UNO, DUE, OP-LÀ!
(Indagini)

di

Guido Ferrarini



Una stanza senza porte, disfatta, con la carta da parati strappata. Solo una piccola apertura quadrata nel centro della parete sul fondo della scena. Una fune penzola dall’apertura. L’unico arredamento della stanza è una grande seggiola di foggia duecentesca. A destra una valigia è posata a terra. La luce, che non si sa da dove viene, è una strana luce un po’ spettrale.
Nel buio un uomo si aggira nella stanza.
La luce si accende prima debolmente poi via, via si fa più intensa. L’uomo indossa un impermeabile e un cappello. Si guarda intorno preoccupato, zoppica. Appare sofferente, si toglie l’impermeabile e lo aggancia a un chiodo sul muro. Si dirige verso la seggiola. L’impermeabile cade a terra. Si volta. Guarda l’impermeabile a terra. Guarda davanti a sé. Medita. Si toglie il cappello e lo aggancia a un altro chiodo sul muro sopra l’impermeabile caduto. Si dirige verso la seggiola. Il cappello cade. Si volta. Guarda il cappello a terra. Guarda davanti a sé. Medita. Si dirige verso la seggiola. Si siede. Appoggia le mani sulle ginocchia. Si guarda le scarpe. Si toglie una scarpa. La scruta all’interno con attenzione. Infila la mano nella scarpa. Fruga. Guarda davanti a sé. Medita. Si rimette la scarpa, si alza. Cammina per la stanza, zoppica con aria sofferente. Si ferma. Guarda davanti a sé. Medita. Estrae un grande fazzoletto rosso dalla tasca, si deterge la fronte. Medita, si rimette il fazzoletto in tasca. Si dirige verso la seggiola. La scruta. Le gira attorno. Medita. Si siede. Appoggia le mani sulle ginocchia. Si guarda le scarpe, si toglie l’altra scarpa. Scruta all’interno con attenzione. Infila la mano nella scarpa. Fruga. Estrae un grosso sasso. Guarda davanti a sé con aria stupita. Pausa. Lo getta a terra. Guarda davanti a sé. Espressione felice. 
UNO: Ah !
Pausa, si rimette la scarpa. Mani sulle ginocchia. Alza le gambe e muove i piedi come per sgranchirli. Li riappoggia a terra. Li prova spingendoli sul pavimento. Guarda davanti a sé. Espressione felice. Pausa, si alza e cammina per la stanza, zoppica con aria sofferente. Si ferma. Si guarda le scarpe. Guarda davanti a sé. Medita. Si dirige verso la seggiola. Si siede, si toglie una scarpa. Vi scruta dentro. Infila la mano nella scarpa. Fruga con insistenza. La scuote vicino all’orecchio con insistenza. Si ferma. Guarda davanti a sé. Pausa. Meccanicamente guarda ancora dentro la scarpa. Fa per rimettersi la scarpa. Si ferma. Alza la testa, sorride. Pausa. Con tutta la fretta possibile getta lontano la scarpa. Si toglie l’altra e la getta dalla parte opposta. Si alza. Fa un giro quasi di corsa intorno alla stanza. Si ferma. Immobile. Gira lentamente la testa verso la sala. Sorride imbarazzato. Si muove con prudenza sollevando prima un piede poi l’altro. Azzarda qualche passo.
UNO: Ahh!
Ancora qualche passo. Sempre più disinvolto. Cammina. Sorride. Prova vari tipi di camminata. Adesso marcia.
UNO: Un... Duè!... Un... Duè!... Un... Duè!...
Pesta il sasso.
UNO: (Urlando) Ahi!
Si prende il piede con le mani. Saltella sull’altro. Si ferma. Aria addolorata. Guarda davanti a sé. Medita. Lascia il piede. Si china. raccoglie il sasso, si guarda intorno. Si dirige verso sinistra e getta il sasso fuori scena. Si volta per ritornare nella sua posizione. Il sasso ricade dietro di lui. Si volta stupito. Guarda il sasso. Guarda fuori quinta. Guarda davanti a sé. Medita. Prende il sasso. Si dirige verso destra e getta il sasso fuori scena. Si volta per ritornare nella sua posizione. Il sasso ricade dietro di lui. Si volta stupito. Guarda il sasso. Guarda fuori quinta a destra. Guarda il sasso. Guarda fuori quinta a sinistra. Guarda davanti a sé. Medita. Prende il sasso. Si guarda intorno smarrito. Vede la finestrella. Guarda il sasso. Guarda la finestrella. Guarda davanti a sé. Medita. Si dirige verso la finestrella. Guarda fuori, con prudenza. A destra. A sinistra. In alto. In basso. Scruta a lungo alzandosi sulla punta dei piedi. Gira la testa verso la sala. Medita. Allunga il braccio fuori dalla finestra. Lascia cadere il sasso, si volta verso la sala.
UNO: Ahhh!
Pausa. Si mette in posizione di ascolto con la mano dietro l’orecchio. Lunga pausa. Rumore del sasso caduto. Toglie di scatto la mano dall’orecchio. Si ferma. Medita. Estrae il fazzoletto rosso dalla tasca. Si deterge la fronte. Medita. Fa per rimettersi il fazzoletto in tasca. Si ferma. Medita. Guarda la finestra. Guarda il fazzoletto, si dirige verso la finestra e con grande prudenza ne copre l’apertura agganciando il fazzoletto alla parete. Si gira verso la sala soddisfatto. Si frega le mani.
UNO: Ahhhh!
Si ferma. Si volta, vede la fune che penzola dalla finestra. Guarda verso la sala. Guarda la fune. Medita. Prende la fune. Medita. Dà uno strattone. La fune cede. Si ferma. Gira la testa verso la sala. Guarda la fune. Guarda la sala. Comincia ad arretrare verso la sala tirando la fune. Quando è quasi al fondo della sala un uomo sbuca dalla finestrella facendo cadere il drappo rosso. Pausa. L’uomo cade con una capriola sul pavimento. Si rialza, si spolvera. Guarda davanti a sé. Medita. Lentamente si slega la fune. La lascia cadere. Indossa un impermeabile e un cappello identici a quelli dell’altro. Si toglie l’impermeabile e va ad agganciarlo a un chiodo sul muro dalla parte opposta di quello caduto. Si volta per tornare nella posizione precedente. Si ferma, si toglie il cappello e va ad agganciarlo a un chiodo sul muro esattamente sopra l’impermeabile. Torna alla sua posizione. Si ferma. Gira la testa verso i suoi indumenti. Guarda verso la sala e sorride. Si china per raccogliere la corda, vede a terra l’impermeabile e il cappello. Li guarda, si rialza. Guarda i suoi indumenti. Guarda gli indumenti a terra. Guarda la fune. Guarda gli indumenti. Guarda la fune. Guarda davanti a sé. Pausa. Guarda la fune. Ne segue il percorso con lo sguardo. Mette la mano a visiera e scruta nel buio della sala. Pausa. Si china. Prende la fune e comincia a tirarla verso di sé,
UNO: (Arrivando sul palco). Oh... Ero convinto che qui non ci fosse nessuno.
DUE: Mi dispiace di averla spaventata.
UNO: Oh, non è colpa sua... solo che… ero distratto dai miei pensieri.
DUE: Pensieri?
UNO: Beh... si fa per dire...
DUE: Lei è arrivato qui da poco, se non sbaglio.
UNO: Trent’anni.
DUE: Ci vuole un po’ prima di adattarsi.
UNO: Cioè?
DUE: Cosa?
UNO: Come?
DUE: Cioè, cosa? 
UNO: Cosa vorrebbe dire che ci vuole...
DUE: Voglio dire quello che ho detto, e basta.
UNO: Ma è sicuro?
DUE: Almeno...
UNO: Ma adattarsi a cosa?
DUE: Insomma, la smetta di farmi delle domande. Come si permette. Chi è lei? E perché dovrei
risponderle.
(Pausa. UNO va a raccogliere il drappo rosso e lo riappende davanti alla finestra).
DUE: Cosa fa?
UNO: (Fra sé). Ombre rosse...
DUE: Come dice?
UNO: Lasciamo perdere. (Vede l’impermeabile e il cappello appesi al muro). Chi li ha. appesi?
DUE: Io.
UNO: Come ha fatto?
DUE: Questione di pratica.
UNO: (Sospettoso). Come sarebbe a dire?
DUE: Quello che ho detto. Questione di pratica.
UNO: Pratica di cosa. Fa per caso il cameriere, lei?
DUE: Cosa gliene importa. E se anche fosse...
UNO: Mi importa, mi importa. E poi, il cameriere di chi? Qui non c’è nessuno.
DUE: (Pausa. Con aria inquisitiva). Come fa lei a sapere che qui non c’è nessuno?
UNO: Come faccio a saperlo? Ah, questa è bella! Abito qui da trent’anni e non so chi c’è e chi non c’è. Ma lo sa che lei è un bel tipo. Cosa crede. Io qualche volta, soprattutto di notte, ho cercato di uscire di qua... di cercare… qualcuno… qualcosa... niente... mai assolutamente niente.
