VIVA, VIVA IL PODESTA’ !

di

Antonio Zanetti


Elaborazione da “L’ispettore” di Nicolaj Vasilievich Gogol



Personaggi ed interpreti:
(in ordine di apparizione)

Anton Lucrovich, Podestà:                
Andreij Leckinskij, ufficiale postale:            
Ludmilla Maneska, direttrice scolastica:        
Ammos Ruba, presidente del tribunale:            
Sonja Sevitzija, amministratrice delle Opere Pie:    
Goran, servitore di Stankov:                
Boris Vladimir Stankov, presunto ispettore:        
Locandiera                            
Anna Lucrovich,  moglie del Podestà:            
Marija Lucrovich, figlia del Podestà:            


PROLOGO
Il Podestà, con Ludmilla Maneska, Ammos Ruba, Sonia Sevitzja con presenti Anna Lùcrovich, Marija Lùcrovich e Leckinskij, è appena stato rieletto e si accinge a fare il suo discorso al popolo:
IL PODESTA’ – Cittadini, sono molto contento di essere stato ancora una volta rieletto Podestà! Ringrazio tutti coloro che hanno votato per me e per il “P.P.P.”, cioè per il Partito Popolar Populista di cui sono Presidente e fondatore. Ancora una volta abbiamo sconfitto i nostri nemici del Partito Bucolico Sociale: non avevo dubbi! Infatti solo dei rincoglioniti possono pensare di votare per qualcuno che non sia il sottoscritto!
LECKINSKIJ – (Esortando all’applauso) Viva Anton Lùcrovich! Viva il Podestà!...
IL PODESTA’ – Grazie, grazie. Vi presento ora i miei collaboratori. Se fossimo uno stato sarebbero i miei ministri, ma siamo solo una cittadina e la carica che loro compete è quella di Assessore. Ecco a voi dunque Sonja Sevitzja che sarà Assessore alla Sanità e all’ Assistenza Sociale; abbiamo poi Ammos Ruba come Assessore alla Giustizia e delle Tasse; Ludmilla Maneska sarà invece Assessore all’Istruzione e alla Cultura. Di tutte le altre cose me ne occuperò personalmente io, come ho sempre fatto.
LECKINSKIJ – (Esortando all’applauso) Viva Anton Lùcrovich! Viva il Podestà!...
IL PODESTA’ – Grazie, grazie. Oggi, come primo atto da Podestà sono costretto a promulgare una nuova legge; poiché nella sua inettitudine e perfidia, l’opposizione  continua a tramare ai miei danni, al fine di evitare che il buon nome della nostra cittadina possa venire infangato da calunnie e denunce al sottoscritto, ho l’obbligo morale, mio malgrado, di varare una norma che vieta di accusare di qualsiasi reato il Podestà e L’Ufficiale Postale!
LUDMILLA MANESKA – Anche l’Ufficiale Postale? Ma perché? Che c’entra Leckinskij?
IL PODESTA’ – Lui non c’entra per nulla, lo so benissimo; ma voglio evitare che qualcuno pensi che faccio le leggi solo per mio vantaggio personale.
AMMOS RUBA – Bene: allora iniziamo subito la discussione sulla nuova legge al fine di …
IL PODESTA’ – Ma no, caro Ammos Ruba, a che servirebbe? La legge l’ho pensata io e va bene così com’è. E’ ora di smetterla con le solite lunghe discussioni! Il popolo lavora tutto il giorno, suda, si sacrifica.. e noi perdiamo tempo a discutere? Basta con la politica delle discussioni!
LECKINSKIJ – (Esortando all’applauso) Giusto!!! Viva Anton Lùcrovich! Viva il Podestà!...
SONJA SEVITZJA – Bene. Allora propongo di mettere subito ai voti la proposta del nostro Podestà Anton Lùcrovich !
IL PODESTA’ – Ma mia cara Sonja Sevitzja, mi meraviglio di te: perché dovremmo perdere tempo in simili formalità? Dato che io sono il Presidente del Partito Popolar Populista che ha vinto le elezioni, è naturale che i membri del mio partito votino come dico io e perciò dichiaro approvata la legge sull’immunità del Podestà e dell’Ufficiale Postale. Anzi, d’ora in avanti voteremo sempre così!
LECKINSKIJ – (Esortando all’applauso) Giusto!!! Viva Anton Lùcrovich! Viva il Podestà!...
IL PODESTA’ – Ed ora amici, ringraziamo gli spettatori che ci hanno votato!
LECKINSKIJ – Ehm, …Anton, Anton…
IL PODESTA’ – Che c’è?
LECKINSKIJ – Hai sbagliato: hai detto “spettatori” invece che “elettori”!
IL PODESTA’ – Che? Sbagliato? No, non ho sbagliato affatto: “Elettori” e “Spettatori”, una volta che si è votato sono la stessa cosa! (al pubblico) Grazie amici, il vostro Podestà vi ama e vi ringrazia. Arrivederci.
(Il Podestà, seguito dai suoi assessori saluta sorridendo la platea. Poi la comitiva esce in parata).

PRIMO QUADRO
Luce sul palco, sono tutti seduti e mangiano. Per tutta la scena, sarà un continuo mangiucchiare.
SONJA SEVITZJA – E così ancora una volta gli elettori hanno votato per te e ti hanno confermato nella carica di Podestà. Mi chiedo come mai tanto consenso nonostante tutto.
IL PODESTA’ – Cara Sonja Sevitzja, il segreto è nell’ottimismo: i miei oppositori non fanno che mostrarsi arrabbiati, seriosi e preoccupati, non fanno che protestare ed accusare, esortando i cittadini all’impegno civile, alla denuncia… Io invece sorrido sempre e dico sempre che va tutto bene.
LUDMILLA MANESKA -  Però non è affatto vero che va tutto bene: la città è piena di debiti, manca tutto, la maggior parte della gente vive nella miseria. Quelli del Partito Bucolico Sociale sono odiosi, ma in fondo dicono le cose come stanno.
IL PODESTA’ – Ed è questo il punto: la gente non se lo vuole sentir dire! Io dico loro che le cose stanno già migliorando, che va tutto bene, che ci penserò io, che faremo grandi cose… Tra un pidocchioso che è cosciente della sua condizione ed un pidocchioso che crede che la sua condizione sia solo momentanea, è più felice il secondo: io glielo faccio intendere e lui ci vuole credere! Per questo votano me.
AMMOS RUBA – Giusto! Basta far loro credere ciò che vogliono credere e non chieder mai alcun impegno, non imporre mai dei doveri, lasciar intendere che le leggi che mal sopportano possono essere eluse, aggirate, disattese…. Se si è indulgenti e si incoraggiano le loro piccole malefatte, loro non verranno mai a rimproverarci le nostre. Brindiamo!
IL PODESTÀ – Brindiamo! (La bocca ancora piena) – Ora signóri, veniamo al motivo per il quale vi ho fatti venir qui oggi. Devo comunicarvi una notizia piuttòsto seccante: sta  arrivando da nói un ispettóre. Viène dalla capitale, in incògnito. E con istruzióni segréte, per giunta.
AMMOS RUBA– Come sarèbbe, un ispettóre!?
SONJA SEVITZJA – Un ispettóre dalla capitale!?
LUDMILLA MANESKA – Santo cielo! E con istruzióni segréte!
IL PODESTÀ – (si alza, si asciuga la bocca col tovagliolo) Vi lèggo la lèttera che ho ricevuto da Andrej Turalic: “Caro amico...” (brontola a mezza voce, scorrendo rapidamente con gli occhi) ...Ah, ècco: “Mi affrétto a informarti, tra l’altro, che è giunto un funzionario con l’incarico di ispezionare tutta la provincia e in particolare il nòstro villaggio…. (gli va di traverso il cibo e tossisce. I tre commensali lo soccorrono con grandi pacche sulle spalle. Poi riprende) …Siccóme anche tu, come tutti, avrai i tuoi peccatucci, ti consiglio di prèndere le tue precauzióni, perché può arrivare in qualsiasi moménto, se pur non è già arrivato e non si tròva in incògnito da qualche parte.”
LUDMILLA MANESKA –  Ma perché, Anton Lùcrovich, per quale motivo?
SONJA SEVITZJA - (si alza di scatto)  Perché un ispettóre déve vénire qui?
IL PODESTÀ – Perché? Un complotto dei miei oppositori! Sospetto che qualcuno di quei fanatici del Partito Bucolico Sociale avrà fatto giungere delle calunnie su di noi nella capitale! Io mi sacrifico per il bene dei cittadini e quegli inetti di social bucolici non fanno che denigrarmi, perseguitarmi e infangare la mia reputazione! Finóra – per fortuna - andavano in altre città, óra è venuto il turno della nòstra.
AMMOS RUBA– Io pènso, Anton Lùcrovich, che qui ci sia un motivo sottile e, più che altro,  di sicurezza. Ècco che còsa significa: che il governo... sì... vuol fare la guèrra, e il ministèro, vedi, ha mandato alla chetichèlla un funzionario per vedére se non ci sia del tradiménto da qualche parte.
IL PODESTÀ – Ma còsa vai a pensare!
LUDMILLA MANESKA - E sei un uòmo intelligènte! (si risiede)
SONJA SEVITZJA - Tradiménto in un capoluògo di circondario! (ridacchiando, si risiede)
IL PODESTÀ - È forse una città di frontièra? Per di qua, anche a galoppare per tré anni non si arriverèbbe in nessun altro stato!
LUDMILLA MANESKA – Non potrebbe essere che qualche viaggiatore di passaggio si sia fatta un’idea maligna sulla nostra amministrazione e ne abbia riferito a qualche ministero?
SONJA SEVITZJA – Idea? Che idea? E come avrebbe potuto farsela un’idea sull’amministrazione della nostra città?
LUDMILLA MANESKA – Non lo so. Magari leggendo sul giornale, ad esempio,  un articolo sui nostri ultimi provvedimenti, gli è sembrato che noi si stia esagerando…
IL PODESTA’ – Ah, questo di certo no! L’unico giornale della città, “La Gazzetta del Mattino” è di mia proprietà e ho dato ordine al tipografo di mettere sempre in risalto lo sport, la moda, la cronaca rosa, le notizie di fuori città e di non pubblicare mai più di due righe su certi provvedimenti, tralasciandone naturalmente il contenuto ed ogni approfondimento! I cittadini, come i viaggiatori, sul giornale possono trovare solo le informazioni che io ritengo opportune… e nella versione che meglio si addice ai nostri interessi.
AMMOS RUBA– No, vi dico, non capite... Quelli là hanno motivazióni che non possiamo comprèndere, ma ogni lóro atto ha una ragióne precisa...
IL PODESTÀ – Cèrto, cèrto… Beh, comunque io vi ho avvertiti. (si alza, allontanandosi dal tavolo) Per quanto mi riguarda io ho già préso qualche provvediménto e vi consiglio di fare altrettanto. Ascolta, Sonja Sevitzja! Sènza dubbio l'ispettóre vorrà visitare le òpere pie; perciò fà in mòdo che tutto abbia un’aria decènte: che i berrétti da nòtte siano puliti e che gli ammalati non sémbrino dei minatóri, vestiti cóme sóno di sòlito.
AMMOS/LUDMILLA/PODESTÀ - (La ammoniscono agitando il indice come a dire “non si fa, birichina”) Eh, eh, eh, eh, eh, eh…!
SONJA SEVITZJA -  Be’; quésto non è un problèma. Possiamo anche dargli déi berrétti da nòtte puliti, per una vòlta.
IL PODESTÀ – Sì. E in capo a ògni lètto si dovrèbbe anche scrivere in latino o in qualche altra lingua – quésto pòi riguarda te – tutte le malattie: quando uno si è ammalato, la data e il giórno... E soprattutto sarèbbe mèglio se ce ne fóssero di méno, di ammalati: lo attribuiranno subito alla pòca abilità del mèdico.
SONJA SEVITZJA – Oh, quanto alle cure abbiamo préso i provvediménti dél caso: si fa tutto nel mòdo più naturale. Le medicine costóse che ci passa il governo le rivendiamo sottobanco alle farmacie della provincia e perciò  non ne adoperiamo. È gènte comune: se muòre, muòre; se guarisce, guarisce.
LUDMILLA MANESKA – Se vive, vive…
AMMOS RUBA– Se crepa, crepa!
IL PODESTÀ - A te pure, Ammos Ruba, consiglierèi di prestare attenzióne ai locali giudiziari. Chi vuole addomesticare una sentenza o evitare qualche indagine fiscale spesso viene da te portando qualche “regalino”. Perciò nella tua anticamera gli uscièri tengono i capponi, le galline e òche domèstiche, con i lóro paperónzoli che ti si infilano tra i pièdi. Cèrto, è còsa lodévole accettare i segni di apprezzamento dei cittadini: e perché dunque non dovresti farlo? Soltanto, sai com’è, in un pósto cóme quéllo è sconveniènte...
AMMOS RUBA– Darò órdine òggi stésso di portarle tutte in cucina. (si alza) Se poi vorrai venire a pranzo da mé…
IL PODESTÀ - Quanto pòi ai tuoi affari intèrni e a qualche eventuale peccatuccio, non pòsso dire niènte. Del rèsto, nessuno di noi può considerarsene esente.
LUDMILLA MANESKA – Ma che còsa intendi tu, Anton Lùcrovich, per peccatucci?
AMMOS RUBA- Ci sóno peccatucci e peccatucci. Io dichiaro apertaménte a tutti che accètto dei regali, ma regali di che gènere? Cuccioli di levrièri, piccoli animali… È tutta un’altra còsa.
SONJA SEVITZJA – Bè, siano cuccioli o altro, sèmpre di regali si tratta.
SONJA/LUDMILLA/PODESTÀ – (c.s.) Eh, eh, eh, eh, eh, eh…..!
AMMOS RUBA– Eh no, Sonia Sevitzja! Ècco, per esèmpio, se qualcuno regala a mia móglie una pelliccia che còsta cinquecènto talleri, allora sì...
IL PODESTÀ – E tu óra, Ludmilla Maneska, cóme direttrice delle scuòle, devi essere meno severa: non puoi sempre minacciare gli alunni di rómpergli una sèdia in tèsta se non pagano la soprattassa scolastica che abbiamo istituito. Cèrto, può anche darsi che si débba far così, io non lo pòsso giudicare; ma pensa un po’ se lo fai quando c'è un visitatóre, il signor ispettóre o chiunque altro…, lo sa il diavolo còsa potrèbbe venirne fuòri.
SONJA/AMMOS/PODESTÀ – (c.s.) Eh, eh, eh, eh, eh, eh…..!
LUDMILLA MANESKA – Ma, diciamoci la verità, che pòsso farci? Ci ho già provato parécchie vòlte a trattenermi. Il fatto è che di natura sono così focósa…! Che voléte, io per la scuòla mi appassiono e sono prónta a sacrificare la vita”.
IL PODESTÀ – Va bène, ma così si dannéggia l'erario!
SONJA/AMMOS/PODESTÀ – (c.s.) Eh, eh, eh, eh, eh, eh…..!

