Vicarioti 

commedia in due atti di 

Carlo Barbera



Personaggi

Lo Straccione 
Geremia Picciotto
(ricettatore)
Gina
(sua moglie)
Paolina
(loro figlia)
Lucchittu
(guardia carceraria)
Lucia
(sua figlia)
Giacinto cerasi, detto Malavita
(bandito)
Donna Iana ‘a Rittera
(cliente di Picciotto)
Filicia
(ladruncolo alle dipendenze di Picciotto)

L’autore a chi legge
Fra le carceri palermitane, prima dell'inaugurazione dell'Ucciardone, il principale e più affollato era la Vicaria, nome, peraltro, con cui venivano chiamate le carceri delle principali città del regno. La casa di pena, sita al di là della Porta Felice e affacciantesi sull'odierna via Vittorio Emanuele, occupava i locali oggi adibiti ad uffici dell'amministrazione delle Finanze, e ospitava, nei primi anni dell'Ottocento, tra i 1000 e i 1500 detenuti, la maggior parte dei quali in attesa di processo.
Raccontare il mondo alla rovescia fu ciò che fece John Gay ne “L’opera del Mendicante”, da me ripresa e ricostruita col titolo di “Vicarioti”.
E’ ovvio che i riferimenti al mondo attuale sono enormi, precisi e puntuali, basta saperli riconoscere.
Siamo nella Sicilia degli ultimi Borboni, una società sonnolenta e corrotta, dove ogni furbo può riuscire a costruire un patrimonio, basta non farsi troppi scrupoli. E proprio questo fanno Geremia Picciotto e Lucchittu; il primo, ricettatore e sfruttatore di varie bande di ladri; il secondo, carceriere corrotto, che fa affari col primo, in un giro vizioso in cui i due, dopo avere sfruttato al massimo i ladri, li vendono alla giustizia, intascando la taglia e guadagnando sulla loro prigionia, poichè Lucchittu pretende dai carcerati del denaro, mezza oncia al giorno, minacciandoli, in caso contrario, di far trascorrere loro un carcere durissimo. I due hanno corrotto i Giudici, i carcerieri e tutti quelli che, in qualche modo, potrebbero ostacolare questo redditizio commercio. Nel loro cammino, però, incappano nel più feroce dei delinquenti, Giacinto Malavita, già cliente di Picciotto, che seduce le loro figlie, costringendo i due compari a venderlo alla giustizia e portarlo davanti al plotone d’esecuzione, per liberare le ragazze ed intascare la taglia.
Tutto ciò viene raccontato da un Geremia Picciotto ormai vecchio, ridotto a fare il poetastro di corte e rimediare ogni tanto qualche invito al tavolo di uno o dell’altro nuovo ricco del stato Italiano unitario. Difatti il monologo iniziale e quello finale sono ambientati alla fine dell’800 quando già l’Unità d’Italia è fatta.
Con l’avvento dell’Unità tutti i membri di questo assurdo commercio sono stati eliminati e lui soltanto si è salvato, poichè in exstremis ha fatto la spia, vendendo alla nuova polizia tutti i suoi complici, ma riuscendo a salvare la moglie e la figlia, mentre ha destinato Lucia, figlia di Lucchittu, alla professione della prostituta.
Vogliamo raccontare attraverso l’assurdo e il paradosso i drammi dell’uomo contemporaneo, sempre stretto tra le maglie di una giustizia, di una politica, di uno Stato spesso in mano a gente corrotta, che lo tiene a proprio uso e consumo, e non è detto che dopo una rivoluzione le cose cambino. Un potere prende il posto dell’altro, e chi andava a braccetto col vecchio ora deve essere in grado di farlo col nuovo, se vuole sopravvivere.


Note sui personaggi

PICCIOTTO: Trattasi di un ricettatore privo di qualsiasi scrupolo, che vive in base a 
valori totalmente capovolti rispetto a quelli della società costituita. Per lui conta
una sola cosa: il denaro. Dovrà rappresentare un caratteristico personaggio della
malaviata ottocentesca, baffuto, con basette e capelli lunghi. Non guasterà un
buon sigaraccio o una bella pipa, possibilmente spenti. Il suo abbigliamento è elegante,
ma non di grandissimo gusto. Nella prima scena indosserà una vestaglia o giacca da
camera, che sostituirà dopo con un tre quardi.

GINA: E’ anche peggio di Geremia, ancora più agguerrita nella lotta contro la legalità.
Solo una cosa le interessa: l’accumulazione di denaro. E’ un personaggio oscuro
e negativo, ma comico, nella sua negatività. Il suo abbigliamento sarà vistosamente
elegante. Indossera molti gioielli.

PAOLINA: E’ la figlia dei Geremia e Gina, molto viziata, e per questo non riesce a capire
fino in fondo i valori dei genitori. E’ una sognatrice romantica, anche se non
stupida. Il suo abbigliamento sarà elegante ed anche lei indosserà molti gioielli.

LUCCHITTU: Il carceriere corrotto fino al midollo, che inneggia alla delinquenza. 
E’ il complice di Picciotto, col quale si divide i guadagni delle malefatte. 
Avrà un aspetto cupo e truce, ma comico. Indosserà una divisa con giacca tre quarti 
grigia o celeste e un pantalone blu o nero. In testa avrà un berretto da poliziotto 
borbonico, una grossa cintura dove porterà la spada e la pistola.

LUCIA: E’ la figlia di Lucchittu, che, al contrario di paolina, conosce le cose della vita, e
proprio il fatto di essere abituata ad avere a che fare con uomi brutti e vecchi
la porterà ad innamorarsi di Malavita. Lucia vestirà in maniera sobria, ma non molto
vistosa, in quanto non possiede le possibilità di Paolina.

MALAVITA: Il delinquente terribile, i ladro, il bello, imbroglione e tenenroso che
riesce ad ingannare donne e uomini, difatti non si capisce bene se sia ricco o
indebitato fino al collo, come dice Lucchittu. Giacinto è un uomo molto elegante, 
che veste bene, con gusto, e porta il cilindro o la bombetta, il bastone ed un grosso
orologio da tasca, agganciato al panciotto.

IANA: Ricettatrice, ex prostituta, ubriacona, ma non alcolizzata. E’ un personaggio
cupo, ma comico. E’ il Deus ex machina, che risolve la vicenda. Parlerà con voce
mascolina ed avrà modi rozzi. Indosserà abiti eleganti, ma sobri, senza troppi
fronzoli.

FILICIA: E’ un ladruncolo alle dipendenze di Picciotto. Per la verità il personaggio può essere
sia maschio che femmina. Il suo abbigliamento è povero, ma dignitoso.

Lo STRACCIONE: E’ Geremia Picciotto vecchio e povero. Avrà voce roca e movimenti lenti,
con l’atteggiamento di chi ha perduto tutto, ma ha salvato la vita. Indosserà un
vecchio paltò malandato, capelli lunghi ed un cappellaccio. Porterà una stampella
e una lanterna accesa.
A T T O P R I M O

A sipario chiuso, tutto sarà al buio e si accenderà solo un cono di luce sul proscenio. 
Dal fondo della sala entra lo Straccione, cantando. L’azione si svolge a Palermo nel 1880.

STRACCIONE: (Entra dalla sala cantando) 
Chista è la vita ca nni munna l’ossa;
semu comu a lu ventu quannu passa;
la nostra casa eterna è nta na fossa; 
chiddu c’arresta, cca tuttu si lassa.
(Salendo sul palco) Chi paroli allegri! “La nostra casa eterna è nta na fossa”. 
Bella prospettiva. ‘U fattu è chi nui nn”u scurdamu troppu spissu.
Aih! Aih! Aih! E cu’ ci cridiria chi sta commedia ‘a scrissi io? Misiru pi comu 
sugnu… Mi chiamano “Lo Straccione”, in italianu; mentri, dialettizzando, mi 
chiamunu: ‘u Barbuni. Sugnu poeta. Sissignori, chi vi paria? E chista è l’unica 
cumeddia chi haiu scrittu. Quarche vota, ‘i nuovi ricchi, i nuovi potenti, quelli dell’Italia Unita, chiddi chi lassaru ‘u bastuni d”i Burbuni e si suttamitteru ‘e Piimuntisi, quarche vota mi ‘nvitunu a manciari, picchì ‘i fazzu divertiri c”i me’ poesii. 
Difatti ‘sta commedia fa ridiri. Io ‘a scrissi sulu pi divertimentu, ma pensu chi quarche cusicedda la po’ nsignari. Scusatimi si quarche parola non è propriu perfetta perfetta. 
Sapiti com’è? Semu ‘mmenzu a latri e fimini di mala razza. Ma per ora guditivi ‘a sirata e bon divertimentu! (Esce, parte la musica e si apre il sipario)
Siamo in casa di Geremia Picciotto. La scena sarà composta da una grande tenda fondale, che si aprirà quando cambierà la scena. Difatti dietro ci sarà già pronta la gabbia che simboleggia il carcere della Vicaria. Ai lati ci saranno valigie, oggetti simboleggianti la casa di un ricettatore: borsette, cappelli, abiti, candelabri ed altro. A sinistra la scrivania di Geremia Picciotto, su cui, fra le varie cose, ci saranno tre libri: uno bianco, uno nero, e uno rosso, che serve per appuntare la merce. Accanto alla scrivania ci sarà un canapè; a destra se ne troverà un altro. Il centro scena dovrà essere libero. Due usci laterali privi di porte. Al levarsi della tela in scena parte una musica, la scena s’illumina a giorno. Entra Geremia in vestaglia, stiracchiandosi, e va a sedersi su uno dei due puff. E subito dopo entra Gina. L’azione si svole in Palermo in epoca remota, sicuramente non più avanti del 1850.

GINA: (Portandogli il caffè) Geremia! Geremia! To’ figghia unn’è?

PICCIOTTO: M”a cerchi a mia? Non lo so.

GINA: E a cu’ ci l’ha circari, ‘o monicu?

PICCIOTTO: Picchì, c’è un monicu? Basta chi non è surdu.

GINA: Insomma, unn’è?

PICCIOTTO: Ti dissi chi n”o sacciu.

GINA: E tu sai mai quarche cosa nta sta casa? (Esce)

PICCIOTTO: Si turnassi arreti, mancu a corpa ‘i lignu mi maritiria.

(Suonano)

PICCIOTTO: Dici: “Ma ti voli ‘a regina Vittoria” Io ci diria ‘u stissu no.

PAOLINA: (Entra da sinistra) Buongiorno, papà! (Gli da un bacio ed esce da destra)

PICCIOTTO: Buongiorno. ‘A figghia, si mi bacia a prima matina, chiddu chi è voli. 

PAOLINA: (Rientra) Papà, c’è Filicia.

PICCIOTTO: Fallu trasiri. 