DUE: E io chi sono?
UNO: Già, lei chi è? Da dove viene? Come ha fatto ad arrivare qui?
DUE: (Sarcastico). Mi ha tirato su lei, con quella corda.
UNO: E’ vero. Io ho tirato la corda, ma non sapevo che ci fosse lei attaccato.
DUE: Vede come sono i casi della vita.
UNO: Cosa?
DUE: La vita…
UNO: Come?
DUE: Lasciamo perdere. Volevo dire che anch’io sono qui da trent’anni.
UNO: Beh, anche lei è abbastanza recente,
DUE: In un certo senso.
UNO: Di che cosa soffre… se.... mi è permessa la domanda.
DUE: Cosa vorrebbe dire? 
UNO: Beh, se è qui, dovrà pur soffrire di qualche cosa.
DUE: Perché qui prendono solo gli ammalati. E invece, no. Io sto benone. Non mi sono mai sentito
così bene.
UNO: Sarà.
DUE: Sarà, cosa?
UNO: Dicono tutti cosi.
DUE: Dicono tutti, chi? Se qui non c’è nessuno.
UNO: Ha ragione, ma vede, le cose sono molto complicate. Non ci dicono mai nulla.
DUE: Chi, non dice nulla?
UNO: Nessuno.
DUE: Ah, già, nessuno.
(Pausa. DUE va a sedersi sulla seggiola. Si lascia andare disteso con le gambe allungate e gli occhi socchiusi).
UNO: (Avvicinandosi alla finestra). E’ stato fortunato, lei... Qui una volta c’era un’inferriata... una bella inferriata robusta... di quelle intrecciate di una volta... Non si rischiava di cadere... come adesso... che se ti sporgi troppo... pluff... ti sfracelli di sotto... No, una volta qui c’era la sua bella inferriata che non lasciava uscire niente... che non lasciava entrare niente... e nessuno. Quindi lei non sarebbe entrato. Io avrei tirato la mia corda col panierino, come faccio sempre, per vedere se c’è dentro qualche cosa. L’avrei ributtata giù, e tutto sarebbe stato come al solito, come sempre. E invece, no. Un bel giorno non c’era più. sparita, via... E adesso chiunque potrebbe entrare, anche se so bene che questo è impossibile... almeno... (Pausa). Lei non è malato, eh! Lei sta benone. Ma via, lei lo sa bene che dice solo stupidaggini... Lo sanno tutti che qui ci sono solo malati... o morti. (Pausa). Morti... vivi... parole.
(Si avvicina a DUE che si è addormentato sulla seggiola a bocca esageratamente spalancata. Lo guarda. Guarda la sala. Guarda DUE. Gli chiude la bocca spingendo con le dita sotto il mento. Lo lascia. La bocca si riapre. UNO si guarda intorno, vede il drappo rosso alla finestra, lo prende e ricopre la faccia di DUE).
UNO: Entra qui e dice (Imita la voce di DUE): “Ci vuole un po’ prima di adattarsi”. La fa semplice, lui. E se non mi adatto?... Cosa faccio?... Dove vado?... (A DUE che dorme). Eh, cosa fai?... Dove vai?... DEVI RESTARE QUI. Ah, certo, nessuno ti obbliga, nessuno obbliga nessuno ad andare da nessuna parte... No, questa è una balla grande come una casa. Da qualche parte devi pur andarci... Se metti insieme un certo numero di anni in qualche posto ci vai a sbattere per forza... (Si sporge dalla finestra, urla). Da qualche parte ci vai a sbattere per forza!... Sì, urla, urla... tanto non ti sente nessuno... nessuno ti può sentire. (Pausa). E chi mi dovrebbe sentire?... Tanto oramai non c’è più nessuno... Nessuno.... cosa significa... parole... Si fa per dire, naturalmente... per dire, appunto. (A voce alta, giocando). Dire, fare, baciare, lettera, testamento! (A DUE). Avanti, su, cosa scegli? Devi fare la penitenza, (Scandendo). La penitenza, hai capito? (Incalzante). Scegli dire? Ma cosa vuoi dire? (Ride). Cosa c’è da dire? Niente. È già stato detto tutto, e anche di più. Fare. Eh, già, fare... ma fare cosa? Baciare, allora. Una volta, forse, prima della malattia. Lettera? No, niente lettera. L’ultima deve essere di qualche millennio fa, ed era pure brutta. Non so scrivere, io. (Ride). Testamento, ecco, non rimane che fare testamento, se scarto anche quello il gioco è finito. E I GIOCHI DEVONO SEMPRE ESSERE FINITI.
DUE: (Agitandosi nel sonno). Ahh... Ahh...
UNO: Cosa fai, sogni? (Ride, poi declamando). Dire, fare, sognare... dormire, forse?... (Serio), sì, dormi, dormi, tanto è lo stesso... (Va alla finestra). Eppure, sono convinto che pensandoci bene, qualcuno ci deve essere. Non posso credere che tutti quei reparti siano vuoti... devono pur torturare qualcuno... altrimenti... (Pausa). Qualche volta mi pare di sentire dei suoni... delle grida... devono stringere forte con quei ferri... per giungere sino qua... (Va verso DUE). Eh, là! Bel signorino. (Lo scopre). Sveglia. Adesso tocca a te. Non vorrai che la commedia la faccia tutta io.
DUE: (Svegliandosi). Sognavo...
UNO: Sognavi?
DUE: Sì... che non c’erano più sassi nelle scarpe...
UNO: Magari.
DUE: Che i cappotti restavano attaccati alle pareti...
UNO: Ma dai.
DUE: Che alla finestra c’era l’inferriata...
UNO: Impossibile.
DUE: Che stavo giocando...
UNO: Ancora.
DUE: A dire, fare, baciare...
UNO: (Interrompendolo bruscamente). No, lascia stare. Questo pezzo l’ho già fatto io mentre dormivi.
DUE: (Alzandosi di scatto). Ehi, un momento, non eravamo d’accordo così!
UNO: Ma, dormivi.
DUE: (Aggressivo). E allora, cosa c’entra?
UNO: Cosa vuoi dire?
DUE: Cosa c’entra se dormivo. Tu eri sveglio, no?
UNO: E con questo?
DUE: (Minaccioso). Senti, bisogna che ognuno dica le sue battute, altrimenti non si capisce più niente.
UNO: Ma cosa cambia?
DUE: Ci vuole un po’ d’ordine... nella vita... altrimenti non si riesce a finire...
UNO: A finire, cosa?
DUE: E che ne so? A finire e basta.
UNO: Va bene, d’accordo. Andiamo avanti.
DUE: Si, andiamo avanti.
(Si siedono a terra ai lati opposti della scena, faccia al pubblico. Pausa).

UNO: E allora?
DUE: Allora, cosa?
UNO: Parla.
DUE: Di che cosa?
UNO: Di quello che vuoi.
DUE: Non so cosa dire.
UNO: Allora stai zitto.
DUE: Appunto.
(Lunga pausa)
UNO: Senti.
DUE: Che c’è?
UNO: Cerchiamo di non fare brutta figura.
DUE: Con chi? Non c’è nessuno, qui.
UNO: Lo dici tu,
DUE: Lo dicono tutti.
UNO: Tutti chi?
DUE: Tutti... tutti.
UNO: Vedi. ‘
(Lunga pausa).
UNO: Potremmo... potremmo parlare... degli esseri umani.
DUE: Di chi? 
UNO: Degli esseri umani... sai, quelli...
DUE: Ah, sì, ho capito. No.
UNO: Perché, no. Potrebbe essere interessante...
DUE: Gli esseri umani non mi piacciono,
UNO: Perché?
DUE: Puzzano.
(Pausa).

UNO: Non è mica facile.
DUE: Già.
(Pausa. Si avvicina a DUE a quattro zampe).
UNO: Senti.
DUE: Che c’è?
UNO: Non si potrebbe parlare di cose più importanti?
DUE: Più importanti di così?
UNO: Sì.
DUE: Impossibile.
(Lunga pausa).
UNO: Allora giochiamo.
DUE: Ancora?
UNO: Sì.
DUE: A cosa.
UNO: Alla rivoluzione.
(Si alza, prende il drappo rosso e lo sventola).
DUE: Cos’è?
UNO: Un bel gioco.
DUE: Che gioco?
UNO: Che ne so.
DUE: Come si fa?
UNO: Basta cominciare.
DUE: A cosa serve?
UNO: Per cambiare.
DUE: Che cosa?
UNO: Niente.
DUE: E allora?
UNO: Allora, cosa?
DUE: Perché si fa? 
UNO: Chiedilo a loro.
DUE: A loro, chi?
UNO: Non lo so.
DUE: Come, non lo sai.
UNO: A quelli... che hanno inventato il gioco.
DUE: Chi sono?
UNO: Non lo so.
