UN UOMO SOLO UN UOMO (senz’altraggiunta)

 

 monologo in atto unico di Marco Stefanini

 

 

Entra in scena un uomo che guarda l’orologio. Si capisce che probabilmente sta aspettando qualcuno. Non sa di essere davanti ad un pubblico. In scena vediamo due tavolini, una sedia e un cubo. Fa delle cose per ingannare il tempo: fischietta, carica l’orologio, si guarda intorno. Dopo essersi guardato un attimo attorno, si mette le dita nel naso ed estrae una caccola che tenta di staccare dal dito un paio di volte senza successo e, al terzo tentativo, se la spara su una scarpa. Dopo un altro po' di attesa si gratta il culo con una certo vigore e, proprio in quel momento, si accorge che c’è la gente che lo sta guardando.

 

Imbarazzato.

Buonasera. Scusate, ma qualcuno di voi per caso ha visto...

 

Non si ricorda il nome di chi sta aspettando.

Coso lì... Dai bagaglio... Coso... Miseria... Oh siamo cresciuti insieme e io non mi ricordo neanche come si chiama. No, non mi ricordo, calma. Non mi viene in mente, ce l’ho qui ma non mi viene in mente... Comunque voi non avete visto nessuno. Va bè, allora aspetto.

 

Si siede sulla sedia e prende un giornale dal tavolino che ha davanti e incomincia a sfogliarlo tentando di fare l’indifferente.

Scusate non vorrei disturbare, ma cosa ci fate voi qui? Non aspetterete mica anche voi... Come ho detto che si chiama? Insomma, ci siamo capiti. Non lo aspetterete mica anche voi? Quell’altro lì fa sempre così che prima o poi mi &127;&127;verr_ anche in mente come si chiama, fa sempre cosna volta mi &127;&127;telefona e mi fa: "Ciao, come stai?". "Male". "Io sto bene, gra&127;&127;&127;&127;zie. Tua madre sta bene? S, una volta mi telefona e mi fa:

"Ciao come stai?"

"Male."

"Io sto bene grazie. Tua mamma sta bene? Mi fa piacere. Hai sentito di Luigi che ha trovato la ragazza..."

 

Continua finendo in gramlot e dal gramlot ritorna a parlare normalmente.

Adesso saltiamo i convenevoli e veniamo al punto.

Veniamo al punto. Anche qui la faccenda si può complicare già più di quanto noi si possa immaginare. Sì perché punto significa troppe cose. E qui vorrei approfittare della vostra attenzione, per parlare di questo che un grave problema che affligge il nostro paese, minando quella che da tanti è riconosciuta come la grande cultura della lingua italiana. La lingua italiana, lingua che discende direttamente dal latino, ha un fallo. Sì, signori. E allora vorrei costituire un comitato per una raccolta di firme, per indire un referendum. Bravo!

Come se glielo urlasse qualcun’altro.

Grazie. No, anzi, facciamo due comitati, per due referendum, per raccogliere due firme. Bravo! Bravo!

Sempre come se glielo dicesse un’altra persona.

Sono tutti con me. Poi usiamo quello che va per la maggiore, se ci va. A quel punto anche se non si farà nessun referendum... Ci cagherà qualcuno?

Con vocina di un interlocutore.

Ci cacheranno, ci cacheranno. Anche se non si farà nessun referendum dicevo, avremo già fatto qualcosa di utile. Nel senso enso enso...

 

Simula l’eco dei grandi discorsi in piazza.

...che avremo dato da lavorare are are, a un po’ di persone one one, che altrimenti sarebbero rimaste senza un lavoro oro oro. E’ vero? E’ vero! Sì capisco che lavorare per un referendum non sia il massimo della vita, ma sempre meglio che drogarsi, o no? Al limite ci si droga dopo. E’ anche vero che in questi casi, come oramai in tutti, lavorano quelli che sono raccomandati. Ma anche i raccomandati sono disoccupati prima... A volte. Comunque diamo un po’ di lavoro e un po’ di soldi a questi poveri ragazzi. I soldi di chi? Chiederà qualcuno. Ma i soldi di tutti. Sì signora, anche i suoi e anche i miei... Ma come fanno a spendere i miei soldi che non ho mai una lira?

 

Come se parlasse un po' tra se e se.

Ah no, ecco. Probabilmente non ho una lira perché i miei soldi li spende qualcun altro. E’ confortante sapere che da qualche parte i miei soldi ci sono, non li ho mai visti... Ma mi assicurano che ci sono. Referendum dum pum pum di... Cevamo: il primo è quello che chiede di abrogare la parola punto e di sostituire tutti i vuoti con parole nuove, precise e non interpretabili. Il secondo invece è quello che mi sembra risolva con più facilità il problema. Dal momento che abbiamo appurato che la lingua italiana ha un fallo, dobbiamo prendere atto che evidentemente è un maschio. Quindi questo referendum dovrà fare in modo che da subito...

 

Continua l’eco che adesso però lo disturba.

...ubito ubito... Basta! Asta. Da doma... Ni, già dagli asili, tutti dovranno imparare che la lingua italiana non è la lingua italiana ma bensì il lingua italiana.

Dunque stavo dicendo che mi ha telefonato... Per facilitare le cose lo chiameremo pinco pallino, e mi fa:

"Vieni qua da me stasera? Siamo tra amici, ci beviamo qualcosa."

"No, guarda, non vengo. No no ti ho detto che non vengo, no no è che non ho voglia di caos stasera."

"Ma quale caos, non saremo in tanti, giusto i miei amici."

"No, no ti ho detto che non vengo. Se ho detto che non vengo non vengo." Vado. Effettivamente la serata era tranquilla, bene. Arrivo io, saremo stati in sei o sette, bene. Siamo lì pacifici quando suona il campanello. Pinco va a aprire e si trova davanti una bionda triste. Che cosa hai bionda, da essere triste? Con due gambe che sembravano la A 14 con lo svincolo, più in alto cunette e dossi. Due grosse cunette, il dosso era sotto. Dopo un altro lungo tratto di collo appariva l’azzurro marino dei suoi occhi. Ecco perché quelli dell’ANAS non la smettono mai di lavorare per noi. Triste eh, però era triste.

 

In confidenza al pubblico.

Pare avesse finito il ghiaccio nel bel mezzo della festa che aveva a casa sua. La sua tristezza comunque non era data dalla storia del ghiaccio, ma dal fatto che la festa era di sole donne, sue amiche, e che era una palla tremenda. Quando ci ha visti ha ringraziato il Signore e ci ha invitati tutti su da lei. Io prendo pinco da una parte e gli dico:

"Pinco, io non vengo. No, no, non vengo, se ti dico che non vengo non vengo. Ma non ne ho voglia..."

