Numero 0 del gennaio-aprile 2000

Io sono cattivo

di Alessandro Trigona Occhipinti

Io sono cattivo, voglio essere cattivo. Quello che scrivo, quello che vogliorappresentare è la realtà, crudele, spietata nelle sue logiche, nelle suedinami-che, nella sua essenza. E voglio mettere lo spettatore di fronte alle sue- nostre - contraddizio-ni; metterlo davanti ad uno specchio, fargli vedere ciòche la realtà è, che rappresenta e che lui non vede, non vuole vedere.Io sono cattivo. Ed esprimo la mia crudeltà con le parole, che sono immagini,impressioni, suoni, a volte anche emozioni, sogni, incondizionati impulsi. Vizi.Io sono cattivo. E voglio strappare la pelle allo spettatore, spogliarlo da ogniparvenza - "re nudo" - e farlo apparire com'è: spettatore di quel sé che ignora,che preferirebbe conti-nuare a ignorare; quel se stesso che - nonostante lui,sebbene lui - si veste, si muove, va in giro, esiste con tante - troppe! -finzioni, ipocrisie, infingimenti. Esiste, senza troppe riflessioni, - come,quasi, forse - a prescin-dere da lui. O con lui - peggio - complice!Io sono cattivo. E parto dalla realtà per dire quello che ho da dire, chevoglio dire: quella ve-rità - Gramsci? - che - proprio in quanto verità - èassoluta e fa male, fa ancora più male, anche là dove strappa il sorriso o anche- addirittura! - un moto comico di risa, pur rimanendo semplice verità, ipotesidelittuo-sa di vita.Io sono cattivo. E questo è il mio teatro, un teatro "estremo", vita-le,vissuto, sporco, imbevuto di quella critica aspra e crudele che deve essere e sivuole spietata - ancora più spietata - nei no-stri confronti e dei valori, deicostumi, dei riferimenti cultu-rali, religiosi, mentali che ci portiamo dietro.E dentro. Critica crudele e ancora più crudele quando - in quanto criti-ca - si vuole "sociale", essenzialmente culturale.teatroquale "estremo"Il "teatro estremo" non è un teatro nuovo. È solo un nuovo tentativo - di interpretare e vivere il teatro. È un teatro che si piega su se stesso cercando di riflettere e riprodurre criticamente il nostro modo di essere, la nostra società. Cercando di ri/scoprire - ri/proponendoli - e di utilizzare tutti gli strumenti e criteri interpretativi della realtà ad esso propri. È un teatro che ri/scopre se stesso per scanda-lizzare - ove fosse utile - per impressionare - ove fosse possibile - per blandire - ove fosse conveniente - per divertire anche - ove fosse funzionale - il pubblico.Il teatro estremo ri/cerca – ri/pensa? - il suo spazio vitale - Pasolini: lo"spazio teatrale" - nella stessa testa di ognuno che lo pratica, che lo vive, adirsi e a farsi "vita". È popolare in quanto si rivolge direttamente agli uominiprescindendo dalla loro appartenenza sociale, "estra-zione" culturale. Il teatroestre-mo persegue un interesse anche spettacolare nel momento in cui questopossa essere funzionale alla crescita di chi lo pratica e lo vive in unacomunanza di intenti per trasformare ogni radu-no - ogni rappresentazione - inun rito culturale così tale da essere "politico". Un teatro che parli di uomini. Di uomini e di donne. E quanto mai di noi. Un teatro che riscopra l'uomo, i suoi vizi - tanti -, le sue virtù - poche.Un teatro che parli di noi. E di niente. Anzi: di niente. E basta!