DUE: Non sai mai niente.
UNO: E tu?
DUE: lo ne so come te.
UNO: Appunto.
(Sale in piedi sulla seggiola e mima una marcia sventolando la bandiera)
UNO: (Epico). E le masse oppresse.
DUE: Ci sono troppe esse.
UNO: Stia zitto.
DUE: Perché?
UNO: La Rivoluzione avanza. (Continua a marciare).
DUE: Dove va?
UNO: Avanti.
DUE: Avanti, dove?
UNO: Non lo so.
DUE: Non sai mai niente.
UNO: E tu?
DUE: Io ne so come te.
UNO: Avanti, vieni.
DUE: Con chi?
UNO: Con Noi.
DUE: (Sale anche lui sulla seggiola). Dove?
UNO: Verso l’Avvenire.
DUE: (Marciando anche lui). Verso dove?
UNO: L’Avvenire.
DUE: Che cos’è?
UNO: Non lo so. 
DUE: Non sai mai niente.
UNO: E le masse oppresse…
DUE: Ci sono troppe esse.
UNO: Saremo uniti.
DUE: Siamo uniti.
UNO: Non siamo mai stati divisi.
DUE: Non possiamo esserlo.
UNO: E allora marceremo insieme, verso... (Non gli viene la parola).
DUE: Verso dove?
UNO: (Sforzandosi). Non mi ricordo.
DUE: Sforzati.
UNO: Ah, ecco…
DUE: (Ansioso). Allora?
UNO: Verso… (Con fatica). Verso la... Vittoria.
DUE: Ci sono troppe ti.
UNO: Taci!
DUE: Non hai mai usato questa parola.
UNO: II momento è solenne.
DUE: Ci sono troppe enne.
UNO: II vento ci scompiglia i capelli.
DUE: Troppe elle.
UNO: Ci gonfia le ali.
DUE: Uffa.
UNO: Schiacceremo il nemico.
DUE: Questa marcia è troppo lunga.
UNO: Prenderemo il potere.
DUE: Cosa dirà il pubblico.
UNO: E ci siederemo...
DUE: Finalmente.
UNO: Sul trono della storia.
(La seggiola si ribalta, i due cadono a terra ai lati opposti della scena. Si ricompongono rapidamente seduti a terra, faccia al pubblico. Pausa),
DUE: Te l’avevo detto, io.
UNO: Che cosa? : .
DUE: Che si sarebbero annoiati.
UNO: Chi?
DUE: Loro.
UNO: Loro? Loro, cosa vogliono, si debbono accontentare, non è mica facile. Perché non ci provano loro.
(Pausa),
DUE: Però, siamo stati bravi.
UNO: Bravissimi,
DUE: Fantastici.
UNO: Abbiamo pronunciato parole indimenticabili.
DUE: Saremo immortali.
(Pausa).
DUE: Che bel gioco. Dove l’hai imparato?
UNO: L’ho visto in un quadro.
(Pausa),
DUE: Hai visto quante ne abbiamo dette.
UNO: Li abbiamo fregati.
DUE: E adesso?
UNO: Dobbiamo continuare.
DUE: Ancora?
UNO: Sì... Fino alla fine.
(Lunga pausa).
DUE: (Dopo aver cercato a lungo con lo sguardo). Le scarpe...
UNO: (Di soprassalto). Sì...
DUE: Sei senza scarpe.
UNO: Ma tu le hai.
DUE: E allora?
UNO: Pensiamoci.
DUE: Pensiamoci. . .
(Pausa).
UNO: Niente.
DUE: Come sarebbe a dire, niente?
UNO: Mi facevano male ai piedi.
DUE: E con questo?
UNO: Non riuscivo a pensare.
DUE: Pensare a cosa? 
UNO: Pensare e basta.
UNO: Avrà pure Qualche significato?
DUE: Già.
UNO: Pensiamoci.
DUE: Pensiamoci.
(Pausa).
UNO: Allora, ricapitoliamo.
DUE: Ricapitoliamo?
UNO: In mancanza di meglio.
DUE: Già.
UNO: Dunque...
DUE: Hai ragione.
UNO: Cosa vuoi dire?
DUE: Che hai ragione.
UNO: Cioè?
DUE: Che per ricapitolare bisogna cominciare con la parola “dunque”.
UNO: (Alzandosi). Spiritoso, se non sai più cosa dire, perché non te ne vai un po’ fuori quinta a
ripassarti il copione.
DUE: Dunque.
UNO: (Lo guarda di traverso). Quando si è aperto il sipario, io stavo già in scena...
DUE: E hai fatto tutta quella sceneggiata del sasso nella scarpa della quale non si è capito niente.
UNO: (Offeso). Si è capito che soffrivo?
DUE: Per forza, hai fatto una manfrina.
UNO: II fine giustifica i mezzi.
DUE: Questa l’ho già sentita.
UNO: Non rompere i coglioni, si è capito, o no?
DUE: (Alzandosi). Sì, ma perché soffrivi, per che cosa?
UNO: Ci vuole un motivo per soffrire? Quanto sei stupido. E dire che ne dovresti sapere almeno quanto me. Si arriva, ci si ammala, si soffre un po’, magari molto, dipende dalla sensibilità e poi, via, si riparte. Sotto un altro e chi s’è visto s’è visto. Cosa credi? Che stiano a dirti perché soffri? E chi te lo dovrebbe spiegare, poi?
DUE: (Sedendosi sulla seggiola). E il regista cosa ci sta a fare?
UNO: Sì, il regista! Quello se ne sta sempre là nel buio, acquattato. Non lo senti mai. Mai che ti chiarisca un passo, che ti dia qualche spiegazione. Non sembra nemmeno che ci sia.
DUE: L’autore, allora.
UNO: Ecco, proprio Lui, il Demiurgo! Ti spiattella una bella storia già confezionata. Bella o brutta, com’è, è; tu non puoi farci nulla, non puoi modificarla, neanche una virgola. Puoi solo interpretarla nel migliore dei modi, se ci riesci.
DUE: Oppure interromperla.
UNO: Interromperla, già. Uscire di scena. Come se non fosse già previsto anche questo. No, solo i cattivi attori se ne vanno. Gli altri finiscono la recita. (Lo fa cadere dalla seggiola).
DUE: (Avanzando). E prendono gli applausi.
UNO: (Avanzando). Che li ricompensano della fatica.
DUE: Della sofferenza.
UNO: Della finzione.
DUE: Della verità.
UNO: Che li fanno andare in paradiso.
DUE: O all’inferno.
UNO: Pieni di sudore.
DUE: Col fiatone.
UNO: Col cerone colato.
DUE: Squallide maschere.
UNO: Con le parrucche sbilenche.
DUE: Manichini spezzati.
UNO: Coi buchi sotto il costume.
DUE: Guitti umiliati.
UNO: E i piedi puzzolenti.
DUE: Che non sanno a quale recita hanno partecipato.
UNO: Senza storia.
DUE: Quali battute hanno detto.
UNO: Perché la recita è finita.
DUE: Che significato.
UNO: E il sipario è calato.
DUE: Su quelle povere ossa.
UNO: (Inchinandosi e parlando insieme). Amen.
DUE:
(Restano immobili inchinati davanti al pubblico. Pausa).
DUE: (Rialzandosi). Ah, sì, questa la teniamo.
UNO: È venuta proprio bene.
(si prendono le mani e girano in tondo saltando).
DUE: Evviva! Evviva!
UNO: Ci siamo riusciti.
DUE: Adesso non saremo più soli.
UNO: Non avremo più freddo.
DUE: Fame.
UNO: Brilleremo in eterno.
(Cadono a terra, sdraiati, ai lati opposti della scena. Ansimano). (Pausa).
DUE: Calmati.
UNO: Mi è venuto il fiatone.
DUE: Per forza.
UNO: Per forza, cosa?
DUE: Non sei abituato.
UNO: A fare che?
DUE: A raggiungere simili altezze.
UNO: Credi?
DUE: Direi di sì.
UNO: E invece ti sbagli.
DUE: Dici?
UNO: (Alzandosi in ginocchio, sognante). Basta mettere un granello di intelligenza in ogni piccolo gesto, in ogni pensiero, in ogni parola...
DUE: (Come sopra). Per volare?
UNO: Sì, per volare.
DUE: Incredibile.
UNO: Per arrivare lassù.
DUE: Impossibile.
UNO: Forse.
DUE: E se loro si offendono.
UNO: (Alzandosi in piedi). Li stermineremo.
DUE: Balle.
UNO: Li stermineremo col flit.
DUE: Come le pulci?
UNO: Come le pulci.
DUE: Sarebbe bello.
UNO: Sarebbe bello, davvero.
DUE: E invece si resta qui... attaccati alla terra... finché si può... finché non ti mandano via... finché
non ti vengono a prendere...
UNO: Ci sostituiremo a loro... (Salta sulla seggiola e sventola la bandiera). Sul trono, come la rivoluzione.