SECONDO QUADRO
GORAN – (Sta lucidando le scarpe del suo padrone) Al diavolo, non ci védo più dalla fame. Mi sa che a casa non ci arriviamo! Sóno già due mési che siamo partiti dalla capitale! Gli són passati gli entusiasmi! Fa conoscènza coi viaggiatóri, poi si métte a giocare a carte e giòca finché non s’è rovinato. E perché? perché è un fannullone: invéce di andare in ufficio, se ne va a passéggio, giòca a carte... (posa le scarpe e prende la scopa) E óra la  locandièra ha détto che non ci dà da mangiare finché non si paga l’arretrato; e se non paghiamo, che accadrà? (con un sospiro) Ah, Dio mio, alméno un cucchiaio di minèstra! (Stankov dà segni di risveglio) Mi sa che a quést'óra tutti han già finito di mangiare. Ècco, sta per svégliarsi!. (Si dà da fare con la scopa per farsi vedere indaffarato).
STANKOV – (sbadigliando) Goran guarda un po’ là; c’è del tabacco nel pacchétto?
GORAN – (Umile) Avéte fumato l’ultima quattro giórni fa.
STANKOV – Sènti... Ehi, Goran!
GORAN – Che comandate?
STANKOV – Vai là.
GORAN – Dóve?
STANKOV – In sala... Vai a dire... che mi sèrvano il pranzo.
GORAN – Ah, no, non vòglio.
STANKOV – Come ti permétti, imbecille?
GORAN – Pròprio così. Del rèsto, anche se ci andassi non otterrèi nulla. La padróna ha détto che non vi darà più da mangiare.
STANKOV – E cóme ósa? Macché! Ècco un’altra delle tue fandònie!
GORAN – E dice anche che andrà dal podestà; sóno tre settimane che il signóre non paga: “Tu e il tuo padróne - dice lei, - siète dégli imbroglióni e il tuo padróne è un furfante".
STANKOV – Via, via, basta, imbecille! Vai, vai a chièdere il pranzo. Che razza di animale!
GORAN – Sarà mèglio che vi faccia venir qua la padróna in persóna.
STANKOV – Ma perché chiamare la padróna? vai tu a dirglielo.
GORAN – Ma, signóre...
STANKOV – E vai, che il diavolo ti pòrti! e chiama pure la padróna. (mettendosi la scarpa destra) Ho una fame da far paura! Mi ha mésso in un bell’impiccio quel capitano di fanteria... Quanto avrémo giocato in tutto? un quarto d’óra. E mi ha ripulito le tasche. Ah, cóme avrèi voluto misurarmi con lui ancóra una vòlta! Ma… mi è mancata l’occasióne. In che postaccio sóno capitato! I fruttivéndoli non danno niènte a crédito. Quésta è una véra infamia!
(Entra in scena la locandiera)
LA LOCANDIERA – Ebbène? Còsa vi occórre?
STANKOV – Salute, cara, Be’, cóme va? stai bène? (Fa segno a Goran di infilargli l’altra scarpa; questi esegue).
LA LOCANDIERA – Se Dio vuòle!
STANKOV – E cóme va la locanda, di’? Va tutto bène?
LA LOCANDIERA – Sì. grazie a Dio, tutto bène.
STANKOV – Mólti viaggiatóri?
LA LOCANDIERA – Sì, abbastanza.
STANKOV – Ascólta, cara, finóra non mi hai fatto portare il pranzo, védi di sollecitare... in mòdo che facciano alla svèlta; sai, subito dópo pranzo ho un impégno importante.
LA LOCANDIERA – Caro signore, a crédito non vi dò più nulla. Pensavo anzi di andare òggi stésso dal podestà a far ricórso.
STANKOV – Ma perché quésto ricórso? Ma, amica mia, giudica tu stéssa, io dèvo pur mangiare, non ti pare? Così mi ridurrò pèlle e òssa. Ho una fame da lupo, non stò mica scherzando.
LA LOCANDIERA – Che pòsso farci? Io vi dico che non vi darò il pranzo finché non avréte pagato il cónto precedènte. Guardate un po’!
STANKOV – Ma no, tu non capisci!
LA LOCANDIERA – E còsa dovrèi capire, sentiamo?
STANKOV – Devi capire chiaraménte che io ho bisógno di mangiare. Voi qui siéte tutti gente piccola, popolo! Per voi tirare la cinghia  e digiunare per un giórno intéro è abbastanza consueto…. Ma guarda che ròba!
GORAN – (Guarda la locandiera implorandola con gli occhi  finché…)
LA LOCANDIERA – E va bène, vi porterò qualcosa da mangiare. (A Goran) Vieni con me, tu. (esce.)


TERZO QUADRO
(Leckinskij è seduto a tavola a mangiare mentre gli altri quattro in piedi intorno a lui gli versano cibo sul piatto e da bere nel bicchiere)
LECKINSKIJ – Spiegatemi, signóri, che succède, chi è quésto funzionario che sta arrivando?
IL PODESTÀ – Ma tu non ne hai fórse sentito parlare?
LECKINSKIJ – L’ho sentito da qualcuno lì da me, all’ufficio postale.
IL PODESTÀ – Ebbène? Che ne pensi?
LECKINSKIJ – Che ne pènso? Pènso che ci sarà presto una guèrra.
AMMOS RUBA– Pròprio quéllo che dicévo io! Anch’io pènso la stéssa còsa.
SONJA SEVITZJA – Ma che guèrra e guèrra! Mi sa che ci saranno guai per noi, altro che guèrra.
Il PODESTÀ – E allóra, come va, Leckinskij?
LECKINSKIJ – Al sòlito. E tu, Anton Lùcrovich?
IL PODESTÀ – Al sòlito. Non è che mi preoccupi, ma così, un pòco... Io – ècco, lo giuro -, se anche mi sóno approfittato di qualcòsa è stato pròprio sènza cattivèria. Pènso perfino... (lo prende sottobraccio e lo conduce da parte) ...pènso perfino che ci sia stata qualche denuncia cóntro di mé. Per quale motivo altrimenti viène un ispettore da noi? Senti, Leckinskij, non potrésti tu, per il nòstro bène comune, aprire un pochino ògni lèttera che ti càpita all’ufficio postale, in arrivo e in partènza, e lèggerla, per vedére se non vi sia contenuta una qualche denuncia? Se non c’è nulla, si può richiuderla. Del rèsto, si può anche consegnare la lèttera così, apèrta.
LECKINSKIJ – Lo sò, lo sò... non stare a insegnarmelo; io lo faccio non tanto per precauzione, ma piuttòsto per curiosità: mi piace pazzaménte sapére quél che c’è di nuòvo nel móndo. E ti dico che è una lettura interessantissima. Cèrte lèttere si lèggono proprio di gusto: vi sóno bèn descritti tanti episòdi... e tutto è così istruttivo... mèglio della “Gazzétta del Mattino”.
IL PODESTÀ – Ebbène, dì un po’, non hai lètto niènte di qualche funzionario della capitale?
LECKINSKIJ – No, di uno della capitale pròprio niènte. Peccato però che vói non leggiate le lèttere: ce ne sóno di bellissime. Ècco,  pòco tèmpo fa un tenènte scrive a un amico ma da come scrive sembra si tratti di un “amichetto”!.. (ridacchia) …”l’amichetto”…ha, ha, ha…
AMMOS RUBA– Guarda che per quésto tuo vizietto prima o pòi la pagherài.
AMMOS/LUDMILLA/SONJA - (Lo ammoniscono) Eh, eh, eh, eh, eh, eh…!
IL PODESTÀ – Macché, quante stòrie! si tratta soltanto di una còsa fatta in famiglia.
LECKINSKIJ – Accidènti, Ora mi viene in mente! Come ho fatto a non pensarci subito!
TUTTI – Che è, che còsa c’è?
LECKINSKIJ – Avevo appéna chiuso l’ufficio postale, e, venèndo di là, ho incontrato Argànovič. Strada facèndo, Argànovič dice: “Entriamo un moménto alla locanda, fermiamoci a mangiare un boccóne”. Eravamo appéna entrati che a un tratto vediamo un giovanòtto di bell’aspètto, in abito civile, che cammina per la stanza: una fisionomia... un portaménto... Fatto cénno alla locandiera, Goran Argànovič le chiède sottovóce: “Chi è quél gióvane?” e la locandiera gli rispónde: “È un funzionario che viène dalla capitale e si chiama Boris Vladimir Stankov. Va nélla provincia di Saratov. E’ già più di una settimana che è qui: non lascia la locanda, prènde tutto a crédito e non vuòl pagare neanche un sòldo”. Quando mi ha détto ciò, mi si è accésa una lampadina. “Ehi! – dico ad Argànovič – ma che motivo ha di starsene qui quando déve andare nélla provincia di Saratov?” Sissignóre, è pròprio lui quel funzionario.
IL PODESTÀ – Chi, quale funzionario?
AMMOS RUBA– (Alzandosi allarmato) Che funzionario?
LUDMILLA MANESKA –  (c.s.) Che funzionario?
SONJA SEVITZJA – (c.s.) Che funzionario?
LECKINSKIJ – Quél funzionario del quale avéte avuto notizia, l’ispettóre.
IL PODESTÀ – (Ad Ammos) L’ispettore!
AMMOS RUBA– (a Ludmilla) L’ispettore!
LUDMILLA MANESKA –  (a Sonja) L’ispettore!
SONJA SEVITZJA – (al podestà) L’ispettore!
LECKINSKIJ – L’ispettóre!
PODESTA’/AMMOS/SONJA/LUDMILLA – (sedendosi affranti) L’ispettore!
LUDMILLA MANESKA – (alzandosi di scatto) Ma che dici? Ti sei bevuto il cervello? Non può èssere lui.
LECKINSKIJ – È lui! Non paga e non se ne va. Chi dovrèbbe èssere, se non lui?
SONJA SEVITZJA – (c.s.) Porcàccia di una miseria, proprio non ci voleva! E dóve allòggia?
LECKINSKIJ – Al numero cinque, sótto la scala. Pessima camera.
AMMOS RUBA– (c.s.) Ed è qui da mólto?
LECKINSKIJ – Sarà già una quindicina di giórni.
IL PODESTÀ – Quindici giórni! (A parte) In quésti quindici giórni abbiamo venduto  l’edificio della biblioteca all’impresario del bordello che vuole ampliare la sua attività… Non si è dato cibo ai detenuti!... Per le vie immondizia, sudiciume! Che vergógna! Che affrónto!
SONJA SEVITZJA – Ebbène, Anton Lùcrovich, andiamo in delegazióne all’albèrgo!
AMMOS RUBA – No, no! Bisógna mandare avanti il capo della città, il clèro, i mercanti...
IL PODESTÀ – No no; lasciate fare a mé. Nella vita me ne sóno capitate di circostanze difficili, le ho superate, e mi hanno perfino ringraziato. (Rivolgendosi a Leckinskij) Tu dici che è un giovanòtto?
LECKINSKIJ – Sì, avrà ventitré o ventiquattro anni, o pòco più.
IL PODESTÀ – Tanto mèglio: uno gióvane si fa prèsto a capirlo. È un guaio quand’è una vècchia vólpe; ma un gióvane è cóme un libro apèrto. Vói, signóri,  preparatevi all'ispezióne; io me né andrò da sólo, o magari con Leckinskij, in fórma privata, per… “assicurarmi che i viaggiatóri di passaggio non subiscano soprusi”…(esce con Leckinskij)
SONJA SEVITZJA – Guai in vista, Ammos Ruba! E’ meglio che andiamo, sbrighiamoci!
AMMOS RUBA– Ma di còs’hai paura? Fà mèttere i berrétti puliti agli ammalati e non ci sarà più traccia di niènte.
SONJA SEVITZJA – Altro che berrétti! Pensa: c’èra l'órdine di dare agli ammalati zuppe di avéna, e da mé per tutti i corridói c’è un tal puzzo di cavolo da tapparsi il naso.
AMMOS RUBA– Io invéce sóno tranquillo. Rifletti un po’: chi verrà mai al Tribunale Circondariale? O all’Ufficio dell’Erario? E se anche getterà uno sguardo su qualche incartaménto, perderà il gusto di vivere. (Escono tutti).



QUARTO QUADRO
STANKOV – Se non mi darà niènte da mangiare, …morirò! Non ho mai avuto una fame simile! Ho così fame che mi viène la nausea... (rientra Goran) Ebbène?
GORAN – Pòrtano il pranzo.
STANKOV – (batte le mani) Lo pòrtano! Lo pòrtano! Lo pòrtano!
LA LOCANDIERA – (coi piatti e un tovagliolo, li appoggia sul tavolino) Ecco qua: ma state certo che è pròprio l’ultima vòlta.
STANKOV – Già, sì, va bene, va bene... Che c’è da mangiare?
LA LOCANDIERA – Bròdo e pollo arròsto.
STANKOV – Cóme, sólo due piatti?
LA LOCANDIERA – Sólo due.
STANKOV – Guarda un po’ che ròba! Io non accètto. Non capisco davvéro che mòdo di fare sia quésto... È pòco.
LA LOCANDIERA – No, per voi mi sa che è anche tròppo.
STANKOV – E perché non c’è salsa?
LA LOCANDIERA – Non ce n’è.
STANKOV – Ma cóme non ce n’è? Passando accanto alla cucina ho visto che preparavano un sacco di pietanze. E stamani in sala da pranzo c’èran due ométti che mangiavano del salmóne e un gran piatto di qualche altra còsa.
LA LOCANDIERA – Sì, è véro, ma non ce n’è.
STANKOV – Cóme, non ce n’è?
LA LOCANDIERA – Non ce n’è pròprio.
STANKOV – E il salmóne, il pésce, le costolétte?
LA LOCANDIERA – È ròba per gènte che se la può pagare, signóre.
STANKOV – Non ho vòglia di discutere con te. (Si versa il brodo e mangia) Che razza di bròdo è quésto? Nella scodèlla c'è sólo acqua spòrca! Non ha nessun sapóre, soltanto un odóre da voltastòmaco. Non ne vòglio di quésto bródo, dammi  qualcòs’altro.
LA LOCANDIERA –Caro signore, se non ne voléte, potéte anche farne a méno. (fa per portare via la scodella)
STANKOV – (difendendo il cibo con la mano) Bè’, bè’, bè’ ... lascia stare! Sèi abituata a comportarti così con gli altri: ma non sóno mica délla stéssa razza, io! bada che con mé... (mangia) Mio Dio, che schifézza! (Continua a mangiare) Ci sóno soltanto pénne che galléggiano. Dammi il pollo arròsto! Goran, c’è rimasto un po’ di bròdo; prèndilo tu. (Gli porge la tazza. Addenta l’arrosto) E che arròsto è quésto? Quésto non è arròsto. (Goran beve ed esce)
LA LOCANDIERA – Ah. No? E cós’è allora?
STANKOV – Lo sa il diavolo che ròba è, ma cèrto non è arròsto. Invéce del pollo han mésso ad arrostire una scure. (Mangia) Furfanti, canaglie! Assassini! (mastica) È pròprio cortéccia d’albero! (mastica) Delinquènti! (mastica) Non c’è altro da mangiare?
LA LOCANDIERA – No. Questo basta e avanza. D’ora in poi se non pagate non vi darò più nulla. E farò chiamare il Podestà per denunciarvi. (esce).
STANKOV – Canaglie! Farabutti! Són buòni sólo a sprèmere i viaggiatóri. Pròprio cóme se non avéssi mangiato! Se avéssi qualche spicciolo, manderèi al mercato a comprare qualcòsa, magari una pagnòtta. (siede, la testa fra le mani) Farabutti! Gentaglia! Carogne….

