Tutti eroi! O il piave o tutti accoppati

Testo di

NICOLA PEGORARO

SCENA 1
Marchesa e Commendatore belle epoque conversano amabilmente sorseggiando un caffè

Marchesa- grazie Commendatore, grazie per avermi portato a vedere lo spettacolo di Manzotti
Commendatore- mi rende orgoglioso, mia cara Marchesa. Davvero incantevole l’“Excelsior”, le coreografie di Manzotti e le musiche di Marenco
Marchesa- sublime! siamo fortunati a vivere in quest’epoca di modernità
Commendatore- è un secolo meraviglioso, chissà quali invenzioni ci attendono, magnifiche sorti e progressive
 Marchesa- auspichiamo…
Commendatore- perché, cosa vi preoccupa, ia cara Marchesa?
Marchesa-  avete sentito che hanno ucciso Francesco Ferdinando..?
Commendatore- oh, sì.. ho sentito. È un rischio del mestiere dei regnanti e governanti.  Vi ricordo che sono morti in molti, tutti assassinati. L’arciduca Francesco Ferdinando è in buona compagnia..
Marchesa-  pensate che questo possa scatenare una guerra?
Commendatore-  e perché? Nessun assassinio di re o ministri è stato motivo per correre alle armi. Da cent’anni l’Europa non è teatro di una guerra continentale. Il nuovo secolo è stato salutato con la grande esposizione universale a Parigi.
Marchesa- La ville lumière  “illuminata” dall’elettricità, la nuova energia che proietta l’uomo verso la vittoria delle tenebre e l’avvento di una umanità pacifica.
Commendatore-  sì, ma questa lunga pace ci sta portando in un’epoca di decadenza, nella noia di una banalità quotidiana.
Marchesa-  su una giornale ho letto: “ Se almeno qualcuno iniziasse una guerra, e non è neppure necessario che sia una guerra giusta”
Commendatore- proprio così, “Questa pace, è così stagnante, oleosa e grassa come una patina sopra un vecchio mobile” vediamo se questo attentato serve a qualcosa.

SCENA 2   Interrogatorio Gavrilo Princip
Irrompe un gruppo di persone trascinando Gavrilo Princip
1-    Due colpi di pistola, due colpi fortunati.. hai ucciso l’arciduca e sua moglie, assassino
Gp-    assassino? perché mi chiami assassino quando sono un patriota?
1-    patriota, tu e i tuoi compari? della Giovane Bosnia siete solo degli esaltati.
2-    abbiamo preso uno dei tuoi complici
1-    Tentava di uccidersi con l’arsenico, quando ha smesso di vomitare ha confessato. E’ stato lui a lanciare la bomba, esaltato terrorista.
Gp-     patriota
2-     di certo un pessimo lanciatore.
1-     la bomba è rimbalzata sulla capote della macchina del duca ed è scoppiata addosso all’auto di scorta
2-     ma tu, tu come facevi a sapere dove passava la macchina dell’arciduca?
Gp-    non lo sapevo, credevo fosse morto per la bomba. Poi mi sono trovato la macchina in retromarcia, andava piano e mi veniva incontro.
1-    quell’idiota di autista, aveva sbagliato strada e non riusciva a girarsi.
2-    così hai sparato vero?
Gp-    due colpi, solo due colpi
1-    uno alla giugulare dell’arciduca
2-    uno alla pancia della duchessa
Gp-    è giusto, meritavano di morire
1-    quindi ti riconosci colpevole?
GP-     non sono un criminale, ho eliminato colui che rappresenta il Male. Penso di essere buono.
2-     e la duchessa di Hohemberg?
GP-     non volevo ucciderla.
2-    ma è morta!
1-     ti ritieni colpevole?
Gp-     non colpevole.
2-     come la pensi politicamente?
Gp-     sono un nazionalista jugoslavo. Sostengo l’unione di tutti gli jugoslavi, in una forma di stato liberata dall’Austria. Noi amiamo la Jugoslavia.
1-     come farai a raggiungere questi obiettivi?
Gp-     attraverso il terrore.
2-     cosa significa?
Gp-    Significa uccidere o eliminare coloro che si oppongono alla riunificazione e fanno il Male. Il motivo principale alla base della mia azione è la vendetta per tutta la sofferenza del mio popolo sotto gli austriaci….
1-     allora hai sparato apposta per uccidere l’arciduca?
Gp-     sì è così. Non mi pento di nulla, perché ho colpito il Male. è l’origine di tutte le sofferenze dei popoli.
1-     perché un popolo soffre?
Gp-     nel fatto che è completamente impoverito, che viene trattato come bestiame. Che la gente è rovinata. Per tutto voglio vendetta e non mi pento.
2-     credi in dio o sei ateo?
Gp-     ateo
1-     verrai trasferito in una prigione
Gp-    Non c'è bisogno di trasferirmi in una prigione. La mia vita sta già scivolando via. Suggerisco di inchiodarmi ad una croce e bruciarmi vivo. Il mio corpo fiammeggiante sarà una torcia per illuminare il mio popolo sulla strada per la libertà.

SCENA 3
Commendatore - Marchesa, siete bella come sa essere solo una donna dal piglio pari alla grazia
Marchesa – Commendatore, avete visto lo stuolo dei von, dei van, dei lords, dei duchi e dei comtes, la prego monsieur, mi faccia compagnia
Commendatore –  (si siede). Oggi la gazzetta titola “ violento ultimatum dell’Austria alla Serbia”
Marchesa – Insomma, un colpo di vita. E gli altri giornali? cosa dicono gli altri giornali?
Commendatore – parlano tutti dell’ora critica, del conflitto Austro-Serbo , se non ricordo male parlano di “questione balcanica riaperta”
Marchesa – Una gioventù fiaccata dagli agi, sia pure senza saperlo, cerca la fine. Commendatore, guardatevi attorno in questo Grand Hotel, come potete pensare che.. crede davvero che meritiamo di sopravvivere? Ma non vedete quanto si annoiano …
Commendatore – Perché in tasca hanno i soldi per pagarsela, la noia
Marchesa  - Ma sì, c’è troppa quiete, troppa sicurezza, troppa noia: Mezzo secolo dalla guerra franco-prussiana che non si fa un po’ di baccano. Mezzo secolo di bagordi, di buoni affari, di espansione, di progresso come vi piace dire a voi uomini. Non trovate che sia un po’ troppo?
Commendatore –  Voi mi sorprendete madame, questo lusso, questa noia..  come dice lei … beh.. è cosa condivisa da pochi
Marchesa – I pochi che decidono per tutti.

