TURBINE

Atto unico di

Roberto Gialdi




PERSONAGGI
In un luogo non-luogo, sospesi in una dimensione senza tempo:
Amanda
Gustaffson
Il Generale / Vescovo
Karla
Franz
Due infermieri, muti
Giorgia (voce fuori scena)


Nella parte sinistra della scena, a circa tre quarti dello spazio, si trova un dondolo basculante a due posti, posizionato parallelamente alle file delle poltrone in platea. Nella parte destra, quattro cassette di legno, voltate con il fondo verso l'alto, disposte a caso.

Amanda e Gustaffson sono seduti sul dondolo e si danno le spalle: Gustaffson sul sedile di destra, Amanda su quello di sinistra.

GUSTAFFSON - Che ore sono?
AMANDA - Quasi le otto.
GUSTAFFSON - Di sera o di mattina?
AMANDA - Non lo so.
GUSTAFFSON - Ah… (Fa una pausa) Hai fame?
AMANDA - Sì.
GUSTAFFSON - Allora è sera: è ora di cena.
AMANDA - Ma io ho fame anche al mattino: potrebbe essere ora di colazione.
GUSTAFFSON - Questo è vero… (Annuisce con la testa.)
Alcuni secondi di silenzio.
AMANDA - Quanto tempo è passato?
GUSTAFFSON - E cosa ne so? Qui non si sa nemmeno se è mattina o sera…
AMANDA - Questo è vero… (annuisce con la testa.)
Da destra entra in scena il Generale: marcia battendo rumorosamente i tacchi degli stivali.
GENERALE - Scusate… Fra quanto si incomincia?
GUSTAFFSON - Non c'è un momento preciso: quando si vuole, si incomincia.
GENERALE - Bene… (Si siede sulla cassetta più vicina al pubblico.)
AMANDA (senza voltarsi verso il Generale) - Lei è un militare?
GENERALE (alzandosi sull'attenti) - Ufficiale di Sua Maestà, signora. Al suo servizio!
AMANDA - Ah, ecco: mi sembrava, in effetti. E come mai è venuto fin qui?
GENERALE - Questo, signora, a dire il vero lo ignoro.
AMANDA - Gran brutta cosa l'ignoranza, signor mio!
GENERALE - Questo è vero… (annuisce con la testa e si risiede.)
Si sente un rumore di vetri infranti. Dal fondo della scena, sulla destra, entra Karla. Karla si ferma davanti a Gustaffson, si china verso di lui e lo bacia appassionatamente sulla bocca. Poi gira intorno al dondolo e si ferma davanti ad Amanda: anche con lei si china e la bacia sulla bocca con passione, mentre con una mano le accarezza il seno.
GENERALE - Ma signora! Dico, le sembra un comportamento adeguato?
KARLA (accarezzando il viso di Amanda) - Se ti dà fastidio, dovresti evitare di guardare.
AMANDA E GUSTAFFSON (all'unisono) - Questo è vero… (annuiscono con la testa.)
KARLA (rivolta ad Amanda e Gustaffson) - Non è ancora arrivato? Eppure mi sembrava di averlo sentito…
In quel momento, dal fondo della scena, da sinistra, entra Franz: spinge un carrello del supermercato zeppo di bottiglie di birra vuote. Fischietta.
KARLA - Fantastico, Franz! Che assortimento, oggi!
FRANZ - Grazie. In effetti oggi non è andata male. E per te, Karla, amore mio, ho riservato questa meravigliosa bottiglia da mezzo litro in puro vetro verde: è tua per sole ottocento corone! Che ne dici?
KARLA - Ma sei matto? Ottocento corone sono mezzo stipendio! Te ne posso dare al massimo quattrocento…
FRANZ - Settecento!
KARLA - Seicento…
FRANZ - Affare fatto!
Karla trae da una tasca un rotolo di foglietti e li porge a Franz, che li conta.
GENERALE - Ma cosa fa, signora? Paga seicento corone per quella bottiglia? Ma non ha alcun valore, è solo spazzatura…
KARLA - E allora? Anche i miei soldi sono spazzatura, sono solo pezzi di carta straccia. È denaro falso.
GUSTAFFSON - Questo è vero… (annuisce con la testa.)
KARLA - No: non è vero, è falso.
GUSTAFFSON - Se è falso, allora è vero.
KARLA (dopo essersi fermata un momento a pensare) - Questo è vero… (annuisce con la testa.)
GENERALE - Basta, smettetela, per carità! Vero, falso, falso, vero… Che cosa è vero e che cosa è falso? Non ci capisco più niente! Questa è una gabbia di matti…
AMANDA (applaude) - Bravo! L'hai capito, finalmente…
Entrano i due infermieri: prendono il Generale sottobraccio e lo portano via.
KARLA - Credete che lo rivedremo? (Si siede su una delle cassette.)