QUINTO QUADRO
(Entrano Anna Lùcrovich e Marja Lùcrovich)
ANNA LÙCROVICH – Ma dóve sono, dóve? Ah, mio Dio!... Marito mio! Anton! Anton! (parla in fretta) Sèmpre tu, tutto per cólpa tua. E se n’è andata a gingillarsi: “Lo spillo! il foulard! (va di corsa alla porta e grida) Dóve vai, Anton, dóve vai? Che, è arrivato? L’ispettóre? con i baffi! E cóme sono? (Marja vede gli avanzi di cibo, lo assaggia, gli piace e si siede a mangiare di gusto).
LA VOCE DEL PODESTÀ – (fuori campo) Dópo, cara, dópo!
ANNA LÙCROVICH – Dópo? Bèlla novità, dópo! Macché dópo... Mi basta una sóla paròla: chi è? colonnèllo? Èh? (con tono sprezzante) È andato via! Quésta non te la perdóno! (alla figlia) E tu continua, sai: “Mamma, mamma, aspetta, che mi appunto il foulard di diètro; vèngo subito”. (toglie il piatto da davanti a Marja) Hai visto il tuo subito? Non abbiamo saputo niènte, ècco!
MARJA LÙCROVICH – (Riprendendo il piatto) Ma mamma, volevi che venissi qui senza prepararmi nemmeno un po’? Sono una ragazza giovane e…
ANNA LÙCROVICH – E sèmpre la maledétta civétteria: hai sentito che Leckinskij èra qui, e via a far la svenévole davanti allo spècchio: e óra si guarda da una parte e óra dall’altra. T’immagini che lui ti faccia il cascamòrto e quéllo invéce appéna ti vòlti ti fa le boccacce.
MARJA LÙCROVICH – Che ci vuoi fare, mamma? Che impòrta? Fra due óre saprémo tutto.
ANNA LÙCROVICH – Fra due óre! Grazie tante! Che bèlla rispósta! E cóme mai non ti è venuto in ménte di dirmi che lo saprémo ancóra mèglio tra un mése? (parla fuori) Ehi, Jovanka, hai sentito che sia arrivato qualcuno? No? Che scéma! Ma avrésti dovuto domandare in giro, no? (alla figlia) Sèmpre sciocchézze per il capo, è sèmpre ai fidanzati che pènsa. (parla fuori)  Corri, cérca di sapér da qualcuno dóve sóno andati; capito? E cérca di sapér tutto per bène: chi è che è arrivato, che tipo è, che òcchi ha, se són néri o no, e tórna immediataménte qui. Capito? (alla figlia) E tu adesso vièni con mé.  Prèsto, prèsto, prèsto, prèsto! (Escono)
SESTO QUADRO
GORAN (entra) – È venuto il podestà, non so per qual motivo; s’è informato di voi e vuol vedérvi.
STANKOV (spaventato) – Quésta poi! Quélla canaglia di locandièra ha fatto anche a tèmpo a denunciarmi! E se davvéro mi pòrtano in prigióne? Che fare? No, no, non vòglio! Con gli ufficiali, con la gènte che passéggia in città... No, non vòglio... Che mi può fare? Cóme si permétte, dico io? E chi créde che io sia: un mercante fórse o un artigiano? (prende coraggio e si raddrizza) Ma gliélo dirò chiaro e tóndo: “Cóme osate, voi? Voi cóme...”
(Il podestà entra con Leckinskij e subito si fermano. Entrambi si guardano. Anche Stankov li guarda preoccupato. Esce Goran)
IL PODESTÀ – I miei rispètti, signore.
STANKOV – Ossèqui.
Leckinskij – Scusate.
STANKOV – Di nulla.
IL PODESTÀ – Nella mia qualità di prepósto all’amministrazióne di quésta città ho il dovére di curare che tutto proceda bene con viaggiatóri di passaggio e con tutte le persóne....
STANKOV – Che fare?... Non ne ho cólpa... Cèrto che pagherò... Mi manderanno il denaro da casa. È la locandièra che ha la cólpa maggióre: mi dà del pollo così duro che sémbra légno; e il bròdo avrèi dovuto buttarlo dalla finèstra.
IL PODESTÀ – Scusate, davvéro, non è cólpa mia. Al nòstro mercato ci son sèmpre dei buoni polli. Non capisco dóve la vada a prèndere costei la carne cóme vói dite. Ma in quésto caso... Permettétemi di propórvi di passare con mé in un altro allòggio.
STANKOV – No, non  vòglio! Lo sò che significa passare in un altro allòggio: in galèra, significa. E che diritto avéte voi? Cóme osate? Io sóno in servizio nella capitale. Mi rivolgerò al ministro in persóna! Che credéte? Che non lo sappia cosa pensate? Lo so benissimo: pensate che io sia un povero rincoglionito, non è vero?
IL PODESTÀ – (tremante) Siate buòno, non mi rovinate! Ho móglie, una figlia... non mandatemi in disgrazia! Chi ha mai detto una cosa simile? E’ assolutamente falso! Io non ho mai usato la parola “rincoglionito” nei confronti di nessuno in vita mia! Se qualcuno vi ha riferito questo è un bugiardo! (a Leckinskij) Maledetti Bucolico-sociali, gliel’hanno già riferito! E chissà cos’altro! (a Stankov) Qui viviamo sempre nell’insufficiènza di mèzzi... Vogliate giudicare voi stésso: lo stipèndio che mi dà lo stato non basta neppure per il tè e per lo zucchero. Se pure ho profittato di qualcòsa, si tratta di vére piccolézze: qualcòsa per la dispènsa... un paio di vestiti.
STANKOV – Ebbène? A mé non impòrta pròprio niènte! Pagherò, pagherò quél che dèvo, ma adèsso non ho denaro. Ed è per quésto che non mi muòvo di qui, perché  non ho neanche un sòldo.
IL PODESTÀ – Se pròprio avéte bisógno di denaro o di qualcòs’altro son prónto a servirvi all’istante. È mio dovére aiutare i viaggiatóri di passaggio.
STANKOV – Datemi... datemi un prèstito. Regolerò subito il cónto con quésta locandiera délla malóra. Mi basteranno un paio di centinaia di talleri o anche méno. (Leckinskij che per tutta la scena è stato appiccicato al Podestà, si siede).
IL PODESTÀ – (porgendo dei biglietti) Duecènto talleri esatti, non vi prendéte la péna di contare.
STANKOV – (prendendo il denaro) Vi sóno mólto grato. Ve li manderò subito dal mio paése... circostanze impreviste... Védo che siète una persona di nòbile cuore. Adèsso si ragióna. Ehi, Goran! (entra Goran) Fai venire qua la padrona délla locanda! Ma perché state in pièdi? Sedéte, ve ne prègo.
Leckinskij – Non fa nulla, pòsso anche restare in pièdi. (poi si rende conto di essere seduto e si alza mentre il Podestà lo guarda male).
STANKOV – Sedéte, vi prègo. Ora comprèndo del tutto la lealtà e la generosità del vòstro animo, e dèvo confessare che in principio pensavo che fóste venuto per...
IL PODESTÀ – (siede) Me ne stavo andando in giro per affari d’ufficio, quando ho pensato di passare un moménto alla locanda per assicurarmi che i viaggiatóri fóssero trattati bène; ed ècco che, cóme prèmio, ho avuto l’occasióne di conóscere una persóna così simpatica.
STANKOV – Anch’io ne són mólto lièto. Sènza di voi, dèvo confessarlo, avrèi dovuto restar mólto tèmpo qua.
Leckinskij – Permettéte che vi chièda: qual è la mèta del vòstro viaggio?
STANKOV – Vado nélla provincia di Saratov, nélle mie tèrre.
IL PODESTÀ – Cèrto è un bèl viaggio quéllo che fate!
Leckinskij – E ci resterete per mólto tèmpo?
STANKOV – Davvéro non sò. Dite quél che voléte, ma io lontano dalla Capitale non pòsso vivere. E perché mai dovrèi sciupare la mia vita fra i contadini? Bèn altre sóno le mie esigènze adèsso; l’animo mio anèla alla luce délla civiltà.
IL PODESTÀ – Avéte fatto una giusta osservazióne. Che si può fare nélla solitudine délla campagna? Anche qui d’altra parte, vedéte: uno non dòrme, si dà da fare continuaménte per il bène della patria, non risparmia alcun sacrificio e non sa quando ne sarà ricompensato.
Leckinskij – (Dà uno sguardo in giro alla camera) Non vi sémbra che quésta camera sia un po’ umida?
STANKOV – È una camera pèssima e vi sóno cèrte cimici che di simili non ne ho mai viste: mòrdono cóme cani.
IL PODESTÀ – Ma via! Oh, per cólpa di chi dève soffrire un òspite di tanto riguardo, di così raffinate abitudini? Per cólpa di pèrfidi insètti che non avrèbbero dovuto neanche venire al mondo!
Leckinskij – E quésta camera non vi sémbra tròppo buia?
STANKOV – Altro che buia! La padrona ha préso l’abitudine di non fornire candéle. Talvòlta vorrèi far qualcòsa, lèggere, o mi vièn l’èstro di compórre qualche còsa e non pòsso: buio, tròppo buio.
IL PODESTÀ – Óso chièdervi... ma no, non ne són dégno.
Leckinskij – No, infatti, non è degno…
STANKOV – Che còsa?
IL PODESTÀ - No, no! Non són dégno, non són dégno!
Leckinskij – Infatti, non è degno, c’è poco da… (Il Podestà lo guarda torvo).
STANKOV – Ma di che si tratta, dunque?
IL PODESTÀ – Mi permetterèi... A casa mia, ho per vói un’òttima camera, pièna di luce, tranquilla... Ma no, mi rèndo cónto io stésso che sarèbbe un onóre tròppo grande... Non andate in còllera, vi giuro che l’ho propósto ingenuaménte, sènza alcun secóndo fine.
STANKOV – Al contrario, accètto con piacére. Starò più a mio agio in una casa privata che non in quésta stambèrga.
IL PODESTÀ – Oh, che piacére per mé! E cóme sarà contènta mia móglie! Sóno fatto così, io: fin dall’infanzia sóno stato educato all’ospitalità, spècie pòi se l’òspite è una persóna fine cóme vói. Non pensate che io lo dica per adulazióne, no, non ho quésto vizio; quél che vi dico è l’espressióne sincèra dei mièi sentiménti vèrso di vói.
STANKOV – Vi sóno profondaménte grato. Mi piace la vòstra franchézza e il vòstro mòdo di fare così generóso e apèrto. Dévo riconóscere che a me impòrta sólo che mi si dimóstri devozióne e stima, stima e devozióne.
IL PODESTA’- Ah, dite bene: devozione e stima, stima e devozione…
LECKINSKIJ – Devozione e stima, stima e…. (Il Podestà lo guarda minaccioso) Scusate. (entra La Locandiera)
LA LOCANDIERA – Avéte chièsto di mé?
STANKOV – Sì, dammi il cónto.
LA LOCANDIERA – Appéna ièri vi ho portato il secóndo cónto.
STANKOV – Ma che ricòrdo io dei tuoi stupidi cónti! Dimmi: quant’è in tutto?
LA LOCANDIERA – (Col blocco in mano comincia a controllare) Il primo giórno avete pranzato, il secóndo avete mangiato sólo del salmóne e pòi avéte cominciato a prèndere tutto a crédito.
STANKOV – Stupida! Si métte a fare il cónto ora! Quant’è in tutto?
Leckinskij – Non vi preoccupate, vi prègo: può aspettare. (alla locandiera prendendole di mano il conto) Vattene via, ti si manderanno. (la locandiera esce)
STANKOV – Sì, ti si manderanno. …Così va bène! (si mette in tasca il denaro)
IL PODESTÀ – Che ne diréste ora di visitare alcuni istituti della nòstra città, per esèmpio gli istituti di pubblica beneficènza?
STANKOV – E che c’è di interessante?
IL PODESTÀ – Così, per vedére qual è il nòstro sistèma... l’órdine...
STANKOV – Con gran piacére, sóno a vòstra disposizióne.
IL PODESTÀ – E di là, col vòstro bèneplacito, potrémmo andare nélle scuòle del distrétto dóve potréte rèndervi cónto del sistèma con cui da noi si inségnano le sciènze.
STANKOV – Va bène, va bène.
Leckinskij – Se poi voléte visitare i luoghi di péna e le prigióni délla città, potréte vedére in tutti i particolari qual è da nói il trattaménto riservato ai malfattóri.
STANKOV – A che scòpo le prigióni? Sarà mèglio che visitiamo le òpere pie.
IL PODESTÀ – Cóme mèglio credéte. (a Leckinskij, prendendogli di mano il conto che questi aveva preso alla locandiera) – Ascolta: corri a gran velocità ad avvertire Sonja Sevitzja che sia tutto preparato all’Opera Pia e poi a portare un biglietto a mia móglie. (A Stankov) Pòsso chièdervi il permésso di scrivere in vòstra presènza due paròle a mia móglie perché si prepari a ricévere un òspite di tanto riguardo?
STANKOV – Ma certo. Fate pure.
IL PODESTÀ – Scriverò qui: (scrive)
LECKINSKIJ – Faremo visita alle Opere Pie e vi faremo anche un buon pranzo. Le cucine Sonja Sevitzia sono sempre ben fornite.
STANKOV – E chi sarebbe Sonia Sevitzia?
LECKINSKIJ – Sonja Sevitzja, la direttrice delle Opere Pie e Assessore ai Servizi Sociali e Sanità! E poi potremmo visitare le scuole: conoscerete Ludmilla Maneska,
STANKOV – Che sarebbe? La direttrice della scuola?
LECKINSKIJ – Non solo: è anche Assessore all’Istruzione e alla Cultura!
IL PODESTA’- Ecco qui. Ve ne prègo, andiamo! Dirò io al vòstro sèrvo di portar la valigia da mé. (a Leckinskij) Ecco a te, porta questo a mia moglie (consegnando il biglietto fa un cenno di intesa), svelto! (Leckinskij parte di corsa. A Goran) Sènti, amico, tu pòrta tutto il bagaglio a casa mia, dal podestà, chiunque potrà indicartela. Favorite, prègo.
(I due notabili escono per primi. Stankov e Goran restano soli per qualche istante e si scambiano occhiate e gesti significativi (ma per chi ci hanno presi?). Escono anche loro).