PAOLINA: Va bene. (Esce)

PICCIOTTO: Paolina.

PAOLINA: (Rientrando) Papà?

PICCIOTTO: Vidi chi ti cerca to’ matri. Fatti truvari, picchì già s”a pigghiau cu mia.

PAOLINA: Va beni, papà. (Esce per la sinistra)

FILICIA: (Entra e va a sedersi)

PICCIOTTO: Filicia, chi è, non si saluta?

FILICIA: Benedìciti, Principali!

PICCIOTTO: Tuttu binidittu.

(Suonano)

PICCIOTTO: (Urlando) Iapriti ‘a porta.

GINA: (Entra da sinistra) Tu non ti morviri mai di unni si assittatu. (Esce per la destra)

PICCIOTTO: Significa chi non mi pozzu moviri. 

FILICIA: Stamatina c’è aria di bastunati cca intra...

PICCIOTTO: Non ti maritari, Filicia, non ti maritari...mai!

FILICIA: E cu’ si marita!

PICCIOTTO: Mancu c”a regina Vittoria.

FILICIA: ‘A rigina Vittoria?

GINA: (Rientrando) C’è to’ cumpari Lucchittu.

PICCIOTTO: Eh, lo aspettavo. Fallu trasiri.

GINA: Comu dici tu. (Esce e rientra con Lucchittu)

LUCCHITTU: Salutamu, cumpari! (Deluso) Ah, c’è puru Filicia?

FILICIA: Vi dugna fastidiu?

LUCCHITTU: Statti mutu, chi ti fazzu divintari ramigna.

GINA: Cumpari, ‘u cafè ‘u vuliti?

LUCCHITTU: No, grazie, cummaredda.

GINA: Con permesso. (Esce)

LUCCHITTU: (Fra se) Si era ‘na schizza ‘i vinu...

PICCIOTTO: Cumpari, pirdunatimi se vi ricevo, diciamo in disabillet. Ma avemu cunticeddi di
sistimari. Oh, cumpari, non v”a pigghiati a meli. Io di vui mi fidu comu di me’ stesso.

FILICIA: (Fra se) M”u ‘mmaginu!

PICCIOTTO: Ma passau troppu tempu.

LUCCHITTU: Cumpari, io vi adoro di pensiero; criditimi, vi adoro. Quannu campava ‘a
bonanima di me’ mugghieri, era puru gilusa, picchì io ci dicia: “Prima me’ cumpari
Picciottu e poi tu”

PICCIOTTO: Grazie, cumpari! Bontà vostra.

LUCCHITTU: Tantu chi idda mi rispunnia: “Ma non è chi tu e to’ cumpari siti 
anticchicedda…” (Si tocca l’orecchio)

PICCIOTTO: Addirittura?

LUCCHITTU: Cumpari, io parrava sempri di vui, con grande adorazione, dalla mattina alla 
sera. Appena iapria l’occhi: “Me’ cumpari Picciottu” e prima d’addurmiscirimi ci 
dicia: “Bonanotti… Me’ cumpari Picciottu”

PICCIOTTO: E mi faciu passari pi pedirasta.

FILICIA: E mi pari logicu, no?

LUCCHITTU: No. Viditi, cumpari, chidda era me’ mugghieri chi avia ‘u mali nta l’ossa. 
Me’ mugghieri? Quannu muriu idda io era ridduciutu quarantasetti chila. 
Mortu! Aveva sempre la testa a il sesso.

PICCIOTTO: Menu mali chi muriu.

LUCCHITTU: Era linfomane.

PICCIOTTO: Chi era?

LUCCHITTU: Linfomane. 

FILICIA: Ci piacia ‘a linfa.

LUCCHITTU: Poi, cumpari, s’ammalò. Aveva una malattia che viene dalla pernice: l’anemia 
perniciosa. ‘U medicu mi dissi chi pi farici una cura ci vuliunu assai soddi, cumpari, e lo stesso non guariva. E allura ci dissi io: “Vali ‘a pena? Lassamula moriri in paci”

PICCIOTTO: Facistu bonu, cumpari. Ddi soddi ci spinnistu pi vostra figghia Lucia.

LUCCHITTU: No, ci spinnia p”u funerali, cumpari. Ma vui non v”u ricurdati? C’era na 
carrozza cu sei cavaddi e ‘i cocchieri c”u giummu niuru e una faccia di circostanza 
funeraria, chi paria chi ‘a mugghieri ci avia murutu a iddi.

PICCIOTTO: Si, si, mi ricordu. E’ stato il più bel funerale degli ultimi vent’anni.

LUCCHITTU: Quantu complimenti chi ebbi!

PICCIOTTO: Allura, cumpari Lucchittu, ora pensiamo agli affari e lassamu stari ‘i funerali. 
(Apre un libro) Luca Falla e don Nicola Saya sono stati fucilati. 
Quindi chiudemu ‘u discursu e non lassamu soddi arreti. 

LUCCHITTU:(Tira fuori dei soldi) Chisti sunnu centuquaranta unzi, chi ci fici pagari a Luca 
Falla in duecentottanta giorni di carcere. (Gliele da) Menza unza ‘o iornu.

PICCIOTTO: Si, si… Però ci sunnu vintidu’ unzi di sucarri, chi anticipai io, cumpareddu.
E chisti mi l’aviti a pagari: unnici io e unnici vui. ‘I cunti sunnu cunti.

LUCCHITTU: Malidittu! Malidittu Luca Falla! Fumava quantu un turcu. Menu mali chi ‘u 
fucilaru. Ogni tantu ‘na cosa ritta ‘a fannu. Unnici unzi di sucarri!
PICCIOTTO: Centuquaranta divisu dui fannu sittanta, menu unnici, fannu cinquantanovi. 
A vui, cumpari. (Gli da dei soldi)

LUCCHITTU: Grazie, cumpareddu. (Tira fuori altri soldi) Chisti sunnu setticentu unzi d’’a 
prigionia di don Nicola Saya. Sunnu esattamenti milli e quattrucentu iorna di carciri. Sempri menza unza ‘o iornu.

PICCIOTTO: Chistu rinniu bonu, picchì a ‘sti setticentu unzi ci avemu a giungiri milli unzi 
d’’a taglia chi nni ‘ncassammu. Milli unzi, cumpari.

FILICIA: Chi bellu delinquenti chi era don Nicola Saya! E unni ‘u truvati a 
‘n’autru comu a chistu? Vi rinniu di vivu e di mortu. Chisti su’ cristianuni.

LUCCHITTU: ‘U Signuri ‘u binidici. (Rivolto verso l’alto) Un postu in Paradisu! Mi 
raccumannu.

PICCIOTTO: Ci nn’è unu ancora cchiù megghiu, caru cumpari: Giacintu Malavita.
Quando sarà il suo turno faravi ‘a stissa fini ‘i don Nicola Saya.
Chi morti bella chi fici! Mi dispiacia assai chi vui eru di guardia e non putistu essiri presenti all’evento. Quattordici fucili. Cumpari, ci truvaru oltri trentasetti purtusa d’incoddu! ‘Nu sculapasta era. Prima di moriri gridau: “Abbasso la legge!
Viva la delinquenza!” ‘U Signuri ‘u binidici! Piccamora Giacintu Malavita nni servi fora, ma verrà il tempo in cui ‘u purtamu in gattabuia, e si mortu frutta megghiu di vivu, ci ‘u facemu puru fucilari. E po’ scappari quantu voli, s”u vulemu ‘u ‘cchiappamu.
Supra a Giacintu Malavita c’è ‘na taglia di trimmila unzi. 

LUCCHITTU: E a mia mi veni ‘a manciaciumi, quannu pensu a tutti ddi soddi.

PICCIOTTO: E dativi ‘na ‘rattata, cumpari.

LUCCHITTU: E mi l’haiu datu, mi l’haiu datu. Non viditi chi sugnu tuttu scucciatu. Pari chi 
haiu ‘a sgallattina. 

FILICIA: Certu chi trimmila unzi di taglia fannu veniri ‘u disideriu; su’ megghiu di trimmila 
fimmini. 

PICCIOTTO: Però a so’ banda renni minimu minimu cincumila unzi all’annu. Per ora nni servi 
fora. Picchì si mori iddu la banda si sbanda, e poi pi rimettirla di novu in gareggiata 
passunu anni. Puru picchì un grande delinquenti comu a Malavita non si trova ‘nta 
tutti ‘i gnuni. Un genio del crimine è; un filosofo della truffa; un teorico 
dell’omicidio. E pi fimmini! Nn’ha cunsumatu… 

LUCCHITTU: ‘U Signuri ‘u binidici!

PICCIOTTO: Quando sarà il momento ci occuperemo di Giacinto Malavita.

LUCCHITTU: Sta beni, cumpari Geremia. Io mi nni tornu ‘a Vicaria. Si vi servi cosa mi 
mannati a ‘stu ‘mbecilli di Filicia. Mi raccumannu, s’avemu a fari scappari a quarcunu, 
non vi ricugghiti all’ultimu mumentu. 

PICCIOTTO: Comu diciti vui, cumpari.

LUCCHITTU: No, c’è un brigaderi schifiateddu. Mi custau vinti unzi l’evasioni di Giuditta ‘a 
Bufala. M’aviti a cridiri, mi nisciu ‘na pinna ’i ficutu. 

PICCIOTTO: ‘U capiscu: vinti unzi… Ma poi Giuditta vi fici divertiri, cumpari… Mi cuntaru 
chi passastu ‘na nuttata di focu!

LUCCHITTU: E chi mi vaddaru d”u purtusu d”a chiavi? Pi diri ‘a virità, mi divirtia assaiuni. 

PICCIOTTO: Cumpari, ‘a Bufala è Bufala…

LUCCHITTU: Cumpari, o bufala o vacca o crapa… Sempri vinti unzi mi custau.

FILICIA: E si vui ristastu sempri guardia semplici…

LUCCHITTU: E chi voi? Anzi chi non m’hannu ittatu fora… Ogni sessioni nn’hamu fattu 
scappari quattru o cincu.

PICCIOTTO: Fora non vi ponnu ittari, cumpari, picchì amu pagatu a tutti.

LUCCHITTU: E tu, Filicia, parra picca, capisti? Si no ti mettu nte carciri.

FILICIA: E io vaiu unni ‘i giudici.

LUCCHITTU: Ma si travagghiunu tutti pi nui.

FILICIA: Non tutti.

LUCCHITTU: Si ci nn’è quarcunu nn”u ‘ccattamu.

FILICIA: E io vaiu ‘e giurnali.

LUCCHITTU: E nui nni ‘ccattamu ‘e giornalisti.

FILICIA: Vi ‘ccattati tutti ‘i giornalisti?

LUCCHITTU: Sissignori.

