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Più sotto, si trova la disamina inerente allo spettacolo ESILIO della Piccola Compagnia Dammacco, scritta ben prima che questo andasse in scena a Tramedautore, rassegna milanese conclusa ormai da un paio di settimane. Peccato che, proprio in dirittura di consegna del pezzo, mie improvvise e impreviste problematiche tecnologiche e logistiche mi abbiano de facto impedito di pubblicarlo a suo tempo: quando cioè, con congruo anticipo, i lettori avrebbero potuto leggere temi e motivi per cui tale recita e tale festival meritavano una visita.  Recuperato ora il brano smarrito, pur tardivamente, voglio comunque proporlo nella sua stesura originale: con tanto, quindi, di criticità imputate allora alla

messinscena della compagine modenese che, tuttavia, affermavo essere senz’altro emendabili al vaglio di ulteriori repliche e rodaggi scenici. Sapere e leggere, pertanto, degli scrosci di applausi spontanei avvenuti a Tramedautore e poi dei successi tributati in questi giorni alla Piccola Compagnia indiziata (tra cui la candidatura alla vittoria del Premio Rete Critica), mi fa pensare d’avere visto bene e con buoni, giusti auspici oltre il velo di quel paio di difetti che occultavano un po’ la reale e grande forza dell’opera in questione. (dp)

Per chi intende sondare nuove drammaturgie d’Italia e d’altrove alla prova della scena, o quantomeno a suo ridosso, la rassegna Tramedautore è un appuntamento ricorrente tra fine estate e inizio autunno in quel di Milano. La manifestazione, diretta da Angela Calicchio e Tatiana Olear del centro Outis, torna perciò anche quest’anno al Piccolo Teatro Grassi – dal 15 al 25 settembre 2016 – con un ricco cartellone di proposte focalizzate sulle tensioni che segnano il cosmo europeo serrato nelle sue contraddizioni identitarie. Questo, mentre irrefrenabili flussi migratori e crisi post-capitaliste ne ridisegnano forze, forme e sistemi relazionali, mettendone in radicale discussione certezze presunte e configurazioni credute salde “da qui all’eternità”.
E tra gli spettacoli italiani in programma, ne figura uno da me visto al sempre vivace ed estivo Giardino delle Esperidi, festival condotto dal dinamico Michele Losi in un’amena area tra l’alta Brianza e il lago di Lecco. Mi riferisco a ESILIO: testo e regia di Mariano Dammacco che compare anche in scena accanto a Serena Balivo, impegnata a recitare un tragicomico ometto alle prese con la propria improvvisa disoccupazione che – nell’attuale e totalizzante società “nazista” del lavorare – lo taglia fuori da un insieme di relazioni e dinamiche le quali, suo malgrado, lo sostanziano come individuo sociale degno di adeguate attenzioni.
C’è però tanto di più nell’accorata pièce in questione, ordita sui voli terra-aria di una scrittura che ondeggia fra il divertente e il desolato, il super-filosofico e il pubblico confitto nel privato, il poetico stellare che solleva e l’articolata partitura fisica dell’attrice che, invece, trattiene al suolo con tutta la materialità scabra dei problemi di «un’anima in pena», abbandonata a una quotidianità d’isolamento indotto.
E Dammacco, da parte sua, dà consistenza e voce a quella che è (o pare essere?) la coscienza ascosa e lucida di tale omino ingolfato sotto marcate fattezze e abiti evidentemente non suoi, quasi ne imprigionassero i reali perché e percome circa gli incagli in cui s’è irretito il flusso sereno della sua esistenza. Con incedere morbido sul palco, e inguainato in un lungo vestito di lustrini, l’aut-attore fa così vibrare la dolce poesia del suo salato disincanto verso il «Caro me stesso» che lì vicino, appunto, si enuclea nella raffigurazione impedita, grottesca e vagamente fantozziana della Balivo, sita sopra una piccola pedana. Una minuta isola di metri 2.40 x 2.40, in cui concentrare il senso sparso di uno scacco umano inondante il pianeta intero: col suo odierno vivere sfibrato dalle ansie ultraperformative del risultato a tutti i costi, e dei target del trionfante «neonumerismo»; esito spurio di un presente aridamente quantitativo, ove vige il rigido diktat verticista dell’ottimismo ed efficientismo purchessia. E allora ben vengano a ridimensionare la grandeur di cotanto culturame da «managèri» (per dirla col navigatore-scrittore Simone Perotti) e da aziendali problem solvers, tutti gli spettri di negatività, paura e vario disagio che la personificata coscienza evoca – gridante, nascosta, dalle quinte – per descrivere gli stati d’animo insorgenti nel piccolo uomo alle prese coi marosi della propria deriva. Nel cercare di attraversare incolumi la tempesta, verso l’approdo a solari sponde, c’è perlomeno più tensione a ebbrezze vitali e di personale rigenerazione colma di chance, piuttosto che in qualunque posto ben inquadrato, fisso, fissato – e proprio per questo irreggimentato, condizionante e stretto – dove sentirsi riconosciuti e al riparo rispetto al «complotto planetario» ordito dalla confusiva e smembrata società globale 2.0 in cui ci si ritrova parcellizzati e persi, nostro malgrado, nell’illusione di un’iperconnessione fra esseri.
E la brava Balivo, pertanto, è un implodere di telluriche fibrillazioni di cui la voce – oltre al corpo e al costume – fa da camera a scoppio tenendosi stagna su timbri bassi d’affanno cinereo, tra scintille di lunare comicità in cui rifulge un imprendibile sarcasmo che arde sulle increspature di un agire smodato. Fin troppo, a dire il vero, in quanto crea un reticolo così fitto di dettagli gestuali e sequenze di movimento che, spesso, impigliano il finitimo ergersi dei motivi d’aerea elegia ed espansione condotti dai controcanti del lustrale Dammacco. Il quale a sua volta, quando è fuori scena a elencare i suaccennati disagi ansiogeni del protagonista, necessita di dare superiore densità vocale alla presenza di tale sua assenza che pure dovrebbe caricare l’atmosfera di pressante emotività. Criticità, queste testé delineate, presumibilmente dovute alla corrente fase di prime uscite della messinscena: la quale, tuttavia, dà già l’idea di potersi rifinire e strutturare secondo una più incisiva essenzialità, lungo ulteriori recite in grado di rodarla maggiormente. Sicché il lavoro merita una visita, nondimeno per farsi cullare dallo sciabordio d’acque risonanti in un corollario di musiche costellate di arpeggi e pianoforti profumati di nostalgia, impreziositi da violini dolenti; mentre lance di venose luci si temperano di arancione e talvolta di rosa, disegnando nell’aria trame e tagli di una tenuità tale che – più che un invito a Resistere – sono un invito ad attraversarli, per naufragare in se stessi ritrovando lo scintillio di nuove rotte ridenti.

Foto di Vito Valente

ESILIO
Ideazione, drammaturgia e regia: Mariano Dammacco.
Collaborazione: Serena Balivo.
Luci: Marco Oliani.
Locandina grafica: Stella Monesi.
Interpreti: Serena Balivo e Mariano Dammacco.
Produzione: Piccola Compagnia Dammacco.
Visto a Campsirago (Colle Brianza, LC), Palazzo Gambassi, 16 luglio 2016.
Al Festival Tramedautore il 25 settembre 2016, poi in tournée.

INFO E MATERIALI AI LINK:
outis.it
piccoladammacco.wixsite.com/teatro
facebook.com/piccolacompagnia.dammacco