SETTIMO QUADRO
(Entrano Marja Lùcrovich e la madre)
MARJA LÙCROVICH – Ormai da un moménto all’altro dovrèbbe arrivare Jovanka. (Guarda fuori) Ah, mamma, mamma! c’è qualcuno che viène, là in fóndo alla strada.
ANNA LÙCROVICH – Macché! Ne hai sèmpre qualcuna délle tue. Ah, sì, c’è qualcuno che viène. Ma chi sarà?
MARJA LÙCROVICH – È Leckinskij, mamma!
ANNA LÙCROVICH – Ma che Leckinskij! Hai sèmpre délle fantasie per il capo... Non è affatto Leckinskij. (sventola il fazzoletto) Ehi, tu, vieni qua, prèsto!
MARJA LÙCROVICH – Ma cóme, mamma, non lo vedi che è pòprio Leckinskij?
ANNA LÙCROVICH – Già, è Leckinskij, óra lo védo; che hai sèmpre da discutere? (grida dalla finestra) Più svèlto, più svèlto! cammini tròppo lènto. Ebbène, dóve sóno? È mólto sevèro? Eh? E mio marito, mio marito? (stizzita, si allontana un po’ dalla finestra) Che stupido! Quéllo finché non è entrato in quésta stanza non dice una paròla!
MARJA LÙCROVICH – Come sto mamma? Mamma, guardami: sto bene? Ho forse qualcosa fuori posto?
ANNA LÙCROVICH – Sì, certo che hai qualcosa fuori posto, civetta che non sei altro!
MARJA LÙCROVICH – Oh, aiutami presto! Cos’ho che non va, mamma?
ANNA LÙCROVICH – Il cervello! La tua testolina vuota, ecco cosa… (Entra Leckinskij). Ma non ti vergogni? Io contavo sólo su di te ritenèndoti una persóna cóme si déve: a un cèrto moménto tutti se ne vanno di córsa e tu, via, diètro a lóro! E io fino a quésto moménto non rièsco a trovare qualcuno che mi faccia capire qualcòsa. Non ti vergogni?
Leckinskij – Ma non vedi che pròprio per dimostrarti in qual cónto ti tèngo, ho fatto una córsa che tiro sólo adèsso il fiato? I mièi omaggi, Marja Lùcrovich!
MARJA LÙCROVICH – Buongiórno.
ANNA LÙCROVICH – Dunque? Sù, racconta cóm'è andata!
LECKINSKIJ – Anton Lùcrovich ti manda quésto bigliétto.
ANNA LÙCROVICH – Sì, ma che tipo è? Che è, generale?
LECKINSKIJ – No, non è generale, ma non è da méno di un generale; che educazióne! Che dignità di mòdi!
ANNA LÙCROVICH – Bè', raccontami tutto per benino.
LECKINSKIJ – Per fortuna tutto va per il mèglio. In principio è andato in còllera, dicéva che la locanda èra indecènte, che non era un rincoglionito, che non voléva andare a finire in prigióne per cólpa altrui… ma pòi, quando si è accòrto dell'innocènza di Anton Lùcrovich e la conversazióne è andata prendèndo un tòno più confidenziale, tutto si è mésso bène. Adèsso sóno andati a visitare le òpere pie...
ANNA LÙCROVICH – Dimmi piuttòsto: che aspètto ha? È vècchio o gióvane?
LECKINSKIJ – Gióvane, un giovanòtto sui trent’ anni; "Cóme voléte, - dice, - verrò in quésto, in quél pósto..." "A mé piace scrivere, lèggere un po'; ma non pòsso,  - dice, - perché quésta camera è tròppo buia".
ANNA LÙCROVICH – E com'è? Bruno o bióndo?
LECKINSKIJ – No, si dirèbbe piuttòsto castano scuro.
ANNA LÙCROVICH – Che diavolo mi scrive in quésto bigliétto? (legge) "Prepara  una camera per quést'ospite di riguardo; quélla coi parati gialli; non ti preparar tròppa ròba per pranzo, perché farémo uno spuntino da Sonja Sevitzja; Ordina invece il vino da Radovan. Che mandi il mèglio che ha; altriménti gli butto all'aria la cantina. A presto tuo Anton..."  Ah, mio Dio, adèsso bisógna far prèsto.
LECKINSKIJ – Io, Anna Lùcrovich, devo scappare. Corro ad aiutare nei preparativi per l’ispezione.
ANNA LÙCROVICH – Vai, vai, non ti trattèngo. (Le due donne restano sole.) Su, Marja, adèsso dobbiamo pensare a vestirci per bène. Viène dalla capitale, lui: Dio non vòglia che abbia a ridere di nói. A té conviène mèttere l'abito celèste.
MARJA LÙCROVICH – Oh, pròprio quéllo celèste, mamma! Non mi piace affatto. No, sarà mèglio che mètta quéll'altro a colóri.
ANNA LÙCROVICH – Quéllo a colóri!... Sémbra che tu lo faccia appòsta a contraddirmi. Ti starà mólto mèglio l'altro perché io vòglio mèttere quéllo giallo; mi piace mólto il giallo.
MARJA LÙCROVICH – Ah, mamma, il giallo non ti sta bène!
ANNA LÙCROVICH – Non mi sta bène il giallo?
MARJA LÙCROVICH – Sicuro; scommètto quéllo che vuoi che ti sta male: ci vògliono òcchi scuri, mólto scuri per quél colóre.
ANNA LÙCROVICH – Oh, quésta è bèlla! E io non ho gli òcchi neri fórse? Non potrèbbero èssere più scuri. Che sciocchézze dici! Così néri che quando faccio il solitario per conóscere il futuro la mia carta è sèmpre la regina di fióri!
MARJA LÙCROVICH – Ah, no, mamma! La tua carta è piuttòsto la regina di cuòri.
ANNA LÙCROVICH – Sciocchézze, tutte sciocchézze. Io non sóno mai stata la regina di cuòri. (Esce in fretta insieme a Marja e parla da fuori scena) Ma che còsa va a immaginare! La regina di cuòri! Dio, Dio, che mi tócca sentire!
INTERMEZZO
Leckinskij con Sonja Sevitzja, muniti di camici e cuffie si precipitano in platea e le fanno indossare ad alcuni spettatori che fungeranno da ammalati per l’ispezione. Ad ognuno consegneranno anche un cartello con scritta la malattia (ad es.: “Obesità” ,“Carenza finanziaria”, “Broncopolmonite”, “Febbre suina”, “Anoressia”, “Otite siero emorragica”…). Podestà. Stankov e Goran arriveranno in visita. A soggetto gli attori faranno qualche domanda spiritosa o imbarazzante a qualche spettatore:
IL PODESTA’ – (a un signore grasso col cartello “Anoressia”) Buongiorno. Le presento il signor Boris Vladimir Stankov, in visita alla nostra città. Lei come si chiama? (…) Come sta? (…) (a Sonja) Che malattia aveva questo signore?
SONJA SEVITZIA – Il signore era affetto da anoressia: quando fu ricoverato due mesi fa  pesava 39 chili; non si reggeva in piedi. Vero signore?
STANKOV -  Incredibile!
IL PODESTA’ – Vero? Auguri e arrivederci. Vediamone un altro…
SONJA SEVITZIA – (signora con cartello “Carenza Finanziaria) Ecco una signora ricoverata perché affetta da Carenza finanziaria…
STANKOV -  Ah, non sapevo fosse una malattia. Ve ne sono molti casi?
SONJA SEVITZIA – Pochissimi! Qui stanno tutti bene. La signora purtroppo insiste a mangiare tutti i giorni e si è ammalata. Ma domani verrà operata e così poi sarà guarita.
STANKOV -  Ah, si? E come…
SONJA SEVITZIA – La signora ha un rene in più, infatti ne ha ben due. Ne asportiamo uno e con metà del ricavato della vendita la signora risolverà la sua carenza.
STANKOV -  Però! Ma perché solo con metà del ricavato?
SONJA SEVITZIA – La signora ha “spontaneamente” deciso di destinare metà del ricavato in donazione al nostro istituto di cura, vero signora? (…)
IL PODESTA’ – Vediamo un altro paziente. Quel signore ad esempio (indica un signore anziano con il cartello “Sindrome da tempo libero”. Gli si avvicinano). Caro signore, come si chiama? (…) Le presento il signor Boris Vladimir Stankov, in visita alla nostra città.
SONJA SEVITZIA – Il Signor … è stato da noi ricoverato perché dopo una vita passata a lavorare sanamente le sue 10 – 12 orette al giorno, raggiunta l’età di 60 anni, ha smesso di lavorare.
STANKOV -  Non capisco: cosa vuol dire?
SONJA SEVITZIA – E’ molto grave: ha cominciato a dire che lavorare troppo è un male,  a leggere libri, a parlare con i suoi figli, gli amici… Era addirittura arrivato a pensare di testa sua! Pensi che guaio se contagiasse i giovani. Abbiamo parecchi casi di questo tipo, purtroppo.
IL PODESTA’ – E’ una vera epidemia! Purtroppo la consapevolezza di avere diritto alla pensione rende tante persone inclini a lasciare il lavoro appena maturati gli anni necessari. Ma sto preparando delle efficaci misure per combattere questo flagello.
STANKOV -  Ah, si? Quali, per esempio? Ridurre le pensioni?
IL PODESTA’ – No di certo: noi non mettiamo mai le mani nelle tasche dei cittadini! E’ sufficiente lasciar crescere il costo della vita senza intervenire in alcun modo e di fatto le pensioni, e anche gli stipendi,  si riducono automaticamente. Inoltre aumenteremo l’età pensionabile a 75 anni, ma daremo degli incentivi a chi accetterà di lavorare anche fino a 80, 85 anni!
STANKOV -  Siete sorprendente Anton Lùcrovich.
(Il podestà ha un cenno di intesa con Leckinskij che si reca in un altro settore della sala dove troverà Ludmilla Maneska munita di cappellini e Lecca-lecca giganti: li daranno ad altri spettatori istruendoli per la successiva visita).
SONJA SEVITZIA – (indicando una donna o ragazza magra col cartello “Obesità”) Ecco, la signora per esempio…
IL PODESTA’ – Buongiorno signora, posso sapere il suo nome? (….) Piacere. Le presento il signor Boris Vladimir Stankov, in visita alla nostra città. Vuole dirci per quale malattia è ricoverata? (…).
SONJA SEVITZIA – La signora, affetta da obesità, è stata ricoverata da noi tre mesi fa che pesava 165 chili. Vero signora? (…).
IL PODESTA’ – Per esempio oggi cos’ha mangiato, signora (Sonja fa dei segnacci: non è una domanda da fare!) ?
SONJA SEVITZIA – (qualsiasi cosa abbia risposto la donna) Appunto, e come vedete il risultato è ottimo. La signora sarà dimessa a giorni.
STANKOV -  Prodigioso! Complimenti.
IL PODESTA’ – Grazie Sonja. Ora andremo a visitare gli istituti scolastici. Ludmilla Maneska ci starà senz’altro aspettando, poi torneremo qui per il pranzo. Arrivedercia dopo.
SONJA SEVITZIA – Arrivederci.
  Il Podestà, Stancov e Goran si avviano dopo aver salutato Sonja, verso il settore della sala in cui li attende Ludmilla Maneska. Sonja Sevitzja, raggiunta da Ammos Ruba, recupera gli oggetti dati agli spettatori “ammalati” ed esce.
LUDMILLA MANESKA – Benvenuti. Sono Ludmilla Maneska, direttrice délle scuòle, Assessore alla pubblica istruzione e alla cultura.
STANKOV -  Onoratissimo. Boris Vladimir Stankov.
IL PODESTA’ – Cara Ludmilla, facci visitare questi tuoi cari studenti su cui poggiano le nostre speranze per il futuro.
LUDMILLA MANESKA - Prego da questa parte. (al pubblico) Su ragazzi, salutate il signor Podestà. Insieme: “Buongiorno Signor Podestà”…
Il pubblico dovrà pronunciare il saluto, ma Ludmilla con fare militaresco imporrà di ripetere una o due volte a voce più alta.
LUDMILLA MANESKA – E vi pare un saluto questo? Più forte: “Buongiorno Signor Podestà”…
IL PODESTA’ – Va bene, va bene così Ludmilla.
LUDMILLA MANESKA -  Bambini, questo è il signor Boris Vladimir Stankov, in visita alla nostra città. Gli facciamo vedere quanto siamo preparati? …. Non ho sentito dire “Sì”: rispondete tutti insieme… Gli facciamo vedere quanto siamo preparati? (ottiene la risposta). Così va bene. Il Podestà o il signor Stankov vogliono fare delle domande?
IL PODESTA’ – Oh, certo. (a uno spettatore) Tu come ti chiami? (…) Bene, …, sai dirmi quanto fa 6 x 6? (…) e 100 + 100? (…) e 25 : 5 ? (…) Bravissimo! (a un altro spettatore)  E tu? Qual è il tuo nome? (…) bene, che bel nome; Sai dirmi qual è la capitale della Francia? (…) e qual è la capitale della Grecia? (…) Bravo!...
LUDMILLA MANESKA – (Vicino ad una ragazza di circa 16/17 anni o meno) Prego signori, questa ragazza ora vi dirà la filastrocca “Ambarabà ciccì cocò” . Prego (La ragazza, eventualmente con suggerimenti, recita la filastrocca).
STANKOV -  Brava, veramente brava.
IL PODESTA’ – Molto brava e anche carina. Come ti chiami? (…) Bellissimo nome, e quand’è il tuo compleanno? (…) E dove abiti? (…) Bene. Allora ti prometto che quando compirai gli anni verrò alla tua festa e ti porterò un bellissimo regalo!
LUDMILLA MANESKA – Ringrazia! Devi dire: “Grazie Signor Podestà”. Ripeti! (…)
IL PODESTA’ – Prego cara. Chiamami pure… beh, lasciamo stare. E se vuoi venirmi a trovare a casa mia o al municipio vieni quando vuoi e porta pure tante tue amichette carine come te, hai capito? (a Stankov)  Mi piace pazzamente che intorno a me ci sia sempre bellezza e gioventù. (A Leckinskij). Tu ti occuperai, quando servirà, di andarle a prendere e poi di riportarle a casa con i nostri mezzi.
LECKINSKIJ – Veramente Anton, dovresti stare attento: dubito che tua moglie Anna Lucrovich gradisca che tu…
IL PODESTA’ – E che diavolo! Cosa pretende? Sono un uomo in salute e vigore; in giro ci sono tante belle figliole… in fin dei conti non sono mica un santo! (Agli scolari) Buona giornata e buono studio a tutti.
LUDMILLA MANESKA – Su, salutate il Signor Stankov e il Signor Podestà. Tutti insieme: “Buongiorno Signor Stankov, buongiorno Signor Podestà”! (…) Più forte! (…)
Il Podestà e gli altri, una volta interrogati gli scolari se ne escono in parata mentre Ludmilla aiutata da Leckinskij, recupera cappellini e lecca-lecca e li raggiunge.