FILICIA: E si non si fannu ‘ccattari.

LUCCHITTU: Ci ittamu a focu ‘e giurnali e n”e facemu cchiù nesciri.
FILICIA: E io vaiu...

LUCCHITTU: Tu non vai a nudda parti, picchì io ti chiudu in cella e iettu ‘a chiavi nto 
cessu.

FILICIA: Principali, ‘u sintiti comu mi maltratta? Facemu tutti ‘u stissu misteri e mi dici chi mi
metti in gattabuia.

PICCIOTTO: Caru Filicia, l’amicu maltratta l’amicu; ‘u sociu maltratta ‘u sociu; ‘a buttana
e ‘u ruffianu passunu pi maritu e mugghieri; il ricettatore e ‘u poliziottu si spartunu i guadagni; la malavita e la legge debbono necessariamente aiutarsi a vicenda, pi ristari vivi. Giustu, cumpari?

FILICIA: E chi ci trasi?

LUCCHITTU: Siete un filosofo! Na baciata vi dassi! Anzi, v”a dugnu. (Va a dargli un bacio)

FILICIA: Appoi vi scanciunu pi pedirasta.

LUCCHITTU: Stai zittu tu, e ‘scuta. Quannu parra me’ cumpari c’è sempri di ‘nsignari.

FILICIA: ‘U principali parra comu un avvucatu, ‘u sacciu.

PICCIOTTO: ‘U misteri di l’avvucatu è onestu, e ‘u stissu è ‘u me’ misteri. L’avvucatu chi fa? 
Cummatti contru ‘e dilinguenti oppuru ‘i difenni. E allura è giustu chi tantu io quantu iddu proteggiamo e incoraggiamo la delinquenza, picchì è chidda chi nni dugna a manciari. Cchiù latri ci su’; cchiù dilinquenti ci su’; cchiù prostituzioni c’è; megghiu campunu spiuni, ricettatori e avvucati. E puru ‘i giudici ne hanno bisogno. 
Si no a cu’ giudicannu? E ‘i poliziotti a cu’ ‘ttaccunu? ‘A delinquenza è ‘na leva chi metti in movimentu gran parte della vita del mondo. Evviva la delinquenza! Comu dissi don Nicola Saya, esalando l’ultimo santo respiro! Supra a tutti ci sunnu i politicanti, però. 

LUCCHITTU: Santu libiranti!

PICCIOTTO: Giustu dicistu: Santu libiranti! Chiddi manciunu supra a latri, buttani, 
ricettatori, giudici e poliziotti; e tanti voti, essennu puru avvucati, ‘i politicanti, 
manciunu a quattru ganasci. ‘U munnu è comu ‘na tavula cunzata, cui havi 
ciriveddu mancia; cui è bestia mori ‘i fami. E tu, Filicia, havi menz’ura chi si cca
e non m’ha dittu chiddu chi voi.

FILICIA: Si vui havi menz’ura chi parrati...

PICCIOTTO: E ora non parramu cchiù, parra tu.

FILICIA: Ciccina ‘a Nira vi manna a diri chi pomeriggiu ci saravi ‘u so’ processu. Celebrerà il 
giudice Macaluso, chiddu di Bagheria.

PICCIOTTO: Cosa nostra. 

FILICIA: Appuntu, vi prega di interessarivi vui, pi putiri ammenu truvari ‘u modu di 
ridduciri ‘a pena. Idda intantu si fici mettiri incinta, comu vui ci cunsigghiastu.

PICCIOTTO: Mali chi va si difenni c”a so’ panza. Di quant’è?

FILICIA: Di setti misi.

PICCIOTTO: ‘I fimmini incinta in Sicilia n’e fucilunu mai; in Sicilia. Ammenu hannu ‘sta 
‘ducazioni ‘i Burbuni. Ciccina è ‘na picciotta brava, caru cumpari, furba: renni, 
renni beni… Ora videmu chiddu chi pozzu fari. Libro bianco per Ciccina. 
(Apre il libro e scrive)

FILICIA: Ah, poi vi vulia diri chi Masinu ‘u Iaddu fu cunnannatu all’ergastru.

PICCIOTTO: Ietta sangu! Ma quali iaddu? Chiddu mancu titina è! Peggiu pi iddu! Ci ‘u 
dissi l’ultima vota: “Masinu, pi fari ‘u latru di portafogghi ci voli velocità. Vacci unni Filicia e fai eserciziu”. Ma quannu mai? Si ‘ntenni un patreternu e cummina ‘na fissaria arreti all’autra. Chistu ‘u scrivemu nto libru niru, picchì non nesci cchiù. (Scrive sul libro nero) 

FILICIA: Non aviti intenzioni di farlu scappari?

PICCIOTTO: Non vali ‘a pena. Fora non renni nenti. No, no, è megghiu chi sta in galera. 
‘A genti comu a iddu fa dannu. A propositu, diciticci a Bettina ‘a Rugnusa chi parrai 
c’’u giudici Langa. ‘U giudici Langa è ‘n’amicu, cumpari. Custa caru, ma amu fattu belli 
cosi assemi a iddu. Amu fattu nesciri latri, prostituti, pedirasta, profanatori di tombe, 
tutti cristiani chi pagaru beni, beni. 

LUCCHITTU: ‘U Signuri ‘i binidici!

PICCIOTTO: Si, però Bettina hav’a stari riggittata comu ‘o cafè e deve aspettare. ‘U giudici 
mi dissi chi ‘a vuliunu mannari ‘o confinu: a Favignana. E chi semu, pattutti ‘i testa? 
No, Bettina mi giuva cca, a Palermu. Sarebbe un vero peccato perdere una così brava 
cliente, cumpari.

FILICIA: Eppuru tanti ‘a vurriunu morta.

PICCIOTTO: Dicci a ‘sti cretini chi non c’è nenti ‘i guadagnari d”a morti di ‘na fimmina. 

LUCCHITTU: A meno che non si tratti di nostra mugghieri, cumpari. 

PICCIOTTO: Ddocu v’’a ‘mpoggiu, cumpareddu.
LUCCHITTU: Si vuliti, vi portu na pirnici e ci mmidda l’anemia perniciosa puru a vostra 
mugghieri.

PICCIOTTO: Ma ora, Filicia, vai di cursa ‘a Vicaria e facci sapiri ‘e picciotti le mie 
intenzioni. E dicci, si hannu bisognu, chi stasira me’ cumpari è di guardia.

LUCCHITTU: E pi Masinu ci pensu io, pi ddu cretinu. L’ergastru ci ‘u fazzu calari vilenu. 
Intantu ci fazzu puliziari tutti ‘i cessi; poi ‘u mettu a pilari patati e cipuddi; poi ci fazzu lavari ‘nterra tutti ‘i iorna; e poi ci fazzu fari tanti autri cusiceddi. E nui nni capemmu, cumpari.

PICCIOTTO: Non ci dati cunfidenza a dda cosa fidusa. Per quanto riguarda Ciccina e 
Bettina, dicci di stari tranquilli, sunnu cosa mei.

FILICIA: Benissimu, curru. (Esce)

LUCCHITTU: Stu Filicia saravi puru un grande borseggiatore, ma a mia mi sta supra ‘a bucca 
‘i l’anima. Mi pari tradimentariu. Pinsati chi ci voli assai chi unu di chisti si vinni a vui, a 
mia e a tutti l’autri?

PICCIOTTO: Ma cu’, Filicia? Ma chi diciti, cumpari? Itivinni tranquillu: Filicia è cosa mei.

LUCCHITTU: Sta beni, cumpari, vi salutu. Vaiu e mi sbrigu ‘u me’ travagghiu. (Esce)

PICCIOTTO: Ora non c’è tempu di perdiri: amu a truvari a quarche cretinu pi mannarlu 
alla fucilazione. Vediamo... (Legge nel libro bianco) Giacuminu Menzuititu....
In servizio da un anno e mezzo...Cinque orologi d’oro e sette d’argento... 
Mizzica! ‘Na manuzza lesta daveru! Sedici tabacchiere, delle quali cinque in oro...
sissanta fazzuletti ricamati...quattru pistoli…quarantottu cammici e trentasetti 
cappeddi di feltru. Mizzica! Simpaticu ‘stu picciottu! Nenti, chistu ‘u tinemu 
fora, niente galera. (Riprende a leggere) Ciccio il Moro, uno sporco imbroglione, chi havi ‘u viziu d’annarisi a rivinniri ‘a roba sutta bancu. ‘N’autru misi di prova e poi ci ‘u vinnu ‘o tribunali, si non si comporta beni. Sempri ci dugnunu ‘na para d’anni e a nui nni renni qualche unzicedda. Sciaveriu ‘u Ruppusu. Chistu campa picca, v’’u dicu io. Imbecilli! Si mette a fari ‘u custureri, ‘u sartu, perchè dice che è un lavoro onesto. Libro nero. (Scrive. Legge) Luigi Spugna, un cretinu sempri ‘mbriacu! Inutili e pericolosu, pi iddu e pi l’autri. Dumani matina ci ‘u facemu ‘ttaccari. Accussi me’ cumpari Lucchittu è cuntentu. (Scrive sul libro nero) Havi assai chi non ci mannu a nuddu. (Riprende leggere) Nicola Bottinu…

GINA: (Entrando) Geremia, chi havi Nicola Bottinu? Non è chi ci succidiu quarche 
disgrazia… Nn’havi a dari un saccu di picciuli. 

PICCIOTTO: ‘U scrissi ‘nto libru niru: passa ‘a so’ vita ‘mmenzu ‘e prostituti, e appena 
ristiravi senza dinari, una o l’autra di ‘sti madami s’’u vinniravi ‘o tribunali e nui barca e rizza.
GINA: Fai comu voi.

PICCIOTTO: Stamattina Giacintu Malavita vinni?

GINA: (Confusa) Giacintu Malavita?

PICCIOTTO: Pi ddi picciuli chi nn’avia dari ‘a simana passata.

GINA: Si, vinni ed era allegru e cuntentu. 

PICCIOTTO: Pagau?

GINA: Pagau.

PICCIOTTO: Chistu vulia sapiri. Poi non mi ‘nteressa si era allegru e cuntentu.

GINA: Dimmi ‘na cosa, è riccu Giacintu Malavita?

PICCIOTTO: Putiria essiri riccu, ma siccomu frequenta ‘i nobili, deve competere con loro. 
Così inveci di essiri riccu, è ‘nnigghiatu ‘i debiti.

GINA: Mi dispiaci pi Paolina. 

PICCIOTTO: (Sorpreso) Ti dispiaci pi Paolina? Ma chi schifiu voi diri? Pi Paolina!

GINA: Giacintu la sconcica.

PICCIOTTO: Giacintu? E poi?

GINA: E poi… E poi… E poi… Sugnu sicura chi a Paolina ci piaci.