SCENA 4 La Marna
Cambio di ritmo luce fissa ambo i lati
Lettore- Nei primi giorni di guerra l’esercito tedesco era in vantaggio su tutti i fronti e pareva inarrestabile, avanza di 20, 30 chilometri al giorno fino ad affrontare la controffensiva Francese sul fiume Marna. Fu la prima grande battaglia della guerra.

SCENA 4/1
Entra uno strillone con un giornale
Corriere della sera 06 /09 /1914
“600 taxi da Parigi alla Marna
Dopo l’incertezza delle prime ore, il contrattacco franco-britannico registra i primi successi. I tedeschi sono stati colti alla sprovvista.
Si combatte dal fiume Ourcq fino a Revigny; in mezzo ci sono le paludi di Saint-Gond, dove la situazione dev’essere stata inimmaginabile, un girone infernale.
L’urgenza di rinforzi è evidente, quindi si requisiscono 600 taxi parigini che serviranno a trasportare i rimpiazzi”

SCENA 4/2
Entrano 2 persone a comperare il giornale
Uno - I taxi hanno un motore a due cilindri per questo li chiamiamo "Renault a due zampe". Pensa, in discesa corrono fino ai 50 chilometri orari, sul piano si arriva ai 35-40.
Due-però i militari trasferiti furono pochi, la massa dei rinforzi sono arrivati in prima linea in ferrovia.
Uno-  certo certo ma i "taxi della Marna" diventeranno il simbolo della determinazione francese a non cedere.
Due- hai ragione, il “miracolo della Marna” sarà la fine delle speranze per i tedeschi di concludere rapidamente e vittoriosamente la guerra sul fronte occidentale, e l’illusione di una guerra breve crollerà.

SCENA 5
COMMENDATORE – Vedete marchesa, una potenza recente come la Germania si fa ogni anno più forte e le altre, di antica forza, declinano. Non c’è da stare allegri, l’invidia fa presto a diventare paura
MARCHESA – Commendatore, non perdetevi questo magico momento: il sole è appena tramontato e Venere è già alta sopra San Giorgio. Guardate i lampioni appena accesi, lungo la riva, che giocano a riflettersi sull’acqua
COMMENDATORE – Madame, l’Inghilterra sarà anche l’impero più vasto ma.. ma sapete quanti ingegneri, quanti chimici sfornano ogni anno le università tedesche?
MARCHESA – Niccolò, avete sentito nessuno parlare di una possibile guerra… dell’Austria alla Russia… alla Serbia? No, parlano tutti dei treni, dell’Orient Express, di transatlantici… l’eterna bellezza, le trasformazioni che accadono come magia, il lusso confidenziale ed accogliente, l’eleganza e la sensualità! Questa sera sul nostro tavolo c’era “champagne e caviale” prodotti della laboriosità e della fantasia degli uomini. Questo secolo non finirà mai..
COMMENDATORE – Se l’Europa dovesse saltare in aria… se la Francia, l’Inghilterra, la Germania… la Russia l’Impero Ottomano… finirebbe tutto!
MARCHESA – Eppure qui a Venezia, come a Vienna o a Parigi si respira un’aria frizzante. Sono stata al caffè Florian oggi per vedere un’amica. C’è come un entusiasmo mal trattenuto tra le persone di una certa cultura, c’è voglia che succeda qualcosa…d’importante… Come se la vita non ci pensasse da sola a gettarci i suoi guai in faccia … e poi ci sono i miserabili… che come altrove parlano solo, anche quando non aprono bocca, della loro miseria.
COMMENDATORE – Soprattutto quando non aprono bocca. Il regno d’Italia non si farà coinvolgere, non ha un esercito degno di tal nome... la guerra contro la Turchia ha scoperto più di qualche nervo è questione di soldi ,alla fine, io credo

SCENA 6  Monologo “Si va in guerra finalmente”
Si va in guerra, finalmente!
siamo milioni che vogliono essere volontari, passare tra la folla festosa, abbracciare le splendide fanciulle che ci gettano i fiori. Che grande meravigliosa avventura la guerra. Dal profondo del mio cuore ringrazio il cielo per avermi concesso la fortuna di vivere in quest’epoca.
Non so bene quali siano i motivi per cui andiamo in guerra ma è sicuramente giusto.
Se una nazione è vittima di un’aggressione ha il diritto di difendersi e i suoi cittadini hanno il dovere di arruolarsi per difendere la nazione.
Noi studenti ci siamo parlati a lungo e abbiamo capito l’importanza di essere tra i primi volontari. Certo ci sono anche molti contadini e operai mobilitati per il fronte.
Partono senza entusiasmo ma sono certo che quando sentiranno il leone della guerra ruggire anche i loro animi si riempiranno di orgoglio nel poter difendere la nostra patria. Ecco, anche questo è uno dei compiti di noi studenti e borghesi, far capire alle masse, alle povere ottuse masse che la guerra è un bene, un fuoco purificatore che ci renderà uniti e forti nell’affrontare il nemico bestiale che incombe su di noi.
Belle queste parole, belle devo scriverle, devo trovare una penna, carta… affrontare il nemico bestiale che incombe su di noi… che belle parole.

SCENA 7  Monologo cosa posso fare come donna?
24 maggio 1915 avevo 15 anni allora, che bella età, talmente bella che la parola guerra non mi faceva paura.
Sentivo che succedeva qualcosa, qualcosa di meravigliosamente terribile, ma prima di tutto ViVa L’italia.
Qualche persona andava, veniva a dire ”parto”, “per la guerra?”
Era un interrogativo, e sentirci rispondere “sì” era un merito per chi poteva farlo.
Io ero donna, ragazza, che cosa potevo dire?
“Auguri”, no, non stava bene, ”coraggio” neanche, che cosa?  “Dio ti protegga”. Ecco questo era accettato.

