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Il professore Di Cerasi amava il teatro svisceratamente fin da giovane, al punto, una volta capito che come attore non riusciva a raggiungere un buon livello qualitativo, di voler intraprendere la carriera universitaria: prima ricercatore, poi professore associato e infine ordinario, nella disciplina inevitabile per lui: Storia del teatro e dello spettacolo. Aveva dovuto sgomitare molto nel mondo dell’Accademia, per poter vincere i concorsi, facendo il portaborse, l’amante etero ed omo, lo chauffer, il  correttore di bozze, l’assistente per più di un professore e in più discipline, anche le più strane, come Codicologia! Non si contano i convegni a cui aveva partecipato, spesso portando relazioni fasulle, magari riprendendo e rifacendo da capo interi capitoli di vecchissimi studi che pur conservavano un qualche valore: non era stato scoperto, data anche la sostanziale indifferenza degli studiosi a quanto lui aveva scritto.
Una dote, però, gli veniva riconosciuta un po’ da tutti: la capacità di intrattenere un uditorio anche per una buona ora, con la sua voce ben impostata, e trasmettendo agli altri quel suo amore sconfinato per il teatro, per i drammaturghi, per i personaggi a cui spesso sapeva dar voce nell’ambito delle sue relazioni, o delle stesse lezioni destinate agli studenti, in genere iscritti ai corsi di laurea Dams. Certamente l’apprendistato giovanile comunque gli aveva regalato alcune capacità espressive. Col passare del tempo, una volta incardinato definitivamente in una delle università romane, gli era stato appiccicato l’appellativo di Profattore: “arriva il profattore”; “ evviva il profattore Di Cerasi”; “e bravo il nostro profattore”. Il Di Cerasi non sempre riusciva a capire se l’appellativo venisse usato per scherno o per bonomia e stima nei suoi confronti: finì comunque per non dare importanza alla cosa, anzi, pirandellianamente, intascò una sorta di patente, quella di  docente autorizzato a recitare in aula durante le sue lezioni, che spesso col tempo divennero lezioni-spettacolo, al punto che vi partecipavano perfino studenti di altri corsi di laurea, giusto per passare un’oretta piacevolmente  assisi tra i banchi per assistere alle performances del professor Di Cerasi!!  Solo pochi austeri colleghi, nei corridoi della Facoltà, mormoravano alle sue spalle, usando epiteti tipo: “quell’istrione da due soldi”; “quel ruba stipendi allo Stato italiano”; “quel ridicolo esibizionista”; i colleghi più indignati per quel metodo didattico del Di Cerasi arrivavano a definirlo “il buffone di corte protetto dal Rettore!”. Altri lo definivano “il Profittatore” giocando con la paronomasia sul soprannome. Eppure, in nome della sacrosanta libertà d’insegnamento sancita dalla Costituzione, nessuno riuscì a convincerlo ad usare metodi più tradizionali e il più vicino possibile alla cosiddetta lezione frontale. Il Preside di Facoltà provò a chiedergli un poco di discrezione, alternando lezioni-lezioni a lezioni-spettacolo, senza cavare un ragno dal classico buco: il Di Cerasi prometteva, prometteva, ma, dalle sue aule, durante le sue lezioni, si continuavano ad udire risate, voci alterate, applausi scroscianti, e spesso fuoriuscivano dalle porte dell’aula, come reincarnate, le parole di Eduardo, o di Fo, o di Carmelo Bene, diffuse dai video che il Profattore usava durante la lezione.
Il Preside provò ad incastrarlo tramite le schede dei giudizi sui professori che annualmente vengono richieste agli studenti: macché, tutti i voti e i pareri scritti sul Profattore Di Cerasi erano molto alti e quindi inattaccabili! E poi, pensava il Preside, sarebbe stato controproducente attaccare un docente amato dagli studenti, rischiando di perderne diversi in tempi di magra, quando gli iscritti stavano calando paurosamente!