PICCIOTTO: E chi autru ancora? Non è chi ci ‘u voi fari maritari... maritari! Vidi chi ‘i 
dilinguenti sunnu zuccuru e meli cu l’amanti, ma c"i mugghieri diventunu diavuli di 
l’infernu.

GINA: Ma si Paolina fussi ‘nnamurata, comu ‘a putemu aiutari? Povira figghia! Sugnu 
preoccupata pi idda!

PICCIOTTO: Senti cca, Gina, nto nostru misteri ‘na bedda carusa servi pi ciddiari ‘nte 
bettuli e giuculiri c’’i clienti; dugna quarche bacittu, quarche tuccatina e basta.
Infatti io sugnu prontu a chiudiri un occhiu si ‘a picciotta si voli passari ‘u tempu cu 
Giacintu Malavita, picchì a tutti ‘sti picciutteddi ci piaciunu p”i malacarni. Ma non 
parramu di matrimoniu.

GINA: Sai chi è? Siccomu nostra figghi havi la passioni di copiari le signore dell’alta 
società, Giacintu ci piaci apposta.
PICCIOTTO: Ma il tuo dovere, Gina, è di spiegarici beddu pulitu tutti ‘i pericoli chi 
un comportamentu di chisti ci po’ purtari. E poi, si ssi ‘na matri affettuosa, Gina, tu ci hai a ‘nsignari comu po’ fari pi buscari picciuli, approfittando della sua bellezza e gioventù. Ora vaiu e ci parru. (Esce)

GINA: ‘U sapia io! ‘U sapia chi si ‘ncazzava! E si sapissi quantu sacciu io... Comu si fa? 
L’unicu chi mi po’ sarvari è Filicia. Quantu mi piaci ddu Filicia! Il migliore dei miei 
allievi: havi ‘na manu accussì fina, chi ci po’ svacantari ‘a sacchetta a qualunqui cristianu senza farisi accorgiri di nenti. Havi ‘i itita lesti comu un giocoliere. 

FILICIA: (Entrando) Buongiorno!

GINA: Oh, vadda cu c’è! Rittu rittu a tia circava. Assira chi facisti?

FILICIA: Puru si c’era malu tempu sempri buscai quarche cusicedda.

GINA: Eh! Tu vali quantu vali! Ti ‘nsignai bonu! Dimmi na cosa, Filicia. Tu sai si tra Paolina e 
Giacintu Malavita c’è quarche cosa?

FILICIA: ‘A cosa?

GINA: Quarche innamoramento...

FILICIA: Pi carità, signuruzza, non mi faciti fari cosi chi non sacciu fari.

GINA: Ma chi, ‘u spiuni?

FILICIA: Appuntu. Si poi si veni a sapiri chi vi cuntai quarche cosa...

GINA: Ma, Filicia, è in gioco l’onore della nostra famiglia.

FILICIA: Ma puru io haiu l’onori...

GINA: Filicia, prima dell’onore tuo c’è la devozioni p”u principali. Haiu ‘na pattita di cognac 
ammucciatu di chiddu bonu bonu. Veni cu mia, t”u fazzu ‘ssaggiari. E cu’ sapi?
Po’ essiri puru chi, tra na bivuta e l’autra, ti nesci quarche autra cosa. 

FILICIA: Ma, signora... E ‘a devozioni p”u principali?

GINA: Camina, stupidu! E ricorditi: ogni lassata è pirduta! (Lo prende per mano ed escono)

PAOLINA: (Entrando con Picciotto) Io ‘u sacciu chiddu chi haiu a fari si vogghiu teniri 
un omu attaccatu ‘a me’ gunnella. Ecco, ‘u vidi ‘stu riloggiu? Si Giacintu Malavita si pigghia quarche libertà, io mi fazzu pagari beni.

PICCIOTTO: Quarche libertà? Tu mi stai dicennu chi si in gradu di pigghiari pi fissa a 
Giacintu Malavita? Ma tu non hai l’idea di cui è ddu cristianu.

PAOLINA: Non ti scantari: io ci giocu e basta.

PICCIOTTO: Senti, Paolina, tu ‘u sai chi io non haiu nenti ‘i diri si fai ‘a civetta c’’i clienti 
pi sapiri quarche nutizia o quarche segretu redditiziu. ‘A fimmina servi propriu a 
chistu, no? Ma si vegnu a sapiri chi ti maritasti a ‘mmucciuni, stavota ti tagghiu ‘a 
facci. 

GINA: (Entra urlando) Bagascia svergognata! Muccusa senza ciriveddu! Si t’avissiru 
sparatu non m’’a pigghiava tantu, picchì putia essiri sfurtuna. Ma ruvinariti ‘a vita
c”i to’ stissi manu... 

PICCIOTTO: Ma chi successi?

GINA: Madamigella è sposata!

PICCIOTTO: Sposata? Un corpu di sangu mi vinni! 

GINA: Sapia chi avia divintatu ‘na tappinara schifiltusa e ora sballa di testa e si spusa! 
(A Paolina) Disgraziata, si avivi tanta manciaciumi di maritariti, non putivi purtari intra 
un cristianu per beni? No, si marita cu peggiu delinquenti d”a città! Cu tutti ‘i ricchizzi chi avemu, putivi truvari un cristianu comu si devi. E non fari ‘a funcia, ora!

PICCIOTTO: ‘A funcia? ‘A funcia? ‘A funcia t”a difettu io. Senti, Paolina, è 
megghiu pi tia chi parri spontaneamenti, si no ti spremu ‘i risposti comu si fa cu 
‘n’aranciu. Siti maritu e mugghieri davanti alla liggi o sulu accussì, pi scherzu? 
Pi passarivi ‘u piaciri? Parra, maliditta! (Le da un pizzicotto)

PAOLINA: (Gridando) Ahi! 

PICCIOTTO: Va beni, così fai? Tantu, chiddu chi vogghiu sapiri lo saprò ugualmente. 
Si Giacintu Malavita non si fa cchiù vidiri, voli diri chi vi maritastu piddaveru. 
E tu ti poi scavari ‘a fossa c”i to’ manu!

PAOLINA: E va beni, mi maritai cu Giacintu Malavita!

GINA: E finiu il nostro sogno di riggittarla c’un cristianu bonu e sollevare tutta la nostra
famigghia.

PICCIOTTO: Chiddu è un cacciatore di dote. Chiddu cerca ‘a tavula franca. Tu chi 
nni sai, muccusa?

PAOLINA: Ma io non mi maritai pi l’interessi, ma perché lo amo!

GINA: Lo ama! 
PICCIOTTO: A Giacintu Malavita!

GINA: Allura non ti ‘nsignammu propriu nenti!

PAOLINA: Ma si tu avissi sintutu ‘i so’ carizzi, ‘i so’ baci... avissi fattu ‘a stissa cosa.

GINA: Non c’’u cchiù tintu d’’i malacarni di Palermu!

PICCIOTTO: E va beni, va beni. Ormai ‘u dannu è fattu e avemu a circari di sfruttari ‘sta 
fissaria, chi facisti, a favuri nostru. Ginuzza, datti ‘na calmata. Ragiunamu.

GINA: Si putia accuntintari di tinirisillu comu iazzu, no? E’ il matrimonio la macchia 
indelebile!

PICCIOTTO: Ma quannu ci su’ ‘i picciuli nto menzu... Giacintu Malavita vali tantu oru 
quanto pisa, ma chistu havi diversi mugghieri, e si ci succedi cosa, nui non sapemu si 
Paolina è quella legittima...

PAOLINA: Ma chi stai dicennu?

GINA: Muta, ‘ntontira! To’ patri sapi chiddu chi dici.

PICCIOTTO: Aspetta, Gina. Dunca, Paolina, ti maritasti.

PAOLINA: Sissignore.

PICCIOTTO: E comu pensi di campari?

PAOLINA: Comu a l’autri fimmini maritati: mi manteni me’ maritu.

GINA: Ma chi stai dicennu? ‘A mugghieri d’’u banditu è comu a chidda d’’u surdatu: 
non godi né di so’ soddi né della sua compagnia.

PICCIOTTO: E non pinsasti di maritariti comu fannu ‘i fimmini scattri, Paolina? I nobili,
chi ti piaciunu tantu.

PAOLINA: Non capisciu chi voi diri.

PICCIOTTO: Vogghiu diri si pinsasti al vitalizio in caso di vedovanza.

PAOLINA: Ma io sugnu ‘nnamurata d’iddu, papà: comu putiria pinsari a ‘sti cosi?

PICCIOTTO: Inveci ci hai a pinsari! ‘U scopu e ‘a sustanza d’’u matrimoniu è tuttu cca: la 
confortevole prospettiva di un patrimonio pi campari beni quannu si diventa 
viduvi.

PAOLINA: Mi fai scantari cu ‘sti discursi, papà! Chi voi diri?

PICCIOTTO: Fai in modu di farici fari tistamentu a favuri toi; denuncialo alla legge; fallu 
‘ttaccari, e quannu iddu saravi mortu, ti guadagni ‘i soddi d”a taglia; e si havi 
quarche autra cosa, ti resta a tia.

PAOLINA: Comu? Avissi fari ‘mmazzari a me’ maritu? Muriria!

PICCIOTTO: Vaia, Paolina! Ma chi stai dicennu? Giacintu Malavita, prima o poi, finisci 
davanti a un plotoni d’esecuzioni; non si po’ scappari. C’è ‘na taglia supra ‘a so’ testa di trimmila unzi... e tutti ‘u cercunu.

GINA: Eccu, ora si chi mi piaci, Geremia. Tu si un geniu! Farlu acchiappari e fucilari, 
chista si chi saria ‘na bona azioni.

PAOLINA: Ma chi siti, pazzi? Stati parrannu di me’ maritu, vostru ienniru! 

GINA: Nostru ienniru! Nostru ienniru! Figghia snaturata! Si tu voi beni alla tua famiglia, 
ha fari in modu di farlu iri davanti ‘o plotoni d’esecuzioni. Ci sunnu fimmini chi 
fariunu carti fausi pi tanti soddi! 

PAOLINA: Ma chi mi nni fazzu io d”i soddi? Si iddu mori io moru assemi a iddu!

PICCIOTTO: Uh! Mi vinni ‘u latti ‘e ginocchia!

GINA: Ma comu! Allura, ‘sta pazza è ‘nnamurata piddaveru! Mi fai schifu! Vergognati! 
Vergognati!

PAOLINA: Ma aspetta, mamma, fammi spiegari...

GINA: Sunnu ddi maliditti rumanzi chi leggi ‘a so’ ruvina: ci spasciaru ‘a testa! Divintau 
rumanzera! Si dici ‘n’autra parola, disgraziata, ti ballu c”i pedi supra ‘a panza!

