LA VERITA’ DI PILATO
Atto unico di
Giovanni Spagnoli
Personaggi:
PONZIO PILATO
CAIFA
YESCIUA
CLAUDIA PROCULA
ERODE ANTIPA
BAR-HABBAS
(Una luce al centro della scena illumina un palcoscenico spoglio, salvo per un
tavolo e un paio di sedie. Entra Pilato, è in abiti moderni. Si ferma, cammina
verso il bordo del palcoscenico, guarda il pubblico e sembra contento, un po’
sorpreso).
PILATO – Vi ringrazio di essere intervenuti così numerosi a questa serata unica
e irripetibile. Non crediate che per me sia stato facile venire sin qui. Lassù…
o laggiù?... comunque, di là mica lasciano tornare sulla terra chiunque lo
chieda. Occorrono ragioni valide, conoscenze… (Dall’alto giunge il brontolio
sordo di un tuono. Pilato con i gesti fa capire che certe cose è meglio non
dirle) Insomma c’è un iter da seguire anche di là, come di qua. D’altra parte,
di là ci va tutta gente che prima era di qua, no? Prima o poi verrete anche
voi…(si accorge della gaffe) Scusate, non intendevo…Come?...(Finge di porgere
orecchio alla platea) Ma no, quale processo? Quando sbarcate dal vaporetto…(c.s.)
Caronte? Ma Caronte è in pensione da diversi secoli. Oggi si viaggia su comodi
vaporetti. Ci sono state un paio di riforme: la pena part time, celle singole…
All’arrivo trovate un grande vecchio, con una barba bianca che gli arriva alle
ginocchia, seduto su una specie di trono di pietra, che muove un dito sopra la
testa. Se fa così (Mimica) si va su, se fa così si va giù, se fa così si va
all’ammezzato, che fra l’altro sembra vogliano smantellarlo. (Ascolta di nuovo
la platea) Come si sta? Si vive. (Sorride) No, non è un modo di dire, mica si
può morire di nuovo. Stavo dicendo?... Ah, si, la domanda per tornare sulla
terra l’ho presentata… non ricordo esattamente quando, ricordo però che era
appena arrivato da noi Gengis Kan. Non potete nemmeno immaginare quanta
burocrazia ci sia…(Altro brontolio di tuono) Ehm… (Si schiarisce la voce)
Comunque il permesso l’ho ottenuto. Mi hanno detto: “Va bene, puoi andare. Avrai
meno di due ore per dire ciò che pensi. Ma ricorda: attienti strettamente a ciò
che ti riguarda. Chiaro?” Loro credono nella libertà di parola, ma entro certi
limiti. (Sorride) Sono liberali. Quindi, ho esattamente settanta-ottanta minuti
a disposizione per raccontarvi come quel giorno andarono esattamente le cose.
Oh, lo so che voi vi credete informati, ma, se permettete, le mie sono
informazioni di prima mano. Che non si discostano molto da quelle che possedete,
ma certi dettagli… certi stati d’animo… Insomma, sono convinto che quando vi
avrò dato la mia versione dei fatti, quando vi avrò spiegato le mie ragioni,
avrete di me un’altra considerazione.
Prima di tutto, vediamo di fare chiarezza su un punto molto importante e
controverso: avrei potuto salvarlo? Avrei potuto non condannarlo e mandarlo
libero? Sapeste quante volte mi sono posto queste domande. E la risposta è
sempre la stessa: no, non avrei potuto salvarlo.
Venendo qua ho letto una scritta sopra il cancello di un cimitero: stat sua
cuique dies”, un giorno segnato ci aspetta. Bella scoperta! Prima o poi capita a
tutti. Ma per lui, per Yesciua, la morte doveva avvenire in un certo modo, in un
certo giorno, in una certa ora e con certe modalità. Potete immaginare quale
mondo sarebbe questo se quel nazareno di nome Yesciua non avesse subito il
martirio della croce e fosse morto, mettiamo, per mano di un qualche esaltato,
oppure di vecchiaia, nel proprio letto? Egli doveva morire sulla croce, tradito
da uno dei suoi discepoli, abbandonato da tutti. E’ facile dire queste cose ora,
ma allora? Nessuno sapeva nulla, tranne il diretto interessato, cioè Yesciua.
Me lo portarono quando il Sinedrio aveva già deciso che doveva morire. I capi
dei Giudei lo volevano morto perché con le sue prediche intralciava i loro
affari, però la facoltà di emettere sentenze capitali era riservata al
procuratore di Roma, a me. Ma se era il procuratore che doveva emettere la
sentenza definitiva, non doveva essere lo stesso procuratore a ordinare
l’arresto, o, quanto meno, autorizzarlo? Ammetterete che il dubbio era più che
fondato, ma preferii sorvolare. Provavo un senso di disgusto al pensiero di
aprire una disputa su questo argomento con dei Giudei causidici e rissosi che
avrebbero spaccato ogni capello in quattro per dimostrare di essere dalla parte
del diritto. Fosse accaduto qualche anno prima, le cose sarebbero andate
diversamente, ma ora non avevo più voglia di mettermi a discutere con quella
gente che non avevo mai fatto mistero di disprezzare profondamente.
Prima dell’alba un centurione venne ad informarmi che i Padri Sinedriti erano
nel cortile con il prigioniero e chiedevano di essere ricevuti. Io però, prima,
volevo parlare con Caifa, il Gran Sacerdote: se non l’ideatore, certamente
l’esecutore dell’arresto.
CAIFA – (entrando nel cono di luce) Magnifico procuratore, il Sinedrio mi ha
incaricato di consegnarti il Nazareno.
PILATO – Ce l’ha un nome?
CAIFA – Dice di chiamarsi Yesciua.
PILATO – Bene. Allora… (Si odono rumori provenire dalla piazza) Chi è quella
gente che urla?
CAIFA – Purtroppo si è sparsa la voce in città…
PILATO – Da sola?
CAIFA – Questa notte sono accadute cose molto gravi, procuratore. Credo che tu
ne sia al corrente.
PILATO – La notte io dormo. Non vado in giro a fare processi. (Al pubblico)
Questi “bravi cittadini” avevano violato quasi tutti i patti che regolavano i
nostri rapporti. Non solo avevano arrestato il Nazareno, ma poi lo avevano
condotto a casa di Anna, il loro Patriarca, nonché suocero di Caifa. Tutto in
famiglia. Il vecchio Patriarca, appollaiato come un gufo su una montagna di
denaro guadagnato lucrando su tutti gli affari che si svolgevano nel Tempio,
voleva essere il primo a interrogare il prigioniero, per sapere quanti dei suoi
seguaci sarebbero stati disposti a lottare per difenderlo. Ma quali seguaci? Non
c’era più un cane che volesse seguirlo, era stato lasciato solo. Anche i suoi
discepoli se l’erano data a gambe, tutti. Solo quando Anna ebbe saputo ciò che
voleva sapere, l’avevano condotto davanti al Sinedrio, convocato d’urgenza a
quell’ora di notte e l’avevano condannato a morte. Ora volevano la mia firma,
indispensabile affinché la condanna avesse un qualsiasi valore.
CAIFA – Lo stavamo giudicando per blasfemia, quando è emerso un delitto di alto
tradimento.
(Continuano le voci della piazza)
PILATO – Vorrei sapere perché avete dato pubblicità all’arresto del Nazareno,
prima di portarlo da me. Ti rendi conto che avete complicato tutto? In questi
giorni di festa, con la città piena di stranieri, gente che non si sa chi sia,
né da dove venga. Riferisci ai tuoi capi che si rimanda tutto di almeno una
settimana.