GUSTAFFSON - Certo che sì: di quelli lì non ci si libera mai, prima o poi ritornano. Sempre…
FRANZ - Quando ero una donna…
AMANDA (interrompendo Franz) - Eri una donna?
FRANZ - Sì, ero una donna: non lo sapevi, Amanda? Quando ero una donna, dicevano che ero lesbica. Adesso, che sono un uomo, dicono che sono etero. Eppure sono sempre io, il mio cervello è sempre lo stesso e il mio cuore pure. Dov'è la verità? C'è differenza tra il prima e il dopo? Una parte di me è vera e l'altra è falsa? O sono vere entrambe? O entrambe false? O false sono le percezioni che hanno gli altri dall'esterno? E il mio amore, le mie lacrime, le mie notti insonni…
GUSTAFFSON - Sono etichette, Franz: ci vengono appiccicate e, vere o false che siano, ce le teniamo per sempre. Oppure, a volte, riusciamo a togliercele, ma pagando un prezzo sempre molto alto. Perché noi non siamo ciò che siamo, ma ciò che gli altri dicono che siamo ed esistiamo perché qualcuno dice che esistiamo, ma quando nessuno dirà più nulla di noi, quando nessuno si accorgerà più della nostra esistenza, allora sarà l'oblio.
AMANDA - Sciocchezze! Quello che dici tu, Gustaffson, è esattamente quello che "loro" vogliono farci credere: che senza di "loro" noi non esistiamo. E invece si sbagliano: noi siamo qui, con o senza di "loro" e sopravviveremo a "loro", nella memoria.
FRANZ (sedendosi sulla cassetta su cui si era seduto il Generale) - Ma "loro" chi?
AMANDA - "Loro", gli umani.
Per qualche secondo rimangono tutti in silenzio, immobili, con lo sguardo fisso a terra. Poi Karla si alza ed avvicina una delle due cassette libere a quella occupata da lei.
KARLA - Gustaffson, vieni qui, vicino a me.
GUSTAFFSON - Sai bene che è impossibile: mi è vietato muovermi da questo dondolo.
KARLA - La sai una cosa, Amanda? Comincio ad essere un po' gelosa: voi due siete sempre insieme…
AMANDA - Ma gelosa di cosa? Se non so nemmeno che faccia ha!
FRANZ - Sentite, ma voi avete mai il desiderio di andarvene da qui?
KARLA - Io sempre!
FRANZ - Anch'io. Ci sono giorni in cui vorrei volare via. E mi vedo, librarmi nel cielo senza nulla che mi freni, che mi trattenga, disegnare traiettorie impossibili, osare dove nessuno osa e raggiungere mete mai raggiunte prima, ritrovando cose che nessuno ha mai perso, creando tutto dal nulla. Ci sono giorni così, e sono i giorni in cui esisto e vivo, giorni in cui basterebbe un filo d'erba mosso dal vento per rendere tutto possibile. Ma poi mi guardo allo specchio e non vedo me stesso, ma l'altro, e allora capisco che il dominio del reale impedisce al vento di soffiare e al filo d'erba di muoversi e a me di volare via, libero. Io vivo, ma non sono reale. E questa è la mia condanna, a cui mi è impossibile rassegnarmi, contro cui mi infrango ogni giorno, ma da cui ogni giorno riparto, senza tregua, perché questa è la mia natura, questo è il mio destino.
KARLA - Io non riesco a rassegnarmi agli steccati, alle barriere, a questa prigione in cui sono costretta. Mi piacciono sia gli uomini che le donne e questo, agli occhi altrui, sembra fare di me un mostro, solo perché infrango le loro barriere, salto i loro steccati, evado dalla loro prigione. Questo è giusto, quello è sbagliato; questo è buono, quello è cattivo; questo sì, quello no: ma chi l'ha detto? Chi ha scritto questi schemi, chi li ha resi universalmente e irreversibilmente validi? Se nessuno uscisse dagli schemi, non ci sarebbe mai nessun progresso, vi pare?
GUSTAFFSON - In linea generale hai ragione: la storia dell'umanità è piena di esempi così. Tutte le grandi rivoluzioni – politiche, civili, etiche, morali – sono state fatte proprio perché si sentiva di dover abbattere le barriere, come le chiami tu, e di saltare gli steccati. Perché giusto e sbagliato, buono e cattivo non sono categorie assolute, ma relative. Però attenzione, Karla, perché il tuo discorso, che è sicuramente giusto, può diventare pericoloso: spinto alle estreme conseguenze può comportare una totale cancellazione delle regole.
