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Un nome, un’attrice. Naturalmente parliamo della Duse. Dell’ATTRICE. Durante il secolo scorso divenne l’icona del teatro italiano, viaggiando attraverso continenti e palcoscenici. Ancora oggi è il simbolo del grande teatro novecentesco e la sua aura si materializza sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli, che chiude così la stagione 2012/2013. Il regista Maurizio Scaparro si affida al testo di Ghigo De Chiara, portando in scena, per l’unica data evento del 10 maggio, l’eleganza della recitazione di Anna Maria Guarnieri, premiata per l’interpretazione della Duse come miglior attrice di monologo, in occasione de Le Maschere del Teatro italiano 2012. L’allestimento scenico e testuale è permeato dalla decadenza, intesa non solo alla maniera dannunziana, ma anche da uno sfiorire polveroso di un’immagine quasi sacra. Il sipario è chiuso, tradizionalmente. Ma non appena la scena si apre, un velario pallido viene sollevato dal proscenio. Un ulteriore sipario che ricorda le lenzuola adagiate sugli oggetti e sui mobili da cantina, per proteggerli dalla polvere e dal deterioramento. Il velario rivela ciò che è rimasto immobile e fisso attraverso un secolo. Una poltrona, una scrivania, dei bauli-armadi con i costumi di scena, un letto, una stanza d’albergo. Tutto dà il senso di immobilità regressiva, ma nello stesso tempo emana una straordinaria lucentezza. L’aura della Duse cala sull’attrice e sugli spettatori. Lo scorrere del tempo appare attraverso fotogrammi della memoria, la vita dell’attrice si scioglie veloce attraverso le parole del racconto, tutto è circondato da un profondo senso dell’ “ effimero”: la stanza dell’albergo di Pittsburgh, dove la donna morirà, è il simbolo della vita fugace, senza sosta, con i bauli sempre pronti per essere richiusi e aperti. La ricerca dell’autore e del regista si affida di certo alla lettura di diari e della documentazione personale dell’attrice. Il diario scenico segue una linea temporale che va dall’infanzia alla morte, introducendo tematiche legate al mondo oscuro degli attori dietro le quinte. Dalla costrizione alla recitazione, al rapporto con la madre e il padre, alla vita zingaresca, agli amori, ai nomi noti come quelli di Matilde Serao, D’Annunzio, Boito, Sarah Bernhardt e la loro rivalità,  ai viaggi per il mondo, fino al rimorso per la figlia Enrichetta. “Morte” diventa la parola ricorrente dell’intero monologo: la lotta interiore di chi vuole apparire ma ricerca  una vita “normale”, di chi vorrebbe fermarsi ma nonostante la febbre e i malori ripete ossessivamente che bisogna provare e recitare. Fino all’ultima apparizione. Ed ecco, quindi, che l’immagine del teatro vuoto durante le prove si trasforma  in immagine decadente e cimiteriale  dai “palchetti-nicchie- tombe” che oscurano i velluti rossi e le luci da palcoscenico. Il teatro divora l’animo della Duse, il pubblico viene descritto come “mostro dalle mille teste”. Ma non soffermiamoci solo sul banale sentimentalismo. Lo spettacolo di Scaparro diventa un documento storico che testimonia, in veste scenica e artistica, non solo la vita dell’attrice, ma mette in luce tutto ciò che gravitava attorno a lei in quegli anni. I rapporti imprenditoriali tra attori, capocomici, i teatri esteri, i viaggi, le richieste,  le paghe, la fatica, gli applausi, le tappe, le finzioni e la vita vera, la miseria, gli amori tormentati. A conferma di tutto ciò, i giornali dell’epoca, ancora oggi visibili e leggibili, riportano spesso articoli sugli amori e sulla bancarotta della Duse, i biglietti a 10 lire per vederla recitare, rispetto ai nomali biglietti a 3 lire, i pettegolezzi sul matrimonio e le smentite. Il velario che ha scoperto la minuta donna affondata nella sua poltrona luminosa e polverosa, le sue crinoline, il suo volto spigoloso e ancora bello, si trasforma in  sipario di un ulteriore palco. Per un attimo gli spettatori si trovano spiazzati: la Duse sta per iniziare le prove o lo spettacolo. Il palcoscenico è, però, in fondo. Per una volta la nostra visione è capovolta, poiché ci troviamo dietro le quinte, nella vita reale e storica dell’attrice. Visionarietà e follia della donna in punto di morte, probabilmente, ma anche squarcio temporale tra il nostro presente e il suo mondo. La vita letta attraverso la metafora teatrale e della maschera non è una novità, ma la bravura della Guarnieri sta nel mostrarci la Duse. Per il pubblico lei è lì, su quel palcoscenico. Si evidenziano fortemente le tematiche psicanalitiche tanto in voga all’inizio del ‘900, il doppio pirandelliano, il rapporto tra l’essere e l’apparire, l’immedesimazione e la trasfigurazione nei personaggi interpretati durante la vita artistica. La Guarnieri diventa la Duse che  a sua volta diventa la Nora ibseniana, la Santuzza verghiana, e le altre donne di tante altre opere, quelle donne che lei definisce “stupide” ma dolorose, per questo ha scelto di dar loro voce in tante repliche. Vorremmo, però, ancora immaginare la gloriosa Duse nel suo splendore artistico e nella sua fama senza tempo, e applaudire, invece, l’ottima interpretazione della Guarnieri che ci ha fornito una grande lezione di storia del teatro di inizio secolo e di recitazione. Quella “vecchio stampo”, declamatoria, che oggi non va più di moda. Ma che è tanto piaciuta al pubblico adulto e che ha lasciato stupefatti i giovani.

ELEONORA ULTIMA NOTTE A PITTSBURGH
Nuovo Teatro Nuovo Napoli
10 maggio 2013
Fondazione Teatro della Pergola
Anna Maria Guarnieri in
Eleonora ultima notte a Pittsburgh
di Ghigo de Chiara
musiche a cura di Simonpietro Cussino
scene Barbara Petrecca
costumi a cura della Sartoria Farani
luci Gino Potini 
regia Maurizio Scaparro