Mi fa lui: "Ma sei pazzo? Non l’hai vista?"

"L’ho vista, l’ho vista. Il punto è... Il punto!

 

Facendo una pausa.

Il punto è che non ho voglia di caos stasera, perché quella stronza mi ha lasciato, sono triste e le donne sono tutte in pericolo con me nei paraggi!"

Intanto che glielo dico arriva la bionda che mi sente e fa:

 

Nitrito.

Bene, un uomo pericoloso."

Ma cos’è un cavallo?

"Proprio quello che cercano le mie amiche.

 

Fa un altro rumore tipico da cavallo.

 

Uh: Una mandria di giumente.

Poi mi trascina per un braccio, pinco ne approfitta e mi trascina per l’altro e in meno che non si dica eravamo nel di lei appartamento, circondati dal nemico.

 

Incomincia a parlare con un tono di voce come se fosse in un posto dove c’è la musica alta.

Donne di tutte le razze, colori, religioni. Tutte truccate che se fanno un controllo non ce n’è mica una in regola. Come ci vedono passano dal mogio alla pura follia. La musica aveva un rumore da coprire il rumore di un jet. Luci di tutti i colori lampeggiavano e invadevano le stanze che erano tutte così rumorose, così colorate e così piene di donne.

 

Pausa.. Ora ha un tono di chi sta facendo una considerazione.

Ma quante amiche ha la bionda? Mi domando. Io non ho mai visto tante...

 

Fa un gesto come per dire tette poi si limita a dire.

Donne in tutta la mia vita. E via coi ballabili, sì con i cocktails, sì superalcolici. Ho pensato di stare al loro gioco. Anche se ho sempre odiato ballare e fino a quel giorno avevo creduto di essere astemio emio emio. E’ vero? E’ vero! Era meglio non rischiare: erano troppe.

Ero abbastanza sorpreso ma soddisfatto, riuscivo a resistere a quello che mi stavano facendo. Mi sentivo piuttosto bene. Poi mi fiondano in bocca uno spinello. Per me è stata la fine. L’ultima cosa di cui avevo un vago ricordo quando sono riusciti a svegliarmi erano la immagini della nazionale italiana di calcio che festeggiava la vittoria della coppa del mondo del 1982. Degli ultimi dieci anni nulla. Fumo, solo fumo... Fumo in tutti i sensi. Poi, piano piano...

 

Facendo una scena da grande attore.

...sforzandomi anche di ricordare...

 

Tornando per un momento normale ammiccando al pubblico.

Dio che attore... Incominciai a ricostruire il mosaico dei ricordi e alla fine su quei lunghi dieci anni è tornata la luce.

 

Pensandoci un attimo.

Forse era meglio non ricordarsi proprio niente. Comunque tutto ciò mi ha fatto pensare che della mia vita potrei farne una bella autobiografia. Ed per questo che sono qui stasera, perché voglio scrivere un libro!

 

Si ferma a guardare il pubblico, poi riparte.

No, va bè, è chiaro che non mi metto qui a scrivere... Non ho con me nemmeno la penna. Io sono qui per incontrarmi con pinco, perché.... Ashvirivirivi... Ashvaravarava... Ashverevereve! Ho bisogno di parlarne con qualcuno di questa mia idea, e chi meglio di pinco, ameco meo d’infanzia, può ascoltarmi ed aiutarmi? Quello che so con certezza è che voglio scriverla questa mia biografia, le incertezze sono dovute al fatto che non sono ancora morto. Voglio spiegarmi: come posso scrivere della mia più grande impresa se magari domani ne faccio una che è la più grande della mia vita? Oppure, nel capitolo che riguarda le mie storie d’amore, come posso scrivere delle mie...

 

Pensa alle sue storie d’amore.

Un momento...

 

Fa come per contarle sulle dita della mano.

La Franca... Uhm... No. La...

 

Ridendo.

Ehhhh, dopo due anni l’ho toccata con un dito paff... No. No! Della mia storia d’amore se domani me ne capita un’altra?

Certo è che se me ne capita un’altra di storie spero proprio che vada a finire diversamente. Anche se oggi ne sono uscito e ne posso parlare assolutamente senza rancore, spero proprio che sia una storia diversa. Anche se i ricordi, filtrati dal tempo, sono sempre più dolci e che grazie al tempo stesso riesco ad avere il giusto distacco da tutto quello che è stato, non posso ormai non prendere atto del fatto che per me è tutto superato.

 

Fa una pausa pensando a ciò che ha detto e alla donna di quella storia e il sorrisetto che inizialmente aveva sul volto piano, piano diventa una espressione incazzata.

Troia!

Eh, Maria, Maria... Si andava via... Io e te... Maria... Ci conoscemmo al mare io e Maria, o forse sarebbe meglio dire alla spiaggia, visto che per vedere il mare dovevo percorrere un centinaio di metri avventurandomi in una giungla di: ombrelloni, sdrai, secchielli, asciugamani, piede nudo, piede nudo con callo, piede nudo con verruca, abbronzanti, altri secchielli, palette, stampini, panini con le cotolette, termos, frigos... Più i bersagli mobili: bambini, cani, palline, palloni, palle al sole, rivenditori di coccobello...

 

Facendo il verso ai venditori da spiaggia.

Cocco...

 

Ora parlando per un attimo in confidenza al pubblico..

Epatite virale allo stato solido!

 

Riprendendo normale.

E ancora rivenditori di coperte, magliette, orologi, cassette, cinture, collane... Tanti neri. Tutto questo era dovuto al fatto che la fila del mio ombrellone era la numero... Adesso che mi ricordo bene io non avevo una fila di ombrelloni, avevo un ombrellone, che mi avevano putrellato in via Difavore, in fondo a tutte le file di ombrelloni.

Bravo il pirla, penserà qualcuno, vai al mare senza prenotare cosa pretendi?

No, un momento, io avevo prenotato, a pasqua. La sorpresa mi attendeva al varco. Non so per quale strano incidente la mia prenotazione si era persa tra i meandri delle memorie del computer. Così la prima giornata delle sudatissime ferie l’ho passata tra albergatori esa... Esa... Esauriti, receptions, blablabla, affollate, implorando per avere una stanzetta, la prima metà della seconda sasasasasaltellando...

 

Simulando di saltellare sulla sabbia che scotta.

...di bagno in bagno per trovare un ombrellone. Verso le ore dodici mi imbattei in un bagnino dall’animo sensibile che, commosso dalla mia vicenda, mi putrellò un ombrellone in via Difavore al numero 15...

 

Fa una pausa poi spiega.