PICCIOTTO: Leviti ammenzu ‘e pedi, Paolina, o ‘i buschi boni oggi! 

GINA: Vatinni, svergognata! Fa il tuo dovere e manna a to’ maritu in galera.
(Paolina scappa, ma rimane in ascolto, nascosta)

GINA: ‘Sta cosa havi essiri fatta e si farà, puru senza ‘u consensu di Paolina. Si idda non 
canusci ‘u so’ doveri, nui ‘u sapemu qual’è.

PICCIOTTO: Malavita dovrà essere eliminato.

GINA: Io pensu a teniri tranquilla a idda.

PICCIOTTO: E io mi organizzu pi truvarlu.
(Escono)

PAOLINA: (Esce dal nascondiglio) Eccu, mi sirveru d’’a trinca! Sugnu veramenti 
ruvinata! Già ‘u vidu davanti ‘o plotoni d’esecuzioni! Pum Pum Pum...
Tutti intorno si sciolgono in lacrime! Puru ‘i ghiancheri chianciunu! E puru ‘i spazzini!

MALAVITA: (Nascosto, sporge la testa) Paolina!

PAOLINA: Giacintu! Trasi.

MALAVITA: (Entrando) Paolina!

PAOLINA: (Felice) E tu chi fai cca?

(Si abbracciano)

MALAVITA: Comu, chi fazzu? Vinni pi tia! Per mia moglie!

PAOLINA: Ma quale moglie? Nn’avemu a spartiri!

MALAVITA: Ma chi stai dicennu? Semu maritu e mugghieri e mai nuddu nni po’ spartiri. 
“Ciò che Dio unisce l’uomo non sciolga” Anzi, ora ci ‘u dicemu a to’ patri e tu vieni a 
vivere con me, in casa mia. 

PAOLINA: Ci ‘u dici a me’ patri? Me’ patri e me’ matri complottunu contru di tia. Vonnu ‘a 
to’ peddi. Me’ patri ti voli vinniri ‘o tribunali. 

MALAVITA: To’ patri? Me’ soggiru?

PAOLINA: Ma chi soggiru? Appena seppiru chi nni maritammu hanno combinato un 
terremoto. 

MALAVITA: Sunnu cuntrari? Ma comu, io sugnu ‘u megghiu fornitori di to’ patri... 
Vurria propriu vidiri cu’ ci faria guadagnari tutti ddi soddi. E to’ matri?

PAOLINA: Me’ matri mi nni dissi di tutti ‘i culuri. E’ cchiù agguerrita di me’ patri.

MALAVITA: To’ matri? Me’ soggira? Quella che per me dovrebbe essere una seconda madre? 
Chistu è gravi, gravissimu! E tu ora chi vurrivi fari?

PAOLINA: N’’o sacciu. Ma tu hai a scappari.

MALAVITA: Scappari, scappari, sempri scappari… Mi stancai di scappari. No, stavota restu.

PAOLINA: Resti? Sei pazzo? C’è ‘na taglia supra a to’ testa di trimmila unzi, e tu resti?

MALAVITA: Chista è cosa vecchia.

PAOLINA: Ti stannu circannu, capisci? E tu sai chi si ssi metti in movimentu me’ patri, ti 
pigghiunu. Hai a scappari pi forza!

MALAVITA: Haiu a scappari, ragiuni hai!

PAOLINA: E ti scurdirai di mia, sugnu sicura!

MALAVITA: E allura lassimi stari cca, e quannu mi pigghiunu mi pigghiunu.

PAOLINA: No, vatinni, non vogghiu chi t’acchiappunu. Ma ricorditi chi io sugnu sempri 
cca chi t’aspettu!

(Si abbracciano. Entra Geremia Picciotto, armato di pistola, che punta l’arma verso Malavita)

PICCIOTTO: Unni iti, don Giacintu? Così prestu! E si arrivau ora, non vi firmau autri cincu 
minuti?

MALAVITA: (Cerca di minimizzare) Carissimu soggiru!

PICCIOTTO: Non diciti accussì picchì ‘u ititu supra ‘o grillettu scatta sulu, senza bisognu di 
essiri spinciutu! Paolina, alluntaniti.

PAOLINA: No, si voi sparari, spara! (Gli fa da scudo)

GINA: (La prende per un braccio) Veni cu mia tu, tappinara!

PICCIOTTO: Gina, disarma il caro genero Malavita.

GINA: Con piacere. (Gli toglie la pistola e poi gli fruga addosso, trovandogli un coltello)
Ora è pulitu.

PICCIOTTO: Portiti a Paolina dda parti e passa ‘na corda.

GINA: Camina, Paolina. (La trascina fuori)

PAOLINA: (Piangente) Giacintu!

GINA: Ma chi giacintu e crisantemu! Camina, cretina. (Escono)

MALAVITA: Picciottu, vui stati schirzannu c”u focu.

PICCIOTTO: L’ultima vota vi fici scappari d”u carciri propriu io.

MALAVITA: E mi custau un saccu ‘i soddi. Avanti, ‘a taglia è trimmila unzi, vi nni dugnu
cincumila, e finemula cca.

PICCIOTTO: Tiniti ‘i manu isati e non faciti scherzi. Stavota ‘a facistu lorda. Cu tutti putiu 
giucari, ma Paolina è me’ figghia. E non haiu intenzioni di farla divintari un vostru 
baloccu. E si ‘u matrimoniu fussi veru, saria ancora cchiù gravi. Me’ figghia s’hav’a maritari c’un cristianu megghiu di mia e di vui.

MALAVITA: Resta sempri ‘a figghia di Picciottu ‘u ricettaturi.

PICCIOTTO: Vui non vi nni curati, tanto non ci sarete. Stavota vi nni iti davanti ‘o plotoni 
d’esecuzioni.

GINA: (Rientrando con una cordicella) Chista basta?

PICCIOTTO: Si, basta. Malavita, ‘i manu arreti ‘a schina.

(Malavita esegue. Gina gli lega le mani)

PICCIOTTO: E ora vi portu nella vostra casa naturale: ‘u carciri d”a Vicaria. Amuninni.

(Si abbracciano. Prima di uscire, con la luce che va verso il buio escono di scena. Buio. Passa poco tempo. Col sottofondo del “Cantu d”u carciratù nta la Vicaria”, si apre la tenda fondale. Siamo nel carcere della Vicaria: Lucchittu trascina Malavita in catene)

LUCCHITTU: Carissimo don Giacintu, sugnu cuntentu di vidirivi. Havi un annu e menzu chi 
non viniti a fari villeggiatura. Vi pari giustu? L’amici si trattunu così? Sintiumu ‘a vostra 
mancanza nta Vicaria. Vui sapiti chi cca bisogna unciri, unciri, con la piccola tassa 
quotidiana. 

MALAVITA: Io ti uncissi cu l’ogghiu bugghienti, Lucchittu.

LUCCHITTU: Allura cuminciamu mali, malissimu! Non vuliti pagari?

MALAVITA: Pago. (Gli porge il denaro) Schifiu!

LUCCHITTU: (Conta il denaro) Benissimo, una settimana anticipata. (Conservando il 
denaro) ‘U megghiu cristianu d’’u munnu n’’o sirviria cu tantu piaciri pi comu servu a 
vui. (Apre la gabbia e lo fa entrare) E con ciò, signore, per ora vi lascio alle vostre 
meditazioni private. Meditate! Meditate! (Assaporando il denaro. Lo chiude in gabbia 
ed esce)

MALAVITA: A postu sugnu! Mi fici futtiri! 

LUCIA: (Entrando) Ah, benediciti, don Giacintu! 

MALAVITA: Lucia, moglie mia! 

LUCIA: Comu non ti vergogni di vardarimi ‘nta facci? Mi livasti ‘a paci, l’onori e tutti cosi! 
E mai pozzu aviri riggettu finu a quannu non ti vidu mortu!

MALAVITA: No, Lucietta, sugnu sicuru chi tu non pensi chiddu chi stai dicennu.

LUCIA: Mi vogghiu vardari ‘a to’ fucilazioni assittata in prima fila! 

MALAVITA: E allura si senza cori! Non hai nuddu sintimentu! Ma comu, vidi a to’ maritu 
ridduciutu in questo stato…

LUCIA: Me’ maritu!

MALAVITA: Sotto ogni aspetto, mia cara. Nui ficimu ‘na prumissa davanti ‘o parrinu.

LUCIA: E davanti alla liggi?

MALAVITA: Ma chi importanza havi ‘a liggi?

LUCIA: Comu, chi importanza havi?

MALAVITA: E allura ti giuru chi alla prima occasioni si va al municipio e ci sposiamo puru 
davanti a ‘stu schifiu di liggi. Accussì ti fazzu cuntenta.

LUCIA: E a Paolina Picciottu unni ‘a mintemu? Ti scippiria l’occhi!

MALAVITA: Ma si tantu stupida chi ti gilusii di Paolina?

LUCIA: Mi gilusiu picchì tu ti maritasti puru a idda.

MALAVITA: Chi bella storia! ‘A picciotta ‘u dici in giru picchì è gilusa di tia e vuole 
screditarmi ai tuoi occhi.

LUCIA: Bonu, bonu, non diri cchiù fissarii. Paolina ti misi ‘a catina ‘o coddu. Tu l’hai sposata 
davanti alla legge, e cca ‘i mugghieri si ponnu aviri una alla volta.

MALAVITA: Ma chi dici? Ma chi stai dicennu? E’ ‘a gilusia chi ti fa sparrari. Ti dissi e ti 
ripetu chi appena pozzu, annamu ‘o municipiu cu du’ tistimoni e nni maritamu. 
E vedrai che io e Paolina non ci siamo mai sposati davanti alla legge.

LUCIA: E comu annamu ‘o municipiu si tu fra poco tempo sarai fucilato?

MALAVITA: Apri ‘sta cella, Lucia, e fammi nesciri.

LUCIA: Tu si pazzu! Me’ patri m’ammazza!
MALAVITA: Ma chi dici? Chi dici? Apri ‘sta cella, forza! 

LUCIA: E cu’ mi garantisci chi tu non scumpari?

MALAVITA: Ma unni haiu annari? Non vidi chi sugnu l’omu cchiù ricircatu d”a Sicilia? 

LUCIA: (Ci pensa) E va beni, ti vogghiu dari ancora ‘n’autra possibilità. Me’ patri a ‘sta ura sta 
durmennu. Ora vaiu e ci pigghiu ‘i chiavi. Così pozzu scappari cu tia...

MALAVITA: E comu facemu assemi? Comu nni ‘mmucciamu? No, no, dumanii mi fazzu 
sentiri io stissu. 

LUCIA: Arrivu... (Esce)

MALAVITA: Ci semu, ci semu, ci semu, s’’a gghiuttiu!