DUE: (Si alza e gli toglie il drappo dalle mani). Non dire stupidaggini. (Va a sedersi sulla valigia). Non c’è nessuno da sostituire.
UNO: Io dicevo così, per dire. (Si accovaccia sulla seggiola). Hai mai visto nessuno?
DUE: No, solo qualche rumore, di quando in quando.
UNO: Illusioni.
DUE: Fantasie.
UNO: Allucinazioni.
(Pausa).
DUE: Lo sai che tu hai proprio lo spirito dell’esploratore? Volare, che idea, e se precipiti?
UNO: Impossibile.
DUE: Precipitare?
UNO: No, volare.
DUE: Perché?
UNO: (Indica la finestra). C’è l’inferriata.
DUE: (Si alza e va alla finestra). C’era,1’inferriata.
UNO: Ah, già, allora è pericoloso.
DUE: Cosa?
UNO: (Ironico). Sporgersi.
(Pausa).
UNO: Beh, credo che per il momento possa bastare.
DUE: Cosa?
UNO: Quello che abbiamo detto.
DUE: Che cosa hai detto?
UNO: Niente.
(DUE si siede a terra di fianco alla seggiola su cui è accovacciato UNO. Entrambi faccia al
pubblico. Pausa).
DUE: Dov’eravamo rimasti?
UNO: II sasso...
DUE: Ah, sì, il sasso...
UNO: Poi ho tirato la fune...
DUE: Hai tirato la fune...
UNO: E tu sei entrato...
DUE: E io sono entrato...
UNO: A proposito, che cosa ci facevi là fuori?
DUE: Cercavo.
UNO: Cosa?
DUE: Non lo so.
UNO: Non sai mai niente.
DUE: E tu?
(Pausa).
UNO: Continuiamo.
DUE: Continuiamo.
UNO: (Guardandolo). Continuiamo.
DUE: (Guardandolo). Mi sono slegato la fune.
(Faccia al pubblico).
UNO: Ti sei slegato la fune.
DUE: Lentamente.
UNO: Lentamente.
DUE: L’ho lasciata cadere.
UNO: L’hai lasciata cadere.
DUE: A terra.
UNO: A terra.
(Pausa).
UNO: Avanti.
DUE: Non hai paura?
UNO: Sì, e tu?
DUE: Anch’io... e allora?
UNO: Allora, cosa?
DUE: Cosa facciamo?
UNO: (Guarda fuori quinta a destra e a sinistra). Continuiamo.
DUE: Sei sicuro?
UNO: Sì.
DUE: Perché?
UNO: Non ne possiamo fare a meno.
DUE: Non ne possiamo fare a meno?
UNO: No.
DUE: A meno di che?
UNO: Non lo so.
(Pausa).
DUE: D’accordo,
UNO: D’accordo, cosa?
DUE: Andiamo avanti.
UNO: Andiamo.
(Pausa).
DUE: Mi sono tolto l’impermeabile.
UNO: Mi sono tolto l’impermeabile.
DUE: L’ho appeso al muro.
UNO: L’ho appeso al muro.
DUE: Mi sono tolto il cappello.
UNO: (Guardandolo). Ti sei dimenticato qualcosa.
DUE: Cosa?
UNO: È caduto.
DUE: Cosa?
UNO: L’impermeabile.
DUE: Non dire stronzate.
UNO: Eppure...
(Pausa).
DUE: Dov’ero rimasto?
UNO: Non mi ricordo.
DUE: Fai il furbo?... (Pausa). Ah, sì.
UNO: Cosa?
DUE: Mi sono tolto il cappello.
UNO: Mi sono tolto il cappello.
DUE: L’ho appeso al muro.
UNO: L’ho appeso al muro.
DUE: Mi sono girato.
UNO: (Guardandolo). Ti sei dimenticato qualcosa.
DUE: Cosa?
UNO: È caduto.
DUE: Cosa?
UNO: Il cappello.
DUE: Non dire stronzate.
UNO: Eppure…
(Pausa) .
DUE: Dov’ero rimasto?
UNO: Non mi ricordo»
DUE: (Alzandosi). Fai il furbo?
UNO: (Alzandosi). No.
(Si fronteggiano).
DUE: Cosa?
UNO: Non faccio il furbo.
DUE: Allora, sei scemo.
UNO: Non sono scemo,
DUE: Ah, non sei scemo?
UNO: No.
DUE: Allora, hai paura.
UNO: Sei tu che hai paura.
DUE: Io?
UNO: Sì, tu, l’indagine proseguiva, forse avremmo scoperto qualcosa.
DUE: Cosa?
UNO: Non lo so, ma che importanza ha, stavamo per arrivare... (Cerca l’offesa). Codardo!
DUE: (Sorpreso). Codardo?
UNO: Sì, codardo. E’ ora di usarle tutte le parole, fino in fondo.
DUE: E allora, sai cosa ti dico? Che sei un marrano, un marrano di vil razza dannata.
UNO: Figlio di puttana!
DUE: Stronzo!
UNO: (Offesa nel dialetto dell’interprete).
DUE: (Offesa, la più volgare possibile, nel dialetto dell’interprete).
(Di scatto vanno verso la parete di fondo, ciascuno di fronte ai propri indumenti, spalle al pubblico. Mentre continuano a discutere li indossano).
UNO: Ti sfido a duello.
DUE: Col coltello?
UNO: Col randello.
DUE: Con l’ombrello.
UNO: Con l’uccello.
DUE: Proprio quello?
UNO: Non è bello?
DUE: Non è giusto»
UNO:
DUE: (Insieme). Ma si prova tanto gusto.
UNO:
DUE: (Insieme). E...
UNO: (Voltandosi uno verso l’altro, insieme). Vaffanculo!
DUE: (Di nuovo spalle al pubblico, continuando a parlare insieme ed eseguendo i gesti. Urlano).
Mi sono tolto l’impermeabile.
L’ho attaccato al chiodo sul muro.
(Un impermeabile cade, l’altro no).
Mi sono tolto il cappello.
L’ho attaccato al chiodo sul muro,
(Un cappello cade, l’altro no).
(Si voltano uno verso l’altro).
Hai visto chi aveva ragione?
(Si guardano a lungo, immobili. Pausa. Lentamente UNO va a sedere sulla valigia, DUE sulla seggiola, spalle a UNO).
UNO: Non c’è nessuna pietà.
DUE: Nessuna ragione.
UNO: Un po’ di umanità.
DUE: (Voltandosi di scatto). Di cosa?
UNO: Di umanità.
DUE: (Dirigendosi verso UNO). Ah, già.
UNO: Forse una volta...
DUE: (Sedendosi sulla valigia di fianco a UNO). Quando eravamo bambini…
UNO: Qualche secolo fa...
DUE: E la mamma ci coccolava...
UNO: Quando ci raccontavano le favole…
DUE: Col succhiotto...
UNO: (Lo corregge). Col succhietto.
DUE: Col succhiotto.
UNO: Col succhietto.
DUE: (Conciliante). E va bene, col succhietto.
UNO: (Meravigliato). Eh!
DUE: Continua.
UNO: (Gli mette una mano sulla spalla). Col succhietto...
DUE: (Gli mette una mano sulla coscia). Col succhietto...
UNO: (Rapito). Col succhietto...
DUE: (Rapito). Col succhietto...
UNO: Col succhietto...
DUE: Col succhietto...
(Si guardano e attaccano una canzone a squarciagola).
Un bimbo addormentato...
(Si guardano. Pausa. Si siedono a terra, abbracciati. Ricominciano a cantare con molta dolcezza).
Un bimbo addormentato
col gallo si svegliò.
Vide la finestra
e di sotto si gettò.
Sul cuscino immacolato
una lacrima restò.
E il succhietto suo adorato
più il bimbo non succhiò.
Ciò visto gli altri bimbi
scavarono una fossa...
(Si interrompono e dopo un istante di raccoglimento riprendono).
Ciò visto gli altri bimbi
scavarono una fossa.
E sulla terra smossa
scrissero col ditino.
Un bimbo addormentato
col gallo si svegliò.
Vide la finestra
e di sotto si gettò.
(Si interrompono come sopra).
Vide la finestra
e di sotto si gettò.
(Si interrompono come sopra).
Ciò visto gli altri bimbi
scavarono una fossa.
(Si interrompono come sopra).
E sulla terra smossa
scrissero col ditino.
(Col dito indice disegnano una croce sul pavimento).
(Pausa).
UNO: (Alzandosi, sbrigativo). Ecco fatto.
DUE: (Idem). Ah.
UNO: Beh, qualche soddisfazione di quando in quando.
DUE: È stato bello.
UNO: Commovente.
DUE: Forse... avremmo potuto piangere.
UNO: Non esageriamo.
DUE: (Pensando). Forse, avremmo dovuto piangere.
UNO: Ma dai.
DUE: Una lacrima.
UNO: Una che?
DUE: (Incerto). Lacrima.