FINE PRIMO ATTO


OTTAVO QUADRO
(Entrano Stankov, il podestà, Sonja Sevitzja)
STANKOV – Eccellènti istituti. Mi piace che abbiate la consuetudine di far vedére ai viaggiatóri di passaggio tutto quéllo che c'è nélla città. Nélle altre non mi hanno mostrato niènte.
IL PODESTÀ – Permettétemi di dire che qui ad altro non si pènsa che a meritare, cól buòn órdine e cón la più rigorosa vigilanza, la benèvola attenzióne délle superióri autorità.
STANKOV – È stata òttima la colazióne; mi sóno pròprio rimpinzato. Ogni giórno così, da vói?
IL PODESTÀ – No; è stato espressaménte per il gradito òspite.
STANKOV – Mólto buòno. Dov'è che abbiamo fatto colazióne? Nell'ospedale, véro?
SONJA SEVITZJA – Sì, pròprio, nell'òpera pia.
STANKOV – Ricòrdo, ricòrdo, c'erano déi lètti. E gli ammalati tutti guariti? Mi sémbra di avérne visti pòchi.
SONJA SEVITZJA – C'è rimasta non più di una decina di paziènti; gli altri sóno tutti guariti. È pròprio quésto il nòstro sistèma. Da quando io ho préso la direzióne, fórse potrà  sembrarvi addirittura inverosimile, tutti guariscono cóme mósche. L'ammalato non fa a tèmpo a entrare nell'ospedale che è bèll'e guarito; e non tanto per i medicaménti, quanto per l'onestà e l'órdine dell'amministrazióne.
 (Entrano Anna e Marja)
IL PODESTÀ – Mi permétto di presentarvi la mia famiglia: mia móglie e mia figlia.
STANKOV (inchinandosi) – Cóme sóno felice, signóra, di fare la vòstra conoscènza.
ANNA LÙCROVICH – A noi è ancór più gradito di conóscere una persóna cóme vói. Sedéte, ve ne prègo.
STANKOV – Stare accanto a vói anche in pièdi è già una fortuna; d'altra parte, se pròprio lo voléte, siederò. Cóme sóno felice di èssere finalménte seduto accanto a vói.
ANNA LÙCROVICH – Scusate, non pòsso neppure pensare che lo diciate per mé... Ritèngo che per vói, abituato alla capitale, il viaggio sarà stato assai pòco piacévole.
STANKOV – Straordinariaménte spiacévole. Abituato a vivere, comprenez-vous, nél gran móndo, ritrovarsi d'un tratto per strada: locande spòrche, le tènebre dell'ignoranza... Davvéro, se non ci fósse stata quésta occasióne che mi ha... (guarda Marja Andreenva) ...mi ha così bèn ricompensato di tutto...
ANNA LÙCROVICH – Ma cóme potéte dirlo! Mi fate mólto onóre. Non meritiamo tanto.
STANKOV – Perché mai non lo meritate? Lo meritate, signóra.
ANNA LÙCROVICH – Io vivo in campagna...
STANKOV – Sì, ma d'altra parte anche la campagna ha i suoi pòggi, i suoi ruscèlli... Cèrto nessuno pènsa di far paragóni con la capitale! Nella capitale ho una délle case più bèlle. Tutti conóscono la casa di Boris Vladimir  (rivolgendosi a tutti) Ve ne prègo, signóri, se vi trovaste per caso nella capitale, venite senz'altro da mé. Do anche déi balli, sapéte.
ANNA LÙCROVICH – Immagino che gusto, che sfarzo in quéi balli!
STANKOV – (in crescendo, sempre più alticcio. Balla con Sonja, poi con Marja e Anna, che se lo contendono, durante il suo monologo) Non ne parliamo neanche! Io vado ogni séra a qualche ballo. Avevamo organizzato anche un tressètte, così per nòstro cónto: il ministro dégli èsteri, l'ambasciatóre di Francia, gli ambasciatóri di Inghiltèrra e Germania, e io. E si giocava fino a stancarsi, una còsa pròprio straordinaria. Facévo appena a tèmpo a córrer su per le scale fino al mio quarto piano... sólo la scala mi còsta... E sarèbbe interessante dare uno sguardo alla mia anticamera ancór prima che io mi svégli: cónti e prìncipi che stanno ad aspettare e rónzano cóme calabróni sicché non si sènte che un continuo brusio... Anche sulle buste mi ci mètton tanto di eccellènza. Una vòlta ho perfino dirètto una sezióne del ministèro. (smette di ballare. Nel frattempo non visto, il Podestà confabula con Sonja che, dopo un cenno d’intesa, se ne va alla chetichella)  Molti generali aspiravano ad avérlo e si misero all'òpera, ma appéna iniziata, dovèttero subito rinunciare; era tròppo difficile. E, visto che non c'èra niènte da fare, ricórsero a me: "Boris Vladimir , venite a dirigere la sezióne!". Volévo rifiutare, ma pensai che ne potésse giungere notizia al Presidente... "cóme voléte, signóri, - dissi, - accètto l'incarico, accètto, ma voi sapéte cóme sono fatto; niènte da fare, eh!  A mé non la fa nessuno! Io... " ...Io ho le mani dappertutto. Da un moménto all'altro mi promuòvono feldmaresciallo... (barcolla)
IL PODESTÀ – Vòstra eccellènza non desidera riposare?
STANKOV – Macché riposare… Cóme voléte, pòsso anche andare a riposare. Buòna la vòstra colazióne, signóri... sóno soddisfatto, sóno soddisfatto.


NONO QUADRO
ANNA LÙCROVICH – Ah, com'è simpatico!
MARJA LÙCROVICH – Ah, che amóre!
ANNA LÙCROVICH – E che finézza di mòdi! Si riconósce subito uno che viène dalla capitale. Che manière... Ne sóno pròprio incantata! Gli uomini così mi piacciono un móndo. … Gli sóno mólto piaciuta: ho notato che non mi staccava gli òcchi di dòsso.
MARJA LÙCROVICH – Ah, mamma, guardava mé.
ANNA LÙCROVICH – Brava, raccóntane anche di più gròsse! Quésta è assolutaménte fuòri luògo.
MARJA LÙCROVICH – Nò, mamma, davvéro!
ANNA LÙCROVICH – Ècco! Alméno una vòlta tu potéssi evitare di contraddirmi! Non è possibile e basta! Cóme potéva guardare té? E quale motivo avéva di guardarti?
MARJA LÙCROVICH – Sicuro, mamma, mi guardava continuaménte. Per esèmpio mi ha guardata quando raccontava délle partite a tressètte con gli ambasciatóri.
ANNA LÙCROVICH – Via, fórse una guardatina, ma sólo così, di passaggio. "Bè' – si sarà détto – diamo una guardatina anche a lei".
(Entra il podestà)
IL PODESTÀ (entra camminando in punta di piedi) – Sst... sst...
ANNA LÙCROVICH – Che c'è?
IL PODESTÀ – Mi dispiace di avérlo ubriacato. E se anche soltanto la metà di quéllo che ha détto fosse véro?  (riflette) E perché non dovrèbbe èssere véro? Quando un uòmo ha bevuto un po' tròppo non può nascóndere niènte: quéllo che ha nel cuòre ha sulla lingua. Cèrto che un po' ha esagerato; ma è impossibile parlare sènza esagerazióne. Giòca con i ministri, va dal Presidente... Davvéro, più ci pènsi... Lo sa il diavolo… Sarà bène fare attenzióne a quéllo che si dice…
ANNA LÙCROVICH – Io invéce non mi són sentita per nulla intimidita; in lui ho visto soltanto un uòmo del gran móndo, un uòmo di educazióne superióre, e del suo grado non me ne impòrta nulla.
IL PODESTÀ – Eh, vói dònne! Non c’è niènte che abbia importanza per vói! Quando uno méno se lo aspètta venite fuòri con qualche parolétta fuòri luògo. Tu, anima mia, lo trattavi con tanta confidènza che paréva avéssi a che fare con Leckinskij. Cóme tutto è diventato strano nel móndo: alméno fósse un tipo che dà nell’òcchio: cóme si fa a capire chi è? E s’era piazzato in quélla locanda e non ne voléva venir via e ha fatto un tal ricamo di allegorie e di frasi a dóppio sènso, che davvéro non riuscivo a raccapezzarmici. Ma alla fine ha ceduto. Ha parlato anche più di quanto non dovésse. Si véde che è gióvane.
DECIMO QUADRO
(Entra Goran)
ANNA LÙCROVICH – Vièni qua, caro.
IL PODESTÀ – Sst!.. che fa? che fa? dòrme?
GORAN – Sì; adèsso comincia a stiracchiarsi un po’.
ANNA LÙCROVICH – Dimmi, cóme ti chiami?
GORAN – Goran, signóra.
IL PODESTÀ (alla moglie e alla figlia) – Fate silènzio! (A Goran) Ebbène, amico, ti han dato da mangiare per bène?
GORAN – Sì, signóre, vi ringrazio; ho mangiato pròprio bène.
ANNA LÙCROVICH – E dimmi un po’: dal tuo padróne ci va sèmpre una gran quantità di cónti e di prìncipi?
GORAN – Sì,  arrivano soprattutto dei cónti.
MARJA LÙCROVICH – Goran caro, com’è grazióso il tuo padroncino!
ANNA LÙCROVICH – Di’, per favóre, Goran, lui cóme...
IL PODESTÀ – Smettétela, vi prègo! Con le vòstre chiacchiere non fate che disturbarmi. Dunque, cóme va, amico?...
ANNA LÙCROVICH – E che grado ha il tuo padróne?
GORAN – Oh, il sòlito.
IL PODESTÀ – Ah, mio Dio, ancóra e sèmpre con le vòstre sciòcche domande! Di’ un po’, amico, com’è il tuo padróne?... è sevèro?
GORAN – Eh, gli piace l’órdine. Per lui tutto déve èssere eseguito alla perfezióne.
IL PODESTÀ – Mi piace mólto, sai, la tua faccia. Tu devi èssere un brav’uòmo, amico mio. E dimmi...
ANNA LÙCROVICH – E il tuo padróne là nella capitale, va in divisa?
IL PODESTÀ – Basta adèsso con quésto cicaléccio! Mi occórre sapére qualcòsa da cui può dipèndere la vita di un uòmo... (A Goran) Be’ sai, amico, che davvéro mi piaci mólto. Quando si è in viaggio un bicchière di tè in più non fa mai male; èccoti un paio di talleri per il tè.
GORAN (prendendo il denaro) – Cóme ringraziarvi, signóre? Che il Signóre vi dia ògni bène! Avéte aiutato un pover’uòmo.
IL PODESTÀ – Bène, bène, è un piacére anche per mé. E di’, amico...
ANNA LÙCROVICH – Ascólta, Goran, e quali òcchi piacciono di più al tuo padróne?
MARJA LÙCROVICH – Goran caro! Che bèl portamento ha il tuo padroncino!
IL PODESTÀ – Ma basta!... (a Goran) Dimmi, per favóre, amico mio, a che còsa tiène di più il tuo padróne? insómma, che còsa gli piace di più quando viaggia?
GORAN – Ora una còsa, óra un’altra, cóme capita. Più di tutto gli piace di èssere bèn accòlto e che gli si òffrano dei buòni pranzi.
IL PODESTÀ – Buòni?
GORAN – Sicuro. E, vedéte, io sóno un sèrvo di sua proprietà e tuttavia egli si preòccupa che trattino bène anche mé. Capita che facciamo un viaggio in qualche pósto. “Ebbène, Goran, - mi chiède - ti hanno trattato bène?” “Male, illustrissimo!” “Uhm, - dice lui, - quésto, Goran, non è un buòn padróne di casa. Quando sarò arrivato, ricòrdamelo”.
IL PODESTÀ – Bène, bène. Prima ti ho dato qualcòsa per il tè ed èccoti óra ancóra del denaro per le ciambèlle.
GORAN – Ma perché v’incomodate, illustrissimo? (intasca il denaro) Berrò anche quésti alla vòstra salute.
ANNA LÙCROVICH – Vièni, Goran, prèndi qualcòsa anche da mé.
MARJA LÙCROVICH – Goran caro, saluta da parte mia il tuo padroncino.
(Dall’altra camera si sente Stankov che tossicchia).
IL PODESTÀ – Sst! Guai se fate rumóre! Andatevene! Fatela finita!...
ANNA LÙCROVICH – Andiamo, Marja, ti dirò còsa ho notato nel nòstro òspite; una còsa che si può dire soltanto a quattr’òcchi. (escono)
IL PODESTÀ – E anche là continueranno a chiacchierare! (si rivolge a Goran) Bène, caro, se te ne vuoi andare a fare un giro finché il tuo padrone si riposa, fai pure... (lo sospinge come se volesse liberarsi in fretta di lui) Vai, vai pure…
GORAN -  Grazie signore, andrò a bere alla vostra salute (esce).
Il Podestà, rimasto solo, si assicura che Stankov stia dormendo, che sua mogli e la figlia non siano nei paraggi e che Goran se ne sia effettivamente andato. Poi fa dei segni a qualcuno che evidentemente aspettava fuori.