CAIFA – Ma procuratore, non è possibile. Questa è una causa che va discussa per
direttissima. Chi può garantire che non ci saranno disordini se tu…
PILATO – Cos’è, una minaccia? Ascoltami bene, Caifa, non ho nessuna intenzione
di farmi forzare la mano da voi. So decidere da solo. (Pausa) Ma è mai possibile
che con voi no si possa dialogare? Che non si possa mai prendere la vostra
parola per quello che vale? Non si è mai certi di quello che dite. Bisogna
sempre supporre quello che sottintendete. (Pausa) Stanotte, il Sinedrio ha
emesso una sentenza?
CAIFA – Non una sentenza vera e propria…
PILATO – Perché non l’avete lapidato? E’ questo che volete, no?
CAIFA – Sai bene che non possiamo fare più di quello che abbiamo fatto. Lo jus
gladii è di tua competenza, procuratore.
PILATO – Vorrai scherzare! Ma se ne fate fuori uno al mese di questi predicatori
ambulanti.
CAIFA – Non il Sinedrio, procuratore. Tu parli di giustizia sommaria, di popolo,
di fanatismo religioso.
PILATO – (Sbrigativo) Va bene, va bene: Di che cosa lo accusate?
CAIFA – Istiga il popolo a non pagare il tributo a Cesare.
PILATO – (scoppia in una risata) Cioè, non paga le tasse?
CAIFA – Ti rammento che un’altra sommossa, anni fa, scaturì dal rifiuto di
pagare il tributo a Cesare.
PILATO – Già. (Al pubblico) Roma perdonava tutto, tranne che non gli si
pagassero le tasse. (Finge di ascoltare una voce del pubblico) Anche oggi?
(Ride) Le tasse sono sacre. (A Caifa) Ammetterai che questo improvviso zelo
fiscale del Sinedrio è poco convincente. Nei confronti poi di chi? Di un
vagabondo evidentemente povero in canna. Andiamo Caifa, non avete trovato di
meglio?
CAIFA – E’ un vagabondo, però la gente lo segue, procuratore. Ma non la gente
per bene, gli straccioni lo seguono, i fuorilegge, le donne di malaffare, i
miserabili, che in questo paese, come sai, sono la maggioranza. I fatti hanno
preso una piega pericolosa. Stanotte, in pieno Sinedrio, si è proclamato Re.
Domenica scorsa, quando è entrato in Gerusalemme, l’hai sentito tu stesso cosa
gridava la folla. “Viva il Re del popolo!” Era come se quei fanatici gridassero:
“Il Nazareno sul trono e i romani a casa loro!” Due dei suoi seguaci sono zeloti,
fanno parte del Movimento Lotta a Oltranza, il cui capo è Bar-Habbas. E’
necessario intervenire e ristabilire l’ordine, procuratore.
PILATO – Tanto per cominciare, oggi stesso inchioderò Bar-Habbas al legno. Lo
inchioderò alla croce con queste mani, davanti a tutti. Finché stanno in
montagna a fare gli eroi, passi. Ma il terrorismo qui in città non lo tollero.
CAIFA – Non basta, procuratore. Il Nazareno è anche più pericoloso di quel
terrorista.
PILATO – (Dopo una lunga pausa) Fai venire questo Yesciua, gli voglio parlare.
Da solo.
(Caifa rientra nell’ombra. Yesciua viene spinto violentemente in scena. E’
legato per i polsi, indossa una tunica nera lacerata in più punti, ha dei lividi
sulla faccia. Silenzio. Yesciua è fermo davanti a Pilato).
PILATO – Dunque, tu sei Yesciua? Capisci la mia lingua? (Yesciua fa un cenno
affermativo col capo. Pilato si rivolge al pubblico) Finalmente potevo vederlo
da vicino e soddisfare la curiosità che da tempo provavo per quell’uomo. Ciò che
più mi colpì in lui fu il portamento. Non c’era nulla in lui che lasciasse
trapelare quei sentimenti di paura che, pure, dovevano pervaderlo. Non parlava,
non si lamentava, non implorava, non si ribellava. (A Yesciua) Anche se è la
prima volta che ti vedo, per me non sei uno sconosciuto. Da due anni sei l’uomo
di cui i miei servi si interessano di più. (Sorride) Specialmente le donne. Ti
hanno conciato bene quei bastardi, stanotte. Ti vogliono morto, lo sai? Com’è
che stanotte i tuoi seguaci non ti hanno difeso? (Breve pausa) Cosa ti è saltato
in mente di venire a Gerusalemme con la tua banda, proprio alla vigilia della
festa? Ci hai preso tutti per imbecilli? (Pausa) Bene. Prima di passare alle
accuse voglio dirti che i miei agenti ti stanno alle costole fin da principio.
Sappiamo tutto, perciò sappiti regolare. A me, che tu vada in giro a dire che
siamo tutti fratelli e che bisogna spogliarsi di tutto… sinceramente non mi
interessa. Anche se mi sembra una pazzia. E’ un paese miserabile il tuo. Un
popolo di schiavi, senza pane, bambini per le strade che sembrano scheletri… E
tu vai in giro e a questo popolo gli dici “Beati i poveri e guai ai ricchi!” E
il risultato sai qual è? Che i ricchi cercano di eliminarti e i poveri non si
fidano di te. Sei un venditore di illusioni. E secondo me non fai bene a
illudere la gente infelice, come fai. Ma non capisci che questi poveracci si
mettono in testa delle idee sbagliate? Uguaglianza, libertà! Forse tu con le tue
prediche intendi qualcosa di diverso, qualcosa che loro non capiscono e quindi
fraintendono. Il fatto è che tu fai dei discorsi disfattisti e sei a capo di un
movimento clandestino politicamente pericoloso. (Breve pausa) Ma poi è anche
troppo facile predicare l’uguaglianza quando non si possiede nulla. Sei tu il Re
dei Giudei?
YESCIUA – Parli per te o per conto di altri?
PILATO – Ma che razza di risposta è mai questa? E’ vero o no che sei Re? Io non
prendo ordini da nessuno. Voglio solo sapere se è vero che vai in giro a dire
che sei Re. Sei Re?
YESCIUA – Tu l’hai detto.
PILATO – (Si arrabbia) Certo che l’ho detto, ma la mia è una domanda, la
risposta la voglio da te. (Yesciua non risponde) Ascolta Nazareno, tu sei qui
accusato di essere un agitatore politico, capisci? Agitatore politico, non capo
religioso. Tu hai fatto la scuola nel deserto con gli Esseni. E io so che gli
Esseni insegnano il silenzio come disciplina e insegnano che la parola è
inadatta a trasmettere il pensiero. Ora però, con me, cerca di essere chiaro e
di distinguere fra Messia religioso e Re politico. Se vuoi sperare di salvarti.
YESCIUA – Tu credi che se fossi un Re della terra avrei aspettato la mia ora,
stanotte?
PILATO – (Paziente) Bene, questo l’ho capito. Dici che non sei un Re della
terra. Di dove sei Re allora?
YESCIUA – Il mio potere comincia dove il tuo finisce.
PILATO – Che tipo di potere? Personale? Politico?
YESCIUA – Il mio potere è la verità.
