Numero 1 di aprile-giugno 2000

Il teatro come lavoro

di Mauro Negrini

Durante i 6 anni passati al Sai Regionale Lazio, si sono venuti a stabilire nell’attività, criteri, metodi e strumenti da impiegare nella raccolta e nell’elaborazione dei dati relativi agli attori. L’azione è nata a partire dal tentativo di fornire risposte ai seguenti quesiti: - quali opportunità occupazionali offre il teatro di prosa e quali possa offrire in un futuro prossimo. - quali curricula formativi siano più funzionali ad un inserimento professionale non occasionale nel lavoro teatrale e cinematografico (o anche, per esempio, fiction); - quali esperienze siano risultate vincenti in termini di capacità di espansione del lavoro e dell’impiego di operatori artistici; - in che modo esperienze di lavoro teatrale e non «sommerso» possano rappresentare un effettivo momento di crescita dell’occupazione e della creatività; - quali opportunità offra l’utilizzo delle nuove teconologie nell’ambito teatrale e di fiction con riferimento alla diffusione delle medesime; - quali opportunità offrano i grandi mezzi di comunicazione in termini di contenuti artistici legati alla professione dell’attore. Il cuore e il contenitore di tutta l’indagine è il quesito: «esiste un vero e proprio mercato del lavoro, nel senso di un mercato che rispetti le regole comuni dell’economia generale o quelle più sottili e difficili da interpretare, dell’economia sociale?» La risposta non può ovviamente essere esauriente, dati anche i limiti di conoscibilità del settore e la scarsa attendibilità, nel campo della creazione artistica e culturale, delle valutazioni dei bisogni espressi dai lavoratori. In altri termini, nel teatro, per esempio, l’offerta al pubblico è preceduta dal momento della creazione dell’opera. A questo punto, è impensabile ipotizzare una ricerca di mercato per appurare che tipo di riscontro potrebbe avere un determinato progetto artistico; dopo, sarebbe inutile. Ma noi, curatori della ricerca, tentiamo ugualmente di capire e dare una risposta: un mercato del lavoro in realtà esiste, ma in misura modesta. Difatti, sono pochi gli attori, i registi, gli operatori che si offrono al mercato a fronte di una domanda di tal genere; e sono ancora di più pochi coloro che realizzano prodotti destinati ad uno scambio economico equo. Peraltro, il teatro da’ da vivere a moltissime persone che vi investono tutta la loro vita, investono su progetti articolati e di difficile realizzazione; persone che sanno però ridurre i costi e che, per questo, si inventano di tutto: pubblico, esigente del mercato, strumenti formativi, per costoro, le regole di profitto o anche solo di pareggio economico non valido all’interno di una linea produttiva, ma all’interno di una linea esistenziale: presto o tardi ostinatamente, un pubblico riescono a trovarlo, un interesse economico anche. Talora nella semplice trasmissione interattiva della formazione teatrale in un ciclo infinito ed automaticamente, in altri casi, con ideee di successo che scovano mercati apparentemente lontanissimi. Un consistente mercato del lavoro teatrale, dunque, esiste solo limitatamente in senso proprio e autonomo, con regole chiare, livelli retributivi, relazioni industriali, etc. Ma esiste un’offerta, vasta e mobile, decisamente forte e indifferente (in termini di riflessione quantitativa) alla domanda. Questa permanenza, con i caratteri che il complesso delle relazioni cerca di definire, è alla base stessa del teatro europeo: se è vero che i teatri stabili, le organizzazioni teatrali professionali garantiscono il soddisfacimento di un bisogno di vedere teatro, esiste il bisogno di fare teatro, in ogni modo e per numerose persone. E gli operatori artistici, queste persone, sono coloro che ne rinnovano i contenuti, funzioni, utilizzi, senza che venga chiesto loro di farlo dallo Stato o dal mercato. Ed è forse in ciò il più forte radicamento del teatro di prosa, anche, rispetto ad altre forme di espressione culturale, nell’ambito del terzo sistema. Il teatro, dunque, si fa strumento, si piega ad utilizzi lontani e impensati rispetto al palcoscenico e al rapporto con il pubblico: si potrebbe anche dire che, in modo attento e senza assunzioni di responsabilità, il teatro viene saccheggiato, aggredito, distorto da altri settori dell’ economia , sia pure di quella sociale, sfruttando l’infinita volontà degli operatori teatrali. Ma è anche vero che da tali confronti, il teatro esce arricchito di nuove risorse economiche e, soprattutto, di nuove esperienze.