UNO: (Sforzandosi di ricordare). Che strana parola... Dove l’hai sentita?
DUE: Non mi ricordo... Forse... quando... là fuori... in uno di quei reparti... sì, mi sembra... Chissà... Urlavano...
UNO: (Urlando, isterico). E smettila di fare il poeta, solo perché sei stato là fuori, una volta, credi di poter dire tutto quello che ti pare, di fare quello che ti pare. Ma cosa credi? C’è una regola da rispettare. (Pausa). Non si fa così. 
DUE: Hai ragione, scusami, mi sono lasciato trasportare...
UNO: Da cosa?
DUE: Da... Da... Da...
(Pausa) .
UNO: (Afferrando la valigia). Su, presto, rimettiamo tutto a posto, prima che se ne accorgano.
DUE: (Urlando). La valigia!
UNO: (Si blocca).
DUE: Perché lei ha la valigia e io no? Cosa significa?
UNO: (Freddamente). Bisogna essere previdenti.
DUE: Previdenti per che cosa?
UNO: Previdenti e basta.
DUE: Chi gliel'ha data?
UNO: Era qui.
DUE: A cosa serve?
UNO: Per andare...
DUE: O per venire?
UNO: Chissà...
DUE: (Avvicinandosi). Lei è troppo misterioso per il mio carattere. Basta. Adesso mi deve spiegare tutto. (Lo prende per il bavero della giacca). Ha capito, tutto! sono anni che mi tiene qui dentro... che mi fa certi discorsi... oscuri..
UNO: (Staccandogli le mani). Si calmi, così non fa che peggiorare la situazione.
DUE: No, che non mi calmo, bel damerino. È ora di invertire le parti. È un'ora che mi fa delle domande stupide. Adesso tocca a me.
UNO: Si calmi, le dico, ci sentono.
DUE: Lei vuoi farmi impazzire! Chi ci sente, se non c'è nessuno qui.
UNO: (Cercando di calmarlo). La smetta.
DUE: (Sporgendosi dalla finestra, urla). C'è nessuno qui... C'è nessuno qui... Su, avanti, venite fuori, fatevi sentire... Non ho paura, io...
UNO: (Trattenendolo). Su, stia attento, potrebbe precipitare...
DUE: (Urla). E chi se ne frega, meglio, così finalmente la faremmo finita, finita, finita... (Si accascia sulla seggiola).
UNO: (Avvicinandosi). Finita?
DUE: (Calmandosi). Sì, finita.
UNO: È sicuro?
DUE: (Incerto). Sì...
UNO: (Pietoso). Lo sa che non è vero.
DUE: (Rassegnato). Già...
UNO: Vede.
DUE: (Sospirando). Lei mi tirerebbe su di nuovo, con la fune come ha fatto prima.
UNO: Per forza. (Si inginocchia e gli prende la mano). Non è colpa mia.
DUE: Già...
(Pausa).
DUE: (Coprendosi il volto con le mani). Ma tu lo sai come andrà a finire.
UNO: No. (Si alza e va a destra di spalle). Ci sono ancora molte battute.
(Pausa)
DUE: E adesso?
UNO: Dobbiamo continuare.
DUE: (Si alza a va a sinistra di spalle). Già.
(Pausa).
UNO: Dove eravamo rimasti?
DUE: Non mi ricordo.
UNO: (Si gira). Ci fosse almeno il suggeritore.
DUE: (Si gira). Già.
UNO: E invece, niente.
DUE: Tutto a memoria.
UNO: E nei vuoti...
DUE: Improvvisare.
(Pausa).
UNO: Non è mica facile.
DUE: Nessuno che ti dica mai niente.
UNO: Tutta la commedia da soli.
DUE: E quando è finita...
UNO: Neanche un applauso...
DUE: Neanche un fischio...
UNO: Solo un grande silenzio...
DUE: E la platea vuota...
UNO: Un grande buco nero...
DUE: Pieno di manichini...
UNO: Con la testa piegata...
DUE: Come se dormissero...
UNO: Come se fossero morti...
(Di colpo UNO afferra la bandiera e si getta in platea. Bello, retorico e folle).
Ma un giorno ritorneremo
A riempirci di senso
A raccontarci le storie
Con tutte le parole
Al posto giusto
E vi terremo svegli
Dal crepuscolo all'aurora
Senza paura
Che i crepacci ci inghiottiscano
Che le parole ci opprimano
Che i silenzi ci affoghino
Su, tutti in piedi
A salutare l'alba
Che ci farà liberi
Da prigionieri
Che ci darà coscienza
Della nostra impotenza
Sarà il più grande spettacolo
Di beneficenza.
(È di nuovo sul palco, eccitato ed ansimante. Le braccia spalancate e la bandiera in mano).
DUE: (Abbassandogli il braccio). Bella figura.
UNO: Io...
DUE: Sei diventato matto.
UNO: Io...
DUE: lo, un corno. Sei andato fuori dal copione.
UNO: Ma dormivano...
DUE: Cosa c'entra. Non siamo mica qui per divertirci. Su, metti via quello straccio.
UNO: È una bandiera.
DUE: È uno straccio.
UNO: È una bandiera.
DUE: Va bene, è una bandiera. Mettila via.
UNO: Dove?
DUE: Dove finiscono tutte le bandiere.
UNO: Cioè?
DUE: Negli stracci.
(UNO fa per gettare la bandiera. Si ferma, si volta. Guarda la finestra. Riappende il drappo
rosso sull'apertura).
UNO: E adesso?
DUE: Adesso?
UNO: Sì.
DUE: Non ci resta che prendere la valigia.
UNO: La mia valigia.
DUE: (Minaccioso). La tua valigia?
UNO: Va bene, va bene, d'accordo: la nostra valigia. Basta che non ti fai venire un attacco di nervi come hai fatto prima.
UNO: (Prende la valigia).
DUE: E adesso?
UNO: (Si immobilizza con la valigia in mano). Adesso, cosa?
DUE: Cosa facciamo?
UNO: Non lo so.
(Pausa).
DUE: E allora?
UNO: Bisognerebbe vedere cosa c'è scritto sul copione.
DUE: Già.
(Pausa).
DUE: Chi ce l'ha?
UNO: Cosa?
DUE: Il copione.
UNO: E chi lo sa.
(Pausa).
DUE: Allora, cosa Facciamo?
UNO: Aspettiamo.
DUE: Chi?
(Pausa).
UNO: E se l'aprissimo?
DUE: Cosa?
UNO: La valigia.
DUE: Potrebbe essere pericoloso.
UNO: Un'occhiata soltanto.
DUE: Potrebbe essere la fine.
UNO: Un tuffo soltanto.
DUE: E va bene, soltanto perché sei mio ospite...
UNO: Cosa vorresti dire?
DUE: Quello che ho detto, che sei mio ospite.
UNO: Ma se questa è casa mia.
DUE: (Minaccioso). Casa tua?
UNO: Va bene, va bene, d'accordo: casa nostra, stai calmo. (Pausa). Allora l'apriamo?
(Appoggia la valigia per aprirla).
DUE: Cosa fai?
UNO: L'apriamo.
DUE: Potrebbe essere l'ultima volta.
UNO: Insomma, se l'hanno messa qui a qualcosa deve servire.
DUE: Già...
(UNO avvicina le mani alle serrature).
DUE: (Mettendogli una mano sulla spalla). Aspetta...
(Rapidamente, DUE, va a vedere fuori quinta: a destra, a sinistra. Poi guarda fuori dalla finestra sollevando un lembo del drappo rosso. Torna alla valigia e si inginocchia vicino a UNO).
UNO: Allora?
DUE: Dai.
(UNO fa scattare le serrature una dopo l'altra, solleva lentamente il coperchio: un palloncino sale verso il cielo. I due a bocca aperta lo guardano salire. Il palloncino scompare).
DUE: (Stupito). Cos'era?
UNO: (Serio). L'anima.
DUE: Cosa?
UNO: L'anima.
DUE: Ma dai.
UNO: (Convinto). Era l'anima, ti dico.
DUE: L'anima di chi?
UNO: (Frugandosi il petto). La mia anima.
DUE: (Frugandosi il petto). E io?
UNO: (Guardandolo). E va bene, la nostra anima.
DUE: (Ridacchiando). Due corpi e un'anima sola...
UNO: Spiritoso.
DUE: Eh, eh, eh...
UNO: Banale.
DUE: Allora, adesso, siamo senz'anima?
UNO: Già...
(Si alzano e saltellano per la stanza agitando le braccia come se volassero. DUE sale sulla seggiola e UNO gli gira intorno).
UNO: Tu, come ti senti?
DUE:: Come prima. E tu?
UNO: Anch'io.
DUE: Sai, pensavo che uno senz'anima fosse più leggero, che potesse volare.
UNO: Quanto sei stupido, è esattamente il contrario. E' l'anima che vola... che sale...
DUE: Perché sale?
UNO: E che ne so, si dice così...
DUE: (Saltando giù dalla seggiola). Potrebbe scendere, no?