KARLA - Amanda, e tu cosa mi dici?
AMANDA - Gustaffson ha ragione. Nessuno ha l'autorità per definire in assoluto che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, che cosa è buono e che cosa è cattivo. Il giusto e lo sbagliato, il buono ed il cattivo, dobbiamo individuarli da soli, nel nostro mondo relativo. Ma per fare questo occorre un grande equilibrio, proprio perché il nostro mondo, per primo, è un relativo: ciò che è giusto nel mio mondo può essere sbagliato nel tuo, ma io non posso importi nulla e tu non puoi imporre nulla a me. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio o finiremo per annientarci a vicenda. Gustaffson ed io siamo inchiodati su questo dondolo, senza mai la possibilità di guardarci negli occhi: se uno dei due si alza, l'altro cade. Solo l'equilibrio ci salva.
All'improvviso suona un telefono. Franz si alza, solleva la cassetta su cui era seduto e, da sotto, estrae un telefono da tavolo. Poi riabbassa la cassetta, si risiede e risponde.
FRANZ - Pronto…
All'altro capo del filo, risponde una voce fuori scena.
GIORGIA - Buon giorno.
FRANZ - Giorgia…
GIORGIA - L'ho lasciato. Era il momento. Era la cosa giusta da fare. Sono stata bastarda: l'ho colpito alle spalle. Non se lo meritava, ma era giusto farlo. Era giusto per me. Ho fatto la cosa giusta, eppure mi sto tormentando. Perché la mia vita non sarà più la stessa senza di lui, e non è una frase banale da romanzetto rosa. Non sono pentita di quello che ho fatto: soltanto, vorrei averlo fatto in modo diverso. So che adesso andrà meglio, mi riprenderò la mia vita, vivrò per me, non più per lui. Ma ho paura: restare soli è brutto e adesso devo ricostruire tutto quanto dal principio. E sono stanca. E lui cosa farà? Ho voglia di bere, di ubriacarmi fino a stare male, per perdere ogni contatto con la realtà. Perché l'ho lasciato in questo modo? Era la cosa giusta da fare e, forse, non c'era altro modo. Sì, adesso mi riprenderò la mia vita. Eppure lui… Ora devo andare… (Riaggancia.)
Dopo pochi secondi di silenzio, il telefono suona di nuovo. Franz solleva il ricevitore, ma senza parlare.
GIORGIA - Scusa, non avevo finito. Ho ancora bisogno di parlare. Di lui. Di quelle domeniche passate insieme, nel parco. E le notti, le notti distesi sull'erba a guardare il cielo stellato, a ridere, le sue mani con le mie. E la musica, una tromba che suonava lontana… Mi manca già tutto questo e mi mancano i concerti jazz insieme a lui e passeggiare con lui sotto i portici ed i suoi abbracci, così stretti da togliere il fiato. Eppure è stato giusto, capisci? Non c'era altra scelta. Ne sarei morta, perché lui era diventato l'ossessione della mia vita: vivevo per lui, trascuravo tutto il resto per lui. Lui, che comunque avrei perso. Sì, perché tra un anno, o due, o al massimo tre, l'avrei perso: è un uomo libero, un artista, ha la sua vita da vivere, i suoi disegni da realizzare. Eppure, adesso, non mi avrebbe lasciata: ecco perché ho dovuto tirargli quel colpo a tradimento, per obbligarlo a staccarsi da me e per salvare me stessa da un destino che mi avrebbe distrutta tra un anno, o due, o al massimo tre. Lui è l'uomo della mia vita e lo sarà sempre, ma a volte bisogna prendere delle decisioni assurde per non soccombere. Però si sta male, sai? Anche se sai perfettamente che non avevi altra scelta. Perché sai perfettamente che la tua vita (se mai sarà ancora vita) non sarà mai più la stessa, senza di lui al tuo fianco. E poi ti domandi continuamente dove sarà, cosa starà facendo, starà concretizzando tutti i progetti che occupavano i discorsi di tanti nostri pomeriggi? E avrà già trovato un'altra donna? E per quanto continuerà ad odiarmi? Perché mi sta odiando, questo è sicuro, e ne ha tutte le ragioni. Mentre io lo amo, lo amo ancora, e ancora, ancora lo amerò.
Franz riaggancia, si alza, solleva la cassetta, vi sistema sotto il telefono, riabbassa la cassetta e si risiede.
