Numero 2 di giugno-settembre 2001

Danny e il profondo mare blu

di Paola Ponti

John Patrick Shanley, classe 1950, americano, del Bronx. Nonostante la sua sia una discendenza irlandese, lo appassionano soprattutto storie di italoamericani del Bronx. Anche se il suo nome in Italia non è molto conosciuto e i suoi testi mai rappresentati prima del novembre scorso con ‘Danny e il profondo mare blu’, di sicuro molti ricorderanno il film ‘Stregati dalla luna’, con Cher e Nicholas Cage, per il quale Shanley meritÒ l'Oscar per la sceneggiatura. Che fosse anche un grande autore teatrale, personalmente l'ho scoperto in una libreria di New York, mentre cercavo a caso qualche buona commedia contemporanea. Ne devo aver comprate una trentina, grazie a quella magnifica casa editrice che tanto manca in Italia e che è la Dramatists Play Service Inc. , magnifica nel senso che costa "due lire". ‘Danny e il profondo Mare Blu’: ‘tre’ personaggi, Danny, Roberta e il Bronx: lei trentun'anni, cattolica - come lo sanno essere gli italoamericani -, divorziata, con un bambino disturbato che curano i suoi. Lui ventinove anni, protestante, camionista, dalla rissa facile, i suoi compagni di lavoro lo chiamano la Bestia. Il padre di lei in passato non ha disdegnato un piccolo favore sessuale, la madre di lui torna a casa dal lavoro e vomita. Il problema comune di Danny e Roberta è il passato. O meglio, quella morsa cosÌ agganciata e avvinghiata al passato che ti rende schiavo delle tue scelte nel presente. Una delle più grandi invenzioni di controllo del Cristianesimo, non di Cristo, è d'essere riuscito cosÌ meravigliosamente ad instaurare nel profondo delle coscienze il senso del peccato. Per il quale, una volta che ne te ne ritrovi agganciato, devi - quasi fosse un gioco di società - passare attraverso il perdono se vuoi continuare ad andare avanti. E il perdono, quello vero, quello che realmente ti concederebbe di procedere con la tua vita, non è una mano che si alza solenne dal braccio di Dio, ma quella difficile e complessa assoluzione che tu ti devi cercare da solo dentro te stesso. Paolo Flores d'Arcais, filosofo e direttore di ‘Micromega’, sostiene che non esiste ‘un senso della vita’, non esistono dei geni che nel nostro corpo vengono tramandati da padri in figli sul senso della vita, come nei cromosomi, ma è un qualcosa che ognuno deve trovare da se’. Bene, lo stesso si puÒ dire per il senso del perdono credo, un qualcosa che ognuno di noi è costretto a cercare dentro di se’ perchè unica arma possibile per tentare di espugnare quel senso di colpa che sa farti sentire cosÌ fortemente ‘unico’ e ‘solo’ al mondo. Potrebbe essere un'idea questo senso del perdono, se non fosse che c’è mai qualcosa di più agguerrito e armato, perlomeno per noi felici partecipanti del mondo cristiano, del senso di colpa? Ecco, meglio sarebbe andata per i due protagonisti del testo di Shanley, una cattolica e un protestante, entrambi quindi compresi nella eletta schiera, meglio sarebbe andata dicevo, se Danny e Roberta avessero potuto accantonare per un attimo la convinzione che, unica soluzione possibile per arrivare a liberarsi del ‘male’ fatto, è passare attraverso il sentiero della punizione. E non una punizione qualsiasi, ma una adeguata al peccato commesso. Mica basta una cosa qualunque a quell'io tanto arrabbiato con se stesso. Meglio forse sarebbe andata allora, se avessero potuto pensare che più semplicemente ci sono delle cose che ‘esistono’ - cosa peraltro anche più dignitosa se ne accetti le responsabilità - invece di avere come unico scopo il lavaggio della coscienza. Qualcuno un giorno forse riuscirà a spiegarmi tra l'altro quale utilità puÒ avere il lavaggio della coscienza, quali responsabilità ti porta a considerare, e quali possibilità hai di non commettere più l'errore non avendone capite le cause. Il suggerimento dell'autore ai suoi personaggi sembra essere quello di ricordargli appunto che esiste una visione del mondo in cui ‘ci sono delle cose che esistono’, degli errori che si compiono, che esiste anche la via del ‘riconoscere’ le motivazioni, le cause, gli agenti esterni che lÌ ti hanno portato, e in