SCENA 8   monologo  in trincea
    
In trincea spetavimo sempre qualcosa, spetavimo el rancio, spetavimo la posta e dopo spetavimo de poder spetare qualcosa d’altro
Non se lavavimo quasi mai, dormivimo par tera, in meso a busi scavà in tera. Al caldo d’istà e al freddo d’inverno. Sotto l’acqua, in mezzo al fango. Le spusava le trincee, dei bisogni  nostri, dei cavai e dei pantegani che coreva in mezzo a noialtri. Le trincee le spusava anca de carne smarza, quea dei nostri soldà e anca de chealtri. Da morti i austrici spusava come i nostri morti. Lo stesso odore, preciso.
Vedere i morti sbranà dae bombe e dai pantegani vedevimo queo che ne podeva sucedare ogni giorno, ogni ora, sempre. Gavevimo paura tanta  ma dopo te te abituavi e col tempo non te interessava più gnente, dea spusa, dei peoci, dei sighi. Pareva quasi che fussimo indormesà o inseminii.
Qualchedun pregava, qualcun tirava besteme dalla mattina alla sera. Gho visto gente trarse sui piè, soe man farse mae par tornare casa. Bisognava stare tenti però parche se i te becava, se i pensava che te jeri sta ti e no el nemico a spararte doso te rischiavi de farte fusilare, così almanco la jera finia.
I me domanda come che ghemo fato soportare tuta sta roba, se gavevimo el senso del dovere, del patriottismo.
Cosa vuto che sai mi della patria e del dovere. Cosa podevimo fare de diverso e dopo i me compagni al fronte vuto che fasa? Lì jera casa mia lori me capiva i divideva con mi ogni giorno le stese paure. Jerimo diventà na fameja grande si jutavimo tra nialtri par sercare de vegnerghine fora.
Jerimo noialtri pori soldà al fronte, na specie de nazion nova diversa da casa dove nesuni me capiva, diversa dai politici che ciacolava, dai comandanti che te sparava soa schina.
In guerra ghe jera el piombo, el fero e la carne. Nojaltri jerimo carne.
Jerimo tanti contadini, i me ga sempre insegnà a rispettare le autorità, semo nati contadini, se femo comandare, semo abituà a rassegnarse, altrimenti i ne puniva.
La patria, la nassion, cosa vuto che ghin savesimo nojaltri. Pitosto la nostra tera, i campi che lavoravimo, le nostre fameje che jera casa., queo difendevimo, queo jera la nostra speransa. Che almanco servise a qualcosa. Altro no so dire, mi so nato contadin no soldato.

SCENA 9 Colonnello
Entrano due soldati bendati, mani legate dietro la schiena, poi entra un terzo che si pone davanti disinteressato a quello che succede, il Colonnello, al suo ingresso il primo sviene e si accascia a terra.
Soldato- no no non lasciarti andare noi non c’entriamo niente vero colonnello? Vero? Noi siamo i complementi, siamo arrivati il 29, noi non c’eravamo il 28, siamo i complementi, i rincalzi, siamo venuti a colmare i vuoti aperti dalle battaglie, di quelli che il 28 sono morti. Ha capito Colonnello? Ha capito?
E’ vero, lei ha ragione, è sbagliato quello che hanno fatto, è sbagliato rifiutarsi di attaccare buttare le armi ribellarsi, è sbagliato lo so…
Il 28 è stato un brutto giorno, si continuava ad attaccare, come le onde del mare contro gli scogli, acqua su pietra… una volta due tre cinque sei… e i rumori, e le grida…
I nostri ufficiali a gridare di andare avanti e i feriti a gridare aiuto e poi il silenzio dei morti. Loro sparavano e noi morivamo…
Alcuni si sono rifiutati di saltare i sacchi della trincea e andare verso gli Austriaci verso le loro pallottole….
Colonnello voi parlate di insurrezione ma era voglia di vivere, di fermare le grida, gli spari, la morte.
Ci punivano per essere entrati in guerra. La Strafexpetition come una valanga di piombo. Volevano passare dagli altipiani di Folgaria, Lavarone, dei Sette Comuni per invadere l’Italia e sconfiggerci per sempre… Ma noi li stavamo fermando…
Il generale Cadorna ha saputo della ribellione del 28…  
“alcune unità del settore di Asiago, si sono arrese a pochi nemici senza alcuna resistenza. Prenda le più energiche ed estreme misure. Faccia fucilare se occorre, immediatamente e senza alcun procedimento, i colpevoli di così enorme scandalo, a qualunque grado appartengano. Faccia appello altresì ai sentimenti di patriottismo e di onor militare delle truppe e dica loro che sull’Altipiano si salva l’Italia e l’onore dell’esercito.”
Non è così Colonnello, lei lo sa.
Abbiamo lottato e combattuto. Volevano passare ma non sono passati, non sono passati.
E lei ha fatto imbussolare i nomi dei suoi soldati e ne avete scelti 10.
Signor Colonnello noi non c’eravamo.
Signor Colonnello io sono della classe ‘75, ho 41 anni, sono padre di famiglia. Il giorno 28 maggio non c’ero! In nome di Dio!!
Colonnello- figliuolo, io non posso cercare tutti quelli che c’erano e che non c’erano. La nostra giustizia fa quel che può: se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio!

SCENA 10
Commendatore – Madame, sentite che strana notizia riporta oggi il Corriere della sera: ”stradino ucciso a morsi da un asino inferocito”: perbacco, questa sì che è una notizia! (alza gli occhi e nota la marchesa giocherellare con le carte). Questo stradino sbranato dall’asino potrebbe prefigurare il nostro futuro
Marchesa  - commendatore, non sono sicura di capire …
Commendatore – Lo stradino è l’uomo che fabbrica le strade, madame, l’uomo che esce di casa con la gamella di fagioli e cicoria, che dà da mangiare ai figli e alla moglie sudando la sua giornata, e l’asino, l’asino è il destino inaspettato: da un leone ti aspetti di essere sbranato, da un asino ti aspetti al massimo un raglio, nient’altro! Ecco, i signori della terra, i governi, ma anche tanti scienziati e poeti, tanta gioventù annoiata… siamo noi quell’asino impazzito, famelico di carne umana, insaziabile!
Marchesa – Suvvia, non esageriamo, un asino famelico che mangia carne umana. Mi spaventate con queste mostruose creature. Volete forse turbarmi?
Commendatore – No, se volessi turbarvi veramente non vi parlerei certo di asini. Era solo una caricatura, un gioco di parole. Per turbarla davvero provate a pensare alle centinaia di migliaia di ragazzi, milioni di ragazzi, milioni di divise, di baionette, di carri, di cannoni di cavalli di munizioni… se tutto si mette in moto.. beh! Non c’è moto senza inerzia…
Marchesa- e l’inerzia cosa vorrebbe intendere?
Commendatore- se muove una grande massa questa massa non si ferma al nostro volere, è fisica Marchesa, solo fisica elementare…