UNDICESIMO QUADRO
Entrano, con fare furtivo, uno dietro l’altro Sonja Sevitzja, Leckinskij, Ammos Ruba e Ludmilla Maneska.
SONJA SEVITZJA – Eccoci qua, Anton. Ho chiamato tutti come mi avevi detto di fare.
IL PODESTÀ – Bene, bene. Entrate, svelti. Lui sta dormendo, il servo è uscito ora e così possiamo fare il punto della situazione.
LECKINSKIJ – Abbiamo portato i talleri come ci hai mandato a dire per Sonja.
AMMOS RUBA – Trecento talleri, eccoli qua.
LUDMILLA MANESKA – trecento ne ho anch’io. Ma che ti salta in testa Anton? Vuoi che proviamo a corrompere l’ispettore?
IL PODESTA’ – Sst…! Ora vi spiego il mio piano. Quando andammo alla locanda a fargli visita, io e Leckinskij, abbiamo saputo che lui si trovava in difficoltà per via del fatto che aveva finito il denaro…
LECKINSKIJ – E’ vero. E Anton gli ha dato in prestito un po’ di denaro.
IL PODESTA’ -  Esattamente. E poi durante la visita alle Opere Pie abbiamo constatato che stava particolarmente appiccicato a Sonja, ogni momento era buono per cercare di toccarla, di…
LECKINSKIJ – Una piovra, le mani sempre addosso… (Sonja lo guarda male).
IL PODESTA’ - Ebbene signori, ora noi sappiamo che lui ha due debolezze: il denaro e le donne. Per questo vi ho chiesto di venire portando con voi un po’ di liquidi.
AMMOS RUBA – Questo vuol dire che intendi offrirgli del denaro affinchè taccia su quanto noi si va maneggiando nell’amministrazione?
LUDMILLA MANESKA – Ma come? Così?
IL PODESTA’ – No, e che? Così ci denuncerebbe tutti quanti! Dicevo che si è ben capito che gli interessano donne e denaro…
LECKINSKIJ – Denaro (agita le banconote) e donne (indica Sonja)!
SONJA SEVITZJA – Eh, no! Se pensate che io mi presti ad assecondare i suoi approcci, vi sbagliate di grosso! Io non ci sto.
AMMOS RUBA – Beh, perché no? Se questo serve a rendercelo amico…
LUDMILLA MANESKA – Non sarebbe poi un gran sacrificio: E’ un bell’uomo.
SONJA SEVITZJA – D’accordo, ma allora perché non lo fai tu?
LUDMILLA MANESKA – Se servisse alla causa non mi tirerei indietro. Ma purtroppo ha messo gli occhi su di te.
LECKINSKIJ – E anche le mani (sghignazza. Sonja lo gela con uno sguardo).
IL PODESTA’ – Sst, statemi a sentire! Ecco il mio piano: uno ad uno voi verrete qui con la scusa di una visita di cortesia, così tanto per presentarvi. Se il mio intuito non m’inganna, basterà fargli intendere la vostra disponibilità a compiacerlo, a fargli qualche favore, e vedrete che sarà la sua avidità a spingerlo a chiedervi di “prestargli” il denaro…
SONJA SEVITZJA – Già, e per quanto riguarda me? In che modo, fino a che punto dovrei compiacerlo secondo te?
LUDMILLA MANESKA – Per il bene comune sacrificarsi, darsi fino in fondo è un onore Sonja….
IL PODESTA’ – Mah, non saprei… Se proprio proprio non ti va… (ha un’idea) Anna!
AMMOS RUBA – Anna Lùcrovic ? Vuoi dire che tua moglie si presterebbe a…?
IL PODESTA’- Ma certo, lei ci saprebbe fare. Poco fa lui non staccava gli occhi dalla sua scollatura. Credo proprio che lei potrebbe prendere il posto di Sonja in questa impresa…
AMMOS RUBA – E credi che tua moglie accetterà?
IL PODESTA’ – Chi? Anna? Per lei sarà un giochetto lavorarselo a dovere.
LECKINSKIJ – Anna Lùcrovic: chi meglio di lei? Una professionista!
IL PODESTA’ – (Lo guarda male) Entro certi limiti, s’intende, (tra sé) almeno spero.
LUDMILLA MANESKA – Limiti? Che limiti Anton? Non è il momento di tentennare. Se questo è un dovere, per il bene comune si va fino in fondo! E che cavolo!
IL PODESTA’ – Beh, vedremo. Comunque siamo intesi: appena si sarà alzato ciascuno di voi verrà a fargli visita. Uno alla volta, mi raccomando: se foste in due non funzionerebbe: mai davanti a un testimone. Gli darete il denaro e ve ne andrete subito subito. Tu comunque, Sonja, cerca di essere seducente, di blandirlo almeno un po’. Poi per il resto vedremo con Anna. Diamogli l’impressione di essere cordiali e… onesti, ecco.
LECKINSKIJ – Però, Anton,  se noi gli diamo i soldi, tu gli dài tua moglie… chi ci assicura che poi non se ne va a denunciarci comunque?
IL PODESTA’ – Imbecille! Non gli “dò mia moglie”! Deve solo lavorarselo un po’!
AMMOS RUBA – Ma non si sa mai…
IL PODESTA’ – Ammos, ti ci metti anche tu? Vi spiego una cosa: quando uno che “deve controllare” accetta favori da coloro sul cui operato dovrebbe vigilare, automaticamente i rapporti cambiano; così se noi eravamo i “controllati” e lui il “controllore”, una volta che lui diventa con noi “pappa e ciccia”, saremo noi a controllare lui, se non vorrà che nella capitale pensino che si sia lasciato corrompere! Chi sarà allora il “controllato”? Chi il “controllore” tra noi e lui? Se poi si invaghisse anche di mia moglie, non ci sarebbero limiti a quanto potremmo far fruttare il suo appoggio! Eh? Sono o non sono una vecchia volpe? Bene ora andiamocene di là, verrete poi a visitarlo a turno come s’è detto. (si avviano per uscire; Ludmilla si attarda e quando sono usciti tutti tranne Sonja…).
LUDMILLA MANESKA – Scusami Sonja… Posso parlarti un momento?
SONJA SEVITZJA – Si… Che c’è?
LUDMILLA MANESKA – Mi spieghi il motivo di tutti questi scrupoli? Qualche anno fa  facevi la ballerina nei locali e di scrupoli non te ne facevi per niente. Quando Anton Lùcrovich veniva a divertirsi eri la sua preferita o sbaglio? Del resto è grazie a questo che sei diventata direttrice delle Opere Pie e poi anche Assessore alla sanità.
SONJA SEVITZJA – E questo che vuol dire? Ora ho una carica pubblica. Il come l’ho ottenuta non è affar tuo. Tu piuttosto: lo sappiamo bene che il gestore del bordello è solo un prestanome e che sei tu la proprietaria.
LUDMILLA MANESKA – Ebbene? Con questo?
SONJA SEVITZJA – Tanto hai fatto che hai convinto Anton a cedere i locali destinati alla biblioteca al gestore del bordello – cioè a te – per due soldi. Tu di scrupoli te ne fai pochi anche adesso, a differenza di me.
LUDMILLA MANESKA – Cara Sonja, ti informo che ad Ammos Ruba, quell’avvoltoio, ho dovuto concedere il venti per cento degli utili, perché cambiasse a mio favore la normativa che impediva quella transazione. E ti ricordo che sia tu che Anton Lùcrovich avete avuto il vostro tangibile tornaconto ad approvare l’operazione. Questa è la politica, Sonja.
IL PODESTA’- (entra con la testa) E allora, venite?
LUDMILLA MANESKA – Certo Anton, arriviamo. (a Sonja) Datti da fare con quell’ispettore, Sonja, per il bene di noi tutti, dei nostri affari e anche tuo. Intesi?
SONJA SEVITZJA – Vedrò cosa posso fare… ma entro certi limiti (escono).

DODICESIMO QUADRO
(Entra Stankov con gli òcchi assonnati)
STANKOV – Sémbra che io abbia dormito sòdo. Dóve mai sóno andati a prènderli tanti materassi e tanti piumini? Hò perfino sudato. Qui, cóme védo, si può trascórrere il tèmpo piacevolménte. A mé piace l’ospitalità cordiale, sincèra e dèvo dire che preferisco èssere ospitato così, sènza secóndi fini. (Entra il giudice, ha in mano qualcòsa.)
AMMOS RUBA– Hò l’onóre di presentarmi: Ammos Ruba, giudice di quésto distrétto nonché Assessore alla giustizia e alle tasse.
STANKOV – Prègo, sedéte. Così voi siéte il giudice di quésta città?
AMMOS RUBA– Venni mandato qui molti anni fa e sóno rimasto in carica fino a òggi.
STANKOV – Ed è redditizia la carica di giudice?
AMMOS RUBA – Non molto per la verità, ma da quando sono entrato in politica al fianco di Anton Lùcrovich le cose vanno a gonfie vele.
STANKOV – Che avéte in manò?
AMMOS RUBA - (confuso, gli cadono a terra dei bigliétti) – Niènte.
STANKOV – Cóme, niènte? Védo che vi sóno caduti dei sòldi.
AMMOS RUBA– Nò, affatto...
STANKOV (raccattando il denaro) – Sì, quésto è denaro. Sapéte che dovréste fare? darmelo in prèstito.
AMMOS RUBA– Ma cèrto, ma cèrto... con grande piacére.
STANKOV – Hò spéso mólto, sapéte, durante il viaggio: óra quésto, óra quéllo... Del rèsto, ve li manderò subito dal mio paése.
AMMOS RUBA– Ma vi prègo, cóme potéte pensarlo! (si alza e si métte sull’attènti) Nón òso importunarvi più a lungo con la mia presènza. Vi saluto e vi auguro una buona permanenza
STANKOV – Vi ringrazio mólto. (il giudice esce, entra Goran) È una brava persona, quésto giudice! (dà i sòldi a Goran)
(Entra LECKINSKIJ)
LECKINSKIJ – Hò l’onóre di presentarmi: ufficiale postale Andrej Leckinskij.
STANKOV – Ah, prègo, accomodatevi.  Sedéte. Vói abitate qui, véro?
LECKINSKIJ – Pròprio così.
STANKOV – Mi piace, sapéte, quésto villaggio. E voi, oltre a dirigere l’ufficio postale come trascorrete il vostro tempo? Al gioco?, alla caccia?...
LECKINSKIJ – Oh, no. Niente del genere; io, ecco… mi diletto a scrivere poesie!
STANKOV – Poesie? Eccellente occupazione la letteratura! E che genere di poesie scrivete? D’amore? Sulla natura?
LECKINSKIJ – No no, niente del genere. Il mio soggetto preferito è… il nostro podestà: Anton Lùcrovich! Molti miei componimenti sono anche stati pubblicati… Sulla Gazzetta del Mattino.
STANKOV – Scrivete poesie sul podestà? Questa è singolare davvero. Non ho mai sentito niente del genere. Sarei proprio curioso di sapere che versi si possono scrivere su un podestà…
LECKINSKIJ – Ah, vi accontento subito. Ho giusto con me un’ode appena composta. Volete che ve la legga?
STANKOV –  Ve ne prego, vi ascolterò volentieri.
LECKINSKIJ – Ecco: si intitola  “Ode al Podestà Anton Lùcrovich”
C’è un grand’uomo nel villaggio
Che per noi pensa e provvede
Egli è uomo di coraggio
Quando parla gli si crede.
Da quei biechi senza legge
Dei Bucolico-Sociali
Ci difende e ci protegge
Perchè sono dei maiali.
Antòn Lùcrovich si chiama
Questo esempio di bontà
Ed ognun di noi lo ama
Egli è il nostro Podestà!
STANKOV – Dèvo riconoscere che avete grande considerazione del vostro podestà, véro? Dev’essere proprio un grand’uomo per voi tutti.
LECKINSKIJ – Pròprio così: un santo!
STANKOV – Che cos’è poi che occórre per governare? Basta èssere stimati e amati sinceraménte, nón è véro?
LECKINSKIJ – Più che véro.
STANKOV – Sóno pròprio contènto che siate della mia opinióne. È véro che dicono che sóno un po’ strano ma, vedéte, quésto è il mio carattere. Ma sentite còsa mi è capitato: nel córso del viaggio hò avuto tante spése che sóno rimasto senza sòldi. Nón mi potréste prestare trecènto talleri?
LECKINSKIJ – Ma cèrto! è per mé un onóre. Ècco, prègo. Sóno veraménte lièto di potérvi èssere utile.
STANKOV – Vi sóno mólto grato.
LECKINSKIJ (si alza in piedi) – Nón òso importunarvi più a lungo con la mia presènza. Avéte da fare alcun rilièvo riguardante l’amministrazióne delle pòste?
STANKOV – No, niènte. (Leckinskij si inchina ed esce, Stankov prende un sigaro, dà i sòldi a Goran) Anche Leckinskij mi pare una gran brava persóna; mólto serviziévole. Mi piace la gènte così.
(Entra la direttrice delle scuole.)
LUDMILLA MANESKA – Hò l’onóre di presentarmi: Ludmilla Maneska, direttrice délle scuòle, Assessore alla pubblica istruzione e alla cultura. Vi ricordate di me?
STANKOV – Certamente. Ho visitato la vostra scuola. Prègo, si accòmodi! Sedéte, sedéte! Come và la scuola da queste parti? Come funziona?
LUDMILLA MANESKA – Benissimo. Grazie alla nuova soprattassa da noi imposta, finalmente ci sono meno classi e meno numerose. solo chi può pagar… ehm, solo chi è davvero intelligente frequenta la scuola.
STANKOV – Ah, così?
LUDMILLA MANESKA – Certamente: perché sprecare risorse a cercar di istruire figli di contadini, manovali, braccianti? Meglio concentrare l’istruzione su chi se ne dovrà servire. Che utilità avrebbe l’istruzione per chi deve zappare, portare la carriola o roba del genere?
STANKOV –  Nessuna si direbbe.
LUDMILLA MANESKA – Senza contare che questi zucconi poi, appena cominciano a imparare qualcosa, pretendono di capire tutto e fanno mille domande su tutto. Quelli del Partito Bucolico Sociale non aspettano altro!
STANKOV – Inammissibile!
LUDMILLA MANESKA – Vero? E poi con meno classi abbiamo potuto risparmiare sugli stipendi degli insegnanti e anch’io…
STANKOV – Anche voi?...
LUDMILLA MANESKA – Bè, non è facile far la direttrice: quando la scuola era frequentata da tutti, tre manici di scopa, due sedie e una stecca da disegno mi si sono rotte, in una sola settimana, durante le punizioni che ero costretta a dare agli indisciplinati che gli insegnanti mi portavano in direzione. Vabbè, acqua passata. Ora a scuola ci va solo chi è giusto che ci vada e per le punizioni mi basta un  semplice frustino: eccolo.
STANKOV – Vediamo, posso?
LUDMILLA MANESKA – Prego (gliela porge. Stankov la afferra e la “prova” su Goran).
STANKOV – (Restituendo l’oggetto) Eccellente. Brava, mi compiaccio. Complimenti.
LUDMILLA MANESKA – Non dite così, mi confondete...
STANKOV – Sapéte, mi è accaduto un fatto assai strano: durante il viaggio, sènza accòrgermene, hò spéso tutto quéllo che avévo. Nón avréste da prestarmi trecènto talleri?
LUDMILLA MANESKA (estrae dalla borsa alcune banconote e le porge) – (a Goran) Ci mancherèbbe che nón li avéssi! (a Stankov)  Èccoli.
STANKOV – Vi sóno mólto grato.
LUDMILLA MANESKA – (Si alza) Nón mi permétto di disturbarvi óltre con la mia presènza. (esce)
STANKOV – Arrivedérci. (dà i sòldi a Goran)
(Entra Sonja Sevitzja)
SONJA SEVITZJA – Hò l’onóre di presentarmi: Sonia Sevitzja, soprintendènte alle òpere pie, Assessore alla Sanità e all’Assistenza sociale.
STANKOV – Buòngiórno, sedétevi, ve ne prègo.
SONJA SEVITZJA – Vi ricordate di me? Hò già avuto l’onóre di accompagnarvi e di ricévervi personalménte nella sède délle òpere pie affidate alla mia vigilanza e poi vi ho riaccompagnato qui.
STANKOV – Ah, sì! ricordo. Avéte offèrto un’eccellènte colazióne.
SONJA SEVITZJA – Sóno lièta di fare (sottolinea) qualsiasi còsa per il bène della patria.
            (TANGO)
STANKOV – Fatemi un favóre, Sonja Sevitzja, mi è accaduto un fatto strano: durante il viaggio hò spéso, quasi senza accòrgermene, tutto il mio denaro. Nón avréste da prestarmi quattrocènto talleri?
SONJA SEVITZJA – Li hò. (tira fuori sòldi dalla borsa e li porge)
STANKOV – Vedéte, che bèlla combinazióne! Vi sóno mólto grato.
(Esce Sonja Sevitzja.)
STANKOV – È véro che ièri hò gettato lóro un po’ di pólvere negli òcchi. Però… Che massa di imbecilli! (dà i sòldi a Goran) Dévo scrivere tutto a Gregor: lui scrive cèrti articolétti!… se li cucinerà a dovére! Ehi, Goran, pòrtami carta e inchiòstro!
GORAN – Subito!
STANKOV – E guai a chi capita tra le mani di Gregor: per una battuta spiritósa nón farèbbe grazia nemméno a suo padre! Del rèsto, quésti funzionari sóno brava gènte; è stato un bèl gèsto da parte lóro prestarmi dei quattrini. A propòsito, vediamo un po’ quanti ne hò: trecènto... seicènto... settecènto... com’è unta quésta carta! Ooh! Andiamo óltre i mille! Adèsso mi dovrésti capitare tra le mani, capitano! e vedrémmo cóme si metterèbbero le còse! (Goran pòrta carta e penna.) Ebbène, stupido, lo védi cóme mi trattano, cóme mi accòlgono? (comincia a scrivere)
GORAN – Sì, grazie a Dio! Ma sapéte che vi dico, Boris Vladimir ?
STANKOV – Che còsa?
GORAN - Partite subito! In nóme di Dio, è già tèmpo!
STANKOV (scrive) – Che sciocchézza! Perché?
GORAN – Così! Dio li aiuti tutti! Vi siète divertito qui; adèsso basta. Per quale motivo impelagarvi ancóra con quésta gènte? Mandateli al diavolo! Nón si sa mai: può arrivare qualcun altro... in nóme di Dio, Boris Vladimir, dovréste partire!
STANKOV (scrive) – No, vòglio star qui ancóra un pòco. Partirémo domani.
GORAN – Ma perché domani? Ascoltatemi, Boris Vladimir , partiamo. È evidènte che vi hanno préso per un altro... E anche vòstro padre andrà su tutte le furie per quésto ritardo! Pensate a cóme viaggerémo bène!
STANKOV (scrive) – Sta bène. Ma prima pòrta quésta lèttera e al tèmpo stésso prepara tutto per il viaggio. E stai attènto a far le cose per bene!
GORAN – Signore, per nón pèrdere tèmpo sarà mèglio che prepari i bagagli.
STANKOV (scrive) – Va bène. Sarèbbe interessante sapére dóve abita adèsso, in via della Pòsta o nella via Gorochovaja? A lui, si sa, piace cambiare caśa spésso, lasciando sèmpre qualcòsa da pagare. Affidiamoci alla sòrte e scriviamo in via della Pòsta.
(Arrotola e scrive l’indirizzo. Stankov chiude la lèttera e la affida a Goran, che esce.)

