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Ragazzi che vagano, “randagi”, per le città esprimendo un nuovo clima da “Arancia meccanica”; famiglie sempre più in crisi, in cui le prime vittime sono adolescenti che si rifugiano nel “chiacchiericcio” dei social media; e in cui l’autorità genitoriale è sempre più mal digerita dalle nuove generazioni; esempi di violenza gratuita anche verso se stessi, e così via. Tutto ciò accade oggi, nell’Occidente, in Europa, in Italia. Ritengo che dall’ “osservatorio teatro” una voce ancora validissima di analisi e di trasposizione efficace nella dimensione del testo drammaturgico ci venga offerta da Natalia Ginzburg. E penso che in particolare Fragola e panna, opera del lontano-vicino 1966, ci offra spunti molto puntuali e interessanti anche per noi, costituendo un validissimo esempio, e offrendo vari suggerimenti anche per chi scrive teatro.
<<La scena si svolge ai giorni nostri, in una villa in campagna nelle vicinanze di Roma>>: questi il tempo e il luogo della finzione indicati dalla didascalia d’apertura; nella villa, Flaminia e Cesare, moglie e marito, vivono ormai da molti anni come se fossero fratello e sorella; Flaminia è a conoscenza dei ripetuti tradimenti di Cesare, dato che è lui stesso a raccontarglieli. Un giorno, mentre Cesare è a Londra, arriva a casa sua Barbara, una donna ventenne, alle prese con un matrimonio disastroso, madre di un bambino e attuale amante di Cesare. La ragazza, scappata da casa, è venuta a chiedere aiuto credendo di trovare l’amante in casa, mentre trova solo la moglie assieme a Tosca, donna di servizio. Flaminia le offre una somma di danaro, e, con l’aiuto di sua sorella Letizia, le trova una sistemazione presso un ricovero di suore ai Castelli romani dal quale, però, Barbara fuggirà dopo nemmeno un giorno. Di lei non si hanno più notizie, e mentre Letizia si preoccupa per la sorte della ragazza, che aveva minacciato il suicidio, Flaminia prende atto della sua infelicità e Cesare, tornato nel frattempo, si disinteressa totalmente della faccenda.

La fabula del testo Fragola e panna  non può che restituire alla lontana l’ubi consistam della sua scrittura: occorre attenersi alla lettera, alla superficie, del suo tessuto verbale, del suo dialogato e del monologare dei personaggi. Ogni personaggio ha una sua partitura verbale monologica che lo definisce per quella che è la sua storia raccontata. Tutti i personaggi, poi, si confrontano gli uni con gli altri nei passaggi dialogici, che sono di fatto delle variazioni su tema di topiche di discorso, e di espressioni sentimentali, e di riflessioni su se stessi e sugli altri già espressi nei vari monologhi di ciascun personaggio.
   Nel caso di Fragola e panna solo Letizia, sorella della coprotagonista Flaminia, nella sua funzione di aiutante non ha per sé uno spazio monologico. Tosca, la donna di servizio, Barbara, l’altra coprotagonista, la giovane <<randagia>>, una randagia solitaria, mentre nel “nostro tempo” si è randagi in gruppo, il suo amante Cesare e la di lui moglie Flaminia, tutti e quattro detengono uno spazio per sviluppare la parola monologica (meno di tutti, però, il superficiale, egoista, donnaiolo Cesare). In particolare, poi, raccontano e si raccontano nel primo atto Tosca e Barbara; Flaminia in entrambi gli atti; Cesare nel secondo, l’unico in cui è in scena.
   Il racconto monologico di se stessi permette anche di orientare il lettore (e lo spettatore) nei successivi scambi dialogici, in cui si svolgono micro conflitti pungenti, acri, a volte impietosi (ma che non mutano rapporti dati come scontati). Una turbolenza, quella delle vite del terzetto Flaminia Cesare Letizia, che è come un incresparsi d’acqua in uno stagno nel fondo putrido e immobile. La pièce, infatti, termina con la presa d’atto che nemmeno la possibile tragedia del suicidio di Barbara scuote la coscienza dei tre: un suicidio creduto molto improbabile perché nella vita è raro che accada qualcosa di nuovo, di eccezionale, che cambi davvero in meglio (o in peggio) il corso degli eventi e delle esperienze, perché comunque lo <<schifo>> del vivere è già del tutto predeterminato, e nulla può cambiarlo. Per Letizia, concreta, generosa perché efficiente <<È tutto come è stato sempre. In questa nostra vita, è molto raro che succeda qualcosa di nuovo.>>. Per la disillusa e spenta Flaminia <<[…] anche quando succede qualcosa di nuovo, la vita non cambia. Rimane com’è. Schifosa.>> [ivi]; e per Cesare, che resterebbe immune da ogni metànoia nel caso Barbara davvero si buttasse nel Tevere, <<[…] non è mica una tragedia questa, è una barzelletta. La vita è molto avara di tragedie e ci regala invece una fioritura di barzellette.>>.