SCENA 11 La Stampa
Lettore- Dopo la gita al fronte dei giornalisti con il comando supremo
Corriere della Sera 13 ottobre 1915 Luigi Barzini
Tutto quello che i giornalisti di ogni regione e di ogni opinione hanno scritto dai campi di battaglia non può non avere dato al paese argomenti di fierezza, di orgoglio e di conforto. Le cronache frettolose e disordinate dei corrispondenti di guerra sospinti dall’incalzare del tempo, sono risultate come una documentazione vissuta, umana, spesso palpitante e commossa dell’entusiasmo guerriero e lieto delle truppe e del loro valore indomabile che la sapienza e la bontà del comando conduce. Abbiamo visto come si combatte sull’eterno gelo delle più alte montagne, come si issano cannoni fino all’inaccessibile, come si creano per tutto nuove strade tagliate spesso nella viva roccia fino ai nevai. Come si distruggono fortezze nemiche, come si lanciano ponti sotto il bombardamento, come si assaltano e si conquistano le posizioni più formidabili, come si respingono e si sfanno gli attacchi del nemico, abbiamo ammirato la cooperazione perfetta di tutte le armi, lo spirito di sacrificio di tutti i corpi la concatenazione serrata delle azioni la prontezza delle manovre la vastità ed esattezza dei servizi. Se da tutte queste visioni della guerra che la stampa ha diffuso, la nazione ha conosciuto una visione della guerra più profonda della sua forza la nazione deve sentirsi più forte. Deve cioè contemplare l’avvenire con rinnovata e ferma fiducia. I racconti dei giornalisti al campo hanno finito per costruire una specie di riassunto della guerra quello che i corrispondenti vedevano era così legato a quello che era successo, il passato della guerra mostrava tracce così profonde, parlava così forte nel tumulto del presente che la cronaca diventava un po’ storia.
Una cosa è apparsa subito evidente da questa narrazione, ebbene la esattezza dei comunicati ufficiali, le azioni appurate dall’indagine giornalistica si identificavano una per una alle azioni enunciate nei bollettini il lavoro dei corrispondenti ha finito per essere un ampio documentario della parola laconica e calma dello stato maggiore.

SCENA 12 il Carso
Lettore -Sul Carso morirono in molti. Le 11 battaglie dell’Isonzo. Cadorna voleva sfondare sul Carso, ostinatamente e da lì raggiungere Trieste, poi Vienna. Sfondare, andare avanti accerchiare il nemico e vincere, tentare, almeno tentare, fino all’ultima battaglia, fino a Caporetto.

SCENA 13 Prima dell’assalto
1-    Così doman toca nojaltri. Go sentio dire che l’altro giorno parsin gli austriaci i ghe diseva ai nostri de fermarse, de non continuare l’assalto, che jera in’utile, che i jera stufi de coparne, stufi capio? Luri jera stufi de coparne.
2-    E noialtri no vero? Nojaltri non jerimo mia stufi de morire. …ti gheto paura de morire?
1-    de morire? No, morire bisogna. Lo savemo che la se na rua che gira. Non me fa mìa paura morire, sè il come che me spaventa. Ti preferisito morire par na bajonetta o na mitragliatrice?
2-    na mitragliatrice, tatatata in un attimo te ciapi te ciapi 5 / 8 colpi….
1-    penso anca mi che la mitraglia la sia pì rapida e meno dolorosa
2-    ma cosa vuto intendare, cosa vuto dire?
1-    che la maggior parte de nojaltri gha pì paura del dolore che de morire. Par esempio el sardo, queo che ciamemo Turiddu, lu el ga el terrore de morire par colpa del gas, el ga visto gente morta pal gas e da allora nonl ghi voe savere, le terrorizzà. Mi go paura de morire dilanià dall’artiglieria, vedare che perdo tochi… no questo me spaventa el dolore.
2-     così ghemo pì paura del dolore che de morire
1-    propio, vedito se te ghe paura de morire te dovarisi vivare con la paura ogni giorno par tutta la vita parchè te se che un giorno, non te se quale, te devi morire. E dopo, se fusse la morte che veramente ne spaventa parchè se preoccupemo de cosa che ne poe copare?
2-    tasi deso, e bevate na graspa. Mi so solo che nessuno voe morire.

SCENA 14 Monte Mrzli
Entra un ufficiale degli alpini
Ufficiale- non riusciamo a sfondare, non ci riusciamo, combattiamo in salita, a volte arrampicandoci su questo maledetto monte Mrzli. Chiedo di fermare l’attacco, siamo troppo scoperti, troppo, continuiamo a morire.
Cosa vuol dire in quanti sono morti? Capisco si sono 37, o 38, non è facile contare, non possiamo insistere, è inutile. Come “così pochi”, cosa vuol dire così pochi? Stiamo attaccando in arrampicata, uno alla volta, ci sparano uno alla volta con la mitraglia, così non ha senso, non c’è senso.
Dobbiamo riprendere l’azione, è un ordine. Ho capito è un ordine ma è un ordine sbagliato.
Esco io, è il solo modo per fermare l’attacco.
Attendente -Uscì solo, al di là della trincea, un colpo di mitraglia lo falciò. Cadde sopra i suoi alpini.
L’attacco fu sospeso…

SCENA 15 Caporetto
Lettore
Quasi ci riuscirono una volta a sfondare. Quasi c’erano riusciti si cominciava a sperare di farcela.
Poi avvenne l’incredibile, assurda micidiale reazione astroungarica. La dodicesima battaglia dell’Isonzo… la più feroce e grande impresa militare astroungarica. Il più doloroso sfacelo del nostro esercito. Caporetto.