TREDICESIMO QUADRO
(Entra Marja Lùcrovich.)
MARJA LÙCROVICH – Ah!
STANKOV – Che còsa vi ha spaventato tanto, signorina?
MARJA LÙCROVICH – No, nón mi sóno spaventata.
STANKOV (con affettazióne) – Permettétemi di chièdervi, dóve stavate andando?
MARJA LÙCROVICH – Davvéro, nón andavo in nessun pósto.
STANKOV – E perché nón andavate in nessun pósto?
MARJA LÙCROVICH – Pensavo che qui ci fosse la mamma...
STANKOV – No, vorrèi sapére pròprio perché nón andavate in nessun pósto.
MARJA LÙCROVICH – Io vi hò disturbato. Voi eravate occupato in còse importanti.
STANKOV – Ma i vòstri òcchi són mèglio di qualsiasi còsa importante... Voi nón potéte disturbarmi in nessun mòdo, pròprio in nessun mòdo; al contrario potréte sólo farmi piacére.
MARJA LÙCROVICH – Voi parlate cóme s’usa nella capitale...
STANKOV – Cóme si usa con una persóna avvenènte cóme vói. Pòsso avére il piacére di offrirvi una sèdia? Ma no, per vói una sèdia nón basta: ci vuòle un tròno.
MARJA LÙCROVICH – Davvéro nón sò... dovrèi pròprio andare: (siede)
STANKOV – Che bèlla collanina che avéte!
MARJA LÙCROVICH – Siète un bèl burlóne, voi; sèmpre a ridere alle spalle dei provinciali.
STANKOV – Cóme mi piacerèbbe, signorina, èssere la vòstra collanina per poter cingere il vòstro còllo di giglio!
MARJA LÙCROVICH – Nón capisco di còsa state parlando: la collanina... Che tèmpo strano òggi!
STANKOV – E le vòstre labbra, signorina, son mèglio di qualsiasi tèmpo.
MARJA LÙCROVICH – Sèmpre lo stésso argoménto... Vorrèi pregarvi di scrivere per ricòrdo sul mio album qualche vèrso. Voi certaménte ne sapéte mólti.
STANKOV – Per vói, signorina, tutto quéllo che voléte.
MARJA LÙCROVICH – Ditemi dunque: quali scriveréte per mé?
STANKOV – È mèglio invéce che io vi òffra il mio amóre, quéll’amóre che il vòstro sguardo... (avvicina la sèdia)
MARJA LÙCROVICH – L’amóre! Nón capisco l’amóre... nón hò mai saputo che còsa sia l’amóre... (allontana la sua sèdia)
STANKOV – Ma perché allontanate la vòstra sèdia? Starémo mèglio seduti uno accanto all’altra.
MARJA LÙCROVICH (scostandosi) – Ma perché mai vicino? Lontano fa lo stésso.
STANKOV (accostandosi) – Ma perché mai lontano? Vicino fa lo stésso.
MARJA LÙCROVICH (si scosta) – Ma perché mai?
STANKOV (avvicinandosi) – Cóme sarèi felice, signorina, se potéssi stringervi appassionataménte fra le mie braccia.
MARJA LÙCROVICH (guarda alla finestra) – Oh, che è che paréva volasse? una gazza o qualche altro uccèllo?
STANKOV (la bacia sulla spalla e poi guarda alla finestra) – È una gazza.
MARJA LÙCROVICH (si alza indignata) – No, quésto poi è troppo... Quale ardire!...
STANKOV (trattenendola) – Perdonatemi, signorina; l’hò fatto per amóre, pròprio per amóre.
MARJA LÙCROVICH – Ma credéte che io sia una provinciale a tal punto... (cerca di andar via)
STANKOV (continuando a trattenerla) – Per amóre, davvéro, per amóre. L’hò fatto sólo per schérzo: nón andate in còllera, Marja Lùcrovich! Sóno prónto a chièdervi perdóno in ginòcchio. (Si butta in ginòcchio) Perdonatemi, via, perdonatemi! Lo vedéte: sóno in ginòcchio.
(Entra Anna Lùcrovich.)
ANNA LÙCROVICH (vedendolo in ginòcchio) – Ah, che scèna!
STANKOV – (si rialza in fretta) Al diavolo!
ANNA LÙCROVICH (alla figlia) – Che significa quésto, signorina? Che mòdo di comportarsi è mai quésto?
MARJA LÙCROVICH – Io, mamma...
ANNA LÙCROVICH – Vai via di qua! Hai capito? Via, via! E nón farti più vedére! (Marja se ne va in lacrime) Scusate, ma comprenderéte che sóno mólto stupita...
STANKOV (si butta in ginòcchio) – Signóra, lo vedéte che ardo d’amóre.
ANNA LÙCROVICH – Cóme, in ginòcchio? Alzatevi, alzatevi, qui il paviménto nón è affatto pulito.
STANKOV – No, in ginòcchio, sènz’altro in ginòcchio; vòglio sapére qual è la mia sentènza, la vita o la mòrte. Se nón coronate il mio etèrno amóre significa che nón sóno dégno dell’esistènza terréna.
ANNA LÙCROVICH – Permettéte che vi faccia osservare una còsa; io in un cèrto sènso... io sóno maritata.
MARJA LÙCROVICH (entra di corsa improvvisaménte) – Mamma, ha détto il babbo che vói... (vedendo Stankov in ginòcchio dà un grido) Ah, che scèna!
ANNA LÙCROVICH – Ma che fai? che vuoi? perché sèi qui? oh, che sventata! Vièn déntro di córsa improvvisaménte cóme fósse istupidita! Bè’, che ci tròvi di tanto sorprendènte? Che ti viène in ménte? Pròprio cóme una bambina di tré anni! Quando imparerai a conóscere le buòne règole e a tenére un contégno sèrio?
MARJA LÙCROVICH (attraverso le lacrime) – Io, mamma, davvéro nón sapévo...
STANKOV (prendendo Marja per mano) – Anna Lùcrovich, nón vi opponéte alla nòstra felicità, benedite il nòstro etèrno amóre!
ANNA LÙCROVICH (trasecolata) – E così è di lèi...
STANKOV – Decidéte: la vita o la mòrte?
ANNA LÙCROVICH – Lo védi, sciòcca, lo védi che per té, per una ragazzina da nulla cóme té, il nòstro òspite si è degnato di méttersi in ginòcchio. Óra davvéro vale la péna che io per punirti rifiuti. Tu nón sèi dégna di una tale fortuna!
MARJA LÙCROVICH – Nón lo farò più mamma; davvéro, nón lo farò più.

QUATTORDICESIMO QUADRO
Entra il podestà.
ANNA LÙCROVICH – Sai quale onóre si dégna di farci il nòstro Boris Vladimir ? Chiède la mano di nòstra figlia.
IL PODESTÀ – Ma cóme? Che dici? Quésta è ammattita! Nón andate in còllera, eccellènza: le manca qualche venerdì; anche sua madre, del rèsto, èra così.
STANKOV – Sì, io chièdo pròprio la mano di vòstra figlia. Sóno innamorato.
IL PODESTÀ – Nón pòsso créderlo, eccellènza!
ANNA LÙCROVICH – Ma se te lo sta dicèndo!
STANKOV – Ve lo dico seriaménte... Pòsso anche impazzire per quésto amóre.
IL PODESTÀ – Nón òso créderlo, sóno indégno di tanto onóre.
STANKOV – E se vói nón date il vòstro consènso al mio matrimònio con Marja Lùcrovich, sa Iddio quéllo che io pòsso fare...
IL PODESTÀ – Nón pòsso créderlo, vói voléte scherzare, eccellènza!
ANNA LÙCROVICH – Oh che imbecille, davvéro! Ma se te lo sta spiegando!
IL PODESTÀ – Nón pòsso créderlo.
STANKOV – Consentite, vi prègo! Sóno un uòmo disperato, capace di qualsiasi còsa: se mi tirerò un cólpo di pistòla, vi metteranno sótto procèsso.
IL PODESTÀ – Ah, mio Dio! Io davvéro nón ne hò nessuna cólpa! Nón andate in còllera! Fate pure cóme vi piace, eccellènza! Io davvéro nón sò... nón sò quéllo che avviène nélla mia tèsta. Sóno diventato così stupido cóme nón sóno mai stato finóra.
ANNA LÙCROVICH – Su, benedicili!
(Stankov si avvicina a Marja.)
IL PODESTÀ – Che Iddio vi benedica! Ma io nón hò colpa! (Stankov e Marja si baciano. Lui li guarda) Ma che succède? pròprio davvéro!  Si baciano! Ah santi del paradiso, si baciano! (Grida e saltella per la gioia) Ah, Anton! Ah, Anton! Ah, podestà! Guarda che è andato a capitare!
(Entra Goran)
GORAN – E’ tutto pronto per la partenza.
STANKOV – Va bène, vèngo subito.
IL PODESTÀ – Cóme, partite? E quando.. cioè.. Nón avevate detto, mi pare, al giórno délle nozze?
STANKOV – Quanto a quésto... io vado e tórno; un giórno sólo da un mio vècchio zio mólto ricco; e domani stésso riparto.
IL PODESTÀ – Nón osiamo in alcun mòdo trattenérvi, nella speranza di un felice ritorno.
STANKOV – Ma cèrto, ma cèrto, tornerò prestissimo. Addio, amóre mio... no, nón sò davvéro esprimere quél che sènto! (la abbraccia e la bacia lasciandola sconvolta. Poi fa lo stesso con Anna) Addio, anima mia!.
IL PODESTÀ – E nón vi occórre nulla per il viaggio? Mi pare che fóste a córto di denaro, véro?
STANKOV – Oh, no, a che scòpo? Addio, Anton Lùcrovich! Vi sóno obbligatissimo per la vòstra ospitalità. Lo dèvo dire a cuòre apèrto che in nessun pósto hò avuta una così bèlla accogliènza. Addio, Anna Lùcrovich, Addio, Marja Lùcrovich, anima mia! (Esce)

QUINDICESIMO QUADRO
IL PODESTÀ – Ebbène, Anna Lùcrovich, l'avrésti mai pensato? Caccia gròssa, perbacco! Di' la verità che non té lo sarésti mai sognato: venirsi a trovare imparentati con un accidènte di quélla spècie!
ANNA LÙCROVICH – Per niènte; lo sapévo da un pèzzo. A té sémbra stupefacènte perché sèi un uomo ordinario e non hai mai visto gènte distìnta.
IL PODESTÀ – Anch'io, cara mia, sóno una persóna distìnta. Tuttavìa, pènsa un po', che razza di béstie rare siamo diventàti, io e té! Eh? Gènte di alto rango, che diavolo! E adèsso, che tutti sappiano che Il lóro podestà ha un così grande onóre; che io mia fìglia non la dò in móglie a uno qualunque, ma a uno cóme al móndo non ce n'è mai stati, a uno che può tùtto, tùtto! Che tùtti lo sàppiano! E così, Anna Lùcrovich, hai visto? E adèsso dove abiteremo? Qui o nella capitale?
ANNA LÙCROVICH – Naturalménte, nella capitale. Cóme si potrèbbe restare qui?
IL PODESTÀ – E se si dève andare nella capitale, vada per la capitale; per quanto si starèbbe bène anche qui. Védi, io pènso che si potrèbbe mandare al diàvolo la podesterìa; che ne dici, Anna Lùcrovich?
ANNA LÙCROVICH – Cèrto; che te ne impòrta di quest'incarico?
IL PODESTÀ – Sènti, moglie, non ti pàre che óra si potrèbbe arrivare a un qualche alto grado? Con lui che è cóme culo e camicia con tutti i minìstri e va dal Presidente, potrèi avére tali e tante promozióni che col tèmpo sarèbbe anche possibìle che finissi Generale. Che ne pènsi, Anna Lùcrovich? Ti par possibile che io pòssa diventare generale?
ANNA LÙCROVICH – Altroché! Cèrto che è possìbile!
IL PODESTÀ – E sai perché mi piacerèbbe essere Generale? Perché, per esèmpio, parti per andare in qualche pósto e dovunque ti precèdono corrièri e aiutanti. E ovunque, tutti aspèttano: tutti quéi consiglièri, capitani, podestà... e tu neppure ti accòrgi che esistono. Vai a pranzo in qualche pósto, magari dal governatóre, e intanto lì da qualche parte il pòvero podestà aspètta! Eh, eh, eh! (Resta senza fiato per il gran ridere) Ècco il bèllo, còrpo di Bacco!
ANNA LÙCROVICH – Che gusti volgari! Devo ricordarti che occorrerà cambiare vita, e che i tuoi amici non saranno più un giudice qualunque che allèva cani da caccia, né tìpi cóme Andrej Leckinskij; al contrario, i tuoi conoscènti saranno persóne squisite: cónti e altra gènte del gran móndo... Ma sóno preoccupata per té: ogni tanto ti scappano parolacce che non si sèntono cèrto nélla buòna società.
IL PODESTÀ – E che impòrta? Una paròla non può far danno!
ANNA LÙCROVICH – Sì, finché sei podestà, passi; ma lì, è tutta un'altra vita.
IL PODESTÀ – Sì, dicono che là ci sóno pésci squisiti, della razza del salmóne, così buòni che quando ti métti a mangiarli ti vèngono le lacrime agli òcchi...
ANNA LÙCROVICH – Lui non penserèbbe che ai pésci! Io invéce vòglio assolutaménte che la nòstra casa sia la prima délla capitale e che nélla mia camera ci sia un tal profùmo da non potérci entrare sènza socchiùdere gli òcchi. (socchiùde gli occhi e fa l'atto di fiutare) Ah, che bellézza!