PILATO – E cos’è la verità? (Al pubblico) Inutile negare, ero turbato. Quell’uomo
dallo sguardo febbrile, così avaro di parole, ma che quando parlava assumeva la
dignità di un dio, mi turbava proprio perché intaccava la solida corazza del mio
scetticismo e mi obbligava a mettere in discussione convincimenti radicati,
lasciandomi vedere scenari che mi attraevano e nello stesso tempo mi
sgomentavano. (A Yesciua) Tu fai una grande confusione. Dove sarebbe questa
verità? Nei libri? Negli archivi dello Stato? In fondo a un bicchiere di vino?
Fra le cosce delle donne?
YESCIUA – Se non la trovi in te stesso, dove andrai a cercarla?
PILATO – Tu sei un pazzo fanatico… un venditore di fumo. Ti rendi conto che sei
davanti a un giudice militare? Tu sogni, ma questa è la realtà.
YESCIUA – Cos’è la realtà?
PILATO – Cos’è la realtà? (Vorrebbe ridere ma non ci riesce) La realtà è tutto.
E’ Roma, è la storia. La realtà è la lotta degli uomini per la vita, i
sentimenti, la guerra, il sangue. Anche il tuo sangue, che è uguale al mio. Ti
hanno picchiato e hai perso sangue. Se ti picchiano ancora ne perdi tanto che
alla fine crepi! Questa è la realtà. Sapere che si è nati per morire, ma che la
vita che ci appartiene, possiamo viverla con coraggio oppure troncarla con
coraggio. (Pausa) Fammi capire, tu vorresti cambiare il mondo?
YESCIUA – Cambierò gli uomini.
PILATO – Cambierai gli uomini? E con che? Con la rivoluzione?
YESCIUA – Si.
PILATO – Ma tu sei pazzo. E vorresti distruggere il tempio di Mosè?
YESCIUA – Il Tempio cadrà e cadrà ancora. Finchè l’uomo non sarà egli stesso il
tempio della verità. Allora il Tempio non servirà più.
PILATO – Ti rendi conto che questo equivale a una confessione? Bar-Habbas e gli
Zelati vogliono abbattere il Tempio per costruirne un altro. Ma tu vai più in
là: vorresti distruggerlo per sempre. Tu vorresti abbattere totalmente l’ordine
politico e religioso del tuo paese. Anzi, del mondo intero!
YESCIUA – Non è vera rivoluzione quella che cambia soltanto la faccia della
tirannia e del sopruso. La vera rivoluzione avverrà nella mente dell’uomo.
Bisogna cancellare dalla mente dell’uomo l’io e il mio, altrimenti sarà sempre
schiavo di qualcuno.
PILATO – E quando dovrebbe succedere tutto questo?
YESCIUA – E’ già cominciato.
PILATO – Hai detto abbastanza per essere inchiodato alla croce tre volte. Tu fai
troppo il furbo, Nazareno. (Allarga le braccia) Che senso ha? (Yesciua gli tende
i polsi legati. Pilato lo scioglie. Yesciua si tocca le ferite dei polsi ed
emette un profondo respiro) Che hai? Ti senti male?
YESCIUA – Respiro.
PILATO – Perché anche quando dici le cose più semplici del mondo, fai sempre il
misterioso? Sei un attore, Nazareno, un grande attore. Molti ti prendono per
pazzo, ma io credo che tu non sia pazzo per niente. (Pausa) Sai cos’ho pensato
appena ti ho visto? (Al pubblico) Appena l’ho visto ho pensato: questo se avesse
le mani libere mi ucciderebbe.
YESCIUA – (Sorride) Perché non vai fuori e lo dici a tutti?
PILATO – Perché non avrebbe senso. Sarebbe come ammettere che tu mi fai paura.
YESCIUA – Preferisci mentire a te stesso?
PILATO – Andare fuori… per ottenere cosa?
YESCIUA – Non per ottenere qualcosa. Per mostrare le tue ferite.
PILATO – A chi? A quella gentaglia là fuori? A Caifa? Ad Anna?
YESCIUA – Se mostri le tue ferite al tuo medico, le mostri per essere guarito.
Se le mostri ai tuoi carnefici è per guarire loro.
PILATO – Per quale motivo dovrei guarire i miei carnefici?
YESCIUA – Per abolire l’odio e la guerra.
PILATO – L’odio e la guerra ci saranno sempre. Sei un illuso, Nazareno. Lascia
che ti dica una cosa: in vita mia non ho mai incontrato uno come te. E guarda
che io di uomini me ne intendo. Ma non perché fai i miracoli. In giro si fa un
gran parlare dei tuoi miracoli, ma quella è roba che piace alle donne e ai
deboli di mente. A Roma abbiamo dei maghi che di miracoli ne fanno quanti ne
vuoi. Ci vuole più fede a credere nei miracoli, che a farli. Chi ci crede
potrebbe anche farli, basterebbe poco.
YESCIUA – Venivano da me a dirmi: quel tale è guarito, l’acqua è diventata vino.
Mi meravigliavo, ma lo sapevo. L’avevo pensato.
PILATO – Quando ti sei scoperto…così?
YESCIUA – Poco a poco.
PILATO – Poco a poco? Ma allora non sei l’Unto come dicono. (Ride) Allora, tutti
i giorni diventi sempre un po’ più l’Unto? (Pausa) E tutto quello che pensi si
avvera sempre?
YESCIUA – Al momento decisivo. L’hai detto tu stesso, ci vuole fede.
PILATO – Hai paura?
YESCIUA – Agli ulivi, stanotte ho avuto paura per l’ultima volta. Ho pensato a
me per l’ultima volta.
PILATO – (Dopo una pausa) E ora, come pensi che andrà a finire?
YESCIUA – Mi inchioderai al legno. Tu. Prima del tramonto.
PILATO – Perché sei venuto a Gerusalemme?
YESCIUA – Perché ognuno possa decidere, ora e per sempre.
PILATO – Non mi lasci scampo, eh? (Teso) Sono io che decido della tua vita e
della tua morte, non tu.
YESCIUA – Tu non avresti alcun potere, se non ti fosse dato.
PILATO – Questa non è che una frase. Io so soltanto che chi deve decidere sono
io. Oppure, intendi dire che sono uno strumento del potere?
YESCIUA – Ti rispondi da solo.
PILATO – Ma tu che ne pensi?
YESCIUA – Non penso nulla.
PILATO – Non potresti almeno una volta parlare chiaro, senza enigmi?
YESCIUA – Il divino si è rivelato in me. Stanotte, agli ulivi, ho creato me
stesso. Mi sono liberato. Ora sono uno col Padre e con la verità. Ora la
divinità è incarnata in me e sazierà tutti. Finché ci sarà un uomo sulla terra,
egli avrà in se stesso il potere di essere libero di fare la sua vita come il
pane si fa con le mani. Di fare la sua vita secondo natura. (Allarga le braccia
e si rivolge al pubblico) Fate sana la vita. Scorrete come l’acqua, penetrate
ogni atomo e la piaga si trasformerà in fiore. Ora, subito.
PILATO – Ora, subito? Ma cosa stai dicendo? No, lascia stare, le tue parole non
mi riguardano. Sono certo che la tua esperienza non riguardi gli uomini… gli
uomini “normali”. Tu non sei normale, lo sai questo? (Pausa) Sei mai stato con
una donna?
YESCIUA – Si, un tempo.
PILATO – Non ti credo. Tu sei un Esseno e gli Esseni praticano la castità. E ora
pensi di essere perfetto?