Edmeo Difavore, il famoso apocrifo cesenate. Insomma ero molto più vicino alle vetrine dei negozi che al mare, praticamente ero sdraiato sul marciapiede, ma ecco che finalmente ero pronto per iniziare le mie vacanze. Il morale si stava rapidamente risollevando, il tempo di spogliarmi e di rimanere in costume che ero già bello carico. Ero anche bello bianco, ma disposto a tutto nel nome del divertimento. La mia testa brulicava di idee, erano mille le cose che mi ero riproposto di fare quando sarei stato al mare in ferie. Tutte quelle cose che durante i mesi invernali avevo pensato di fare adesso ero in grado di realizzarle. I pensieri mi si accavallarono, l’eccitazione del momento mi impediva di mettere a fuoco una sola di quelle idee e di non riuscire a prendere una decisione. Da dove parto? Quale di quelle cose potevo fare per iniziare alla grande il divertimento di quell’estate? Erano centinaia le cose che avevo per la testa, ma non riuscivo a fare una scelta. Adesso vado a... No, no. Questo magari lo faccio dopo. Tiro fuori il... No. Faccio una bella... La tensione si stava impadronendo della situazione, dovevo fare qualche cosa...

 

Incomincia ad avere piccoli tic nervosi che diventano sempre più evidenti.

Self control, calma, respira...

 

Dopo essere riuscito a controllarsi.

Oh, ecco andiamo già meglio, molto meglio. E a confutare uno dei più grandi e famosi detti popolari, ritrovata la calma ecco che, come per incanto, le idee si riordinano, le capacità intellettive tornano e la genialità si esprime ai massimi livelli: mi sdraio e prendo il sole.

 

Si mette per terra, in posizione di uno che prende il sole.

Ero lì, felice, baciato dal sole, con i nervi che si stavano finalmente rilassando, i muscoli sciolti e la testa fra le nuvole godendomi il mio relax, quando incontrai Maria. Non fu esattamente quello che la gente chiama un colpo di fulmine, ma fu un bel colpo. Ero praticamente addormentato quando un grido mi strapazzò i timpani: "Occhio!!!". Io l’occhio l’ho aperto, giusto in tempo per godermi lo straordinario spettacolo di un pallone che ti centra in piena faccia.

 

Mimando la pallonata che ha preso in faccia.

Così in meno di un secondo sono passato da una situazione di perfetta solitudine, di beata tranquillità e di massimo benessere fisico, a un’altra di massima tensione, di acuto dolore, circondato da persone che volevano sincerarsi della mia salute... Uno spaghetto ragazzi.

 

Alzandosi in piedi toccandosi il naso con una mano..

Fu proprio quando incominciai a sentire il calore del sangue che mi usciva dal naso che individuai chi era stato a tirare quel pallone: Maria. Pallavolista amatoriale reggiana che si stava esibendo con i suoi amici sulla spiaggia. Una donna veramente niente male la Maria.

Comunque...

 

Parlando in confidenza al pubblico.

...se posso dare un consiglio, non fidanzatevi mai, per nessun motivo, con una donna sportiva. A parte il dolore fisico che può provocarvi una situazione del genere, come per esempio nel mio caso, è come essere gli amanti di una società sportiva. Bisogna avere la libido perfettamente accordata con il calendario del campionato, poi ci sono gli allenamenti, le esibizioni, le amichevoli, i tornei... E quando finalmente tocca a voi queste donne sono così atleticamente preparate che ogni volta sembra che per te sia l’ultima. Hanno un fiato che sarebbero in grado di far scoppiare una borsa dell’acqua calda soffiandoci dentro. Io dopo andavo dal dottore, mi sentivo niente bene, e lui puntualmente mi dava una cura ricostituente e un paio di giorni a casa dal lavoro. Per non parlare poi del problema capelli. Voglio dire: la Maria non si lavava sempre i capelli dopo la partita, perché a lavarli troppo spesso si sfibrano, si indeboliscono, eccetera eccetera... Solo che a volte noi, dopo, si faceva all’amore... Ero ormai diventato un esperto, dal grado di acidità emanato dal suo cuoio capelluto, sapevo se era stato un incontro facile o difficile. Mi ricorderò sempre di quella volta che lo facemmo dopo la finale del torneo di Guastalla. Noi insomma si era lì che si incominciava a... Insomma, non vi dovrò mica raccontare tutto. Fatto sta che ad un certo punto io le dico:

"Perché non lo facciamo sotto la doccia?"

E lei: "Ma no me l’hai mai chiesto."

"Sì, ma non sei mai andata al quinto set!"

Io poi ho avuto delle altre complicanze dal mio rapporto amoroso con Maria. Infatti, non ho ancora idea come possa essere successo, ma qualcuno a lavorare ha scoperto questa storia di me, Maria e del dottore, quindi si era venuta a creare una situazione tale per cui quando io e Maria si faceva all’amore lo sapevano tutti i dipendenti delle poste e telegrafi e con loro tutti gli abitanti della zona F. Tutte queste persone quindi sapevano perfettamente i miei ritmi chiamiamoli d’amore. Vi posso assicurare che è una situazione piuttosto imbarazzante. Vai al bar e ti offrono uno zabaione. Poi ci sono i sorrisetti ironici gratuiti. E ancora sorrisetti, questa volta cattivi, quando fai un errore. Della serie, per forza.... Poi ci sono gli abitanti della zona F. Quelli lì quando per un paio di giorni non ricevono posta pensano a me, a Maria e al nostro amore. Diventa difficile cos lavorare. Già il mio è un lavoro molto delicato senza bisogno di ulteriori difficoltà anche solo a livello psicologico.

 

Come se qualcuno gli avesse chiesto, ma che lavoro fai scusa?

Io? Io sono un portalettere. Tremate già tutti di fronte alla mia autorità, vero? Ma non preoccupatevi, rilassatevi, non sono in servizio. Però vorrei sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di questo lavoro che è fatto anche di insidie nascoste, sempre pronte ad aggredirti e a metterti in difficoltà.

Si incomincia con la scrittura: perché hanno tolto dalle materie calligrafia? Questa è una delle materie basilari, che penso dovrebbe cominciare in prima elementare per poi non essere più abbandonate fino alla tesi di laurea. Arrivano delle buste piene di scarabocchi che la gente ha il coraggio di dire che sono indirizzi. La fase successiva del lavoro, cioè dopo avere capito cosa cavolo c’è scritto sulla busta, devi incominciare a smistare la posta. Ma certi indirizzi, dove li vai a trovare? Ma neanche su Marte esistono degli indirizzi così. Va bene il nome? Non corrisponde la via. E’ per caso corretta la via? Non va bene il numero civico. E questo per quello che riguarda il cosiddetto mittente. E i destinatari? Hanno poco da rallegrarsi: numeri civici che non esistono sono all’ordine del giorno. A volte esistono ma non sono, semplicemente, esposti. O, ancora meglio, esistono, sono esposti, ma c’è cresciuta sopra l’ederina. Carina l’ederina. Il massimo direi che rimane la cassetta delle lettere con sopra il nome del capofamiglia, che è l’unico della casa che non riceve posta. Quindi devi sapere il nome da signorina della moglie o della mamma o della suocera. No, non è per niente un mestiere facile. Neanche quello che facevo prima comunque, era un mestiere facile.

