Numero 2 di giugno-settembre 2001

Lettera aperta al sindaco di Roma Walter Veltroni

firmata da Raffaella Battaglini, Edoardo Erba, Giuseppe Manfridi, Fortunato Cerlino, Filomena Iavarone, Marcello Isidori, Paola Ponti, Gian Piero Stefanoni, Alessandro Trigona Occhipinti.

Caro Sindaco,

siamo un gruppo di autori teatrali, e Le scriviamo per rivolgerLe una richiesta e segnalarLe al tempo stesso quella che a nostro avviso è una grave carenza per una città come Roma.

Come Lei sa, la drammaturgia italiana ha conosciuto in questi anni, e più precisamente in quest'ultimo decennio, un periodo di rinnovata vitalità; molti nuovi autori hanno cominciato a produrre, nuovi testi sono andati in scena, talvolta con successo, e non solo nei piccoli spazi, ma anche nei grandi teatri; si sono messe in luce tendenze molto differenziate ma per vari motivi interessanti.

Accanto al gruppo di autori che ha debuttato nei primi anni '90, e che tuttora produce con continuità, stanno emergendo altri giovani talenti, a testimonianza della qualità non effimera del fenomeno. A questo fermento, perÒ, spesso non ha corrisposto un adeguato interesse, n’ un adeguato supporto, da parte delle Istituzioni; anzi, nel frattempo alcuni strumenti, come ad esempio l'Istituto del Dramma Italiano, sono venuti a mancare.

La programmazione dei Teatri Stabili -che, in quanto teatri pubblici, dovrebbero farsi carico in modo preponderante della nuova drammaturgia- continua ad essere basata in grandissima parte sul repertorio.

In questa situazione asfittica, diventa particolarmente pesante l'anomalia di Roma rispetto alle altre capitali europee: e cio’ la totale assenza, nella nostra città, di uno spazio che si occupi esclusivamente della produzione e della diffusione della drammaturgia italiana contemporanea.

L'esempio europeo più significativo in tal senso è quello del Royal Court di Londra, in cui vengono allestiti più di quaranta nuovi testi l'anno, che vengono poi adeguatamente promossi anche all'estero, con i risultati che vediamo, cio’ quelli di un vero e proprio rinascimento della drammaturgia inglese.

Riteniamo che uno spazio di questo tipo sia indispensabile anche a Roma, e che debba essere uno spazio pubblico, uno spazio del Comune.

Lo riteniamo importante soprattutto ora, in un momento in cui il modello egemone è accanitamente consumistico e individualista; come artisti e come intellettuali crediamo sia fondamentale dimostrare la nostra diversità anche attraverso la forza di un progetto culturale.

Pensiamo sia nostro dovere non sprecare l'occasione di combattere sul terreno delle idee e dei valori, cio’ proprio il terreno che è andato maggiormente degradandosi negli ultimi anni.

Quello che abbiamo in mente è una sorta di laboratorio permanente, in cui gli autori possano verificare i loro lavori sulla scena insieme agli attori, anche sotto forma di work-in-progress, e cio’ in vari stadi di approfondimento, per poi sfociare in vere e proprie messe in scena.

Un cantiere, insomma, un'officina, un luogo in cui possano nascere e consolidarsi dei sodalizi artistici destinati a durare nel tempo, e in cui gli autori abbiano modo di misurarsi costantemente con le difficoltà della scena e con i corpi degli attori, perchè questa è la sola strada per far crescere e sviluppare una drammaturgia che abbia degli esiti significativi.

Esiste a Roma uno spazio che ha tutte le caratteristiche richieste; questo spazio è il Teatro India, inaugurato dalla scorsa gestione del Teatro di Roma, la cui carica di innovazione non vorremmo andasse perduta. Naturalmente non chiediamo per gli autori l'intero spazio: l'India ha varie sale, e per noi sarebbe sufficiente averne a disposizione una, di cui ci fosse consentito gestire la programmazione.

In attesa di una sua risposta, e fiduciosi che possa essere positiva, Le facciamo i nostri migliori auguri di buon lavoro.