LUCIA: (Rientra con le chiavi. Gli apre la cella) Veni, maritu miu! Stavota hai un debitu 
‘rossu cu mia: ‘a vita. 

MALAVITA: Basta parrari! Io mi nni vaiu. Nni videmu dumani. (Si abbracciano e Malavita 
scappa)

(Lucia rimane in scena, piangente, quando entra Lucchittu)

LUCCHITTU: (Entra, ma non vede Giacinto) Ma unn’è? Scappau! (Vede Lucia) 
Ah, è sicuru, disgraziata, ‘u facisti scappari tu!

LUCIA: Ma papà, chi dici? Fu Paolina Picciottu, chi vinni a truvarlu. Picchì ti l’ha pigghiari 
sempri cu mia?

LUCCHITTU: Lucia, Lucia, non schirzari cu mia! Vidi chi io ti manciu ‘u cori, figghia 
snaturata!

LUCIA: Allura non haiu aviri ‘a sorta di susirimi dumani matina, si ti dicu bugii!

LUCCHITTU: Speriamu! Ammenu ti facisti pagari? Forza, quantu? Oh, picciotta, non è 
chi voi pigghiari pi fissa a to’ patri chi ti fici... Avanti, nesci ‘i picciuli e spartemu.

LUCIA: Papà, io sugnu innamorata di Giacintu. Ma chi pagari? Io avissi pagatu pi tinirlu cca 
intra. 

LUCCHITTU: Ah, Lucia, Lucia! Disgraziata! Disgraziata! Ora t’haiu a scippari ‘u cori e mi 
l’ha fari in padella sfrittu c’’a sugna! Ah! Cu tutta ‘a scola chi ti fici avivi a crisciri cchiù scattra! 

LUCIA: Tu chi mi dicivi, quannu travagghiava ‘nta bettula? “Scherza, ridi, dacci ‘u bacittu, 
lassici fari ‘a tuccatedda, ma nenti di cchiù. Facci nesciri ‘i soddi”.

LUCCHITTU: E non era giustu? Ti nsignava a divintari na tappinara scattra.

LUCIA: Ma quannu mi baciau Giacintu Malavita, io pirdia ‘a testa e mi ‘nnamurai!

LUCCHITTU: E così ‘u facisti scappari, ah, bastarda? Si eri figghia mei avissi statu cchiù 
scattra. Tu non sarai mai nuddu ‘nta to’ vita, Lucia! Si propriu non voi chi ‘a genti ti 
pigghia pi fissa, non fari mai nenti, si non pi soddi. Pigghia esempiu di to’ patri!

LUCIA: Ma l’amuri è na disgrazia! Quannu c’è l’amuri divintamu tutti cretini. 

LUCCHITTU: E io m’avissi a cunsumari picchì tu non resisti all’amuri? Chista è propriu 
bellissima! Scimmia! Disgraziata babba, chistu si! Pazza si! Sparri comu ‘na fodda!

LUCIA: Ah, staiu bruciannu! Sugnu gilusa!

LUCCHITTU: E io avissi a ristari cca a ‘scutari i to’ lamenti di iatta in caluri! Ti bruciaria 
io a tia, c’’u pitroliu! Vatinni fora, schifosa! Si cchiù linfomani di to’ matri! Cca sulu na pirnici mi putiria sarvari! A tia ora ti giustu io: pi tri ghiorna non manci e non nesci, così videmu si ti ritorna un pocu di ciriveddu. In ogni caso, una bella botta di nirbati ti faria beni. (Urlando) Fora!
(Lucia esce di corsa. Lucchittu entra, disperandosi, nella cella vuota. Cala la tela)
fine del primo atto



A T T O S E C O N D O

La casa di Picciotto qualche giorno dopo. Geremia sta seduto con in mano un libro contabile e un bicchiere in mano con del vino. Entra Paolina.

PAOLINA: Papà c’è to’ cumpari Lucchittu chi ti cerca.

PICCIOTTO: Fallu passari.

PAOLINA: Subito. (Esce ed entra Lucchittu)

LUCCHITTU: Caru cumpari!

PICCIOTTO: Cumpari, un bicchieri di vinu v’’u biviti?

LUCCHITTU: Ma certu!

PICCIOTTO: (Versando) ‘A saluti!

LUCCHITTU: ‘A facci ‘i cu’ non voli!

(Bevono)

PICCIOTTO: Caru cumpari, ‘u cuntu d’’u misi passatu così complicatu, chi mi
parteru ‘i sintimenti. Ci sunnu troppu cosi, e vi dicu chi ‘i picciotti ci guadagnaru assai, 
assaiuni, troppu. Si iddi capisciunu chi si ponnu buscari tutti ‘sti picciuli, cca si curri ‘u 
rischiu di ‘na ribellioni.

LUCCHITTU: Difatti già Filicia trunia.

PICCIOTTO: A Filicia ‘u fazzu truniari a timpulati. Ruffianu! Comunqui, ‘u cuntu è cca, si 
vuliti taliari…

LUCCHITTU: (Leggendo) Mizzica, vi vinnistu quasi tutti cosi?

PICCIOTTO: Quasi tutti cosi, però i soddi sunnu sabbati e si niscirannu quando sarà 
venduto proprio tutto.

LUCCHITTU: Scusati, cumpari, ma ‘i gioielli v’arristaru ‘nta pinna? Picchì non li vidu signati.

PICCIOTTO: I gioielli non si vinnunu facilmenti, picchì si ricanusciunu. Allura truvai ‘na 
cumminazioni p’’a ‘Merica. Li troverete sotto la voce: articoli di esportazione.
Poi, comu putiti vidiri, ogni cosa è elencata nella sua categoria.

LUCCHITTU: Centucinquantasetti cannili? E chi nn’avemu a fari?

PICCIOTTO: Ci vinemu ‘o parrinu, chiddu si ‘ccatta, perché gliele diamo a prezzo basso.
Anzi, ci rigalamu, così nni dugna un occhiu di riguardu, cu sapi avissimu bisognu di ‘na 
binidizioni o di un nascondiglio… Vui mi capiti, cumpari…

LUCCHITTU: Trenta borsette da donna…

PICCIOTTO: Complete degli oggetti in esse contenuti; il tutto sigillato, numerato e 
registrato. Vui aviti a leggiri tuttu ‘u rigu.

LUCCHITTU: Bravu, cumpari, annamu avanti.

PICCIOTTO: No, cumpareddu, ‘nta ‘stu mumentu non mi pozzu mettiri a risolviri ‘sta 
facenna nei particolari. Havi tri uri chi fazzu cunti. Lassatimi finiri e poi vi spiego ogni 
dettaglio. Truvamu ‘n’autru mumentu, chi ora mi siddiu. 

LUCCHITTU: E allura facitivi purtari n’autra buttigghia ‘i vinu. Oggi pinsamu al piacere, 
dumani agli affari.

PICCIOTTO: Giustu. (Chiamando) Paolina!

PAOLINA: (Entra) Papà?

PICCIOTTO: Porta ‘n’autra buttigghia di vinu.

PAOLINA: Subito. (Esce)

LUCCHITTU: Ah, frati miu, avemu du’ figghi chi sunnu comu a du’ anghiddi. 

PICCIOTTO: Veru è, sciddicannu ‘i tutti ‘i lati.

LUCCHITTU: Però si vui tiniti d’occhiu a Paolina, viditi chi aceddu caddi di novu ‘nta iaggia, 
e ‘u pigghiamu.

PICCIOTTO: Ma a chi servi acchiappari aceddu, si poi vostra figghia Lucia ci apri ‘a iaggia?

LUCCHITTU: Aviti ragiuni, cumpari. Ma non ci curpu io. 

PAOLINA: (Entra con la bottiglia) Ecco il vino.

LUCCHITTU: Brava, Paolina.

PAOLINA: Con permesso. (Esce)

LUCCHITTU: Vai, vai, bedda e fai da calamita pi Giacintu Malavita! Ah, ah, ah... Fici ‘a rima, 
cumpari!

PICCIOTTO: Vui siti un poeta, cumpareddu! (Nel frattempo ha riempito i bicchieri) Forza, 
bivemu! ‘A saluti! (Bevono un paio di bicchieri e cominciano a diventare ebri)

LUCCHITTU: Cumpari, l’acidduzzu d”a cummari...

PICCIOTTO: Cu li pinni e senza ali.

LUCCHITTU: Si pusau supra la testa...

PICCIOTTO: La cummari fici festa.

LUCCHITTU: (Battendo le mani) Bravu cumpari!

PAOLINA: (Entrando) Papà, c’è donna Iana ‘a Rittera, chi ti cerca.

PICCIOTTO: Donna Iana ‘a rittera? Falla passari.

(Paolina esegue)

LUCCHITTU: Facistu bonu, cumpari, a farla trasiri.

PICCIOTTO: Ma si capisci. E’ un’ottima cliente e una donna che sa quello che dice. 
E’ capaci di ‘mbiviri comu un masculu e di renniri ‘a discussioni spizzicusa.

IANA: (Entrando) Buongiorno, signori!

PICCIOTTO: Cara donna Iana, servo vostro! (Si baciano) 

LUCCHITTU: (S’inchina, con ironia) Schiavu vostru, donna Iana!

IANA: Sempri minchiati ha diri, Lucchittu!

PICCIOTTO: Certu chi quannu vui baciati, mannati un ciauru di cognac!

IANA: Cu licuri non si scherza. Mi uffreru ‘u vischi, ‘a grappa, ‘u ginni… no, io bivu sulu e 
sulamenti cognac (Guardando il vino), quannu non bivu vinu, si capisci.

LUCCHITTU: E non c’è alito più profumato. Io ‘u sapuri di ‘sti labbra havi tantu chi ‘u 
canusciu.

IANA:(Prende un bicchiere e lo porge a Picciotto) Inchi ‘stu bicchieri, Geremia. 
E tu, Lucchittu, non sparari minchiati, ti dissi!

LUCCHITTU: V’affinnistu?

IANA: Io? Ma quannu mai? Bivu sempri a ‘ranni buccati, comu facia ‘na vota cu l’amuri. 
Non mi piaci ‘a genti chi si pigghia ‘i piaciri c’’a schizzera. 
(Canta) In gioventù tubai come una tortora... 
(Fa una piroetta su se stessa)
‘A nostra vita, cari amici, è un bacio perenne...
di picciotti, bocca a bocca; di ‘ranni c’’a bucca ‘o bicchieri. ‘A saluti! (Manda giù il 
vino) 

LUCCHITTU: Brava, donna Iana! Vui si chi siti ‘na fimmina di chiddi boni!

PICCIOTTO: ‘A saluti! Ma livatimi ‘na curiosità. Picchì vi chiamunu ‘a rittera?