Meccanico. Facevo il meccanico, non ero neanche male come meccanico, ma non sono mai stato compreso ecco qual è la verità. Dapprima ero apprendista meccanico, poi ho deciso di fare il grande salto di qualità e di mettermi in proprio. Avevo calcolato tutto: costi, ricavi, guadagni e tutto è andato bene fino a quando, il terzo giorno della mia nuova attività, è venuto da me uno che aveva bisogno di fare una riparazione ai freni. Il problema nasceva dal fatto che io come apprendista mi ero specializzato in carburatori e che non ho avuto il coraggio di dirlo con il cliente. Con il risultato di avere un impianto frenante da rifare senza sapere dove mettere le mani. "Cosa faccio adesso?"

Dove sta il problema. Studio un attimino la situazione e poi aggiusto la macchina, così raggiungo due risultati: primo, il cliente è soddisfatto, secondo comincio ad imparare a sistemare i freni di una macchina perché in fondo, con un’autofficina, non si può mai sapere. Cosìa bene &127;&127;&127;H 62 732 732 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0H&127;il nome? Non corrisponde la via. E’ per caso corretta la via? Non &127;&127;va bene il numero civico. E questo per quello che riguarda il co&127;&127;&127;&127;siddetto mittente. E i destinatari? Hanno poco da rallegrarsi: &127;&127;Numeri civici che non esistono sono all’ordine del giorno. A vol&127;&127;&127;&127;te esistono ma non sono, semplicemente, esposti. O, ancora me&127;&127;&127;&127;glio, esistono, sono esposti, ma c’ cresciuta sopra l’ederina. &127;&127;Il massimo direi che rimane la cassetta delle lettere con sopra &127;&127;il nome del capofamiglia che l’unico della casa che non riceve &127;&127;posta e quindi devi sapere il nome da signorina della moglie o &127;&127;della mamma o della suocera. No, non ho fatto: dopo trentacinque giorni ho restituito al cliente la macchina riparata e la vicenda, che in un primo momento potrebbe sembrare brillantemente conclusa, non era altro che il preludio a una tragedia che avrebbe cambiato il destino di parecchie vite. La signora ha: ritirato la macchina, è andata a casa, un centinaio di metri dalla mia ex officina, e ha cominciato la manovra per mettere la macchina in garage. Dopo che si è fermata davanti al portone, è scesa dalla macchina, lo ha aperto è risalita in macchina ed è entrata... Nel muro che aveva di fronte. C’è un nesso, si chiederà qualcuno, con la riparazione che avevo appena effettuato?

Con la testa fa no.

Sfortunatamente, sì. Tutto questo sarebbe stato anche sopportato dalla signora, ma la tragedia era che dietro quel muro la signora aveva la gabbia delle cocorite, unica compagnia vivente rimastale e delle quali oggi non le rimane che il ricordo. Che tragedia. Ho venduto l’officina, non potevo continuare a fare un lavoro che mi procurava dei rimorsi simili. Sono uno con l’animo sensibile, io.

Avrò anche avuto un animo sensibile, ma quello che non avevo era un lavoro. Così, ricordandomi del detto: impara l’arte e mettila da parte, pensai di mettere a frutto una esperienza che avevo fatto nella vita e che, anche se in un primo momento mi era sembrata completamente inutile, ora invece si poteva rivelare interessante nel proseguo della mia vita lavorativa. Nell’anno di militare, infatti, ero un cuoco e ho sempre pensato che sarei potuto diventare un ottimo cuoco. E allora perché non esplorare questo campo?

Mi ricordo quando cominciai la mia vita in caserma; Casarsa. Non cominciò proprio bene, arrivai con due giorni di ritardo... Ma non fu colpa mia. Mia mamma, quando il postino le consegnò la fatidica cartolina, si emozionò e ci pianse sopra, rendendo illeggibile la data di partenza. Poi incominciai il corso di addestramento con un grande entusiasmo, non vedevo l’ora di fare le esercitazioni di tiro.

 

Con la voce tipica del racconto western.

Era una fredda mattina d’inverno e sarebbe stato proprio quello il giorno in cui avrei incominciato a sparare.

 

Continua normalmente.

Quello coinciderà anche con l’ultimo giorno in cui avrei sparato infatti...

Qui si mette con un ginocchio a terra e simula di puntare un bersaglio con un fucile in mano.

...al terzo tentativo di colpire un bersaglio immobile...

 

Qui si alza in piedi sgranando gli occhi verso il bersaglio, nascondendo il fucile dietro a sé.

...uccisi un mulo della compagnia degli alpini che si stavano esercitando sull’altro versante della montagna. Il comandante mi chiamò a rapporto e mi chiese che lavoro facessi nella vita.

 

Urlando come parlando a un superiore.

"Apprendista meccanico, signore."

"Bene sbattetelo in cucina."

Non ho imparato a fare delle crocchette di patate o delle crêpes, ma sentivo di essere portato alla creazione di grandi nuovi succulenti piatti. Dopo avere chiuso l’officina quindi ho trovato un posto come cuoco e mi divertivo a inventare e a proporre piatti nuovi ai signori clienti. Quando feci servire ad un matrimonio...

 

Ancora in confidenza.

Era la figlia di un ministro quella che si sposava, la grande occasione della mia vita.

 

Riprendendo normalmente.

...i cipollotti ricoperti al cioccolato fondente, scrissi con le mie mani il futuro della mia vita. Il ministro infatti mi fece assumere, tramite regolare concorso naturalmente, alle poste e telegrafi come portalettere, l’unico posto dove avrei potuto lavorare senza fare danni mi disse, perché tanto peggio di così le poste italiane non possono andare.

E così, oggi, sono un postino, ho la mia bella divisa e un sacco di tempo libero per potermi occupare di tante piccole cose. Come per esempio fare parte di gruppi di volontariato. Parlo di gruppi di volontariato al plurale, perché io sono uno che si stana e quindi dopo un po’ ho bisogno di cambiare, di sentire dell’aria nuova. Per esempio quando mi cacciarono dal gruppo di volontariato di autisti di autoambulanze perché in due giorni ne avevo distrutte due, io ero li lì per dirglielo che volevo lasciarli, solo che non trovavo il modo. Anche quando mi cacciarono dall’AVIS, ero ormai stanco della mia posizione all’interno dell’organizzazione e così, appena mi si presentò l’occasione di fare qualcosa di diverso, l’ho colta al volo. Purtroppo quello però non doveva essere il mio giorno fortunato. Si trattava di portare tutto il sangue raccolto quella fatidica mattina alla sede centrale. Un compito che mi si è complicato quando un disgraziato di un motociclista mi ha tagliato la strada. Io, per evitarlo, ho dovuto compiere una manovra secca...

