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Marinella Manicardi recupera e ripropone, riarticolandolo quasi in una nuova sintassi più esplicitamente drammaturgica, un testo già elaborato per il Festival della Filosofia di Modena 2011, in collaborazione con il Centro Documentazione Donna. Oggetto, scandaloso e solo fino a qualche anno fa neppure nominato e nomimabile, quello delle 'mestruazioni', evento femminile o meglio “naturalmente umano”, che segna i tempi della vita da quanto appunto esiste l'umanità, ma che è stato da sempre nascosto e dimenticato, perchè, si sa, sono “cose di donne”.
La bravura e la profondità di Marinella sta appunto in questo, nello svelare attraverso questa sua eterodossa narrazione scenica ciò che questo oblio, questa dimenticanza consapevole, rappresenta, cioè uno strumento per allontanare, esorcizzare, rinchiudere e controllare, ove ciò sia possibile, il femminile nella sua rappresentazione più concretamente-simbolica.
Come suo costume, d'altra parte, la drammaturga non si abbandona all'intuito scenico, ma lo integra con un accurato lavoro di documentazione storica e anche iconografica (assai interessante l'assimilazione figurativa della ferita del costato di Cristo con il sesso femminile), che la sintassi scenica trasfigura con l'arma di una ironia puntuta ed insieme accattivante.
Ne nasce un'ora di spettacolo che racchiude uno spazio ed un tempo millenario, una sorta di excursus di cui la storia o la storiografia diventa elemento metaforico (dalle superstizioni e dai tabù che accompagnano l'evento 'mestruazioni' fino alle ultime scoperte scientifiche che da tali tabù spesso sono incise) di una concretezza esistenziale che tutte le donne conoscono e condividono.
È un teatro di narrazione assai particolare quello della Manicardi, che utilizza il corpo in scena quasi come una grammatica che travolge il testo e ne insangua il sgnificato.
Ma è soprattutto il finalmente parlare e narrare anche di “mestruazioni” che svela efficacemente la debolezza intrinseca ad una struttura di contenimento del femminile che ha, nel suo fondo e nella sua storia anche drammaurgica, da Ibsen a Strindberg a Rosso di San Secondo, forse solo la paura (della sessualità irriducibile della donna e della sua potenza riproduttrice e creativa) che imprigiona, in codici di dominio eterodiretti (la Chiesa e la Scienza per citare la Manicardi), sia l'uomo che la donna, sia il maschile che il femminile.
Quei codici eterodiretti che hanno per millenni impedito anche solo di pensare che la guerra dei sessi, ricca peraltro di reciproci tradimenti e cambi di campo, poteva essere sostituita dalla integrazione nella parità, a beneficio di entrambi e di tutti.
Valga la pena di ricordare come nella stessa Genesi l'identificazione dei due sessi come articolazioni di un unico genere è stata poi sostituita dalla determinazione degli stessi come due funzioni in inevitabile conflitto.
Del resto, oltre il permanere delle differenziazioni sociali ed economiche, lo stesso esplodere contemporaneo, e anche nelle società più evolute, del femminicidio può essere il segno della sempre maggiore fragilità di un sistema anche concettuale che “non regge più”.
Marinella Manicardi, che della pièce è drammaurga, regista e protagonista, coadiuvata solo da Davide Amidei per lo spazio scenico, fa tutto questo con il linguaggio della sua sapienza scenica e recitativa che apre brecce e sviluppa relazioni continue con il pubblico sia maschile che femminile, in ciò favorita anche dall'intimità che il teatro delle Moline continua inevitabilmente a creare.
In cartellone appunto al Teatro delle Moline, per la stagione di Arena del Sole-Nuova Scena teatro stabile di Bologna, dal 20 al 24 febbraio la drammaturgia ha avuto il successo meritato, fors'anche oltre le aspettative.