SCENA 15/1 Monologo Mezzanotte del 24 ottobre 1917
Tratto da “Cronache di una disfatta” di Fritz Weber
Il bavero del cappotto rialzato e le mani sprofondate nelle tasche. La valle è ora immersa nella nebbia. Fa freddo. Il silenzio è assoluto e pauroso.
Tic tac tic tac
La lancetta fosforescente dell’orologio cammina adagio e i quarti d’ora sembrano durare un’eternità.  Il sangue pulsa nelle arterie, le palpebre si abbassano pesantemente: sono stanco.
Tic tac tic tac
Quelli dell’altra parte sembrano non avere la più pallida idea di ciò che sta per accadere tra mezz’ora.
Tic tac tic tac
E’ immaginabile che la morte possa strisciare così vicino alle sue vittime senza che queste ne intuiscano la presenza?
Tic tac tic tac
Sembra che le lancette non girino più.
Tic tac tic…
 Il tempo non vuol passare. Ancora tre minuti…. due… uno.
Ad un tratto un rombo fragoroso si ripercuote di monte in monte, continua, diventa sempre più forte. è il tuono di trecento pezzi che si trovano all’imbocco della valle e sulle pendici.
Primo pezzo
Primo fuoco
Secondo pezzo
Fuoco
Terzo…
Gli italiani si sono rimessi dalla sorpresa e rispondono con un rabbioso fuoco di controbatteria.  Ma a poco a poco esso diminuisce, fino a cessare del tutto. Il gas “la croce azzurra” comincia dunque ad agire. La valle fino alla Stretta di Saga , nuota nelle sue nubi mortali. Una fitta nebbia avvolge i monti e la pioggia ricomincia a cadere.
Tic tac tic tac
Le quattro e mezza. Al fragore succede il silenzio. Un silenzio terribile. è la fine di quelli che stanno avanzando per turare le falle aperte nelle trincee. La nebbia in mezzo alla quale essi corrono divora i loro polmoni. I disgraziati crollano a terra o sono costretti a fuggire.
Il nemico italiano è in fuga su tutto il fronte, tra Plezzo e Tolmino. La 12a divisione germanica, avanzando da Tolmino attraverso la valle dell’Isonzo, ha raggiunto Caporetto. Tutte le truppe italiane tra Plezzo e Tolmino sono circondate e sono in procinto di cadere prigioniere…
All’alba ci mettiamo in marcia per raggiungere Plezzo.
Avevamo già visto molte cose terribili, ma quello che si presenta ai nostri occhi in questa occasione sorpassa ogni precedente spettacolo e rimarrà nella memoria per sempre. Laggiù, in ampi e muniti ricoveri e in caverne, giacciono circa ottocento uomini. Tutti morti. Alcuni pochi, raggiunti nella fuga, sono caduti al suolo, con la faccia verso terra. Ma i più sono raggomitolati vicino alle pareti dei ricoveri, il fucile tra le ginocchia, la divisa e l’armamento intatti. In una specie di baracca si trovano altri 40 cadaveri. Presso l’ingresso stanno gli ufficiali, i sottufficiali e due telefonisti con la cuffia ancora attaccata, un blocco di fogli davanti, la matita in una mano. Non hanno neppure tentato di usare la maschera. Poco più oltre, raggiungiamo una caverna, il cui ingresso è mascherato da una fila di sacchetti di terra. Ci apriamo un varco e penetriamo all’interno, facendo scivolare il cono luminoso delle nostre lampadine lungo le pareti umide. Nell’oscurità un groviglio di cadaveri, emergono delle strisce gialle, dei visi lividi. Questi sì che hanno sentito il soffio del gas!
Fuori! Via! Sembra di soffocare. Quando siamo lontani, ci togliamo le maschere antigas e ci asciughiamo il sudore della fronte. Cerchiamo di sorridere per nascondere lo sgomento. Ci incamminiamo verso la batteria, senza pronunciare una sola parola.

SCENA 16
Commendatore- sapeste il sogno che ho fatto marchesa
Marchesa- suvvia non mi dite che avete pensato a me anche nel sogno commendatore.
Commendatore- vi lascerò il dubbio, ma quello che ho sognato, una parte almeno, riguarda la mia morte in battaglia.
Marchesa- mio dio commendatore, vi prego, questo suo sogno mi turba, che dolorosa nottata.
Commendatore- c’era la musica che mi accompagnava in quegli ultimi momenti. Morire al suono di una banda militare, il suono della marcia di Radetzky.
Marchesa- anche la marcia, mi racconti vi prego.
Commendatore- rapide le pallottole fischiavano in cadenza attorno alla mia testa, la mia sciabola sguainata lampeggiava, il cuore, il cervello erano dominati dal veloce ed amato ritmo della marcia. In un crescere di rullio, di tensione
Marchesa- che immagine eroica
Commendatore- poi cadevo al ritmo inebriante dei tamburi, il mio sangue colava in una sottile striscia vermiglia sull’oro splendente delle trombe, sul nero cupo dei timpani e l’argento dei piatti.
Marchesa – la vostra morte sembra quasi la rappresentazione di una sinfonia di melodia, dramma e morte. Che sogno eroico commendatore che immagine meravigliosamente eroica.
Commendatore- che bello morire così, gettare la propria vita in braccio alla patria con impeto, con gioia.

SCENA 17  in treno
Tratto  da “Le scarpe al sole: cronaca di gaie e di tristi avventure d’alpini, di muli e di vino.”  Monelli Paolo
Signora- ma lei che viene di lassù, dica un poco. Quando finirà la guerra?
Soldato- non lo sappiamo bene, signora. Quando ci viene il cambio e si scende verso le baracchette dove ci si può cavare le scarpe, lì la guerra è finita. Ma quando viene l’allarme che si deve tornare su allora si pensa veramente che la guerra sia una condanna eterna, una voragine dove buttare la nostra buona gioventù
Signora- ma lei la fa volentieri la guerra?
Soldato- o dio, signora, questa è una domanda troppo difficile. Sarebbe come se le chiedessi se lei va volentieri dal dentista a farsi cavare un dente che le fa male. Lei ci va, certo, con angoscioso coraggio, non è vero?
Signora- se bisogna farlo si fa o no?
Soldato- è così, bisogna farlo e si fa, con angoscioso coraggio, i miei ragazzi, i miei militari si preparano a saltar fuori quando tocca, quando gli si dice che è ora. Bisogna farlo e lo si fa.
Signora- io penso che la cosa più brutta per voi soldati sia non lavarsi, non farsi la barba tutti i giorni.
Soldato- ha ragione signora. E’ terribile non potersi rasare tutti i giorni e lavarsi. Ci tocca mangiare le gallette con le mani sporche… Ma ci sono anche altre cose che forse sono più brutte: bere l’acqua d’un laghetto dove hanno buttato dei morti, per esempio, o contarsi le dita dei piedi quando ci caviamo le scarpe dopo quindici giorni che le si portano, per essere sicuri che si siano tutte. Ed è triste signora vedere partire sulla barella il commilitone morto e vedere giungere dopo qualche giorno la sua posta, le lettere di sua madre.
Signora- ah, grazie al celo, mio figlio non ha idee per la testa. Ha seguito i miei consigli e tiene i conti in fureria.  In un magazzino avanzato, è vero, ma sempre al sicuro. Vuol bene alla sua mamma e non vuole farla soffrire.
Soldato- è un bell’esempio di amor filiale signora. Le donne spartane donavano ai loro figli lo scudo e dicevano o con questo o su questo. Ma quei giovinotti che serrando i denti marciavano contro il nemico non amavano pare le loro madri. Amavano la loro patria.
Signora- ma io me ne infischio della patria!!.... Si capisce che la patria bisogna pure amarla, ma quando ci ruba gli affetti, allora…
Soldato-….. signora, forse i più sacri affetti sono lo zucchero che oggi le misurano, il caffè che un decreto del prefetto ha troncato, i bagni di mare al Lido che gli aerei nemici disturbano. Anche per le vostre tranquille digestioni combattono i miei scarponi lassù verso le cime. Anche per suo figlio dal giacchettino lucido che qualcuno ha scartato alla visita medica, che si liscia i lunghi capelli dietro le orecchie e legge la guerra dagli stralci dei giornali dove scrivono “oggi cantano le belle mitragliatrici”. Sappia signora che quel bel canto per noi è il rumore della morte.