questo modo, chissà che il futuro non avrebbe potuto riaprirsi davanti ai loro occhi. Chi non è in grado di perdonare se stesso per il ‘peccato’ commesso, pare non possa fare altro che continuare a distruggere compulsivamente ogni possibilità di essere felice. Perchè? Perchè non lo merita. O almeno questo pensa. O almeno questo pensano Danny e Roberta. E chi altro mai potrebbe essere cosÌ dettagliatamente severo di quanto ognuno di noi lo puÒ essere verso se stesso. Insomma, diciamo che il tragico problema espresso nel testo di Shanley, spiega che essere schiavi del passato porta con se’ la privazione di ogni possibilità di futuro. Danny e Roberta sono due disperati, dimenticati in un Bronx dove il senso di colpa e la paura li hanno costretti a una lenta ermetica chiusura di ogni sentimento. Risultato: attaccare per non essere attaccati. E l'attacco è tanto più forte quanto più forte è il senso di impotenza. (Ricordate Jack Nicholson in Shining? Voleva tanto scrivere un romanzo e riusciva solo a ripetere all'infinito una unica frase). Si incontrano in un bar, i due ragazzi, una sera, ognuno col suo demone privato. Danny è reduce da una rissa in cui crede di aver ucciso un uomo, Roberta è ossessionata dalla ricerca di qualcuno che la punisca per quel piccolo ‘favore’ a suo padre. Bene: cosa succede a due cosÌ se si innamorano? Quando ho fatto leggere il testo a Pierpaolo Sepe, il regista che poi l'ha messo in scena con Paolo Zuccari e Elodie Treccani, lui mi ha detto: ‘E' bellissimo questo testo. Ancora non so veramente perchè mi piace tanto, ma è bellissimo.’ Alla fine delle prove, dopo un duro lavoro di indagine psicologica sui personaggi, lavoro - per carità - eccitante e anche pieno di piccoli entusiasmi infantili, nessuno di noi sapeva ancora spiegare perchè ‘Danny’ ci avesse toccato tanto. Ecco, credo che sia questo il merito della scrittura di Shanley. Scrive apparentemente incastonato nella concretezza e nella realtà, ma i suoi messaggi usano il linguaggio dei sogni. Ti toccano profondamente, scoprono lati arcaici dell'anima, ma sempre velati da metafore e ambiguità. Perchè metafore e ambiguità? Perchè se esercitano troppa violenza, questi messaggi, rischiano di venire subito oscurati dalle tue pronte personali protezioni: se una donna sogna di lasciare il suo fidanzato più anziano di lei - che nel sogno è anche il cugino di suo padre - per sposare un suo coetaneo, si sveglia al mattino con una solare sensazione di risveglio alla vita. Il fatto di aver creato nel sogno ‘il cugino’ di suo padre, le permette di avere la forza sia di ricordarsi il sogno, sia di accettare la positività del fatto. Diverso sarebbe stato se avesse sognato di andare a letto direttamente con il proprio padre. In un momento storico in cui il Dio Denaro sembra invadere la nostra vita sgomitando agli angoli l'idea di una utilità dell'arte - a meno che certo non sia essa stessa una fonte di guadagno - la lettura di Shanley puÒ servire a rivelare invece il profondo, atavico bisogno dell'arte in se’. Ovvero, di uno strumento, di un gioco che possa raccontarci una verità in modo che si possa sopportare di scoprirla. Non con un attacco diretto dal quale puoi solo scappare, ma con un... ‘Questo testo è bellissimo, ancora non so veramente perchè mi piace tanto, ma è bellissimo.’ J.P. Shanley sa meravigliosamente parlare di un mondo molto piccolo, molto chiuso e molto lontano da noi, eppure cosÌ segretamente vicino. Segretamente perchè nessuno di quelli che ti stanno seduti di fianco puÒ riconoscere in te le colpe di Danny e Roberta, verso le quali tu puoi solo negare, ma il linguaggio della scrittura di Shanley è rispettoso, delicato, sensibile alla fragilità del mondo e per questo, come nel linguaggio dei sogni, tu hai la possibilità di cercare dentro di te, con rispetto, dolcezza e sensibilità verso la tua fragilità. E quando le donne del pubblico non hanno la forza di riconoscersi in quel legame erotico col proprio padre, possono sempre dirsi ‘ma tanto quella è Roberta’ ; e quando gli uomini non ce la fanno a rivedersi in tanta aggressività possono sempre ricordarsi che ‘tanto quello è Danny’. Eppure ...