 

Come se lo dicesse tra sé e sé.

Perché, le manovre umide come sono?

 

Facendo una pause e toccandosi il collo come se gli facesse male.

Comunque il risultato è stato quello di andare a sbattere violentemente contro un muro. I primi passanti che si sono adoperati per i primi soccorsi hanno visto un lago di sangue, naturalmente non mio, e hanno fatto arrivare sei autoambulanze che quando sono arrivate hanno cominciato a litigare per caricare me, unico ferito dell’incidente, con il risultato che alla fine mi sono dovuto andare a medicare al bar che c’era all’angolo perché poi le autoambulanze se ne sono andate via tutte lasciandomi lì.

A volte ho anche pensato di essere sfortunato, ma non è così... Sì, mi rendo conto che ci sono nella mia vita alcuni episodi che possono fare passare la mia esistenza come piuttosto sfortunata, ma non è assolutamente cos volte ho anche pensato di es&127;&127;&127;&127;sere sfortunato, ma non ì che sia un &127;&127;desiderio cos. Un esempio?

 

Piccola pausa.

Un esempio. Da bambino, come più o meno tutti i bambini del mondo, avevo un desiderio che era quello di lavorare in una banca. Voglio dire, non è che sia un desiderio così folle da realizzare, però non ho potuto assecondare questa mia velleità per un motivo che vado subito ad illustrare. Mi è sempre successo, sin da monello, che quando facevo per entrare in una banca, puntualmente rimanevo bloccato in mezzo alla porta perché, quando mi facevano i raggi, risultavo in possesso di oggetti di metallo. Io? Ero in brachette corte e magliettina, scalzo e questo allarme continuava a suonare. La mia mammina per prima cosa si organizzò e comprò un guinzaglio con il quale mi legava fuori dalla banca in attesa che lei pagasse le varie bollette. Ma poi cercò di scoprire come mai potesse succedere una cosa simile. Mi portò in laboratori avveniristici, studiarono il mio caso all’università degli studi, in tredici facoltà diverse. Fu un periodo difficile ma, alla fine, venimmo a capo della faccenda. La causa di tutto questo era la mia fortissima anemia che mi ha obbligato per anni e anni a essere legato a una dieta ricchissima di ferro. Quello stesso ferro che ora faceva scattare l’allarme della banca. Mi ricordo. Mi ricordo certe bistecche di cavallo che se venivano lasciate per poche ore fuori dal frigo, con l’umidità che c’è dalle mie parti, incominciavano ad arrugginire. L’umidità che c’è dalle mie parti, una cosa da non credere. Una notte, solo per dirne una, il mio pesciolino rosso volò fuori dalla sua boccia e ci rimase per almeno tre ore. Beh, ma quando alla mattina me ne sono accorto, beh ma non era ancora vivo? Non è stato mai più molto bene devo dire. Sì, perché l’umidità che c’era quella notteerch l’umidit_ che &127;&127;c’era quella sera, s gli ha permesso sì di salvarsi, ma gli sono venuti dei reumatismi che lo hanno fatto soffrire come un cane. Mica facile, un pesce che soffre come un cane.

 

Facendo una pausa e guardando l’orologio.

Ma pinco non si fa ancora vedere? Mi meraviglio che mi meraviglio. Non è meraviglioso meravigliarsi della propria meraviglia? La meraviglia sta nel fatto che mi meraviglio o è meraviglioso meravigliarsi di meravigliarsi? Potrebbe essere il titolo del mio libro, perché no? Un po’ lungo forse questo sì, ma efficace. Direi... Ma non lo so. Del resto, se lo sapessi, non starei mica qui ad aspettare quel pirla che è sempre in ritardo. Dice che è nato dopo. Da quando lo conosco io lui è in ritardo, ce la mette tutta, ma non riesce a recuperare lo svantaggio. Sarà per caso perché lavora alle ferrovie dello stato? Mah. Dal primo giorno della prima elementare, giorno in cui l’ho conosciuto, è stato in ritardo. E sapete che cosa ha raccontato alla signora maestra? Che era stato fino all’ultimo momento indeciso se venire o no a scuola e che, proprio alla fine, ha deciso per il sì. Quante ne abbiamo passate insieme da allora. Senza di me la sua sarebbe stata una vita molto più difficile. Sì perché lui, arrivando sempre in ritardo, si sarebbe perso un sacco di cose. Lui no, aveva me. Io che come un fido scudiero gli occupavo i posti migliori, ritardavo partenze di pullman, treni... Quelli no, facevano da soli. Intrattenevo le donne con le quali aveva appuntamento, un po’ di tutto insomma. Una grande amicizia la nostra, un'amicizia che non si è incrinata nemmeno quando lui ha sposato la donna che ho amato alla follia per tutta la vita: la mia Maria. Meglio non parlarne adesso, non si sa mai che arrivi e che si sentisse in imbarazzo a riparlare di quei giorni che sono stati così difficili per loro. Immagino i rimorsi, i tentativi di dirmelo, lo sforzo per trovare il coraggio di confessare quel loro rapporto, poverini che cosa non gli ho fatto passare... Mi sono sentito un verme. Pensate, ero l’uomo legale della donna di un amante.

 

Parte una musica malinconica e dopo un momento, sullo sfumare della musica, riprende il racconto un po' imbarazzato.

Beh, adesso fortunatamente ci siamo lasciati tutto alle spalle e quello che conta veramente è avere un amico su cui contare... Basta non avere fretta. Il problema è che oggi siamo tutti attanagliati dalla fretta. Se non hai fretta, oggigiorno, non sei nessuno. E la fretta a volte non è che ti faccia fare proprio delle gran belle figure. Tipo che hai bisogno di una foto per l’abbonamento della corriera...

 

Come se qualcuno gli dicesse qualcosa.

Eh? Non ci va più la foto sull’abbonamento della corriera? Beh, ai miei tempi ci voleva e poi è solo un esempio. Dunque succede che dopo un lungo periodo di ripensamenti riesci a trovare circa diciotto minuti di buco in una tua giornata tipo e vai dal fotografo. In bicicletta, naturalmente, perché a piedi non ce la faresti mai a fare in tempo, in macchina col traffico peggio che peggio quindi bicicletta. Quando scatta l’ora x devi essere molto concentrato e determinato se non vuoi fallire il tuo tentativo, e la cosa da tenere assolutamente presente è che non c’è tempo per i ricami o per la poesia. Quindi vai, foto, e torni. Quando poi, dopo circa tre giorni, hai un momento libero per guardarti la foto hai la esatta misura del significato della frase: "Lo stress della vita moderna." Ho delle foto tessera con delle banane alla Little Tony che sono una cosa da non credere. C’è anche una seconda possibilità: ti organizzi per bene, decidi quando è il momento buono per riuscire ad andare dal fotografo... E ci devi proprio andare perché il prossimo momento libero potresti averlo tra un mese... E la mattina fatidica ti alzi, ti guardi allo specchio e hai, proprio in mezzo alla fronte, un brufolo enorme, giallo e soprattutto schifoso.