YESCIUA – Non sono perfetto. E nemmeno innocente.
PILATO – Questo lo dici per consolarmi. (Ridacchia) Dammi retta, tu muori per
niente. Tu non capisci niente degli uomini. Tu stai zitto o parli per enigmi. E
il tuo silenzio è una provocazione, come le tue ferite. (Pausa) Sai che mi hai
messo in un bel pasticcio? Si, perché fa me e te, il più forte sei tu. Perché
non hai paura di morire. Oppure hai paura? Dì la verità. (Yesciua tace. Pilato
si rivolge al pubblico) La piazza era piena di gente. Gridavano tutti come
invasati. Quelli del Sinedrio avevano sguinzagliato dei propagandisti fra la
gente. Andavano in giro dicendo che il Nazareno, interrogato da me, aveva
rinnegato i suoi e chiesto pietà. Bugie per sollevare ancora di più il popolo
contro il Nazareno.
(Mentre Pilato parla, alle spalle di Yesciua entra Claudia Procura. Yesciua si
volta a guardarla con un’espressione serena sul viso. Poi Yesciua rientra
nell’ombra e in scena rimangono Pilato e Claudia)
PILATO – Claudia! (Dalla piazza arriva il grido :A morte, a morte!) Perché sei
venuta alla torre? Cos’è successo?
CLAUDIA - Uno della guardia mi ha detto che stanotte quelli del Sinedrio hanno
fatto arrestare Yesciua il Nazareno, perché dicono che vuole distruggere il
Tempio. E’ vero?
PILATO – Ne parleremo, Claudia, ne parleremo. Perché intanto non scendi in
città? Ti faccio accompagnare?
CLAUDIA – No.
PILATO – No?
CLAUDIA – Voglio restare qui.
PILATO – Cos’è successo?
CLAUDIA – Ho paura.
PILATO – Per lui?
CLAUDIA – Per te.
PILATO – Per me?
CLAUDIA – Si, per te. Per noi. Per tutti noi. Ieri sera quando me ne sono
andata, dopo cena, mi sono voltata a guardarti, ti ricordi? E tu mi hai sorriso.
Ero felice, ero sicura di averti ritrovato, dopo tanto tempo. Ti aspettavo in
camera mia. Quando è venuto Rufo a dirmi che saresti rimasto nella torre, perché
avevi delle noie con quelli del Sinedrio, ho sentito che stava per succedere
qualcosa di molto grave. Volevo correre subito da te per dirti di stare attento,
di non fidarti. Volevo rivedere il tuo sorriso… Invece è stato l’ultimo. Ora so
che non mi sorriderai più così, lo so.
PILATO – Ma che dici? Non capisco. Perché non dovrei più sorridere?
CLAUDIA – E’ cambiato tutto, anche noi siamo cambiati. Non avremo più pace. E’
innocente! Quell’uomo è innocente come un agnello. Vogliono farlo a pezzi ed è
innocente.
PILATO – Non è così semplice, Claudia. Quell’uomo è un ferro rovente. Non sta
nelle regole. Non si difende, non accusa. Ti porta su un terreno irrazionale in
cui ostinarsi a voler essere giusti significa fare la parodia della giustizia.
E’ un sedizioso, Claudia,è colpevole. Ma hai continuamente l’impressione che non
sia questo il problema. E ti senti stupido, impotente… un carnefice! E’ pazzo,
Claudia. E se non è pazzo, non capisco più niente, non capirò più niente.
CLAUDIA – (Dopo una pausa) C’erano anche dei soldati romani stanotte a
prenderlo?
PILATO – (Si scuote) Eh?...Si, ma non sono intervenuti.
CLAUDIA – E’ tutto quello che sai?
PILATO – Perché, cosa c’è ancora?
CLAUDIA – Tu sapevi che l’avrebbero arrestato?
PILATO – No, pensavo mi avrebbero chiesto l’autorizzazione.
CLAUDIA – Chi l’ha ridotto in quello stato?
PILATO – La polizia del Sinedrio, non i nostri.
CLAUDIA – L’hai guardato negli occhi?
PILATO – Claudia, non guardarmi come se fossi un barbaro irresponsabile. Sono io
che voglio chiederti una cosa. L’avevi mai visto prima d’ora?
CLAUDIA – L’avevo visto una volta sola.
PILATO – Quando?
CLAUDIA – Martedì scorso, passando dal Tempio…
PILATO – Da sola?
CLAUDIA – Cestia era con me. C’era una grande folla, risono avvicinata. Stava
parlando, ma era di spalle, in piedi.
PILATO – Perché non me l’hai detto? Perché noi due non abbiamo mai parlato di
queste cose? Che diceva?
CLAUDIA – Gridava:”Cadaveri viventi!”
PILATO – A chi gridava?
CLAUDIA – Non lo so.
PILATO – E sei rimasta colpita?
CLAUDIA – Si, ma non tanto per quello che diceva. Non capivo bene e anche se
capivo non riuscivo a collegare quello che diceva con me stessa, con la mia
vita. Forse perché anch’io sono un cadavere vivente. Forse lo siamo tutti. Le
nostre superstizioni, la nostra cupidigia, i nostri egoismi, la pace romana…Come
se la vita durasse all’infinito…Non so, ho provato vergogna. Era solo in mezzo a
quella gente che non capiva, come me. Era lontano e solo. E anche miserabile e
odioso. Io non ero con lui quella mattina, nessuno era con lui, nemmeno i suoi,
credo. Tutti lo temevano soltanto, come me.
PILATO – Cerca di ragionare, Claudia. Tu sei una mente limpida. Tutto quello che
quell’uomo diceva va visto in rapporto a questo paese. E questo è un paese
tetro, Claudia. Qui noi non siamo liberatori, siamo oppressori. A questa gente
non abbiamo lasciato altro che la religione, come diversivo e come consolazione.
Basta andare per le strade per vedere gente che si strappa i vestiti intorno a
un pezzente qualunque in preda a delirio profetico! E’ il loro modo di
protestare contro di noi, gli invasori, e di nutrire sotto sotto speranze
insensate. Quest’uomo, Yesciua, non è che lo strumento consapevole di questa
protesta. Perciò è politicamente pericoloso. E’ inutile che mi guardi così. Non
so cos’altro dirti. Quello che mi ha colpito di più è il modo in cui parla della
morte. Parla della morte come della vita. E’ un irresponsabile. Ostenta il suo
martirio. Sembra più un mago orientale che un filosofo o un maestro rabbinico.
CLAUDIA – Ascoltandolo scopri che potresti essere un altro. Non migliore o
peggiore, diverso, semplicemente diverso. Sembra che la realtà si dilati. Poi ti
accorgi che sei soltanto più solo, ma non infelice! Da dove credi che venga il
suo coraggio?
PILATO – Ne parleremo, Claudia, ne parleremo. Io sono abbastanza scosso, manon
sconvolto. Cosa credi? Sono molto solo anch’io. E in questa faccenda più che
mai. C’è sempre un momento in cui mi si chiede di decidere. E’ sempre stato
così, ho sempre dovuto decidere per me e per gli altri. Questa volta mi ripugna
e non so perché. Forse perché conciliare la politica con la salvezza del genere
umano è al di là delle mie forze. E non capisco nemmeno cosa significhi. Mi
sembrano i discorsi di certi filosofi greci che mi annoiavano già quando avevo
venticinque anni. (Claudia si avvia per uscire, in silenzio) Claudia, tu credi
in quell’uomo?
