Sai una cosa?
LUI:
Il tuo profumo è il mio.
LAURA:
forse sono felice.
LEI:
sei bellissimo.
MICHELE:
finirà.
LAURA:
Cosa?
LUI:
Sarò vicino a te per sempre.
MICHELE:
questa felicità,
è un fatto momentaneo,
nient’altro.
LEI:
Sono felice.
LAURA:
Una specie di effetto collaterale?

LUI:
mi basta questo
MICHELE:
Una cosa del genere.
LAURA:
Che noia
MICHELE:
Vedi, è già finita.
LEI:
non finirà mai.
MICHELE:
Voglio stare un giorno senza di te.

(la musica sfuma, Lui e Lei, tornano al buio.)




LAURA:
è una prova o un desiderio?
MICHELE:
Una necessità,
credo.
LAURA:
e cosa credi di ottenere?
MICHELE:
Voglio provare a stare un giorno senza di te, punto.
Un giorno come se ci fossimo lasciati,
torneremo solo quando ne sentiremo il bisogno.
LAURA:
e se questo non succede?
MICHELE:
è un rischio che dobbiamo correre.
LAURA:
Anche questo è un gioco?
MICHELE:
No, credo di no.

(Michele si alza e si va a sedere sulla poltrona di sinistra, Laura su quella di destra. In piedi dietro Michele c’è Lui, e dietro Laura c’è Lei.
Le due coppie (LUI/Michele e LEI/Laura) parlano tra loro senza interagire l’una con l’altra)

MICHELE:
da giovane sognavo una vita felice.

LUI:
è così impossibile?
LAURA:
tu che ne pensi?
LEI:
Non so cosa pensare.
LUI:
non posso pensare che non esista scampo.


LAURA:
Dovrai pur pensare a qualcosa?
LEI
Ho cercato di trovare una soluzione.

MICHELE:
L’amore per esempio.
LUI:
cioè?
LAURA:
ma tu sei giovane…

LEI:
e allora?
MICHELE:
col tempo passa tutto.
LAURA:
mi trovi invecchiata?

MICHELE:
tua madre non mi ama più.
LEI:
NO mamma, sei bellissima.
LUI:
perché sei invecchiato?
MICHELE: 
succede.

LEI:
non bisogna invecchiare.
MICHELE:
tu sei felice?
LUI:
non ne sono sicuro.
LEI:
bello scherzo ci avete fatto.
LAURA:
Cioè?



LEI:
Metterci al mondo,
non capisco come si possa avere il coraggio di farlo.
LAURA:
ma lo sai che hai appena detto una frase del mio nuovo spettacolo?
LUI:
io non avrò mai una famiglia.
LEI:
da piccola disegnavo sempre torri e torri.
LAURA: 
che c’entra?

LEI:
non so, può significare una predisposizione al costruire…

MICHELE:
Sono scelte che si fanno.
LEI:
oppure un simbolo fallico.
LAURA:
perversa!

LEI:
gli artisti sono tutte puttane.
MICHELE:
che tempo fa?
LUI:
bello, le nuvole sono andate via…definitivamente.
LEI:
voglio uscire un po’, non sopporto più di stare al chiuso.
LAURA:
hai ragione, si soffoca.
LUI:
questa sera vado a vedere la mamma a teatro, vieni?
MICHELE:
No, le regie noir non mi sono mai piaciute.

LAURA:
Vieni questa sera?

LEI:
come posso perdermi una tua performance?
LUI:
posso farti una domanda?
MICHELE:
certo.
LUI:
ma non hai proprio mai più rivisto la mamma?

MICHELE:
no.
LEI:
mamma?
LAURA:
sii?
LEI:
ci pensi mai a papà?
LUI:
e non ti manca?


(buio/musica/sipario)

Il sipario si riapre, sulla scena c’è Laura(sotto un fascio di luce) che si inchina verso il pubblico ,che probabilmente sta applaudendo, ma all’improvviso delle luci mostrano che sul fondo della scena ci sono seduti LUI, LEI, MICHELE .
In scena entra CARLA (siamo quindi al termine dello spettacolo che avete letto prima)

Carla fa un inchino e dal fondo…

LUI:
la mamma è stata bravissima.
LEI:
hai fatto bene a venire papà, non potevi perderlo.

MICHELE:
Chissà che ne dirà il pubblico.

Sipario.

Fine.