I brufoli, ricordatevi bene, sono una cosa subdola, sono sempre al momento sbagliato nel posto sbagliato. Mi ricordo di quando fui convocato per la partita di pallavolo della scuola: vecchie glorie a confronto.

 

Interrompe il racconto perché incomincia a mimare un giocatore di pallavolo, che batte, che risponde, che alza, che schiaccia, che festeggia il punto e finisce quando un compagno di gioco gli da una pacca nel sedere.

Io erano anni, dai tempi della scuola appunto, che non praticavo nessun tipo di attività sportiva e misi in atto una preparazione che se ci penso mi sento male. Il mio errore è stato quello di chiedere a Maria, atleta e per di più pallavolista, di prepararmi un programma sportivo e di farmi da allenatore. Se oggi sono qui a raccontarvi certe cose è certo perché non soffro evidentemente di problemi cardiaci: la Maria m’ha fatto morire. Tornassi indietro piuttosto mi rompo un braccio apposta. Comunque sia alla fine della preparazione ero in gran forma e finalmente era arrivato il grande giorno della partita. Era stato tutto calcolato, tranne che nel... Cioè, era stato tutto calcolato tranne che nella notte prima del giorno dell’incontro potesse spuntarmi un brufolo enorme e dolorosissimo in una... Proprio dove passa l’elastico delle mutande. E’ stato terribile perché non potevo proprio farne a meno delle mutande, voglio dire che quando si fa dello sport è meglio avere tutto... Saldo. Comunque sono partito tra i titolari, il fastidio era inenarrabile, ma ancora più inenarrabile è stato quando durante il gioco sono caduto all’indietro. Ho chiesto immediatamente il cambio, ma le mie sofferenze non erano finite. Infatti il regolamento mi ha imposto di starmene a sedere in panchina per tutta la partita. Ma che testa ha uno che costruisce una panchina di ferro? Ma non hai mai avuto un brufolo nel culo?

Per tre giorni sono andato a lavorare con un cuscino legato sulla sella del motorino, ero diventato un po’ lo scemo del quartiere ma al dolore, come ben sapete, non si comanda. Eppoi la storia dello scemo del villaggio era nata quando ho pubblicato, naturalmente a mie spese, un libercolo di poesie, di pensieri teneri, dolci e mai grassi che si tagliano con un grissino. Non c’è niente da fare, ma se non hai i mass media alle spalle un creativo come me, tanto per fare un esempio, viene considerato un tonno, un estroso, non viene veramente preso sul serio e ascoltato, ma viene tacciato di essere un diverso, con conseguente trattamento personalizzato. Non ho ancora capito perché in Italia ci ostiniamo a scrivere mass-media e a leggere mass-midia. Ma da noi non si legge come si scrive? Autobus. Mica autobas. E’ la precisione che manca, e questo è uno dei mali della nostra società. E’ imprecisa. Come quando si legge su un giornale: "Aggredito uomo di colore".. Io come me lo devo vedere il povero aggredito, nero? Rosso? Giallo? Verde? Per quello che ne so io potrebbe anche essere un marziano. E poi, scusate, ma il bianco non è un colore? Leggendo un titolo così io spererei che l’aggredito fosse un arancione.

 

Esce di scena, poi rientra.

No, non quelli con pochi capelli e con il corredo completamente arancione.

 

Esce dalla parte opposta e rientra.

No neanche quelli che vanno in giro con le autoambulanze. Quegli altri, quelli che girano solo di notte, con i capelli lunghi, gli stivali anche d’estate, ancora con i pantaloni di pelle attillati oppure a zampa d’elefante, con la camicia slacciata fino all’ultimo bottone anche alle cinque di mattina del 12 dicembre e che per farsi belli, dove poi, si fanno delle gran lampade. Ok, fatti delle lampade, uno abbronzatino sta sempre meglio che uno pallidino pallidino, però quando cominci diventare arancione fermati. Che poi se stai cinque minuti al sole si abbronza.

Io quando andavo all’asilo avevo il cestino arancione, di quei bei cestini arancioni fosforescenti, modello ANAS per intenderci, aveva anche un piccolo lampeggiatore giallo sopra e anche una scritta: lavori in corso. Me lo aveva personalizzato il mio papà. Sì, che lavorava all’ANAS. Il lampeggiatore durò poco, devo averlo mangiato il terzo giorno, ma era bellissimo lo stesso. Anche mio padre era un artista, buon sangue non mente, avevamo per la casa tutti dei birilli e dei nastri fosforescenti per camminare di notte senza sbattere. C’era il lampeggiatore che segnalava una presenza nel bagno e c’erano continuamente dei lavori in corso per la casa. Mi ricorderò per tutta la vita quel suo motto che aveva adottato e tenuto presente per tutta la sua esistenza e che ha voluto trasmettermi nell’educarmi. Mi diceva infatti: "Ricordati ragazzo che la vita ha un senso unico."

 

Ci pensa un attimo.

Voglio dire, può darsi, ma qual è? Forse intendeva che la vita ha un unico senso.

 

Ci pensa un attimo.

Sì, può darsi, ma qual è? Mi devo ricordare di chiederlo a Pinco appena arriva. Per fortuna che ormai lo conosco e non mi preoccupo più dei suoi mostruosi ritardi. Ed è frutto dell’esperienza se non ci diamo più appuntamento nei bar. Prima di tutto ad una certa ora i bar chiudono. Secondo non vado incontro ad episodi del passato della serie che quando arriva mi trova ubriaco a forza di fare consumazioni per legittimare la mia presenza nel locale oppure, per evitare ubriacature, buttarmi su consumazioni non alcoliche con alla fine dei conti degni dei ristoranti più inn della città.