CLAUDIA – Io sono dalla tua parte. Contro di lui.
PILATO – Io non sono contro di lui.
CLAUDIA – Tu sei contro di lui, come tutti. Perché per essere con lui bisogna
distruggere tutto. E non ti dà tregua. Ti guarda e la sua pietà non è
consolante. Anche quelli che stanno con lui gli sono contro. Gli stanno vicini
soltanto perché aspettano il miracolo, perché vogliono essere consolati e
protetti. E sperano che un giorno alzerà una mano e ridurrà in cenere i loro
nemici. E invece è il contrario.
PILATO – Stai diventando una dei suoi.
CLAUDIA – Se fosse così stanotte non avrei pensato di suicidarmi.
PILATO – Suicidarti? Stanotte? Ma se hai detto che eri felice!
CLAUDIA – E’ vero, ero felice.
PILATO – Allora, perché volevi morire?
CLAUDIA – A un tratto mi sono sentita male. Non riuscivo a dormire, mi sentivo
soffocare. Pensavo all’assurdità della mia vita: i figli che non ho avuto, te
che non ho…Mi sono affacciata alla terrazza, sulla città. La luna, il vuoto… E
l’odore degli agnelli che stanno per essere uccisi. I loro belati. E tutta
quella gente ammucchiata per le strade, che dormiva o sognava. E nelle case, i
ricchi, i sacerdoti, gli schiavi… Tutti uguali. Anche loro tutti pronti per la
morte. Era buio fitto, laggiù nella valle del Cedron. Ho pensato a lui… e l’ho
visto.
PILATO – Come l’hai visto?
CLAUDIA – Ha voltato il viso e mi ha guardata. Il viso era pieno di sangue che
zampillava a fiotti. Mi ricordo che ho pensato: lo uccideranno. Ho chiuso gli
occhi e ho visto gente che correva per le strade ridendo e gridando, correva a
bagnarsi del suo sangue. Un’orgia terribile che travolgeva anche te e ti
separava definitivamente da me. Mi ricordo che ho pensato: non voglio vedere
questo, non voglio essere testimone… E’ stato allora che ho pensato al suicidio.
(Si smarrisce) Ma a questo punto c’è un vuoto. Non ricordo altro. Fino a quando
ho sentito i servi che correvano qua e là per la casa, dicendo che il Nazareno
era stato preso e frustato e che tutti si aspettavano che distruggesse il
Tempio. Da fuori veniva rumore di gente, la città si era svegliata di colpo e
tutti gridavano. Non sapevo cosa pensare. (Pausa) Poi è venuta una donna di
Cafarnao.
PILATO – La conoscevi?
CLAUDIA – No. E’ una che segue il Nazareno.
PILATO – E perché è venuta da te?
CLAUDIA – Non lo so. Forse pensava che potessi fare qualcosa. Ma non so come
facesse a sapere che io…
PILATO – Cosa ti ha detto?
CLAUDIA – Mi ha detto: manda a dire a tuo marito che non si macchi del sangue di
un innocente. Le ho chiesto : tu sai chi è il Nazareno? Yesciua è il Cristo, mi
ha risposto. E poi mi ha raccontato di essere stata presente due settimane fa,
quando il Nazareno ha resuscitato un uomo a Betania.
PILATO – Tu ci credi alla resurrezione di quell’uomo?
CLAUDIA – Io credo che quella donna abbia visto quello che mi ha detto d’avere
visto.
PILATO – Certo, Claudia, certo. (Le fa una carezza)
CLAUDIA – Tu cosa gli hai chiesto al Nazareno?
PILATO – Gli ho chiesto cos’è la verità.
CLAUDIA – E lui ti ha risposto?
PILATO – Sui, ma con un sofisma. Direi che non mi ha risposto.
CLAUDIA – Se ti avesse risposto: la verità sono io, io che ti parlo, tu cosa
avresti fatto?
PILATO – Non gli avrei creduto. L’uomo non è un’astrazione. L’uomo è il mondo
dell’uomo, è la sua vita, la sua religione, la sua civiltà.
CLAUDIA – (Lo abbraccia) Meno male, meno male.
PILATO – Che c’è?
CLAUDIA – Mi sentivo tanto indegna di pensarla anch’io così. (Si avvia per
uscire).
PILATO – Non mi saluti?
CLAUDIA – (Lo bacia su una guancia) Vedi? Non sorridi più. (Esce)
PILATO – (Al pubblico) Intanto la piazza si scaldava, voleva lo spettacolo che
gli era stato promesso. Il Sinedrio aveva fatto un lavoro di cesello per aizzare
la gente. Avrei anche potuto decidere di defraudarli dello spettacolo,
scegliendo una via di mezzo: la flagellazione, per esempio. Ma mi ripugnava. Il
Nazareno sarebbe anche potuto restarci sotto le frustate, e non sarebbe stato il
primo. Forse ci sarei arrivato, ma per il momento la flagellazione mi ripugnava.
Decisi di parlare alla folla. (Viene sul proscenio e si rivolge alla folla in
tumulto) Dopo quanto ho visto e sentito, la mia conclusione è la seguente:
Yesciua il Nazareno è pazzo. Sembra appena uscito dalla torre di Babele. (Pausa)
Fra me e voi c’è ben poco in comune. Tutto ci divide: la legge, la religione, la
razza, la lingua. E voi stessi siete divisi fra voi. Ecco perché questa terra
che è vostra, non vi appartiene. E non avete pace. Infatti, non mi illudo che la
pace di Ponzio Pilato sia vera pace per voi. Il fuoco della vostra liberazione,
del vostro riscatto cova sotto la cenere. Ma da un paio d’anni è divampato nel
nome di questo Yesciua. Ed io mi sono trovato inaspettatamente dalla vostra
parte a buttare acqua sulle stesso fuoco. E ho scoperto che abbiamo qualcosa in
comune: l’amore per la vita. Amare la vita significa salvare il mondo. Quest’uomo
invece vuol morire per salvare il mondo. Questo non lo capisco e non lo capirò
mai. Ma non posso condannare un uomo soltanto perché non lo capisco. E’ un
bestemmiatore del vostro dio? E’ il distruttore del Tempio di Mosè? Voi lo dite
ed io vi credo. Ma nel contempo dichiaro la mia incompetenza. Roma non conosce
il delitto d’eresia. Perciò dovete giudicarlo secondo la vostra legge. (Alte
urla dalla piazza, che sfumano lentamente quando entra Caifa)
CAIFA - Il tuo discorso è fatto per mettere dei dubbi, non per scioglierli.
PILATO – I nostri accordi non erano questi. L’arresto del Nazareno doveva
apparire come una normale operazione di polizia. Invece tu hai fatto ricorso
alla piazza, per forzarmi la mano. Ora un processo regolare non conviene più a
nessuno
CAIFA – Occorre un processo d’urgenza. Arresto, accusa, confessione e condanna
con inflessibilità militare. Noi vogliamo da te un verdetto, anche se di
assoluzione.
PILATO – Non fare il furbo con me, Caifa. So bene cosa pretendi da me.
CAIFA – Quest’uomo ha offeso la Chiesa, che è la buona coscienza della gente.
PILATO – E io faccio finta di credervi e ve lo rimando. Fatene quello che
volete.