In realtà, poi, va detto che nessun collega conosceva bene il Di Cerasi, s’intende non lo conosceva in privato: della sua vita personale non faceva trapelare quasi nulla, se non che aveva una moglie, o compagna convivente, e, pare, una figlia ormai grande, o, qualcuno affermava, una figliastra avuta con un altro dalla compagna-moglie. Al cellulare, per dirne una, non rispondeva quasi mai; ai pranzi o cene di lavoro cercava di evitare la partecipazione; insomma, il Di Cerasi lo si vedeva in Facoltà solo per le lezioni e gli esami, e raramente alle riunioni accademiche, giusto a quelle in cui si dovevano decidere questioni di carriera. Questo suo comportamento, in verità, si era vieppiù consolidato dopo il suo raggiungimento del ruolo di professore ordinario, come se tale traguardo per lui fosse esclusivamente un punto d’arrivo piuttosto che un punto di partenza per nuovi slanci di didattica e di ricerca e studio.
Non che il Di Cerasi fosse da considerare un vero e proprio misantropo, o un maleducato, o un musone: aveva sempre il sorriso pronto sia per i colleghi che per gli studenti e per gli impiegati della Facoltà, e, all’occorrenza sapeva offrire quei piccoli disinteressati favori della vita accademica quotidiana: come lo scambiare l’aula, il cambiare un orario di lezione, lo spostare una data d’esame, ecc. ecc.
Insomma il Di Cerasi, detto il Profattore, era di certo una persona molto strana, piuttosto eccentrica, un poco misteriosa: a volte appariva un vero e proprio                                                                    sociopatico, altre volte un egoista che pensava solo a  se stesso. Ma di tutto ciò nessuno poi aveva troppo a che dire, ognuno preso dalle sue mansioni, dai suoi piccoli progetti accademici, dalle varie beghe concorsuali, dalle preoccupazioni di far vincere un concorso al proprio allievo prediletto. Certo, però, che quella manìa di recitare durante le lezioni era sempre meno tollerata, un po’ da tutti, a partire dal Preside e dal Rettore stesso, meno, però, che dalla stragrande maggioranza degli studenti frequentanti i corsi del cosiddetto Profattore.
Da un certo giorno non si sentirono più provenire dalle aule in cui teneva lezione brusìi, risate, applausi, voci amplificate, eccetera. Però, affermarono alcuni bidelli, si vedevano uscire, al termine delle lezioni, studentesse con gli occhi rossi, o col fazzoletto in mano che asciugava delle evidenti lacrime sulle guance; e  perfino i maschi spesso si mostravano in qualche modo turbati; qualche volta, dicevano sempre gli uscieri, si sentiva, alla fine della lezione del prof Di Cerasi, un sommesso prolungato intenso applauso che sembrava non finire mai! Mentre lui, il Profattore, abbandonava per ultimo l’aula, sempre carico di libri, e di un paio di borse rigonfie di carte, e se ne andava di tutta fretta, indossando degli occhiali scuri e guadagnando la porta d’uscita della Facoltà con la sua andatura dinoccolata, appena ingobbito al collo, che era lungo come quello di una giraffa; e di questo animale aveva  simili le grandi orecchie sempre rosse, come se raccogliessero continuamente i raggi del sole. Lo si vedeva anche da lontano, alto e magro qual era, sempre con lo stesso vestito blu chiaro di alta sartoria che pareva sempre nuovo, la fronte alta e spaziosa, le mani bianche.
L’anno accademico volgeva al termine, quando in una tarda mattinata primaverile dal tempo incerto e i nuvoloni grandi incombenti, poco prima che finisse la lezione del Profattore, due ragazzi uscirono dall’aula portando sotto le braccia, piegata in due sulle proprie ginocchia, una compagna, più pallida di una lastra di marmo Accorsero i bidelli, che la distesero su una panca, la fecero riprendere, finché i colori non le tornarono sul volto ancora rigato dai lacrimoni.