KARLA - Chi era?
FRANZ - Non lo so.
GUSTAFFSON - Ma l'hai chiamata Giorgia.
FRANZ - È il suo nome.
AMANDA - Allora la conosci.
FRANZ - Non so altro di lei. Però ogni tanto mi chiama.
KARLA - E tu non le rispondi mai nulla?
FRANZ - Non ho niente da dirle: non so nemmeno chi è…
GUSTAFFSON - Comunque, a me è venuta sete: champagne per tutti?
Tutti rispondono affermativamente. Immediatamente entrano in scena i due infermieri: ognuno porta un vassoio con due coppe di champagne. Offrono le coppe a Gustaffson e agli altri, poi salutano con un inchino ed escono.
AMANDA - Avrai pure tanti difetti, Gustaffson, ma di certo sai scegliere il vino.
KARLA (con malizia) - Ah, beh, le sue qualità sono ben altre, te lo assicuro…
AMANDA - Se stai cercando di ingelosirmi, sprechi tempo…
FRANZ - Ragazze, basta con questo gioco, su!
GUSTAFFSON - Franz ha ragione: che senso ha la gelosia tra noi?
KARLA - Si è gelosi della persona che si ama.
GUSTAFFSON - Nient'affatto! Si è gelosi della persona che si vorrebbe possedere, nello stesso modo in cui si è gelosi di un libro che non si vuole prestare a nessuno. La gelosia non c'entra nulla con l'amore, è una cosa diversa e molto più triste.
FRANZ - E tu sei geloso, Gustaffson?
GUSTAFFSON - Sì, lo sono: se non lo fossi, non conoscerei così bene la gelosia.
KARLA - Ehi, guardate! Una coccinella…
AMANDA - Una coccinella? Qui? Non è possibile…
GUSTAFFSON - Veramente, io credevo che qui fosse proprio tutto possibile.
AMANDA - Infatti. Intendevo dire che non può essere "veramente" una coccinella. Ricordate quel quadro di Magritte? "Ceci n'est pas une pipe". Qui dentro non si possono vedere "realmente" le cose, ma solo le "immagini" delle cose, il loro riflesso, la loro raffigurazione.
Amanda inizia a disegnare nell'aria con le mani, mentre comincia a sentirsi un canto gregoriano, dapprima appena percettibile, poi ad un volume sempre più alto. Improvvisamente la musica si ferma e Amanda rimane con le braccia sospese a mezz'aria. Il Generale rientra in scena vestito da Vescovo.
GUSTAFFSON (rivolto a Karla) - Visto, te l'avevo detto che di certa gente non ci si libera mai.
KARLA - Parli dei generali o dei vescovi?
GUSTAFFSON - Fa differenza?
VESCOVO - Preghiamo, fratelli e sorelle: Padre nostro…
AMANDA (interrompendo il Vescovo) – Tanto lo sanno tutti che sei figlio unico di madre vedova!
KARLA (con entusiasmo) - Amanda, sei grande! Ti amo!
AMANDA (dolcemente) - Anch'io, cucciola. Come il primo giorno…
VESCOVO (rivolto a Franz) - Figliolo, quella è la mia cassetta.
FRANZ - Quale cassetta? Qui non ci sono cassette. Se si riferisce al mio sedile, questa è una nuvola e le nuvole sono di tutti.
VESCOVO (stizzito) - No! Quella è la mia cassetta: mi ci sono seduto io per primo! È mia! Mia! Mia!
FRANZ - Se ne faccia una ragione: la proprietà privata delle nuvole è un furto.
VESCOVO (urla) - Mia! Mia! Mia! (Prende una delle due cassette libere e la lancia sul fondo della scena.) Mia! Mia! Mia!
Entrano nuovamente i due infermieri, che prendono il Vescovo sottobraccio e lo riportano fuori.
KARLA - Un po' mi dispiace.
FRANZ - Che cosa?
KARLA - Che ogni volta lo portino via.
FRANZ - Appio Claudio ha scritto che ognuno è artefice del proprio destino.
GUSTAFFSON - Anche lo yoga dice una cosa simile.
KARLA - Lo yoga? E che cos'è?
GUSTAFFSON - "Yoga citta vritti nirhoda". È sanscrito. Significa: "Lo yoga è la cessazione dei turbini mentali".
FRANZ - Come lo zazen…
AMANDA - Potete chiamarlo yoga o zazen, ma per noi significa sempre la stessa cosa: la fine.
KARLA - Perché dici che per noi è la fine?
AMANDA - Amore mio, davvero non l'hai ancora capito? Ascolta quello che diciamo, guarda come ci comportiamo: osserva la nostra vera natura, l'ambiente dove ci troviamo e tutto il resto: il nostro logorroico rincorrerci, incessante. Hai ancora bisogno di sapere perché? (Fa una pausa.) Perché noi, piccola mia, siamo soltanto… pensieri!

SIPARIO