UNO: E piantala, ne vuoi sapere più tu di lui.
DUE: Lui, chi?
UNO: Lui e basta.
DUE: (Minaccioso). Ricominciamo coi misteri?
UNO: (Pensieroso). Hai detto giusto... coi misteri...
DUE: (Comincia ad arrabbiarsi). Insomma chi è lui... e cosa c'entra con l'anima?
UNO: Non lo so.
DUE: Come sarebbe a dire che non lo sai. Sei tu che hai nominato questo "lui".
UNO: Ho detto così, per dire.
DUE: Per dire un corno! Bisogna fare attenzione a dire certe cose. È pericoloso.
UNO: Mi è venuto così... spontaneamente... Sarà stato il pallonc... l'anima... (Guarda in alto). Saliva... e io...
DUE: (Guarda in alto). E tu?...
UNO: (Mistico). E io...
DUE: (Idem). E tu?...
(Si inginocchiano sempre guardando in alto verso il palloncino scomparso) .
UNO: E io...
DUE: E tu? ...
UNO: (Abbassando la testa). Niente.
DUE: (Deluso). Come niente... sembravi... in estasi... e io speravo... nella... RIVELAZIONE.
UNO: (Con aria di rimprovero). No, niente filosofia, lo sai, non è permesso.
DUE: (Mortificato). Hai ragione, scusa.
UNO: Che non succeda più, che non succeda mai più.
DUE: D'accordo.
(Iniziano a tirare fuori il contenuto della valigia).
DUE: Però, ci siamo andati vicini...
UNO: Già.
DUE: Beh, ne valeva la pena.
UNO: Direi...
(Estraggono delicatamente "l'altarino". Un leggio con due piccole candele accese sugli angoli anteriori. DUE lo sistema fra la valigia e la seggiola).
DUE: (Cauto). Ma tu lo sai di cosa abbiamo parlato?
UNO: Più o meno...
DUE: Più o meno?
UNO: Certe cose non è mica facile dirle.
DUE: Già.
UNO: Uno si sforza...
(Estraggono dalla valigia altre candele accese e cominciano ad "ornare" le loro piccole cose. Le mettono sul bordo del coperchio della valigia aperto, sul bordo della seggiola; è la recita della recita. Una piccola triste cerimonia).
UNO: Oh, si sa, naturalmente, che non serve a niente...
DUE: Già.
UNO: Ma ci si prova...
DUE: Ci si deve provare.
UNO: Fa parte del copione.
DUE: Naturale.
UNO: Se no, cosa ci si starebbe a fare.
DUE: Giusto.
UNO: Saremmo come degli... animali...
(Ridacchiano).
DUE: Questa è buffa, è buffa davvero... Degli animali. E cosa sarebbero?
UNO: (Incerto). Beh... sarebbero... saremmo noi... senza l'anima…
DUE: E dagli con l'anima. Ma lo vuoi capire che abbiamo scherzato.
UNO: (Preoccupato). Scherzato?
DUE: Sicuro. Non si può mica parlare seriamente di certe cose.
UNO: (Deluso). Ohh!
DUE: Deluso? via non fare l'ingenuo. Credi davvero che se avessimo parlato seriamente ci sarebbero stati ad ascoltare.
(UNO mette un medaglione al collo di DUE. DUE mette una corona di latta in testa a UNO. Piccole tracce del "vecchio teatro").
UNO: Oh, no. Naturalmente questo no.
DUE: E allora?
UNO: Hai ragione, ma vedi, uno a forza di parlare si convince che le parole abbiano qualche significato.
(Con un rossetto UNO "trucca" pesantemente DUE, poi si passa la mano sporca sulla faccia, inavvertitamente, creando "l'insulto". I guitti sono pronti per la "recita").
DUE: Bisogna stare coi piedi per terra.
UNO: È vero, è vero. Mi sento molto più consolato perché capisco che abbiamo parlato di niente.
DUE: Certi discorsi non puoi mai sapere dove ti portino.
(UNO estrae dalia valigia un libro (Amleto), lo sfoglia fino al punto prescelto e lo consegna a DUE che lo appoggia con cura sul leggio fra le candele accese. Un piccolo catafalco di velluto rosso per una piccola cerimonia funebre. Si celebra 1'"ultima" rappresentazione).
UNO: E intanto siamo pronti per la scena finale.
DUE: L'unica che valga.
UNO: Che abbia qualche significato.
DUE: Per la quale valesse la pena di aspettare tutto questo tempo.
UNO: Quella che rimarrà anche quando ce ne saremo andati.
(Si alzano. UNO va alla seggiola, DUE alla valigia).
DUE: E avremo richiuso la porta di casa.
UNO: Facendo tremare tutto il condominio.
DUE: Dal tetto alle fondamenta.
UNO: Guarire i malati.
DUE: Resuscitare i morti.
UNO: Spaccare i televisori.
DUE: Capire la verità.
UNO: Senza dirla.
DUE: Che unisca...
UNO: Ciò che non è mai stato diviso...
DUE: Che non può esserlo.
UNO: (Sale in piedi sulla seggiola). Andiamo.
DUE: (In piedi dietro la valigia aperta). La tenzone è aperta.
(Un tripudio di candele).
(Dall'"Amleto", atto III°, scena Ila).
UNO: Dite il vostro discorso, vi prego, come ve l'ho recitato io; come se vi danzasse sulla lingua, che se me lo urlate come fanno certi attori moderni, tanto varrebbe affidare i miei versi a un banditore di piazza.
DUE: E non falciatemi l'aria con la mano, così: ma tenetevi misurati; che anche nel torrente, nel vortice, diciamo pure nell'uragano, dei vostri affetti, dovete conservare quella sobrietà che consente morbidezza di toni.
UNO: Mi si guasta il sangue quando sento un guittaccio, imparruccato, ridurre a brandelli la sua passione dilaniandola a morsi pur di sfondar gli orecchi a quelli giù in platea. Uno così lo farei frustare per concorrenza sleale al capitan Fracassa. Per carità evitatemi quello strazio.
DUE: Ma non siate poi neanche pappemolli. Lasciatevi guidare dal vostro criterio e gusto. Accordate l’azione alla parola, la parola al gesto, badando di non oltrepassare la misura né i limiti della naturalezza; che lo strafare è contrario alla vocazione dell’arte teatrale, il cui fine è sempre stato ed è quello di porgere uno specchio alla natura che mostri alla virtù il suo vero aspetto, a1 vizio la sua precisa immagine; e d’ogni epoca impronta e forma.
UNO: Ora, il gigioneggiare quanto il recitarsi addosso può far talvolta, piacere al pubblico più orbetto, ma non può che disgustare l'intenditore: e il biasimo di uno solo di questi buongustai deve avere più peso per voi gente dell'arte, che l'applauso di un "esaurito" di balordi.
DUE: Quanti attori ho sentito lodare e stralodare da ignoranti! Certi attori senza accento né portamento da cristiani né da pagani né da uomini; capaci solo di pavoneggiarsi e muggire!
UNO: Veniva da pensare che li avesse creati uomini, nel laboratorio della natura, qualche avventizio che li avesse sbagliati; tanto era subumana la loro imitazione dell'umanità. Sradicate questi difetti dall'arte dell'attore.
DUE: E se fate la parte del buffone, o del pazzo malinconico, non infarcitela di soggetti, ma attenetevi al testo che fu scritto per voi.
UNO: Perché ce n'è di quelli che pur di trascinare alla risata i più tangheri spettatori, cominciano essi stessi a dare in grandi risate fragorose.
DUE: E magari proprio quando l'attenzione avrebbe da fermarsi su battute essenziali che non debbono andar perdute.
UNO: Volgarissima truffa; la quale mostra, nello sciocco che la compie, bassa ambizione e miseria
mentale. Andate a prepararvi.
(La recita è finita. Tragici clown, dal volto segnato, UNO e DUE “seppelliscono” tutti gli oggetti nella valigia. Le candele accese nella valigia, il piccolo “catafalco” nella valigia; solo la corona resta sulla seggiola con una piccola candela accesa davanti. Deve sembrare che le candele restino accese nella valigia. UNO e DUE, infine, inginocchiati davanti alla valigia aperta, prendono una candela ciascuno dall’interno della valigia. Le sollevano all’altezza della bocca e con un soffio le spengono. Le rimettono nella valigia. Lentamente richiudono il coperchio. Fanno scattare le serrature una per volta. Si alzano, afferrano la valigia dai due lati, la sollevano e la vanno a depositare in un angolo. Diventano più sbrigativi “stanno dimenticando” ripresi dalla “vita”. Vanno alla seggiola, prendono uno la corona e uno la candela e canticchiando distrattamente l’aria precedente, vanno a depositarle sulla valigia. La candela dentro la corona è un bel lumino da cimitero. Tutto è fatto).
UNO: Finalmente abbiamo Finito. Non ci resta che andare alla ribalta a prendere gli applausi.
DUE: Ma neanche per sogno.