Il Preside, sentito il Rettore, decise di affrontare la situazione con molta attenzione e responsabilità, pensando, prima di affrontare direttamente il collega, di sentire la testimonianza di qualche studente. Il primo che arrivò nel suo ufficio mise subito le mani avanti, dicendo che un po’ tutti i suoi compagni non desideravano parlare del professore Di Cerasi, intimoriti anche da certe allusioni di quest’ultimo al trattamento riservato durante gli esami a chi avesse eventualmente parlato di lui con altri docenti. Alle insistenze indagatorie del Preside l’allievo rispose che certamente quel prof era molto strano, ma sapeva esercitare un fascino piuttosto irresistibile nei confronti degli studenti. Il Preside allora gli chiese di fare un esempio di come si esplicasse questo fascino: lo studente raccontò allora di quando il professore aveva iniziato a recitare La casa dei doganieri di Montale, e subito dopo Non recidere forbice, quel volto, creando un’atmosfera di assoluta sospensione del tempo-spazio, come se tutti fossero stati portati  per incantamento sulla riviera ligure o in quel della Toscana, presenti a quegli eventi allusi dalle poesie!
Fu poi la volta di una studentessa, dall’aria molto sveglia, e molto intelligente, alla quale il Preside chiese cosa pensasse del professor Di Cerasi, detto il Profattore, e lei:
“No, no, signor Preside, lui non vuole essere assolutamente appellato così! Dice che gli attori, se davvero bravi, consapevoli della propria capacità espressiva, sono da considerare al pari dei poeti: con un gesto, un’azione, una parola possono far piangere un’intera platea di spettatori! Dice che lui non ha raggiunto pienamente e del tutto quel livello qualitativo che fa grande un attore, e che si limita solo a far da intermediario tra un testo poetico, o uno scritto drammaturgico, e noi studenti!”.
“Ma“ replicò il Preside “queste, chiamiamole intermediazioni, hanno qualcosa di particolarmente istrionico, o eccessivo, o magari volgare?”.
“Macché, signor Preside, lo dovrebbe vedere: le giuro che il volto gli si illumina, come se… come se… si trasfigurasse! Come se divenisse un’altra persona, chessò il personaggio! Accade un fenomeno davvero strano, ma di un fascino grandioso, irresistibile!”.
“Signorina, ma lei è sicura di quanto afferma? Per caso, ad esempio, ha notato se il collega… insomma… se può aver assunto sostanze stupefacenti prima o durante le lezioni?”.
“No, non lo posso certo dire, assolutamente, perché, vede, nei passaggi esplicativi ed ermeneutici relativi ai brani che interpreta, è di una lucidità intellettuale innegabile! Si mostra sempre all’altezza, esibendo una vasta e profonda cultura!”.
Il Preside volle chiamare successivamente un gruppetto di studenti, in modo di controllare se fra loro trasparissero contraddizioni, incertezze, malintesi.
Ne arrivarono al suo ufficio tre. Due ragazze e un ragazzo, dell’ultimo anno, sicuramente più maturi di molti altri.
“Il professor Di Cerasi vi ha mai parlato della sua vita privata, della sua famiglia, di suoi eventuali problemi?”.
“No, assolutamente” rispose il ragazzo “lui non parla d’altro che degli argomenti relativi alla lezione: pare che viva solo per la lezione e per la sua interpretazione del testi: posso dirle solo questo!”.
“E voi, ragazze, che ne pensate?”.
Le due ragazze si guardarono negli occhi, e poi prendendo la parola la meno timida, una certa Eloisa, disse:
“Signor Preside, io mi chiamo Eloisa, e devo dirle che il prof Di Cerasi non lascia trapelare nulla del suo privato! Se dovessi ipotizzare delle sue fissazioni, dei suoi nodi irrisolti in base a generi e tipologie di testi recitati, mi scusi, letti, interpretati, insomma, non credo che se ne caverebbe un ragno dal buco, tali e tanti sono le scelte di programma da lui svolte!”.
E l’altra ragazza:
“Si, son d’accordo, e aggiungo che, quando un nostro compagno ha avuto un lutto gravissimo, il giorno che è tornato in aula alla lezione del professo Di Cerasi, detto il Profattore, quest’ultimo si è alzato in piedi e ha chiesto un minuto di silenzio in memoria del padre del nostro compagno, non aggiungendo una parola!”.
“Ma quando voi lo applaudite” fece il Preside “lui tenta di smorzare l’inevitabile frastuono, o addirittura lo provoca, fa in modo che duri a lungo?”