CAIFA – Secondo la nostra legge quest’uomo merita la morte. Ma noi non ne
abbiamo l’autorità giuridica. Tu sai benissimo che chiunque si proclami Messia
in Israele, intende proporsi al popolo come pretendente al potere politico e di
conseguenza come rivale di Cesare.
PILATO – Cesare non mi ha mandato qui a crocifiggere dei metti.
CAIFA – Quest’uomo è venuto a Gerusalemme a predicare la rivoluzione e noi due,
insieme, l’abbiamo fermato. Se improvvisamente cambi idea e parli in suo favore
è segno che non stai dalla parte di Cesare.
PILATO – (Sorride) Hai una bella paura, eh?
CAIFA – La mia paura dovrebbe essere anche la tua, procuratore.
PILATO – Certo, come no? Il bello è proprio questo! (Continua a sorridere) Il
bello è che se mettiamo un piede in fallo perdiamo il posto. Tu il tuo, io il
mio. Questo piccolo uomo ci spazza via entrambi. Abbiamo fatto tutti i nostri
piani per fermarlo ed ora che l’abbiamo nelle mani, ci accorgiamo che scotta,
brucia! Ti ho sempre considerato un uomo intelligente, Caifa, freddo. Per questo
ci siamo intesi fino ad oggi, perché avevamo una cosa in comune, non volevamo
perdere il posto! Ora ti guardo con disgusto. Mi vedo riflesso in te come in uno
specchio e ti assicuro che non è gradevole!
CAIFA – Ti rendi conto che lo stai difendendo? Come se fosse davvero il Figlio
di Dio.
PILATO – Io non di chi sia figlio. Ma so che nel diritto romano non c’è alcun
divieto che proibisca a chiunque di chiamarsi Figlio di Dio. (I rumori della
piazza si fanno più forti) Se questa marmaglia, pagata da voi, non sgombra, la
piazza diventerà un lago di sangue. Chiaro, Caifa?
CAIFA – Ci sarà sangue, procuratore, per le strade di Gerusalemme. Sangue di
agnelli e sangue di uomini! (Esce.Buio)
(Quando ritorna la luce, Claudia è seduta e Pilato è in piedi dietro le sue
spalle)
PILATO – E’ uno strano giorno questo. Ci sono delle brutte nuvole. Lampeggia
anche, hai visto?
CLAUDIA – Pioverà.
PILATO – Forse sono soltanto nuvole di caldo.
CLAUDIA – E se andassi giù, a Cesarea?
PILATO – Se vuoi.
CLAUDIA – O preferisci che stia qui, con te?
PILATO – Come vuoi, Claudia. Se stai qui mi fai piacere, io non posso muovermi.
(Qualcuno suona in un’altra stanza, Pilato si prende la testa fra le mani) Chi è
che suona?
CLAUDIA – Cestia.
PILATO – (A grandi passi va verso una quinta di destra) Cestia! (Il suono si
interrompe).
CLAUDIA – (Si alza, va vicino al marito e lo abbraccia) Ti amo, ti amo amore
mio. Non voglio che ti facciano del male.
PILATO – Claudia…
CLAUDIA – Non voglio che distruggano la nostra vita. Non lo permetterò.
PILATO- Non lo faranno. Nessuno può farci del male.
CLAUDIA – Non è vero, non è più vero. Non perdere la stima che hai in te stesso
o non ci sarà più speranza. Stringimi, amore. Non mi abbandonare.
PILATO – (La abbraccia) Non succederà mai.
CLAUDIA – E’ entrato nella nostra vita, per sempre. Non permettergli di
distruggerci. Tu sei forte, devi essere forte, per te. Non importa se non guardi
più me, non perdere di vista te stesso, ti supplico.
PILATO – L’ho mandato a Erode.
CLAUDIA – Erode?
PILATO – In questi giorni è qui in città per le feste. Spetterebbe a lui, come
tetrarca della Galilea, giudicare il galileo Yesciua.
CLAUDIA – L’hai fatto per prendere tempo?
PILATO – Anche.
CLAUDIA – Tu sei convinto che sia innocente?
PILATO – Secondo la legge è colpevole.
CLAUDIA – Sono sicura che finirai per condannarlo.
PILATO – Anche lui ha detto la stessa cosa.
CLAUDIA – Se è così, mandarlo da Erode è stata l’azione più vile che potessi
fare.
PILATO – Basta. Non voglio più sentirne parlare. Cos’è tutto questo pietismo per
un ciarlatano pazzo e irresponsabile? Io faccio quello che ritengo giusto. Sono
nella legalità. Chiunque al mio posto farebbe altrettanto. (Si avvia, si ferma,
torna vicino alla moglie) Claudia, Claudia…Non ti trovo più. Mi sfuggi e mi
giudichi. Ho bisogno di te. (Comincia a spogliarla lentamente)
CLAUDIA – Non ti farà sentire meno solo.
PILATO –Ti sono mancato per tanto tempo. Non vendicarti, ora.
CLAUDIA – Siamo dalla stessa parte.
PILATO – Abbracciami, Claudia.
CLAUDIA - Sai che uno di quelli che erano con lui quando lo hanno arrestato
stanotte, si è impiccato?
PILATO – (Resta per un po’ a fissare la moglie, poi si allontana mormorando) Ne
parleremo, Claudia, ne parleremo. (Esce)
CLAUDIA – E’ perduto, è la fine. E’ un’altra vita ormai, un’altra vita…E non
posso fare niente…. Non sono più con lui, non sono con nessuno. Sono sola, per
la prima volta sola.. (Si rivolge a qualcuno invisibile) E’ questo il tuo bene?
Questo annullamento è il bene rivelato da te? La tua redenzione? Non lo accetto,
non lo accetto! Perché il male che fa è spaventoso, non resta più niente. E’
questa la tua guerra? E’ questa? Non sapere mai di essere nel giusto o
nell’ingiusto. Questa guerra dentro di me, sei tu? Eh, sei tu? Comincia con
l’odio l’amore per te? (Pausa) Guardami… Guardami Yesciua… Guardami! (Si
inginocchia, le mani lungo i fianchi, gli occhi fissi davanti a sé. Buio)
(Quando ritorna le luce, Pilato è mezzo seduto sul tavolo, si rivolge al
pubblico)
PILATO – Se fossi stato il cittadino modello cantato da Orazio – “jus ac tenx
propositi vir” – non avrei avuto esitazioni: avrei voltato le spalle alla piazza
tumultuosa, ai sinedriti arroganti e avrei affidato ai soldati il compito di
restaurare l’ordine. Ma in quei momenti ero tutto fuorché l’uomo giusto e fermo
nelle sue risoluzioni. Improvvisamente, nella mia mente era scattata una molla e
mi sembrava d’aver trovato la formula geniale e risolutiva per trarmi
d’impaccio. Il Nazareno era un Galileo. E dunque, quale miglior giudice per lui
di Erode Antipa, Tetrarca di Galilea, che in quei giorni, insieme con Erodiade,
la moglie-concubina, era nel suo palazzo, a Gerusalemme, in occasione delle
feste? Il Tetrarca aveva poteri giurisdizionali, per cui se Yesciua aveva
cominciato la sua attività delittuosa, ammesso che la sua attività fosse
delittuosa, in Galilea, non v’era alcun dubbio, in base al principio del “forum
delicti commissi” che la sentenza spettasse al Tetrarca. In realtà Erode non
aveva alcun potere di emettere sentenze al di fuori del proprio territorio e
tanto meno sentenze di korte. Tuttavia, l’idea di mandare il Nazareno a Erode
Antipa mi parve un’idea geniale. Una sorta di soluzione liberatoria che mi
avrebbe consentito, oltretutto, di ingraziarmi Antipa, riconoscendogli un potere
che non aveva. Anche se dentro di me sapevo che il Nazareno sarebbe tornato,
poiché ero certo che a quel processo ero inevitabilmente ed indissolubilmente
legato.
