Numero 1 di aprile-giugno 2000

L'esempio irlandese

di Gianni Guardigli

Alcuni mesi fa ho visto lo spettacolo lo storpio di Inishaam di Martin Mc Donagh messo in scena da Marco Sciaccaluga per il Teatro di Genova. Mc Donagh è un giovane drammaturgo irlandese di cui già la passata stagione è stata presentata le pièce la regina di Laenam. Due suoi lavori quindi sono arrivati in Italia, ma, ancora prima, avevano conosciuto calorosi successi a Londra e negli Stati Uniti. Confrontando le mie opinioni su questi testi con alcuni colleghi italiani, ho sentito più volte ripetere le parole: fortuna, moda, esterofilia e altri concetti simili. Invece avrei trovato più giusto parlare di maturità stilistica, abilità drammaturgica o, più semplicemente, talento. Inevitabilmente quindi affiora un dubbio: perché fra i giovani (perché molto giovane è appunto Mc Donagh) autori italiani è così difficile trovare un testo all’altezza dei colleghi stranieri? Lo scrittore sucitato è un nome di spicco della drammaturgia irlandese, che sembra in questo momento trainante nel teatro del Regno Unito, ma altri autori interessanti arrivano da molti altri paesi. Perché la nostra drammaturgia invece appare sonnolenta? Forse è solo mancanza di idee, di talento, di fermento? Oppure è anche mancanza di occasioni? Se davvero qualcosa si cominciasse a fare per creare terreno favorevole a sviluppare radici, qualcosa si comincerebbe a muovere? Magari cominciando a considerare una vera professione quella dello scrittore di teatro con leggi a ciò finalizzate qualche miglioramento si avrebbe? Se un certo numero di scrittori per hobby potesse scegliere di spiccare il salto verso il professionismo vero (e quindi, per esempio, essere assunti da Teatri Stabili come avvieme in Germania), cosa succederebbe? Non siamo a fare pronostici e attendiamo con occhi pieni di speranza.