SEDICESIMO QUADRO
(Entrano Ammos Ruba e Sonja Sevitzja)
AMMOS RUBA– Si déve crédere alle vóci, Anton Lùcroviċ? Che ti è toccata una grande fortùna?
SONJA SEVITZJA – Ho l'onóre di felicitàrmi per una così straordinària fortùna. Quando l'ho saputo, me ne sóno rallegrata di véro cuòre. (Bacia Anna Lùcrovich) Anna Lùcrovich! (Bacia Marja) Piccola cara!
(Entra Ludmilla Maneska)
LUDMILLA MANESKA – Mi congratulo con te, Anna Lùcrovich (si baciano). Sapéssi che giòia ho provato! "La figlia di Anna Lùcrovich si spòsa", "Ah, mio Dio – ho pensàto – Anna aspettàva appunto un buòn partito per sua figlia ed ècco che il destìno le viène incóntro: è avvenùto pròprio cóme desideràva" e così sóno stata tanto contènta che non potévo parlare. Piangévo, piangévo, singhiozzàvo addirittura.
IL PODESTÀ – Grazie. Vi prègo di sedérvi, signóri.
Gli ospiti si siedono.
AMMOS RUBA– Ma racconta, per favóre, Anton Lùcrovich, com'è cominciato tutto ciò, che svolgiménto ha avuto la còsa?
IL PODESTÀ – Singolarissimo è stato il córso dégli evènti: si è degnato di far di persóna la sua domanda.
ANNA LÙCROVICH – In manièra assai rispettósa e con la massima finézza. Cóme parlava bène! E pensate, una persóna di prim'órdine cóme lui, così bèn educato, di princìpi così nòbili! "Credétemi, Anna Lùcrovich, per mé la vita non ha alcun valóre; sólo per l'ammirazióne che hò per le vòstre rare dòti".
MARJA LÙCROVICH – Ah, mamma! Ma quésto lo ha détto a mé!
ANNA LÙCROVICH – Smèttila tu, tu non sai niènte; non t'immischiare nei fatti che non ti riguardano! "Io, Anna Lùcrovich, sóno fuòri di mé". E ne ha détte di paròle lusinghière... E quando vòlli dirgli "Noi non possiamo in alcun mòdo sperare in un onóre così grande", d'un tratto s'è gettato in ginòcchio: "Anna Lùcrovich! Non fate di me l'uòmo più infelice délla tèrra! Consentite a corrispóndere ai mièi sentiménti o altriménti mi toglierò la vita".
MARJA LÙCROVICH – Ma quésto, mamma, lo dicéva certaménte parlando di mé.
ANNA LÙCROVICH – Sì, certaménte... anche di té si trattava, non ho niènte da obiettare.
IL PODESTÀ – E mi ha perfìno fatto paura: dicéva che si sarèbbe ucciso. "Mi ucciderò, mi ucciderò!" dicéva.
TUTTI – Ma guarda un po'.
AMMOS RUBA - Che tipo!
LUDMILLA MANESKA – Si véde pròprio che èra scritto nel libro del destìno.
SONJA SEVITZJA – Macché destìno, amica; il destìno è una sciocchézza: sóno i suoi mèriti che ce l'han fatto arrivare!
AMMOS RUBA - Se vuoi, Anton Lùcrovich, ti venderò quel cucciolo che si stava contrattando.
IL PODESTÀ – No; altro che cuccioli! Ho bèn altro a cui pensare.
AMMOS RUBA– Be', se non lo vuoi, ci metterémo d'accòrdo su un altro cane.
ANNA LÙCROVICH – Adèsso abbiamo intenzióne di andare ad abitare nella capitale. Dèvo dirvi che qui c'è un'aria... un po' tròppo di campagna!... Confèsso che è una còsa mólto spiacévole... E pòi anche mio marito... lui lì avrà il grado di generale.
IL PODESTÀ – Sì, signóri, lo confèsso; ho un gran desidèrio di èsser generàle, perbacco!
LUDMILLA MANESKA – E io ti auguro che lo diventi presto!
AMMOS RUBA– A grande nave, grande viaggio!
SONJA SEVITZJA – Onóre al mèrito! Allóra, Anton Lùcrovich, non ti dimenticare di noi!
AMMOS RUBA– E se accadrà qualcòsa, se per esèmpio avrémo bisógno di qualcòsa per affari di servizio, non ci negare la tua protezióne.
IL PODESTÀ – Per parte mia, cercherò di fare il possibile.
ANNA LÙCROVICH – Tu, Anton, sei sèmpre prónto a prométtere. In primo luògo non avrai tèmpo di occuparti di quéste còse. E pòi non capisco perché, per quale motìvo ti dévi legare con quéste promésse?
IL PODESTÀ – E perché, anima mia? Talvòlta qualche còsa si può fare.
ANNA LÙCROVICH – Cèrto che si può ma, védi, non è il caso di prènder sótto la pròpria protezióne della gentùcola qualsiasi.

DICIASSETTESIMO QUADRO
(Entra ansimante Leckinskij con una lettera in mano)
LECKINSKIJ – Un fatto stupefacènte, signóri! Il funzionario che abbiamo préso per l'ispettóre non èra l'ispettóre.
TUTTI – Cóme, non era l'ispettóre?
LECKINSKIJ – Non èra affatto l'ispettóre; l'ho appréso da una lèttera.
IL PODESTÀ – Ma che diavolo vai dicèndo? Da quale lèttera?
LECKINSKIJ – Da una sua lèttera. Mi pòrtano una lèttera all'ufficio postale; guardo l'indirizzo e védo che è indirizzata alla capitale, Via délla Pòsta. Quasi pèrdo i sènsi. "Certaménte – pènso tra mé e mé – ha trovato qualche irregolarità nell'ufficio postale e ne infórma la direzióne". La prèndo e la apro.
IL PODESTÀ – Cóme hai potuto?...
LECKINSKIJ – Io stésso non lo sò. Èro già sul punto di chiamare un corrière per per mandar via la lèttera urgente. Ma èro préso da una tale curiosità cóme non avévo mai provato. …E appéna èbbi rótto il sigillo mi sembrò di avére il fuòco nélle véne, e quando l'aprii mi parve di avérci il ghiaccio. Le mani mi tremavano, mi si èra offuscata la vista.
IL PODESTÀ – Ma tu cóme hai osato aprire una lèttera di un personaggio investito di pièni potéri?
LECKINSKIJ – E qui sta il bèllo, che non è né investìto di pièni potéri né è un personaggio.
IL PODESTÀ – E secóndo te che sarèbbe?
LECKINSKIJ – È pròprio un bèl niènte; sa il diavolo che cosa è!
IL PODESTÀ (infuriato) – Cóme un bèl niènte? Cóme ti permettéti di chiamarlo un bèl niènte e per giunta di dire "sa il diavolo che cosa è"? Io ti métto agli arrèsti... Sai tu che lui spòsa mia figlia e che io stésso diventerò un gran dignitario e che ti spedirò dritto in galera?
LECKINSKIJ – Via, Anton Lùcrovich! Altro che galera! Sarà mèglio che ti lègga la lèttera. Signori! Permettéte che io lègga?
TUTTI – Leggi, leggi.
LECKINSKIJ (legge) – "Carissimo Gregor, mi affrétto a darti notizia dei fatti miracolósi che mi accadono. Durante il viaggio un capitàno di fanterìa mi ha vuotato così bène le tasche che la locandièra già stava per farmi andare in càrcere; d'improvviso, a causa délla mia fisionomia e del mio vestito, tutto il villaggio mi ha préso per un generale governatóre di provincia. E adèsso abito a casa del podestà, me la spasso e, sènza preoccuparmi di niente, faccio la córte a sua moglie e a sua figlia. Tutti mi danno denaro in prèstito, quanto ne vòglio. Sóno dégli originali mai visti: tu ne morirésti dal rìdere. So che scrivi dégli articolétti: dài lóro un pósto nella tua produzióne. Innanzitutto: il podestà, un asino calzato e vestito..."
IL PODESTÀ – Non è possibile! Quésto non c'è.
LECKINSKIJ (mostrandogli la lettera) – Leggi tu stésso.
IL PODESTÀ – "Un asino calzato e vestito". Non è possibile! Quésto l'hai scritto tu.
LECKINSKIJ – Ma cóme avrei potuto farlo?
SONJA SEVITZJA – Leggi!
LUDMILLA MANESKA – Leggi!
LECKINSKIJ (continuando a leggere) – Ehm... ehm... "Un asino calzato e vestito. Anche Leckinskij è un brav'uòmo..." (Interrompendo la lettura) Be', qui si è esprèsso in manièra pòco corrètta anche sul mio cónto.
IL PODESTÀ – No, leggi!
LECKINSKIJ – Ma a che scòpo?
LUDMILLA MANESKA  – No, perbacco, o si lègge o non si lègge! Leggi tutto!
SONJA SEVITZJA – Se permettéte leggerò io. (prende la lettera) " Leckinskij è pròprio la còpia del custòde del nòstro dipartimento e dev’èssere cóme lui un leccaculo di prim'órdine. Pensa che idiota: scrive stupidissime poesie sul podestà".
LECKINSKIJ – È un delinquente délla peggióre spècie; bisognerèbbe frustarlo e niènt'altro!
AMMOS RUBA  – Meno male che alméno finóra non c'è una paròla per me!
SONJA SEVITZJA (legge) – "Il giudice..."
AMMOS RUBA– Ahi! Èccoci!... Io pènso, signori, che la lèttera sia tròppo lunga. Chissà che gusto ci provate a lèggere una simile porcherìa!
LUDMILLA MANESKA – No.
LECKINSKIJ – No, leggi!
SONJA SEVITZJA (continua) – "Il giudice, nonché assessore alla giustizia e delle tasse è un individuo del massimo mauvais-ton..." (Si ferma) Dev'èssere una paròla francése.
AMMOS RUBA– Chissà che significa! Alméno ci fósse stato sólo "farabutto"... quésto fórse è ancora pèggio.
SONJA SEVITZJA (continua) – "Del rèsto è gènte ospitale, di buon cuòre. Ti saluto, Gregor carissimo. Scrìvimi a Saratov..." Eccètera, eccètera...
IL PODESTÀ – Mi dovéva colpire e mi ha colpito per bène! Sóno finito, sóno mòrto, sóno ridótto uno straccio! Non ci védo più; invéce di vólti védo grugni di pòrco e niènt'altro... Prendételo, fatelo tornare indiètro!
LECKINSKIJ – E cóme si fa a riprènderlo!
AMMOS RUBA– Che il diavolo se lo pòrti, signóri! E su tuo consiglio gli ho dato anche trecènto talleri in prèstito.
SONJA SEVITZJA – E anch’io gli ho dato trecènto talleri.
LECKINSKIJ – Ahimè! Anche da mé ha avuto trecènto talleri!
AMMOS RUBA– Ma cóme mai, signori? Davvéro, cóme abbiamo potuto prèndere un granchio cóme quésto?
IL PODESTÀ (si batte la fronte) – E io cóme... e io, vècchio imbecìlle... Ho perduto il sénno, stupido capróne che non sóno altro!... Dópo trent'anni di servìzio! Non un sólo mercante, non un sólo fornitóre è riuscito a méttermi nel sacco... Ne ho imbrogliati di farabutti, di vècchie vólpi, e ho préso all'amo delinquènti capaci di depredàre il móndo intéro! Tré governatóri sóno riuscito a imbrogliare!...
ANNA LÙCROVICH – Ma quésto non è possibile, Anton: si è fidanzato con Marja...
IL PODESTÀ (furioso) – Si è fidanzato! Un fico sécco! Èccoti il fidanzaménto (aggredisce Anna, trattenuto dagli altri)! E hai il coraggio di venirmi a parlare del fidanzaménto!... Dategli dell'imbecille, dategli dell'imbecille a quésto vècchio cialtróne! Un disgraziato qualsiasi, uno straccio, lo vado a prèndere per una persóna importante! Ma che c'èra dunque in quéll'omuncolo che potésse far venire l'idèa di un ispettóre? Neppure la sua ómbra può èssere scambiata con quélla di un ispettóre, e tutti a dire: è l'ispettóre, è l'ispettóre! Bène, chi è che l'ha méssa fuòri l'idèa che quéllo èra l'ispettóre? Rispondéte!
SONJA SEVITZJA – Che mi impicchino se rièsco a capire com'è andata quésta stòria. Pròprio cóme se avéssimo avuta la nébbia davanti agli òcchi o il diavolo in persóna ci avésse indótto in erróre.
AMMOS RUBA– Chi l'ha méssa in giro voléte sapére? Ècco chi è stato: quésto intelligentóne!
LECKINSKIJ – No che non sóno stato io! Non ci pensavo neànche!
SONJA SEVITZJA – Cèrto che sei stato tu!
LUDMILLA MANESKA – Si capisce. Viene qua, mangia come un porco, poi gli viene in mente: "È lui, il funzionario! E’ arrivato, non paga..." L'avéte trovato il personaggio importante!
IL PODESTÀ – E chi potéva èssere se non tu! Il pettégolo délla città, bugiardo maledétto!
SONJA SEVITZJA – Che il diavolo ti pòrti tu, il tuo ispettóre e le tue  fandònie!
IL PODESTÀ – Non fai altro che córrere a dèstra e a sinistra per la città e tògliere la pace a tutti, maledétto pappagallo! Non fai che seminàre pettegolézzi, gazza sènza códa!
AMMOS RUBA– Maledétto pasticcióne!
LUDMILLA MANESKA – Imbecille!
SONJA SEVITZJA – Mèzza calzétta!
Tutti si fanno addosso a Leckinskij
Leckinskij – Giuro che non sóno stato io! Aiuto...
Entra un la locandiera:
LOCANDIERA – Scusate… Scusate, è in casa il Podestà?
ANNA LUCROVICH – Anton, Anton… ti vogliono, cercano il Podestà.
IL PODESTA’ – (togliendogli le mani dal collo) Eh? Chi è? Sono io. Chi mi vuole.
LOCANDIERA – Un ispettore giunto dalla capitale per ordine del Presidente, ordina che vi rechiate immediataménte da lui. Si è fermato alla mia locanda.
Le parole pronunciate dalla locandiera fanno su tutti l'effetto di un tuono. Tutto il gruppo, dopo aver repentinamente cambiato posizione, resta come pietrificato.

FINE