IANA: ‘A rittera? E ora v”u spiegu. Chi è ‘ rittera? Una trappola per topi, giustu? 
E allura, siccomu quannu io era picciotta mi piaciaunu assai i topolini... mi capiti?
Ci mittia ‘u furmaggeddu e li attiravo nella mia trappola. V”u dissi che tubai come
una tortora. E così mi nisceru sta ‘nciuria: Iana ‘a Rittera.

PICCIOTTO: Insomma, aviu essiri na bella trappula vui...

LUCCHITTU: (Sognante) Eh, io nni sacciu quarche cosa.

IANA: Basta, Geremia, parramu d’affari. Si aviti roba nira di qualsiasi geniri, di ultima 
moda, però: mantellini, sciarpi di vellutu, suttani di taffità... qualsiasi cosa aviti, io m’’a ‘ccattu. Per ora, le mie clienti fannu pazzie p’aviri ‘i robi ‘i niri.

LUCCHITTU: Cuntenti iddi…

PICCIOTTO: Pirmittiti, donna Iana. Vui tirati troppu supra ‘o prezzu. Quasi quasi io, a ddi 
poviri disgraziati chi rischiunu ‘a vita pi procurari ‘a roba, non ci pozzu dari soddi. 
E sapiti comu finisci? Chi a mia non mi portunu cchiù nenti. Eh, donna Iana, vui ‘sti cosi l’aviti a capiri.

IANA: E’ curpa d’’i tempi duri.

PICCIOTTO: Pi vui su’ sempri duri... ‘i tempi.

IANA: Sissignori, sunnu sempri duri, picchì nta ‘stu travagghiu ci guadagni sulu tu, Geremia.

PICCIOTTO: Ah, io sulu?

IANA: ‘A canusciti ‘a barunissa Blandinu? Ci vinnia un bellu bustu tri misi arreti: “Iana, torna 
dumani, chi ti dugnu ‘i soddi” L’indomani mi fici truvari ‘i cani davanti ‘o canceddu.
E non finiu cca.

LUCCHITTU: Chisti su’ ‘i rischi d”u misteri.

PICCIOTTO: L’autru iornu vi pigghiastu ‘nu riloggiu d’oru pi cinquanta unzi. Ora, dicitimi 
vui: quantu ci pozzu dari io ‘o latru chi m’’u purtau? Puru si ci dugnu deci unzi…
E sicunnu vui, un patri ‘i famigghia, picchì chiddu è unu chi havi setti figghi, roba ‘nu riloggiu d’oru e ci havi a pigghiari deci unzi? 

LUCCHITTU: Ma quantu menu centu unzi.

PICCIOTTO: Appuntu.

IANA: Senti, Geremia, ‘nu riloggiu accussì vistosu, non si po’ vinniri. E cu’ ‘u rubau è un 
cretinu.

PICCIOTTO: Ma vui v’’u ‘ccattastu e v’’u vinnistu.

IANA: Sissanta unzi.

PICCIOTTO: E c’’a barunissa Blandinu comu finiu?

IANA: ‘A pizzicai ‘nta ‘na lucanna, vicinu a Isola delle Femmine, cu l’amanti.

LUCCHITTU: Cu l’amanti?

PICCIOTTO: ‘Nta ‘na lucanna?

LUCCHITTU: Una donna dell’alta società?

PICCIOTTO: E chiddi su’ ‘i cchiù peggiu, cumpari.

LUCCHITTU: Sarannu tutti linfomini. 

PICCIOTTO: Ddocu ci nni vurriunu pirnici...

IANA: Boni su’ ‘i pirnici. 

LUCCHITTU: Lassati ‘nnari, non nni manciati, chi portunu ‘na brutta malatia: l’anemia 
persiciosa.

IANA: Mah! Io veramenti mi nn’ha manciatu tanti...

PICCIOTTO: Signuri mei, ‘na fimmina di ddu liveddu si nni va lucanni lucanni a ‘ncuntrarisi cu
l’amanti!

IANA: Nta ‘sta città ‘i fimmini cchiù su’ ricchi e cchiù nni fannu. M’aviti a cridiri, ci su cchiù 
corna a Palermu di quantu fila ‘i capiddi hannu nta testa ‘i so’ abitanti.

PICCIOTTO: Dunca era nta ‘na lucanna cu l’amanti... 

LUCCHITTU: Facistu puru vui ‘a rima, cumpari.

IANA: ‘A rima?

LUCCHITTU: Abitanti cu amanti.

IANA: Ah, già! Mih, ma si bestia, Lucchittu. Io parru di cosi seri...

LUCCHITTU: Cosa seria saria l’amanti d”a barunissa Blandinu?

IANA: Certu, e ora t”u dimostru. Sapiti cui era ‘st’amanti? Giacintu Malavita.

(I due perdono subito gli effetti dell’ebrezza)

LUCCHITTU: Giacintu Malavita?

PICCIOTTO: Stati parrannu seriamenti?

IANA: Si, iddu pinsau chi io n’’o ricanuscia. S’avia misu ‘na parrucca. (Ironica, gli da il voi) 
E’ un vostro intimo amico, signor Picciotto... 

PICCIOTTO: E già, amicu!

IANA: Era vistutu comu un nobile! Non paria mancu dda cusazza fidusa chi è. A iddu ci pari 
chi io mi scurdai. E no, mi ricordu. Un pocu di soddi soi passaru ‘nte me’ sacchetti di 
straforu. Ma ‘i visti sulu passari, e basta. Ci hannu piaciutu sempri ‘i vistiti eleganti pi 
rigalarli ‘e so’ fimmini. 

PICCIOTTO: Donna Iana, tutto quello che vi serve è a vostra disposizione. 

IANA: A gratissi?

PICCIOTTO: Certamenti. Io e Lucchittu avemu a sistimari ‘na certa cosa cu Giacintu 
Malavita.

LUCCHITTU: ‘Na questioni d’affari.

IANA: Io non m’immischio nei fatti vostri. Qualunqui cosa succedi, io mi lavu ‘i manu 
comu a Ponziu Pilatu. ‘U sacciu chi vi pigghiau pi fissa a vui e alle vostre figlie.

PICCIOTTO: E menu mali chi non vi ‘ntricati.

IANA: Tantu pi parrari. Ma la mia regola è una: pi mia, l’amicu havi a ‘iutari a l’amicu.

PICCIOTTO: E nui semu amici, no?

IANA: Certu chi semu amici.

PICCIOTTO: E allura dicitimi ‘u nomu di ‘sta lucanna.

IANA: Lucanna “’U Geusu”. Po’ essiri chi, si vi sbrigati, ‘u truvati ancora dda.

PICCIOTTO: O ‘u truvamu dda o truvamu ancora ‘u so’ fetu. In tal casu, ciauriannu 
ciauriannu, stati tranquilla chi ‘u pigghiamu. Sta beni, vi ringraziu, donna Iana. 
(Chiama) Paolina!

PAOLINA: (Entrando) Chi c’è?

PICCIOTTO: Vidi chiddu chi voli donna Iana e daccillu. Tutto gratis. Cumpari, amuninni.

LUCCHITTU: (Traendolo a se) Ma comu, cumpari, tuttu gratis? Niscistu pazzu?

PICCIOTTO: S’avissimu a pagari l’informazioni chi nni desi…

LUCCHITTU: Aviti ragiuni, cumpari. (A Iana) ‘U Signuri vi binidici! Vi dassi na baciata.

IANA: Daccilla a to’ soru.

PICCIOTTO: Bonu, non vi scanciati cchiù cumplimenti. Amuninni, cumpari.

(Esce con Lucchittu)

(Il carcere della Vicaria. Lucia in scena da sola, in preda alla furia)

LUCIA: ‘A gilusia! ‘A gilusia mi stannu manciannu. Ah, sugnu comu ‘na navi in balia 
d’’i cavalluni! Si, si, la vendetta! (Tira fuori un flaconcino e lo versa in un bicchiere di rosolio, prepasrandone però due) Eccu cca, veleno per topi. E non c’è rischiu, picchì ‘a fazzu ‘mbriacari e pozzu diri chi muriu picchì biviu troppu. E puru si m’avissiru a cunnannari per omicidio, saria cuntenta, picchì prima di mia si nni annau all’autru munnu dda bagascia!

FILICIA: (Entrando) Signorina Lucia...

LUCIA: Chi c’è, Filicia?

FILICIA: Paolina è cca.

LUCIA: Falla trasiri.

FILICIA: Va beni. Vuliti chi restu? Chi sacciu, vi servi aiutu?

LUCIA: A mia? Cu Paolina?
FILICIA: Vaddati chi non la canusciti. Razza Picciottu: bucca duci e culu amaru.

LUCIA: Non ti preoccupari.

FILICIA: Comu vuliti. ‘U bagnu?

LUCIA: Vai e t”u fai.

FILICIA: Non mi spiegai. (Fa il segno dei soldi) Pi purtarla cca sudai setti cammici. Ci voli ‘u
bagnu.

LUCIA: Ho capito. Veni cchiù tardu e ti dugnu ‘i soddi.

FILICIA: Sta beni, vi mannu a Paolina. (Esce)

PAOLINA: (Entrando) Permesso?

LUCIA: Prego! Cara Paolina, comu stai? (Va ad abbracciarla)

PAOLINA: Beni!

LUCIA: Io speru chi mi pirdunasti pi ddu scattu di nervi chi ebbi l’ultima vota chi nni 
vistimu...ero così sconvolta...addirittura fuori di me. Quannu una è così siddiata e nira, un’amica l’havi a capiri.

PAOLINA: No, Lucia, io sbagghiai puru ddu iornu a dariti bastunati. Io sugnu dispiaciuta 
puru pi tia.

LUCIA: E allura sai chi facemu? Ci bivemu supra e non si nni parra cchiù. Avanti, Paolina, pi 
ddu Sanciuvanni chi c’è fra le nostre famiglie, facemu paci e bivemuni ‘na schizza di rosoliu. 

PAOLINA: Veramenti ‘u liquori mi fa doliri ‘a testa…

LUCIA: Ma vaia! ‘A testa! Paolina, c’è megghiu di ‘na schizza di rosoliu, fattu in casa, per 
scacciare i pensieri cattivi?

PAOLINA: No, ieri sira ebbi sciugghimentu ‘i stomucu e forti duluri di testa: non pozzu 
biviri. Giacintu mi trattau così mali, chi io mi vergognu, picchì sugnu sicura chi tu, 
cchiù chi raggia, nei miei confronti, provi pietà.

LUCIA: Ormai scappau e non turniravi cchiù. Ah, Paolina, Paolina! Iddu è innamoratu di tia e 
non di mia!

PAOLINA: Ma chi dici, Lucia? Tu si gilusa e basta, ma chiddu chi dici non è veru. Io lo amo 
troppo, e iddu si scanta di mia. Ormai mi ha abbandonata.
LUCIA: E allura semu ‘nta stissa barca tutti e dui: troppo innamorate.