SCENA 18 in marcia
“”Il capo coro intonava.
“quel mazzolin di fiori…”
Il coro della compagnia rispondeva:
“che vien dalla montagna…”
soldato1- se tre giorni che semo in marcia, ma seto na roba?
Soldato2- no dime che non vedo l'ora..
soldato1- dopo esare sta fermi dentro le trincee, in mezzo tutte le piere del Carso, sta marcia no la me pare gnanca na bruta roba
soldato2- semo sta masa fermi, ma deso le montagne, vedare alberi, foreste, sorgenti, invese de chee piere senza erba e senza acqua. Finalmente podemo sdraiarse sconti in meso ae piante senza paura de vegnere svejà da na palotola soe gambe.
Soldato1- dime ti, a me sento in colpa de essare contento de vedare la montagna, parchè se merito dei austriaci e dea so grande offensiva se semo drio andare nell'altipiano de Asiago
soldato2-  se vero, però deso podemo dismentegarse delle trincee, de stare sempre a 100 o 50 metri dal nemico, spetando gli assalti con la baionetta o a colpi de fusile o bombe a man. Ogni giorno a coparse uno contro l'altro senza odio.
Soldato 1- serto adesso in montagna sarà diverso. Na manovra, na bella manovra studià ad arte e zac... duecento, trecentomila prigionieri, così in un colpo solo, in un giorno solo. Senza fare carneficine ma solo un geniale accerchiamento strategico.
Soldato 2- certo cusi se fa, na manovra perfetta e la guerra se poe vinsarla subito e farla finia par sempre senza more ancora.

SCENA 19 monologo I ragazzi del 99
Bocia de guerra, tato soldato, putin belin…
Con tanti nomi mi hanno chiamato, in tanti modi diversi. Fratello minore, sangue fresco…
Classe 1899, l’ultima chiamata, l’ultima possibilità, per l’Italia.
Ci prendevano in giro gli austriaci, scrivevano sui muri “andare Bassano bere il caffè”.
Allora abbiamo risposto anche noi “Tutti eroi! O il Piave o morti accoppati!”
Il Piave, il Piave… Non dovevamo cedere il passo, dovevamo fermarli. Soldati bambini… Erano tanti gli austriaci e i tedeschi tanti perché la Russia ha fatto la rivoluzione e non fa più la guerra e allora gli austriaci ed i tedeschi scendono e fanno strage e ammazzano e bruciano.
Ci siamo trovati in mezzo al fuoco. I compagni cascavano per terra e non potevi fermarti e calpestavi, morti feriti e non ti fermavi. “Questa volta si muore” pensavo.
Poi, c'erano soldati con pompe messe sopra le spalle, come quelle che si pompano le vigne, quelle che buttavi acqua per la malattia della peronospera. E invece, le pompe che avevano i soldati del Piave, buttavano fuoco per 10, 12 metri lontano e dove passavano queste fiamme bruciava tutto. In mezzo a questo fuoco, c’erano i borghesi, poveretti, con i piccoli e con muli, cani, pecore, maiali, e tutte le loro misere ricchezze...
Ci hanno portato in mezzo a quella grande vampa verso il Piave. Tutte le artiglierie sparavano per non far passare oltre gli austriaci. Si sono distinti i ragazzi del 99, che nel Piave gridavano: “Di qui non si passa!” Perché noi giovani del 99 eravamo lì per fare la guerra.
E l’abbiamo fatta la guerra… nella grande battaglia del Piave, sono morti metà dei miei compagni e di quelli rimasti tre quarti furono feriti o prigionieri.
Anche il grande generale Diaz, quello che dopo Caporetto ha sostituito Cadorna, ci ha dato un encomio
«I giovani soldati della Classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico e sul fiume che in questo momento sbarra al nemico le vie della Patria, in un superbo contrattacco, unito il loro ardente entusiasmo all'esperienza dei compagni più anziani, hanno trionfato. Io voglio che l'Esercito sappia che i nostri giovani fratelli della Classe 1899 hanno mostrato d'essere degni del retaggio di gloria che su loro discende
Zona di guerra, 18 novembre 1917 - Il Capo di S.M. dell'Esercito A. Diaz »
Ma non era finita.
Tre sono le battaglie che abbiamo combattuto, la prima per fermarli, nel Piave a novembre del 1917.Poi a cacciarli via a giugno del 1918. E la grande battaglia di Vittorio Veneto per vincere ‘sta maledetta guerra a novembre del 1918.
Siamo stati bravi, undici di noi, soldati ragazzini da Roma, Milano, Messina, Avellino, Trento, Firenze, Pesaro, Cosenza, Novare e Lucca hanno preso la medaglia d’oro.
A tutti gli altri il ricordo di un’impresa. Che rimanga almeno questo. Il ricordo.