ERODE – (Appare in luce) Pensi non l’avessi capito che si trattava di una
trappola? Tu da me non volevi un consiglio, volevi un verdetto. Sapevi che non
avrei potuto condannare il Nazareno, quindi non avrei potuto non assolverlo.
D’altra parte, egli non fece nulla per rendere più credibile l’assoluzione.
(Appare Yesciua, ma resta in ombra. Erode si rivolge a lui) Sai che idea mi era
nata nel cervello? Mi ero messo in testa che tu fossi lui, il Battezzatore
resuscitato dai morti dopo appena un anno. Certo, non sarei caduto nell’errore
se tu ti fossi degnato di farti vedere da me, prima. Sapevi che per un po’ di
tempo siamo stati vicini di casa? Tu a Kafarnao ed io a Tiberiade. Hai visto che
bella città ho fatto costruire per i miei sudditi?
PILATO – (Al pubblico) Che non volevano starci né da vivi né da morti, perché
era impestata e c’erano più tombe che persone.
ERODE – E così non ci siamo mai incontrati. Sono un po’ deluso che tu non sia il
Battezzatore resuscitato dai morti… A proposito, perché non hai mosso un dito
per salvarlo? Il tuo battistrada! E’ vero che in principio c’è stata una grande
disputa fra voi, perché lui ti aveva proposto di allestire dei miracoli in vece
tua e tu gli hai risposto che non si deve ingannare nessuno, nemmeno per un fine
“buono” come aveva fatto Mosè? E’ vero? In un colpo solo hai distrutto le tavole
di Mosè e tutto il Levitino. Per questo i preti ti vogliono morto! Se non è vero
che Dio si è rivelato a Mosè, allora cade tutto. E il Sinedrio allora cosa
rappresenta? Nient’altro che un potere politico. Cosa stavo dicendo prima?...
Ah, si, il Battezzatore. Si vede che l’hai convinto, se alla fine ti è caduto ai
piedi e ti ha detto: Sei tu! (Pausa) Tu, chi? Da dove vieni? Dire che vieni dal
deserto non significa niente. Tu non sei un osservante, come il Battezzatore.
Sei un figlio del sole? Ma sei nato sulla terra o ci sei arrivato dal cielo?
(Pausa) Non lo dirai mai, lo so, hai ragione. Eppure sono queste le domande che
ci facciamo tutti quanti. I tuoi miracoli, anche se sono inventati mi fanno
impazzire perché non sono tetri, sono allegri e teatrali. No?... Beh, io li vedo
allegri. (Lunga pausa) Perché mi guardi così? Mi condanni perché ho fatto
tagliare la testa al Battezzatore? (Il tono sale) Era una testa calda! Un grand’uomo,
ma aveva il torto di odiarmi. (Al pubblico) Tutto l’oriente aspettava la fine
del mondo, quando è apparso il Battezzatore ad annunciare la venuta del Messia.
E lui preparava il terreno. “Bisogna liberare il popolo dagli Erodi”, gridava,
“e restaurare la dinastia degli antichi re mosaici!” Insensato. Con i romani in
casa pronti a saltarci addosso al primo accenno di guerra civile. Senza contare
che io ero sull’orlo di una guerra con gli arabi. Il loro re Arete mi odiava
perché gli avevo mandato indietro sua figlia, che era mia moglie. Gliel’avevo
mandata indietro perché a letto era una statua. Per penetrarla, tutte le volte
dovevo usarle violenza… E avevo sposato Erodiade, che era mia cognata e anche
mia nipote. E il Battezzatore ne aveva approfittato per mettersi a gridare allo
scandalo e ad aizzare il popolo contro di me. Profeta o no, lo presi e lo chiusi
nell’Acheronte. Lì per lì avrei voluto castrarlo, ma poi non lo feci. (A Yesciua)
Non avevo intenzione di ucciderlo. Erodiade si, Erodiade voleva ucciderlo perché
si sgolava a chiamarla puttana, meretrice, baldracca… Io non volevo ucciderlo.
Ma poi Erodiade mi mise nel letto sua figlia Salomè, un animaletto idiota tutto
sesso, che mi chiese la sua testa. Lo feci uccidere all’alba. Come un gallo…
scuoteva la testa…Era un anno fa, il giorno del mio genetliaco: cinquant’anni.
La sera organizzai un grande spettacolo, con Salomè come prima ballerina…Il
teatro è la sola realtà, la vita non è che una finzione. (Al pubblico) E lui, in
pieno Sinedrio fece un grande colpo di teatro, quando disse a quei figli di
puttana di essere il Figlio del vero Dio! Magnifico! Stupendo! (Punta il dito
verso il pubblico) Voi vorreste essere i Figli di Dio! Voi, la Chiesa! Questa è
la verità! Così il presente e il futuro sarebbero nelle vostre mani. Il Messia
voi non lo volete. Che sia sempre sul punto di venire, ma che non arrivi mai…
Voi vorreste un Messia che prima passasse dalla Chiesa a prendere ordini.
Invece, questo è passato prima dal popolo e non solo non vi ha riverito, ma vi
ha detto che siete degli ipocriti e falsi e che dovreste andarvene. Magnifico!
(A Yesciua) Sei un poeta, Nazareno! Un cantore, un mago straordinario. Sei il
più grande personaggio teatrale della storia! Con te è cominciato il futuro. Ti
mando libero, Nazareno… a un patto. A patto che tu mi faccia un miracolo, un
gioco. Tu me lo fai ed io ti mando libero in Galilea. (Al pubblico) Ma lui il
miracolo non volle farlo. Non disse una parola, non aprì bocca. Ma io non volevo
lasciarmi coinvolgere in quella vicenda. A prima vista, condannando il Nazareno,
avallando cioè la decisione del Sinedrio, avrei conseguito due obiettivi
importanti: avrei tolto un fastidio al procuratore e mi sarei conquistato il
favore di Anna, il potente patriarca dei Giudei. Ma poi? Avrei finito per
addossarmi ogni responsabilità. L’odio che il popolo di Galilea nutriva nei miei
confronti per la decapitazione del Battezzatore, avrebbe trovato nuove ragioni
per alimentarsi. E poi, dopo tutto, se Pilato non aveva voluto emettere la
sentenza, una ragione doveva pur esserci. Meglio quindi buttare la cosa sul
ridicolo, farsi beffe del prigioniero e delle sue pretese regali.
Sdrammatizzare, insomma. I soldati e gli uomini della mia corte furono
prontissimi a cogliere il mio desiderio. Il Nazareno venne spogliato e rivestito
di scintillanti vesti regali, gli misero in testa una corona di carta dorata e
fra le mani una canna che avrebbe dovuto rappresentare uno scettro. Il Nazareno
pretendeva di essere un re, il grande re dei Giudei? Ed io non tenevo in alcun
conto la sua rivendicazione, la giudicavo ridicola e lo burlavo. Per liberarmi
della grana rifilatami dal procuratore, avevo scelto la soluzione che ritenevo
più intelligente. Se avessi aderito alla richiesta di Caifa e pronunciato un
verdetto di morte, avrei mostrato di prendere sul serio le ambizioni del
Nazareno, vere o presunte che fossero. E mi sarei tirato dietro un’infinità di
guai. Rimandai perciò al procuratore quel prigioniero troppo ingombrante.