In coro, i tre studenti: “No, mai!” e il ragazzo:
“Gli applausi son sempre scaturiti dalle nostre volontà, perché il professore, per me, è più di un attore comune, è incarnazione dei sentimenti espressi da poeti e drammaturghi: è come se, vedendolo e ascoltandolo, nella nostra mente noi vivessimo quelle scene, come partecipassimo a un rito di… di… rinnovazione, potrei dire, di un evento già accaduto! Bisognerebbe starci, Preside, bisognerebbe starci!”.
“Infatti” interruppe Eloisa “lui ci ripete sempre che qualsiasi atto poetico deve ri-fare la vita, ripeterla rinnovandola, rivoluzionandola, benedicendola, e… e…” quasi commuovendosi  “ e tante altre cose, insomma… ”.
Il Preside a questo punto chiamò uno dei migliori studenti dell’ultimo anno del corso di laurea, tale Rolando, e gli chiese semplicemente il suo parere sul professor Di Cerasi.
“Guardi, Preside, io non ho nulla contro il  professor Di Cerasi, dai colleghi, mi risulta, soprannominato il Profattore… il problema, secondo me, è ambientale, contestuale, e cioè un professore che da tutto se stesso e nei modi in cui lo fa questo docente, non può stare in una Università come oggi è concepita e organizzata: si finisce o per prenderlo in giro, o per seguirlo in quanto persona di spettacolo, o lo si manda a quel paese… se non si teme magari poi di prendere un brutto voto all’esame… perché tanto bocciare lui non boccia!”.
E il Preside:
“Mi puoi ricordare un qualche episodio?”.
“Si…. Si… ecco… mi è rimasto impresso il modo in cui ha recitato e poi spiegato quel passaggio dei Sei personaggi in cui la Figliastra sta con la Bambina, quando le dice:
Povero amorino mio, tu guardi smarrita, con codesti occhioni belli: chi sa dove ti par d’essere! Siamo su un palcoscenico, cara! Che cos’è un palcoscenico? Mah, vedi? Un luogo dove si giuoca a far sul serio”
“Si, si, conosco, conosco! E quindi?”
“Beh, la voce gli si trasforma, pare un’altra persona, e muove le mani in un modo. Guardi, io direi… soprannaturale se non fossi preso per pazzo!”.
“Capisco, insomma diciamo che secondo te il collega sa attrarre gli studenti in modo particolare!”.
“Io direi di più, di più, ma è difficile trovare le parole”.
Il Preside, dopo aver parlato coi colleghi più anziani, e poi con i componenti la Giunta disciplinare, e infine col Rettore decide di inviare a tutto il corpo docente una circolare che vieta, per l’anno accademico successivo, qualsiasi tipo di lezione in cui i docenti si debbano improvvisare attori: e che, in caso di necessità, a spese della Facoltà, entro certi limiti, possono essere chiamati degli attori professionisti. Nella Circolare il Preside evita qualsiasi riferimento al nome del prof Di Cerasi, usando sempre la terza persona singolare: si dice; si mormora che; sarebbe accaduto che; e così via.
Arriva così l’ultima settimana di lezioni, e l’ultimo giorno di lezioni, e il professor Di Cerasi, per la prima volta in quell’anno accademico, non si presenta alla lezione, con grande sorpresa e dispiacere degli stessi studenti, che lo fanno chiamare telefonicamente a casa, senza ottenere alcuna risposta; al cellulare, come spesso era accaduto, la stessa cosa: il professor Di Cerasi risulta irreperibile. Passano i giorni, e il prof non risponde, non comunica le date degli esami, non partecipa più a nessuna riunione: ogni ricerca risulta vana, e la polizia, dopo svariate indagini, lo registra fra gli scomparsi da cercare… passano settimane, poi mesi, molti mesi, finché, mese dopo mese, anno dopo anno, rimane solo uno sparuto gruppo di ex studenti a ricordarsi del professor Di Cerasi, detto il Profattore. Continuarono per molto tempo a chiedersi chi veramente fosse stato, più ancora che chiedersi dove potesse trovarsi ora, o addirittura se fosse scomparso definitivamente dalla scena del mondo!