UNO: Perché? Non ce li siamo meritati?
DUE: Non si tratta di questo.
UNO: Cosa vuoi dire?
DUE: Io non ho ancora fatto il mio monologo.
UNO: Ma la commedia è finita.
DUE: Non me ne importa un cazzo.
UNO: Si arrabbieranno.
DUE: Chi?
UNO: Gli autori.
DUE: Peggio per loro. Non dovevano metterci in scena. Siediti.
UNO: No.
DUE: (Lo insegue con la corda in mano). Siediti, ho detto.
UNO: Ho fretta, mi debbo struccare...
DUE: (Lo costringe a sedere). Non mi fare arrabbiare.
UNO: Debbo andare a casa...
DUE: (Lo lega alla seggiola). E invece rimani qui.
UNO: Ho un appuntamento. . .
DUE: Aspetteranno. Debbo fare ancora il mio monologo.
UNO: Ma non servirà, è già stato detto tutto...
DUE: Me ne frego. Sono un attore, e voglio fare la mia parte.
UNO: Fai presto, almeno.
DUE: II tempo che servirà.
UNO: (Al pubblico). Abbiate pazienza.
DUE: (Impostando la voce). Sceglierò dal repertorio. Dunque, vediamo: l'incesto, no; la morte, no; l'amore? No, di quello ne parliamo dopo; la vispa Teresa, no, troppo futile. Ecco, ho trovato: la ricetta, declamerò, la ricetta. Titolo: "COSTOLETTE DI AGNELLO". Prendere un agnello da latte. (Ha un lampo sinistro negli occhi). Vivo, naturalmente. Affinchè il risultato sia eccellente sincerarsi che sia assolutamente incontaminato, cioè che si sia nutrito esclusivamente del latte della madre. È fondamentale verificare la purezza dell’animale (assume un atteggiamento sempre più sadico e crudele) perché questo farà sì che i vostri denti, il vostro palato, il vostro stomaco, il vostro cervello (con voluttà) assaporino il piatto più prelibato, la carne più tenera che mai vi sia stato dato di gustare. (Smorfie di disgusto di UNO).
UNO: Ahh...
DUE: (Guardandolo con disprezzo). Continuiamo. Un suggerimento pratico per constatare inequivocabilmente che l’agnello non sia stato nutrito con elementi estranei, che potrebbero avere influito negativamente su di lui, è questo: prendere un punteruolo appuntito... (brivido di UNO) inserirlo (sadico) delicatamente nell’orbita destra (UNO chiude l’occhio destro), mi correggo, sinistra (UNO chiude l’occhio sinistro) dell’animale (Mima le parole). Fare ruotare in senso orario, con decisione, il punteruolo, affinché l’occhio schizzi fuori dall’orbita...
UNO: (Come se fosse colpito). Ahhh!
DUE: (Lo guarda con severità). continuiamo. Raccogliere in un calice di cristallo il primo spruzzo di sangue (sussulto di UNO, DUE lo guarda), sollevarlo in alto e controllarne attentamente il colore che dovrà essere di un bel rosso vivo, senza striature o impurità di alcun genere. (Gesticola come un sacerdote). Portarlo lentamente alla bocca ed assaggiare, con voluttà, il liquido denso e appiccicoso, il cui sapore (gusta le parole) dovrà essere dolce e gustoso come il battito spaventato (si eccita) del cuore che l’ha portato fino a voi... (Si ricompone). Se così non fosse, otterreste un risultato scadente. Potete quindi gettare tranquillamente la carcassa.
UNO: No...
DUE: Stia zitto.
UNO: Basta, non ne posso più.
DUE: Lo sa che lei è molto indisciplinato. Non sa stare al suo posto. Disturba la... creazione.
UNO: La prego...
DUE: Insiste? Peggio per lei. Sono costretto a imbavagliarla. (Lo imbavaglia col drappo rosso). Spero di non farle male. Ecco fatto. Dov’ero rimasto? Ah, sì. Se l’esame, al contrario, sarà felicemente superato, possiamo tranquillamente passare alla fase successiva. Appendere l’agnello, al quale vi sarete premurati di legare in precedenza le “gambe”, con la testa in basso. Avvertenza importante. A questo punto, probabilmente, l’animale, scosso da tremiti e con l’orbita vuota sanguinante, vi guarderà terrorizzato con l’occhio rimasto (sguardo fra UNO e DUE). È qui che dovete dimostrare di essere veramente degli abili cuochi. se sarete all’altezza il più sarà fatto e la ricetta, di qui in avanti, non vi riserverà più sorprese o difficoltà e i vostri commensali, da voi resi perfettamente ignari dei vostri problemi di cucina, da voi solo, orgogliosamente e gioiosamente affrontati e risolti nel segreto del vostro laboratorio, gusteranno i vostri squisiti manicaretti e applaudiranno, incondizionatamente, il vostro operato, (mette la corona a UNO) incoronandovi il miglior manipolatore di carni che abbiano mai conosciuto. (Si applaude discretamente da solo. UNO si agita cercando di fare cadere la corona dalla testa). Ma non perdiamoci in disquisizioni filosofiche e torniamo alla nostra ricetta. Avete appena appeso l'agnello recalcitrante a testa in giù, prendete un coltello di media grandezza, ben affilato, (adesso rapido e sbrigativo) e con un fendente ben assestato sgozzate l'animale. (DUE lascia cadere la testa in avanti). Lasciate colare il sangue fino al completo dissanguamento. Aprite in due il corpo eseguendo una profonda incisione, dall'alto verso il basso, nel ventre della bestia. Estraete le interiora: stomaco, budella, intestini, buttateli ai cani; fegato, cuore e rognoni (ogni volta che nomina una parte UNO ha un sussulto) metteteli da parte per una successiva deliziosa ricetta. (Sempre più professionale). Ora viene la parte più divertente; la "svestizione dell'agnello". (Si guarda intorno compiaciuto della sacralità della frase appena pronunciata, poi guarda con pietà UNO che ha sempre la testa reclinata). Per scuoiare rapidamente e a regola d’arte l’animale, praticate un’incisione attorno alle zampe anteriori e posteriori; afferrate saldamente la pelle con le mani e con un colpo deciso, dall’alto verso il basso, staccate la pelle dal corpo fino all’altezza del collo. (Sussulto di UNO). Se volete lasciare la testa attaccata al corpo, lavorate, pazientemente, di coltello per scotennarla, in caso contrario recidete la testa all’altezza del collo e gettatela ai cani. (Sussulto di UNO. DUE gli solleva la testa). Hai sentito cosa ho detto: che se la testa non serve (Gliela scuote) si può gettarla ai cani!... (Scuote più forte la testa. La corona cade a terra). Fai finta di dormire, eh, ma ci penso io, i miei odorini fanno resuscitare i morti. Il meglio deve ancora venire, sentirai tra un po' quando comincerò a cucinare.
UNO: (Sempre col bavaglio). Mmmm... Mmmm.
DUE: Silenzio! Cosa c’è, non ti piace la carne? Sei vegetariano? Ci scommetto che sei vegetariano, di quelli che mangiano soltanto verdura e che solo al sentire parlare di carne svengono. Bene, bene, bene, ci divertiremo. Stai a sentire. (Sempre più sadico, lentamente all’orecchio di UNO). Prendere un’accetta affilata per smembrare il cadavere, eh, eh. Staccare prima le spalle e le cosce. Lasciare l’accetta e prendere un coltellino molto affilato, tzzztz! Separare le costole una dall’altra (lubrico) penetrando profondamente nella carne... (lentamente) una per una... (UNO si agita, terrorizzato). Cospargere abbondantemente le costolette con un trito di rosmarino e aglio mescolati a sale fino e lasciare riposare, eh, eh, per alcune ore. (UNO sviene, DUE lo schiaffeggia per farlo rinvenire). Forse ho esagerato, poverino. (DUE si riprende). Su, su, coraggio, che abbiamo quasi finito. Tra poco sentirai che odori, che profumi, che gusti. Non avrai mai assaggiato niente di simile.
UNO: Mmmm... Mmmm...
DUE: (Urlando). Continuiamo. Rosolare (si eccita) le costolette in olio bollente a fiamma viva (UNO si muove come se fosse scottato) fino a quando non prendono un bel colore dorato. (Si muove attorno a UNO come se fosse un abile cameriere). Servire in tavola ben caldo su un piatto da portata, decorato con fettine di limone. (Fa il gesto come per mettergli il piatto davanti; gli toglie il bavaglio e glielo allaccia al collo come un tovagliolo). Accompagnare il tutto con un buon vino rosso d’annata. Et voilà! Buon appetito! (Si inchina al pubblico per ricevere l’applauso: per la magistrale ricetta e per la magistrale interpretazione. UNO vomita. Pausa. DUE lo pulisce col tovagliolo), Debolino di stomaco, eh?
UNO: Sognavo.
DUE: Sognavi?
UNO: Un incubo.
DUE: Meno male.