(Erode torna nell’ombra)
PILATO – (Al pubblico)Pur avendola prevista, non gradii affatto la decisione di
Erode. Però, in fondo, il Tetrarca, a pensarci bene, non aveva dichiarato la
propria incompetenza. Se si fosse dichiarato incompetente, non avrebbe nemmeno
proceduto con l’interrogatorio, me lo avrebbe mandato indietro immediatamente.
In realtà, dunque, aveva giudicato e, sia pure in una forma del tutto anomala,
aveva emesso un verdetto di assoluzione. Ma la folla, là fuori, pretendeva lo
spettacolo che gli era stato promesso. Ricorsi allora a un altro stratagemma. In
occasione di feste importanti, il diritto romano prevedeva la grazia e il
conseguente rilascio di un prigioniero. Per salvare il Nazareno, avevo quindi
due possibilità: potevo far ricorso all’abolitio: rilascio di un prigioniero non
ancora giudicato, o all’indulgentia, cioè grazia del condannato. Nel caso del
Nazareno, l’istituto da applicare era quello dell’abolitio, dato che nei
confronti dell’imputato non era stato emesso alcun verdetto. Ma se avessi deciso
di liberare il Nazareno senza appellarmi alla folla, il mio gesto sarebbe
apparso come una sfida aperta ad Anna, a Caifa e agli altri capi del Sinedrio.
Pensai perciò di offrire al popolo la possibilità di scegliere tra la
liberazione di Yesciua e quella di un altro prigioniero. (Si rivolge verso le
quinte) Fate entrare Bar-Habbas!
(Entra Bar-Habbas. Indossa una tunica nera a brandelli. E’ legato per i polsi)
BAR-HABBAS – Sei tu il mio giudice? Non ti accetto. Il mio giudice è soltanto il
popolo. La verità è il popolo. Ma che ne sai tu della verità? E il mio amico
Menaen dove lo avete messo?
PILATO – Quello che abbiamo arrestato insieme con te? Un terrorista in meno.
BAR-HABBAS – Mi hanno detto che è rimasto due giorni e due notti seduto per
terra con la testa appoggiata al muro, dopo i vostri interrogatori. Sembrava
vivo, ma era già morto. Era un bravo ragazzo Menaen, ricordatelo. Con me invece
vuoi dare una dimostrazione di forza attaccandomi al legno. Sono pronto. Crepare
oggi o domani, che differenza fa? Preferisco crepare oggi. Crepare sulla croce è
meglio che in un letto: è più estetico.
PILATO – Sei retorico Bar-habbas. (Verso le quinte).Fate entrare il Nazareno.
(Entra Yesciua. Indossa una tunica sfarzosa ed ha in testa una ridicola corona)
BAR-HABBAS – Ti sarebbe stata meglio la mia corona, invece di questa. Ti hanno
ridotto male i tuoi preti. Sei diventato un’immagine retorica. Io non credo che
tu sia il Figlio di Dio, ma credo che tu sia un uomo perfetto. Questo mercato
fra te e me è uno sporco trucco di Pilato per dividerci. Io e te insieme avremmo
potuto davvero cambiare la faccia del mondo.
(Pilato si mette in mezzo ai due e li conduce al proscenio, rivolgendosi alla
folla)
PILATO – Chi volete che vi liberi, Bar-Habbas o Yesciua chiamato il Cristo?
LA FOLLA – (Dopo un silenzio) Bar-Habbas!
PILATO – (E’ sconcertato) Che devo dunque fare di colui che chiamate il Re dei
Giudei?
LA FOLLA – (Un urlo assordante) Crocifiggilo! (E poi ancora) Crocifiggilo!
(Buio. Pilato resta solo in un cono di luce, si rivolge al pubblico)
PILATO – Dunque, era tutto finito? Non mi restava altro da fare che pronunciare,
secondo i termini di rito, la condanna a morte del prigioniero? Ora avevo
finalmente capito di avere di fronte non uomini ragionevoli con i quali
discutere, ma un mostro da blandire, al quale inevitabilmente avrei dovuto in
qualche modo dare soddisfazione. Quel mostro voleva sangue. Ed io pensai che la
visione del sangue, forse, avrebbe potuto placare il mostro. Non mi restava
altro che quella terribile, barbara, orrenda tortura che è la flagellazione. (Su
uno schermo che viene calato dall’alto, vengono proiettate scene filmate di una
flagellazione) Il prigioniero spogliato e legato a una colonna, le fruste con le
cinghie di cuoio che si abbattevano aritmicamente sul suo corpo, spaccando la
pelle e facendone zampillare il sangue. Alcune di quelle cinghie avevano al loro
estremo un pungiglione, altre spezzoni di osso disposti a catena, altre ancora
piccole palle di piombo. Sapevo benissimo che non era un supplizio di poco
conto, molti prigionieri crollavano privi di vita sotto quei colpi. Ai
fustigatori avevo dato piena libertà di scatenare i loro istinti. Del resto, non
c’era altro modo per impressionare la folla e indurla a rinunciare alla sua
richiesta di morte, che quello di offrirle l’immagine massacrata e sofferente
del Nazareno. Nella speranza che, di fronte a un simile spettacolo, un barlume
di pietà la illuminasse. Quando le frustate furono giudicate sufficienti e il
sangue fu visto colare giù per tutto il corpo nudo del prigioniero e lo stesso
volto, livido e gonfio, fu reso quasi irriconoscibile, gli fu gettata addosso la
clamide purpurea di un littore e mi fu riconsegnato. (Lo schermo viene rialzato
e Yesciua appare in tutta la sua tragicità) Ora tutto era pronto per affrontare
nuovamente il confronto con la folla. Piano piano, facendo attenzione a non
premere sul suo corpo martoriato, sospinsi il Nazareno verso l’esterno. (Esegue.
Quando i due sono sul proscenio, Pilato indica Yesciua con una mano tesa e a
voce alta scandisce bene due parole) Ecco l’uomo!
(Di nuovo si leva dalla folla un grido)
FOLLA – Crocifiggilo! Crocifiggilo!
(Buio. Pilato resta solo nel cono di luce)
PILATO – (Al pubblico) Avevo sperato nella pietà , ma la turba incanaglita non
sentì alcuna pietà. Tutto quello che avevo fatto non era servito a nulla. Udii
chiaramente le parole di Caifa che era in prima fila, alla testa della folla
“Deve morire perché s’è fatto Figlio di Dio!” Ora davvero era tutto finito. Non
sapevo che invece tutto stava per cominciare. Mi feci portare una brocca
d’acqua, un catino, un drappo di lino bianco e ostentatamente mi lavai le mani.
E mentre me le lavavo dissi alla folla:”Io sono innocente del sangue di questo
giusto”. (Finge di ascoltare una voce dalla platea) Come dice? Il suo sangue
ricada su di noi e sui nostri figli?...Non ho sentito quella frase, non so se
sia stata detta… c’era molta confusione. (Un lieve brontolio di tuono. Pilato
accenna sommessamente al cielo) Mi chiamano, ora devo proprio andare. Se avete
delle domande da farmi, serbatele per quando ci rivedremo. (Si avvia verso le
quinte. Buio, mentre si chiude lentamente il sipario)
FINE