In realtà non è poi che io sappia esattamente cosa si spenda nei locali inn, perché, l’unica volta che ci sono andato, ho dovuto pagare due sedie e una pelliccia che avevo completamente rovinato urtando un vassoio di melanzane alla parmigiana che il cameriere stava servendo. Devo ammettere che non ho mangiato male quella sera, però ho trovato i piatti un po’ noiosi... Nel senso che non erano molto originali... Insomma io ero proprio un altro genere di cuoco, io ci mettevo del mio e si sentiva... Eh se si sentiva. Fra le altre cose quella sera era proprio una brutta sera. Pioveva. E già questo... Era la mia prima cena con Maria, doveva essere tutto perfetto e, tanto per cominciare, si mette a piovere. Avevo prenotato in uno dei locali più inavvicinabili della città.. Inavvicinabile per via delle mie finanze. Ho messo il vestito buono, ho lavato la macchina, sono andato dal barbiere... Insomma mi ero dato un gran da fare per far sì che quella nostra prima cena assieme fosse qualcosa di memorabile. Memorabile è stato memorabile. Vado a prenderla a casa, lei non c’era. Venga si accomodi, la aspetti pure qui, sarà qui tra poco. Un’ora, mi ha lasciato un’ora da solo con i suoi genitori a aspettarla. Mi hanno sottoposto ad un interrogatorio incrociato degno del KGB. Della serie ti abbiamo acchiappato e non ci lasceremo sfuggire l’occasione. Sì perché Maria non aveva mai fatto conoscere le sue compagnie maschili ai genitori e quindi, quando mi hanno beccato, hanno approfittato dell’occasione che gli si era presentata per sapere tutto quello che avrebbero voluto sapere e che non hanno mai avuto la possibilità di chiedere. Poi finalmente arriva Maria dall’allenamento, in tuta e mi dice di aspettare solo un minuto per darle il tempo di cambiarsi. Un minuto ci ha messo un minuto, ma non si infila un’altra tuta? Io non ero in confidenza ancora e ho fatto buon viso a cattivo gioco e così mi presento al ristorante con circa un’ora di ritardo sulla prenotazione e con la Maria in tuta. Quando siamo entrati tutti si sono fermati di mangiare per guardare noi che arrivavamo. Io dall’imbarazzo avevo il collo che si era trasformato in un fascio di nervi, e così non ho visto quello stramaledetto cameriere che aveva in mano un vassoio con dieci porzioni di melanzane alla parmigiana. L’ho urtato e tutto il contenuto del vassoio è atterrato su una pelliccia di visone costosissima. Come faccio a sapere che era costosissima? Lasciamo stare. La mia storia con Maria è già finita da un pezzo e io devo ancora finire di pagare quella pelliccia. E dire che faccio parte del WWF e sono anche stato per un lungo periodo di tempo impegnato in un ente di protezione animali: sezione cane. Come le organizzavo io la festa del bastardino, non l’organizzava nessuno. Nell’ultima edizione ho fatto qualche piccolo errore, lo ammetto, ma lo sforzo di organizzare un evento di grande portata mi ha fatto perdere un attimo di vista il motivo che raggruppava tanta gente in un solo luogo. Cioè in questi casi succedono raduni del tipo: ecologisti di tutto il mondo unitevi, e a questo tipo di persone non è che si possono offrire divertimenti tipo le estrazioni a premi e, tra i premi, mettere oggetti in avorio. Avorio.. era poi plastica. Oppure organizzare un tiro a segno dove i bersagli da colpire sono animali vivi. O ancora organizzare una gara di pesca dove si possono utilizzare solo esche vive. Anche lo sponsor della festa non è piaciuto tanto, ma che colpa ne ho io se ho trovato solo una pellicceria disposta a cacciare un po’ di grana? L’errore più grosso però è stato quello di organizzare, per la serata di chiusura, una gara di fuochi d’artificio: ai primi scoppi è successo il finimondo. Tutti gli animali, e ce ne erano tanti, si sono innervositi, imbizzarriti, si vedevano signore trascinate dai propri cani per tutta l’area della festa, gatti che si arrampicavano sulle schiene dei loro affezionatissimi padroni... Per farla breve: la gara di fuochi è stata immediatamente sospesa, ci sono volute circa tre ore perché gli esseri umani riuscissero a riprendere il controllo della situazione e, della festa, erano state praticamente rase al suolo tutte le strutture che, fra l’altro, mi avevano prestato. Penso che mi stiano ancora cercando, è stata infatti quella sera che ho preso una importante decisione che è stata quella di andare ad abitare in un’altra città. Così una volta a casa ho preso la mia mamma da una parte e le ho detto: "Mamma, ormai sono un uomo, vado a vivere da solo." Ero pronto a tutto, ai pianti, alle discussioni, sapevo quello che dovevo dirle, avevo accuratamente scelto le parole per fare in modo che lei soffrisse il meno possibile, insomma ero preparato. Beh, ma come gliel’ho detto non mi ha detto che per lei andava bene? Subito non ho capito, ma la situazione mi si è chiarita alcuni giorni dopo, quando mi sono arrivate a casa le partecipazioni di mia madre che si tornava a sposare. In altri termini non vedeva l’ora che me ne andassi... Hai capito la mamma?

Comunque adesso ho smesso di fare del volontariato, adesso mi sono trovato un secondo lavoro... Non si può? Avete mai provato a pagare le tasse? E poi comunque un secondo lavoro ce lo hanno tutti. Tutti chi? Tutti quelli che lavorano alle poste e telegrafi per esempio. I professori di ogni ordine e grado. I dipendenti comunali. Questo non significa niente? E’ illegale? Ma chi lo dice, quella manica di disonesti? Beh, ma non risulta mica da nessuna parte, è in nero. Non si può? Però ho il camice bianco. E me ne sto nel retro, buono buono, zitto zitto e faccio il mio lavoro. Traduttore, faccio il traduttore nella farmacia del mio quartiere. Allenato con gli scarabocchi sulle buste, rendo comprensibili le ricette dei signori dottori. Anche l’uomo che ha sposato la mia mamma è un dottore, ma non mi piace mica tanto. Prima di tutto mi dà delle pacche sulle spalle che mi si infiamma la sciatica tutte le volte che li vado a trovare. E poi è troppo... E’ un po’ meno... E’ più... Non so se rendo l’idea, scrive con una calligrafia leggibilissima e poi è anche un cacciatore. Questo non mi disturba tanto per il fatto stesso, ma è che a volte mi sono dovuto lasciare coinvolgere, per la pax famigliare, in stroncanti battute di caccia. Partenza alle cinque del mattino. Buio, freddo polare, e nebbia da record. Le vettovaglie che mi infestano la macchina: panini con mortadella profumatissima e con frittata di cipolle. Chilometri e chilometri percorsi a piedi. Piedi, naso e mani bagnate e congelate. Poi c’è il pranzo...

 

Fa il gesto di sedersi.

...in piedi naturalmente se no ti si bagna anche il... Ci manca solo quello. Quindi ti ritrovi in mezzo a chissà quale bosco a mangiare in piedi, praticamente completamente congelato, dei panini con mortadella e con della frittata di cipolle, naturalmente anche questa fredda gelata, bevendoci dietro del the caldo con molto zucchero che dà energia. Bella gita.