SCENA 20 monologo Perché vinceremo
Tratto da “Piero Jahier, L’Astico “Giornale delle Trincee””
Un vero amico del popolo è venuto quassù a parlare ai soldati, l’onorevole Salvemini.
Non è venuto a propagandare o a pregar i soldati di fare il loro dovere. Tra le tante disgrazie di Caporetto c’è anche stata quella dei borghesi che fanno il loro comodo e vengono a predicare il dovere ai soldati.
Salvemini, invece, è venuto a ringraziare il popolo in uniforme che subito dopo “la disgrazia” si è ripreso e tien duro sulle frontiere. Che ha fatto come quand’era contadino e il campo gli prendeva la grandine proprio al momento del raccolto buono: non ci piangeva sopra, ma da uomo che sa che oggi dice male e domani bene, riattaccava subito a lavorare.
E in quei momenti ci si domanda: ce la faremo? Eravamo vicino al raccolto buono! E invece ecco la Russia a mancarci la fede! Lo sappiamo che ora è disperata, ma intanto ci tocca ricominciare.
Il sangue del soldato avrà la sua ricompensa? Ce la faremo?
Ebbene ecco la notizia buona che Salvemini ci ha portato: “coraggio perché ce la faremo!”
Da tanti segni si vede. È verso la fine che si è più stanchi. E, infatti, mai i popoli sono stati stanchi come ora. È verso la fine che si fanno gli sforzi maggiori. E, infatti, tutti i popoli in guerra sono come i corridori che hanno il fiato più corto e il respiro ansimante e stringono i denti vicino al traguardo. Ma chi è più vicino al traguardo?
Possiamo rispondere con sicurezza che siamo noi, popoli liberi dell’Intesa. Guardiamo le prove.
Ora il capo della battaglia è uno solo e ha in mano lui i soldati di tutte le nazioni e li manovra d’urgenza dove bisogna. Ora non combattiamo più uomini da soli che si aggrappano ai reticolati come quel primo anno terribile al Carso, ma abbiamo mitraglie e cannoni e ce li prestiamo.
Quantunque manchi la Russia, la Francia e l’Inghilterra li fermano, li contrattaccano, li fanno indietreggiare. Non importa se perdono un po’ di terreno, mantengono l’esercito in ordine, reggono il peso; li ributtano, quando vi è l’occasione.
Per questo la Germania sta peggio di noi perché non può sperare in nessun nuovo aiuto ne’ di uomini, ne’ di armi, ne’ di denari; quello che fa in questo momento è il massimo che può fare.
Noi invece, la nostra condizione migliora e migliorerà sempre.  
La buona causa ci fa sempre più amici. È partita la Russia e arriva l’America.
Ecco la notizia buona: ce la faremo!
Ci basta resistere per arrivare primi al traguardo, uscir di tribolazione, conquistar la vittoria.
Dove sono passati i tedeschi? Dove hanno adoprato l’inganno ed il tradimento. Ma dove hanno trovato il cuore dell’uomo non son mai passati.
Teniamolo fermo questo bravo cuore italiano: e non passeranno mai.
9 maggio 1918

SCENA 21
Marchesa- commendatore, dicono che da diversi confini sia cominciato il fuggifuggi. Si scappa per mettere in salvo la vita e le quattro carabattole che la vita ci ha dato.
Commendatore- Sapete cosa si dice? “La situazione non può essere così grave, vedrete che presto tutto si aggiusta”. Del resto guardate che splendida giornata, la natura non sembra curarsi della storia, e la storia non sembra curarsi di noi.
Marchesa- ho una domanda da farvi: ma siamo sempre stati sordi e ciechi, presuntuosi e avari o lo siamo diventati un poco alla volta?
Commendatore- Non sono in vena di filosofie, Margarete, non fino all’ora di pranzo.
Marchesa- ma la storia si muove e nessuno sarà risparmiato. Ci saranno vinti e vincitori, certo, succede, ma queste saranno le basi per accumulare ancor più, saremo navi cariche d’oro ma perdute nella tenebra.
Commendatore – potevamo essere angeli, Marchesa. Le nuove scienze hanno portato scoperte incredibili, potevamo essere angeli. Ma abbiamo le ali di piombo. Quest’epoca non ci vuole più! Ora si vogliono costruire stati nazionali indipendenti! La gente non crede più in Dio, la nuova religione è il Nazionalismo. La monarchia è in pericolo.
Marchesa- mi spaventate commendatore, mi spaventate e mi turbate.
Commendatore- avete ragione Madame.  Voi credete nelle coincidenze…diciamo così impossibili?
Marchesa- Se accadono, commendatore, non sono impossibili!
Commendatore- Uhmm…la penso anch’io come  voi: voglio farvi una dichiarazione, marchesa: penso che lei sia la donna più importante di questa nostra “epoque” una donna da amare…
Marchesa- Vedete, monsieur, non sempre quel che si pensa coincide con quello che si mette in pratica. Voi commendatore,  voi…quando  guardate una donna… voi imbarazzate
Commendatore- Marchesa, in questo momento desidero solo scambiare un’opinione con voi, non potete impedirmi di trovarvi graziosa e intelligente, vi dispiace questo?
Marchesa- Commendatore, alle domande retoriche permettetemi di non rispondere.
Commendatore- Lo vedete? Non solo è graziosa ma anche sa parare le insidie: vuole che un uomo dimentichi che lei è una donna?
Marchesa- Nessuna donna, mai, vuole questo, e lo sapete, commendatore, sì che lo sapete!
Silenzio per qualche attimo
Marchesa- Il vuoto che abbiamo dentro è grande. Noi non siamo fatti per invecchiare; non siamo fatti per darla vinta al lento passo dei giorni. Non daremo alla morte quanto le spetta di diritto: scegliere il momento.
Commendatore- il conto, marchesa, ciascuno lo salderà a modo suo.