UNO: Come?
DUE: Cosa sarebbe la vita senza incubi.
UNO: Già.
(Pausa).
DUE: Hai sentito il mio monologo?
UNO: Sì.
DUE: Che te ne pare?
DUE: Fa schifo.
UNO: Lo dici per invidia.
DUE: È la verità.
UNO: Cosa?
DUE: La verità.
UNO: Non esageriamo.
DUE: II mio era più bello.
UNO: Non è vero.
DUE:
UNO: (Insieme). Deciderà il pubblico.
(Pausa) .
DUE: Slegami.
UNO: Non posso.
DUE: Perché?
UNO: Non sono pronto.
DUE: Pronto a cosa?
UNO: Non lo so.
DUE: Dai.
UNO: No.
DUE: Senti. È assolutamente necessario che tu mi sleghi, altrimenti la commedia non potrà finire.
UNO: Che m'importa, tanto il monologo l'ho già fatto.
DUE: Eh, no. Non si può ragionare così. Siamo dei professionisti.
UNO: (Svogliato). E va bene. (Lo slega). Sei contento adesso. (Va a sdraiarsi da un lato).
DUE: (Si alza). Su, su, che dobbiamo continuare.
UNO: (Sbadigliando). Non ne ho più voglia.
DUE: Su, avanti, che figura mi fai fare. Cosa diranno?
UNO: Chi?
DUE: Loro.
UNO: Non me ne frega niente. (Si mette a dormire).
DUE: (Lo prende a calci), E smettila di fare lo stronzo. Alzati, imbecille. Cosa credi? Che mi sia fatto legare e abbia sopportato tutte le tue stronzate per finire così. No, caro, qui tutti si aspettano il colpo di scena finale.
DUE: Sì, il colpo di scena finale, bella roba.
UNO: Su, avanti, sei stato così bravo fino adesso. Il tuo monologo era stupendo.
DUE: Davvero?
UNO: Sì, avanti, mettili lì. (Lo sistema).
DUE: Uffa.
UNO: Hai fatto un bellissimo monologo. Ecco, tieni su le braccia, così.
DUE: (Lasciando cadere le braccia). Cosa dobbiamo fare?
UNO: Come, cosa dobbiamo fare? Ma non lo hai letto il copione?
DUE: Sì, ma me lo sono dimenticato.
UNO: E allora te lo dico io. (Sforzandosi coi gesti di farsi capire). Dobbiamo far capire che io (Indica) e te (Indica), non siamo io (indica) e te (indica).
DUE: Come, non siamo io (indica) e te? (indica).
UNO: Sì, non siamo io (indica) e te (indica).
DUE: E allora chi siamo?
UNO: Siamo, io (indica).
DUE: Cioè?
UNO: Cioè, io (indica) sono te (indica).
DUE: Tu (indica) sei io? (indica). E io (indica) chi sono?
UNO: Tu (indica) sei me (indica).
DUE: E tu? (indica).
UNO: Io (indica) sono te (indica).
DUE: Allora, se tu (indica) sei me (indica) e io (indica) sono te (indica), siamo sempre io (indica) e te (indica).
UNO: Già.
DUE: Vedi?
(Pausa).
UNO: Ricapitoliamo.
DUE: Di nuovo?
UNO: Ma no, cos'hai capito.
DUE: Quello che hai detto.
UNO: Cos'ho detto?
DUE: Hai detto, ricapitoliamo.
UNO: È vero, ho detto, ricapitoliamo.
DUE: Ma se è tutta la commedia che ricapitoliamo. Basta. Non si può andare avanti così.
UNO: Ma non intendevo in quel senso. Dicevo ricapitoliamo perché ho fatto un po' di confusione.
DUE: Pareva anche a me.
UNO: Per forza, non collabori.
DUE: Chi, non collabora? Chi te le ha date tutte le battute fino qui?
UNO: Non mi hai dato quelle giuste.
DUE: Lo so, ma non si può mica prevedere tutto.
UNO: Basta, lasciami concentrare. (Si concentra).
DUE: Stai attento.
UNO: A cosa?
DUE: Che non ti scoppi il cervello.
UNO: Spiritoso.
DUE: Lascia perdere.
UNO: Cosa?
DUE: Lascia perdere.
UNO: Come sarebbe, lascia perdere.
DUE: Non ce la faremo mai.
UNO: Ce la dobbiamo fare.
DUE: È impossibile.
UNO: Non si capirà niente.
DUE: Pazienza.
UNO: Ma neanche per sogno.
DUE: Accontentiamoci.
UNO: Un ultimo sforzo.
DUE: Ultimo?
UNO: Sì.
DUE: E va bene, lo faccio per te.
UNO: Concentriamoci.
DUE: Concentriamoci.
(Si siedono a terra, uno vicino all'altro. Pausa).
DUE: Allora?
UNO: Niente.
DUE: Vedi?
UNO: Aspetta, aspetta, aspetta. Ecco, ci sono.
DUE: Meno male.
UNO: (Ragionando). Io e te non siamo io e te perchè siamo io...
DUE: Questo l'hai già detto.
UNO: Quindi...
DUE: Quindi.
UNO: Quindi, se io e te siamo io...
DUE: Se io e te siamo io.
UNO: Io siamo noi!
DUE: (Sarcastico). Sì, tu siete voi, essi sono loro, e via così. Hai inventato un nuovo modo di coniugare i verbi.
UNO: Ecco, coniugati...
DUE: Come?
UNO: Coniugati.
DUE: Coniugati, cosa.
UNO: Siamo coniugati.
DUE: Ah, sì, e quando è successo?
UNO: Cosa?
DUE: (Ironico). Che ci siamo sposati.
UNO: Non ci siamo sposati.
DUE: (Come sopra). Ah, no?
UNO: Ci siamo uniti...
DUE: (Come sopra). Allora siamo una coppia irregolare.
UNO: (Senza ascoltarlo). Coniugati... Congiunti... dal latino conjunctus; "Propinquitatibus affinitatibusque conjuncti".
DUE: Eh, no. Non cominciamo con le lingue morte, adesso. È già abbastanza incomprensibile la nostra.
UNO: Eppure tutto quello che abbiamo detto viene di lì.
DUE: Ma va là.
UNO: Da quelle parti.
DUE: Sei sicuro?
UNO: Almeno credo.
DUE: È incredibile.
UNO: Cosa?
DUE: Che le parole esistano da tanto tempo.
UNO: Già.
DUE: Senza servire a niente.
UNO: Non è vero.
DUE: A cosa servono?
UNO: A fare passare il tempo.
DUE: Già, a fare passare il tempo. A proposito, quanto tempo è passato?
UNO: Da quando?
DUE: Da quando è cominciata la commedia.
UNO: Beh, non lo so... Trent'anni, direi.
DUE: Così tanto? E non è ancora finita?
UNO: Io ci ho provato, ma non ci sono riuscito.
DUE: Ho visto.
UNO: Non è mica facile.
DUE: Ti sei voluto cimentare con cose più grandi di te.
UNO: Non l'ho fatto apposta.
DUE: Te l'avevo detto di lasciar perdere.
UNO: Ho rispettato il copione.
DUE: Lo so. E' quello che ho fatto anch'io.
UNO: Ma non abbiamo concluso nulla.
DUE: Non sono stati abbastanza chiari.
UNO: Se ci avessero lasciati più liberi...
DUE: Di parlare con le nostre parole...
UNO: Coi nostri sentimenti...
DUE: Le nostre idee...
UNO: Idee?
DUE: Beh, si fa per dire.
UNO: Forse non eravamo pronti.
DUE: Fra trent'anni, forse...
(Pausa).
DUE: E adesso?
UNO: Cosa?
DUE: Il colpo di scena.
UNO: Ah, già, il colpo di scena.
DUE: Allora?
UNO: Fallito.
DUE: Nonostante il latino?
UNO: Nonostante il latino.
DUE: Forse ci sarebbe voluto il greco.
UNO: Sì, il sanscrito.
DUE: Sansone...
UNO: Dalila...
DUE: Re Salomone...
(Pausa).
DUE: Siamo perduti.
UNO: Lo credo anch'io.
DUE: Stiamo andando alla deriva.
UNO: Non sappiamo più cosa dire.
DUE: È la fine.
(Pausa ).
UNO: (Si alza). Ci vorrebbe... il Deus ex machina.
DUE: Ancora!
UNO: Non ci sarà la catarsi. ( Si siede sulla seggiola).
DUE: E dai!
UNO: (Si guarda i piedi). Mettiti le scarpe.
DUE: Va bene. (Va a raccogliere le scarpe).
UNO: Prenderai freddo.
DUE: (Gli mette le scarpe). Hai ragione.
UNO: Bisogna essere prudenti.
DUE: Non si sa mai.
(Pausa).
UNO: Non si sa.
(Pausa).
DUE: Mai.
(Restano immobili. L'inferriata scende lentamente a chiudere la finestrella).


SIPARIO LENTO