Eh, le belle gite sono quelle che si fanno a scuola. L’anno della maturità andammo alle cinque terre. Chi non è andato, almeno una volta nella vita, in una gita alle Cinque terre? O a Firenze? Quello che mi sono sempre chiesto io è: ma dove vanno gli studenti delle Cinque Terre e di Firenze in gita scolastica? Io alle Cinque terre sono stato proprio bene, sarà forse perché ero innamorato, chissà. Lei era la prima della classe e tutti pensavano che il mio interessamento era dato dal fatto che cercavo alleanze per l’esame di maturità. No no, io l’amavo. Se durante gli esami mi avesse passato qualche suggerimento avrei potuto amarla anche di più questo è vero, però l’amavo. Lei? Non lo so se mi amava, non ne abbiamo mai parlato. Cioè, proprio non abbiamo mai parlato. Io qualche volta ho provato a salutarla, ma lei niente. Io me la sono ricordata per anni e un giorno ho preso il coraggio e soprattutto il telefono a due mani e l’ho chiamata. Non è stato così semplice come potrebbe sembrare perché lei, nel frattempo aveva cambiato casa diverse volte. Non so, ma in qualcosa come in cinque anni da quando finimmo la scuola, ultima volta che l’avevo vista, aveva cambiato di casa almeno tre volte.. Alla fine l’ho rintracciata: Orsolina, s’è fatta suora. Sono cose che segnano queste, per tanti anni avevo desiderato sposare e fare all’amore con una suora. Chissà Freud cosa ne direbbe. E chissà pinco. Spero che pinco si sia fatto un appunto che avevamo un appuntamento: lui ha sempre bisogno di farsi dei bigliettini se no si dimentica le cose.

Una volta io e lui organizzammo una festa a sorpresa per il compleanno di un nostro amico. Abbiamo affittato una villa di campagna, comperato chili di tartine e litri di champagne, invitato centinaia di amici, di donne, di parenti. Tutto era stato organizzato perfettamente, all’inizio dei lavori ci eravamo spartiti i compiti: io penso ai gruppi da chiamare, io penso alle bibite, telefona tu ai parenti, sì e tu telefona agli amici, ricordati di andare a prendere i festoni, chiama il fotografo... Alla fine c’era tutto, tranne il festeggiato. Ci siamo dimenticati di invitarlo. A dire il vero anche io mi stavo dimenticando di andarci, ero già in pigiama quando me ne sono ricordato. Però mi sono vestito prima di andarci. Sì perché non era un pigiama party. Ci avevamo pensato di organizzare un pigiama party, ma come facevamo a chiamare da qualche parte il festeggiato dicendogli di presentarsi in pigiama senza destare sospetti? Poi io avevo un precedente non bello con i pigiama party.

L’unica volta che ci sono andato, ad un pigiama party, sulla strada del ritorno mi ferma la polizia.

 

Mima il vigile con la paletta in mano che gli intima l’alt e riprende a parlare come un ubriaco.

Io ero in pigiama e ciabatte, senza documenti e mi avevano pure fatto bere. Alla centrale mi hanno dato la possibilità di telefonare a qualcuno che mi potesse portare i documenti così da potermi lasciare andare a casa subito. Sarà stata l’agitazione, sarà stato l’alcool ma quando ho sbagliato numero per la quinta volta e blablablablabla gli ho vomitato sulla scrivania, mi hanno messo in cella.

 

Ora riprende a parlare normalmente.

Finalmente mi hanno lasciato andare a casa il pomeriggio seguente, quando sono arrivato sotto casa ho notato un certo viavai e anche che c’era una macchina della rai. Suono al campanello, non risponde nessuno. Risuono, ancora niente. Mi attacco al campanello e mi risponde una voce che non conosco e mi dice che al momento sono tutti impegnati e che non potevo salire perché stavano provando. A casa mia? Provando a fare cosa? Arriva una vicina con la borsa della spesa e riesco almeno a varcare la porta del palazzo... Valle a spiegare cosa ci faccio in giro in pigiama... Quando arrivo davanti alla porta prendo la chiave, che teniamo nascosta sotto lo zerbino, ed entro. Sapete chi ci trovo? La troupe di chi l’ha visto, che era stata chiamata da mia madre che non mi aveva trovato nel letto alla mattina quando era venuta a svegliarmi. Tutta una scena: sei tornato! Un altro caso risolto da chi l’ha visto, tutta una pantomima: perché te ne sei andato, perché non hai dato notizie, almeno una telefonata... Come se fosse facile fare una telefonata. Comunque qua pinco non si vede. Ma voi siete sicuri che il posto era proprio questo? Non è che mi sto confondendo con l’appuntamento che avevo con pinco l’ultima volta? Non ho ancora capito questa mania di trovarci sempre in posti diversi, chissà di che cosa ha paura quell’altro lìorse di annoiarsi. Eh beh, &127;&127;certo che la noia

una brutta cosa. Quella cosa grigia... Come &127;&127;faccio a sapere che

grigia? Ma s. Forse di annoiarsi. Eh beh, certo che la noia è una brutta cosa. Quella cosa grigia...

 

Si interrompe come se qualcuno gli chiedesse qualche cosa.

Come faccio a sapere che è grigia? Ma sì che è grigia, di che colore dovrebbe essere se non grigia? Come la nebbia, grigia, sempre uguale, che ti fa sembrare tutto uguale, tutto grigio... Anche alla vita a volte succede di diventare grigia, tutta uguale, senza colori, sempre piatta. E poi con la nebbia c'è sempre poca luce perché è nuvoloso, anche. Poi va a finire che ti ritrovi anche te con la faccia grigia, scura... Fino a ritrovarti allo stadio più alto della noia: la famosissima noia di Beethoven. Un momento: e se domani ci fosse il sole? Se domani ci fosse il sole, pinco potrebbe andare a giocare la sua partita: bigliettai contro macchinisti. Sì perché dovete sapere che pinco è un grande giocatore di pallone... No, forse è meglio che lo faccia giocare a pallacanestro. Perché io oggi ho detto che gioco a pallavolo e che lavoro in posta, però ieri era pinco a giocare a pallavolo.

 

Parte in sottofondo una musica che si alza progressivamente e la luce sul palco comincia progressivamente a calare.

Però lui faceva il fornaio, invece io ieri ero dottore e mi piaceva giocare a scacchi. E pinco quella volta che giocava a carte? E’ proprio un brutto vizio... Io non ho mai giocato a carte. Magari domani potrei addirittura essere un giocatore d’azzardo di professione e magari pinco un importante uomo d’affari che non è sposato perché ha scelto di essere un single...

 

A questo punto il volume della musica copre quello della voce, il palco rimane al buio e si chiude il sipario.

 

 

 

 

FINE