   In termini di genere drammatico, il testo lo si potrebbe ascrivere all’antica forma dell’ilarotragedia, per cui ci si difende dal tragico con ilarità, una volta scoperto che la necessità del caso indetermina il corso di ogni evento, di ogni vita, per cui l’imprevedibile è la norma e il prevedibile è comunque dolore.
   È anche per questo che la basilare linea drammatica che fa agire un personaggio per un obiettivo da raggiungere col superamento di ostacoli che creano conflitto e tensione emotiva in chi legge o assiste, in questo testo, come negli altri dell’autrice, costituisce una dinamica assai debole: il personaggio non sa bene qual è l’obiettivo, o non vuole o non prova a raggiungerlo. Tale è la condizione anche degli adolescenti e dei giovani del tempo  d’oggi: insicuri sui progetti per il futuro, delusi dal mondo degli adulti e dalle prospettive lavorative. Tosca, ad esempio, sa che vuol andarsene via dalla casa di Flaminia (e di Cesare) e ripete con effetto comico il refrain <<qui io non mi trovo>>, eppure s’intuisce che da lì non si muoverà. Barbara, la randagia <<intrusa>>, ha come obiettivo di essere aiutata dall’amante Cesare, ma casualmente non lo trova; si fa aiutare dall’antagonista Flaminia (e da sua sorella) ma in fondo nemmeno lei ha chiaro in sé di quale aiuto abbisogni, sa solo che in lei la pulsione al nomadismo deriva dal rifiuto nel testo ginzburghiano
di vivere col marito violento e di stare in casa, col suo bambino. Flaminia solo nel finale dichiara i suoi fallimenti ma li ipostatizza con una visione della vita quale <<schifo>>. Cesare, infine, è bloccato nella sua coazione a ripetere, quella di tombeur de femmes, delle quali ricorda poi, come nel caso di Barbara, la loro abnorme golosità.
 Ancor di più, oggi, si è allentata la compattezza della famiglia, con un sovvertimento dei ruoli che la rendono, come direbbe Bauman, “liquida”. Già in Fragola e panna ogni personaggio vive una sua identità socio-familiare indeterminata, sfuocata; ognuno è calamitato dalla vita di <<clan>>, tribale, promiscua, per cui Tosca, ad esempio, è un’anomala donna di servizio; Barbara è figlia di N. N., mal educata da una nonna-madre alcolizzata; è una figlia-nipote e a sua volta una madre sostanzialmente solo biologica; infine i coniugi Flaminia-Cesare vivono come sorella e fratello! E nemmeno i ruoli economico-sociali costituiscono delle barriere al raggrupparsi promiscuo, superficiale e momentaneo del clan.
I personaggi <<conversano>>, nel senso etimologico del latino, andandosene coi loro pensieri di qua e di là, aiutati dalla sintassi paratattica che non complica imbriglia e blocca il peregrinare dei loro pensieri e parole. Un po’ come accade a noi coi nostri blog, i nostri “post”, il nostro spesso casuale e ammatassato chiacchierare via Internet.

Il divagare dello sciame di parole dialogiche è anche il segno stilistico della casualità del vivere; la struttura sintattica di tipo paratattico permette di disseminare gli argomenti dando un’impronta di improvviso casuale, vago, come nelle <<chiacchiere>> quotidiane, dove si compongono argomenti seri con facezie e nonsense, il parlare <<del più e del meno>> con argomentazioni impegnate. Esempio massimo è quello di Cesare che, non preoccupandosi delle eventuali pulsioni suicide di Barbara, anzi, escludendole, si dice certo che <<Girerà [Barbara] la città mangiando gelati. Fragola e panna. Ho speso un patrimonio in gelati di fragola e panna, con lei.>>: Barbara diviene agli occhi di Cesare quasi per antonomasia, colei che s’ingozza di gelati fragola e panna.