PAOLINA: Veramenti, Lucia, pinsannu comu si comportau l’ultima vota cu mia... Ma forsi è 
incapaci di pruvari sentimenti!

LUCIA: Avanti, basta ora cu sti discursi malinconici! Sentimi a mia, Paolina, è megghiu chi nni 
bivemu ‘na schizza. E poi vidi comu si nni va ‘a malincunia. Non ti pozzu vidiri accussì battuta. T’haiu a cunvinciri, picchì sugnu sicura chi ti faravi un gran beni...(Fra se) Ancora un mumentu e chiudu ‘u cuntu cu ‘sta bagascia! (Esce)

PAOLINA: Tutti sti saramallecchi di Lucia hannu aviri ‘nu scopu...e poi propriu ‘nta ‘stu 
mumentu chi sugnu sicura chi mi odia… Forsi mi voli fari ‘mbriacari pi sapiri quarche informazioni supra a Giacintu… Haiu a stari attenta e non haiu assaggiari mancu ‘na lacrima di rosoliu.

LUCIA: (Rientra) Su, coraggio, signorina Paolina.

PAOLINA: No, non nni pozzu biviri…

LUCIA: Ma vaia, lassa ‘nnari…

PAOLINA: (Guardando fuori) Madunnuzza, chi staiu vidennu! Pigghiaru di novu a Giacintu! 
(Esce di corsa)

LUCIA: Comu!

(Entrano: Lucchittu e Picciotto, che trascinano Malavita in catene,
seguiti da Paolina)

LUCCHITTU: Mittitivi ‘u cori in paci, caru don Giacintu: ormai nè fimmini ne’ dinari
vi ponnu aiutari a scappari. Avemu l’ordini di purtarivi direttamenti ‘o tribunali.

PICCIOTTO: Annativinni, maliditti! Non è ‘u mumentu di cutturiari un maritu!

LUCIA: Oh, maritu, maritu miu! ‘U me’ cori si spezza a vidiriti cu sti catini ‘e manu!

PAOLINA: Non mi voi vardari, Giacintu! Picchì non circasti a mia? Unni mia truvavi un 
rifugiu.

PICCIOTTO: Disgraziata!

PAOLINA: Vardimi!

LUCIA: No, varda a mia!

PAOLINA: Non vidi chi Paolina sta murennu?
LUCIA: No, amuri miu, Lucia mori!

PAOLINA: Paolina t’invoca!

LUCIA: Lucia ti prega!

PAOLINA: Ho il cuore a pezzi!

LUCIA: Il mio si spacca!

PAOLINA: Tesoro!

LUCIA: Amore!

MALAVITA: Ma chi v’haiu a diri, mugghieri mei? Ormai stamu arrivammu alla fini, stati 
tranquilli, non c’è tortu pi nudda di dui.

PICCIOTTO: Però, don Giacintu, si pigghiassu ‘na decisioni...

MALAVITA: Decisioni? E chi haiu a decidiri, Geremia? Già ‘na mugghieri è assai, cca si nni 
presentaru dui… Non c’è sabbizza, nè cca nè dda, dal momento chi, scigliennu 
a una s’affenni l’autra…

PAOLINA: Papà, ti pregu, sarva a me’ maritu! Fai finta chi non l’hai vistu!

PICCIOTTO: To’ maritu? Chiddu si nega.

PAOLINA: Picchì è sconvoltu!

PICCIOTTO: Ma non ci rumpiri ‘a divuzioni!

LUCIA: (A Lucchittu) Si ‘u cori di Picciottu è ‘ncaddutu, tu, papà, non poi fari finta di non 
sentiri il mio grido di dolore! Sarva a me’ maritu!

LUCCHITTU: L’ura di Giacintu Malavita sta sunannu, Lucia. Chisti sunnu affari nostri. 
E tu non mi stunari ‘i ricchi cu ‘sti fissarii! 

PICCIOTTO: Mettiti ‘u cori in paci, Paolina...To’ maritu, oggi, havi a moriri; dunca, si non ci 
ha pinsatu ancora, cercatinni ‘n’autru. 

LUCCHITTU: (A Malavita) Allura, don Giacintu, siamo arrivati alla fine.

PICCIOTTO: L’accusa è pronta con gli avvocati e i giudici. 

MALAVITA: Addio, amori miei! Chista è l’ultima vota chi nni videmu!

(Le due donne scoppiano in lacrime e vanno via, minacciate dai loro rispettivi padri)

MALAVITA: E’ megghiu chi moru, accussì non si sciarriunu cchiù. (A Picciotto e 
Lucchittu) Ed ora, signori, sono a vostra disposizione.

LUCCHITTU: (Trascinandolo in cella) Bonu, non v”a pigghiati. (Esce insieme a Picciotto)

MALAVITA: E così arristai c’un parmu di nasu! Annai pi futtiri e ristai futtutu! (Si sdraia 
sulla branda; le luci giungono alla penombra, mentre fuori campo si sente una voce)
‘I liggi avissur’a essiri fatti pi ricchi e poviri. Sulu chi ‘i ricchi non venunu cunnannati, picchì s’accattunu puru la giustizia. ‘I soddi ci scippunu ‘i denti puru alla liggi. E si puru ‘i ricchi annassiru in galera, ‘u munnu ristiria spopolatu. Accussì poviri e ricchi hannu ‘i stissi vizi, anzi, ‘i sicunni nn’hannu cchiussai d’’i primi. Ma ‘i ricchi non morunu fucilati né passunu ‘a vita nte carciri. 
(Si rabbuia tutto. Si sente una musica e in sottofondo gli spari dei fucili. Dopo 
pochi secondi si rialzano le luci ed entrano Lucia e Paolina, con lo scialle nero, che 
piangono la morte di Malavita, mentre Gina, anche lei vestita con lo scialle nero, le segue, insieme a Picciotto e Lucchittu. Siamo in casa di Geremia, con le luci in penombra)

PICCIOTTO: Picchì stati chiancennu, piuli?

GINA: Giacintu Malavita è stato fucilato.

PICCIOTTO: Era chistu chi si meritava, no?

PAOLINA: E propriu tu, papà, parri? Tu, che hai costruito parte della tua fortuna sulle sue 
ruberie?

PICCIOTTO: E tu non ci hai manciatu cu ddi soddi? E non t’hai ‘ccattatu belli gioielli? Belli 
vistiti? Rispunni.

PAOLINA: Si, chi haiu manciatu. Ma picchì farlu ‘ttaccari e fucilari?

LUCIA: Aviti sarvatu ‘u schifiu d’’i delinquenti!

PICCIOTTO: Affari, figghia mia, affari. Vui siti picciotti e non putiti capiri. Vui ascutati 
chiddu chi vi dici ‘u cori. Un saccu di minchiati, eccu chi vi dici. ‘Nta vita cunta ‘na 
sula cosa, ricorditivillu: il denaro. Comu si dici? Cui havi campa filici e cu’ non havi 
perdi l’amici.

PAOLINA: E l’amuri non cunta? 

PICCIOTTO: Senza picciuli finisci puru amuri, figghia mia. (Le si avvicina e l’abbraccia) 
Avanti, ‘u papaieddu, leviti ‘stu sciallu niru. ‘U Signuri ti castiga, picchì non si chianci 
quannu mori ‘na bestia.
GINA: E ora ti nni cerchi ‘n’autru. E che sia un signore, stavota. Avanti, camina, lassa stari a 
to’ patri, chi havi chi fari cu so’ cumpari.

(Esce con Paolina)

LUCCHITTU: (A Lucia) E tu, babasunazza, chi mi voi cunchiudiri? Forza, leviti ‘stu luttu e 
vatti a fari bella, chi non ti manchirannu ‘i pretendenti. 

LUCIA: Ma si, in funnu Giacintu Malavita nni pigghiau pi fissa a tutti dui e forsi non merita 
di essiri chianciutu ancora. (Esce)

PICCIOTTO: Mai cchiù nuddu mi putiravi renniri tutti ddi gran soddi. Cumpari, ‘u sapiti chi 
vi dicu? Mi vinni ‘na sdamma di fami. Ora vaiu ‘nta bettula cca vicinu, e mi manciu du’ 
fila ‘i maccarruni. Domani mattina incasseremo la taglia di Giacintu Malavita. 
E spattemu. Vi salutu. Damunnilla ‘na baciata, alli voti nn’avissi a succediri quarche cosa. 

(Si baciano e Picciotto fa per uscire, poi si ferma)

PICCIOTTO: Ah, cumpari...

LUCCHITTU: Chi c’è, cumpareddu?

PICCIOTTO: Picchì non viniti puru vui a manciari.

LUCCHITTU: E amuninni a manciari.

(Si chiude il sipario. Parte una musica. Entra lo Straccione)

STRACCIONE: E così puru Malavita fu finalmenti fucilatu. E l’autri chi fini ficiru?
Mi vinnia a tutti, a tutti, si no comu facia a essiri cca? L’avvento dei nuovi
potenti, i Piemontesi, ha eliminato i vecchi e tuttu chiddu chi c’era attornu a iddi.
Ma non canciau quasi nenti: a postu d’un putiri ora ci nn’è ‘n’autru, e basta.
E l’unicu modu di sopravviviri era: collaborare con loro. Certu, mi pigghiaru tutti cosi, 
il patrimonio accumulato in una vita di lavoro, ma mi lassaru ‘a cosa cchiù ‘mpurtanti: ‘a 
vita. Del restu, ‘a malavita e ‘a liggi s’hannu aiutari necessariamenti a vicenda, pi ristari 
vivi. E così mi vinnia puru a me’ cumpari Lucchittu e so’ figghia Lucia; a Filicia e a tutti l’autri. A me’ figghia ‘a sarvai però; ora è in Inghilterra, maritata c’un capitanu di vascellu. E me’ mugghieri? (Entra Gina, anch’essa invecchiata e ridotta a fare la barbona) Eccola qua. Di quannu ‘a figghia si nn’annau non parra cchiù, finalmenti ci mancau ‘a vuci. L’avissi spiduta prima! (Va a prenderrla per mano) Eccu, chista è la me’ storia, e vi la vosi cuntari, puru si è scommuda e porta d’intra troppu virità. 
Scusatimi, ma ora si fici tardu e mi nn’haiu a scappari; sapiti, nuiautri vecchi ‘a sira nni ‘ddummintamu prestu.
(Comincia a cantare)
Chista è la vita ca nni munna l’ossa;
semu comu a lu ventu quannu passa;
la nostra casa eterna è nta ‘na fossa; 
chiddu c’arresta, cca tuttu si lassa.
(Scompare sul fondo della sala, trascinando Gina con se)

Fine