SCENA 22
Figlia
Per mio padre era l’ultimo giorno di guerra. Il capitano aveva già avvisato di avere pazienza, tra poco si tornava a casa. Si tornava a casa. Mio padre era in fanteria conducente di muli, portava i rifornimenti alle truppe, Matteazzo Giovanni Battista era nato il 29 giugno del 1892, unico maschio con quattro sorelle. Nel 1914 era un militare di leva.
Un giorno un gruppo di persone, donne, vecchi e bambini, stavano raccogliendo il fieno con i rastrelli, nei pendii del Monte Grappa.  Con calma sotto il sole,
Una di loro raccolse un petardo, un petardo tedesco. Mio padre ed il suo amico passavano di lì e lei corse a mostrargli il petardo. Lui lo prese tra le mani, tra le mani. Scoppiò subito, il suo amico cadde morto e lui a terra con schegge in tutto il corpo, una sporgeva dall’orecchio destro, altre nella faccia e poi le braccia e le mani, le mani erano sparite.  
La mano destra scomparsa al polso e la mano sinistra al gomito. Lo credevano morto. Fu caricato in una barella e lasciato in infermeria.  Qualcuno si accorse che respirava così decisero di mandarlo a Milano con la tradotta.
 “carichemolo che se el riva el riva senò amen”. Arrivò e arrivò vivo, ma nessuno a casa lo sapeva.
Riuscì dopo ad informare con una lettera, dettata e scritta da una crocerossina.
Un intero anno rimase a Milano sempre con la stessa crocerossina, dolce con lui, e gli voleva bene. Ma lui si era promesso ad un’altra quando era tornato in licenza, quando ancora ci vedeva e aveva le mani. Si erano anche fotografati assieme. Fece scrivere una lettera alla sua fidanzata veneziana che partì con il treno per vederlo.
Sposa
Quando arrivai a Milano tutti mi guardavano, ero la fidanzata veneziana
Mi riconoscevano per il grande scialle nero, tutto ricamato, da portare in testa in inverno o sulle spalle in estate, tipico delle veneziane.
Sapevo che Giovanni era ferito, mi avevano detto che era ferito… ma non così.  Senza mani e cieco. Senza mani e cieco, ed il viso, il viso era diverso, storpiato, devastato.
Quando lo vidi Giovanni si accorse di me. Non avevo parlato, non portavo profumo ma si accorse, sentì la mia presenza. E rimase immobile, in attesa.
Mi feci coraggio e piano toccai, poi accarezzai il volto sfregiato e le braccia senza mani…
Molti erano contrari al matrimonio, mio padre, mia madre, anche il parroco.
“Come farà a sostenerti, a lavorare nei campi, ad aiutarti” “Sposare un orbo e monco…”
Anche Giovanni non voleva, non dovevo sentirmi obbligata.
Invece restai, decisi di mantenere la parola data. Tornammo a casa insieme e ci siamo sposati…
Come invalido di guerra riceveva una bella pensione e, se lo avesse saputo, poteva chiedere anche una casa, aveva agevolazioni per i figli a scuola, se lo avesse saputo, se lo avessero informato.
Col tempo scoprì che riconosceva i movimenti dei vitellini, i lamenti delle mucche pronte per il parto, il toro che si agitava. Perché a lui bastavano i rumori. Fu nominato capo stalla.
Per colpa del petardo imparò ad essere contadino senza occhi e mani, riconoscere la frutta matura dal profumo, il vino dell’odore, la stalla dai rumori. E i figli, distingueva tutti loro e i loro scherzi. Era così bravo che quasi pensavano ci vedesse, che facesse finta.
Quando mi stringeva era una stretta sicura e forte, ti sentivi protetta.
Lo hanno chiamato orbo e monco, ma una famiglia contadina è una grossa pancia che digerisce tutto, accoglie e si adegua a tutto.
Mi ricordo di come si divertiva a correre nei campi dell’erba medica appena tagliati con tutti a gridargli di girare o di fermarsi. E correva, correva.
Figlia
Mi manca mio papà, la sua voce, la sua presenza, le favole che mi raccontava e le sue carezze che avrebbe voluto farmi ma che non ho mai avuto.
Moglie
La guerra gli ha strappato della carne, delle ossa e la vista a Giovanni, ma non è riuscita a strappare la sua dolcezza e il ricordo dei suoi occhi da ragazzo quando incrociavano i miei e mi facevano arrossire.
SCENA 23 Monologo milite ignoto
Indossa un foulard rosso
Mi hanno chiamata, mi hanno detto che sono stata scelta.
Mio figlio doveva, da buon triestino, andare in guerra con l’esercito Austriaco ma disertò.
Ed ero contenta, forse si sarebbe salvato forse avrebbe evitato la guerra.
Poi si arruolò volontario per l’esercito italiano. Partì e non lo rividi più, ne’ lui, ne’ il suo corpo. Spariti, anche i suoi miseri resti.
Ma sono stata fortunata, hanno chiamato me. Gli servivo per scegliere un simbolo. Mi hanno spiegato che prima di noi lo hanno fatto in Francia ed in Inghilterra.
Dovevo scegliere una bara.
Così ho scelto tra bare uguali.
Erano undici, a terra nel duomo di Aquileia. Dovevo appoggiare questo giglio bianco sulla prescelta.
In quelle bare c’erano corpi di ignoti, o forse brandelli o forse, peggio, nulla.
No, il nulla no, in quelle bare c’era l’indescrivibile, straziante dolore di tutte le madri, c’erano le nostre lacrime.
Le mie lacrime per un figlio morto ucciso.
Quei legni sono un simbolo per chi ha perso tutto.
Non erano più i nostri figli ma i figli della patria e io, mamma, ho potuto, per poco, essere la mamma di tutti i figli morti, donare il mio dolore, il dolore di tutte noi, alla patria, anche questo…
Non ho appoggiato il fiore, non ci sono riuscita. Come potevo scegliere come potevo come…
Ho gettato il velo nero del mio lutto e sono uscita.
Ho perso un figlio, ho donato il mio dolore. Ho fatto quello che una donna può fare.
Porteranno quel simbolo di legno fino a Roma, scriveranno “ignoto militi” nell’altare della patria, nell’altare del sacrificio alla patria.
Il treno si fermerà in tante città e molti verseranno lacrime e il soldato senza nome, il soldato sconosciuto, il milite ignoto avrà una tomba per sempre.
Almeno lui.
Mio figlio avrà solo le mie lacrime per tutto il tempo della mia vita.
E’ il mio cuore il paese più straziato.
Getta il foulard

Escono tutti uno alla volta con dei foulard rossi
Gettano i foulard rossi.

Fine

Nello spettacolo sono previsti gegli inserti video che verranno stabiliti in fase di costruzione di regia.
1- Marinetti Adrianopoli ottobre 1912  Zang Tumb Tumb
2- prima guerra mondiale: il sistema della alleanze
3- Giuseppe Ungaretti legge "I miei fiumi"