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Riapre con Sergio Rubini la storica rassegna estiva dei Giardini della Filarmonica di Roma.  “Encore verdure” sono le parole che aprono un recente (assai felice) libro di Serena Dandini sulla passione per i giardini; soprattutto, spiega l’autrice in quella sede, sono le ultime parole pronunciate da George Sand in punto di morte, “invocando un verde paesaggio su cui posare il suo ultimo sguardo”. Con anelito affine, all’inizio della rassegna più affascinante dell’estate romana, mi trovo a desiderarne l’inconfondibile scenario naturale, stillante clorofilla a ridosso di Valle Giulia, quasi più dello storico, riuscito e fin qui molto atteso, festival di solisti del teatro, in quel luogo ameno annidantesi nella bella stagione. “Fin qui” sono ben diciotto anni. Tanti a pensarci bene: dopo averne frequentati appena una decina, ci si sente affezionati habituès di questo evento così speciale ai Giardini della Filarmonica, capace di sapersi “posare” annualmente nel verde secolare con molto stile e levità, accontentandosi  di occupare, solo per un po’, uno spazio altrimenti  stabilmente riservato ai concerti. Prende invece i suoi lontani natali dallo scomparso Teatro della Maddalena  questa formula doc, dai tempi gloriosi di Dacia Maraini e per iniziativa di un intrepido Gianni Borgna. L’ organizzatrice Carmen Pignataro, responsabile oggi di altre notevoli attività, proviene dall’esperienza singolare di quello storico Teatro delle donne (un teatro che vide passare fra tante Edith Bruck, Adele Cambria, Lucia Poli, Franca Rame) e ha il privilegio di rappresentarne la memoria vivente. Nei fatti, si direbbe, considerata la qualità strutturale e inventiva dei palinsesti annuali: con rapida reminiscenza mi si accumulano in memoria svariati flashback di atmosfere e protagonisti incomparabili: Fanny Ardant, Jeanne Moreau, Lina Sastri, Alessandro Benvenuti, Licia Maglietta, Franca Valeri.....Il palcoscenico essenziale immerso nelle fronde, lo spazio per il pubblico assai raccolto, nel boschetto a latere un invitante ambiente-ristoro, dissimulato in forma conviviale come un salotto-camerino-veranda, un po’ come alla Cartoucherie: tutti  particolari capaci di favorire un’ esperienza di prossimità con i protagonisti delle rassegne, difficile da sperimentare altrimenti….Un’ occasione per gli artisti del cinema di misurarsi con il pubblico del teatro e viceversa; la possibilità per i protagonisti del teatro di condividere letture amate, ipotesi e progetti, mentre ancora se ne vanno configurando le potenzialità; la sorpresa per il pubblico di un approccio ravvicinato, però semplice, diretto, poco strutturato, come di rado lo spettacolo consente.. C’è “un che” di Versiliana, e –dicevamo- “un che” di Cartoucherie, ma a misura intima e metropolitana insieme, capace di farne un “must” unico e inconfondibile, aperto a grandi nomi e giovani leve.

Questa edizione si concentra sul tema “parole e musica” e si apre con un reading  di Sergio Rubini dal provocante titolo “Faccio un numero a caso”. Si tratterà di una serata dedicata alla poesia di Edoardo Sanguineti, volendone commemorare la scomparsa di un anno fa. La regia, dello stesso Rubini, prevede che le sue letture dai versi del poeta-linguista si alternino con un commento all’opera, condotto dal saggista Antonio Gnoli  (lui invece tutto sanguinetianamente bianco nei capelli, nella barba e nell’abito di lino) e con piacevoli intevalli musicali  a cura del giovane pianista Alessandro Gwis (a torto paventati per dodecafonici, considerando il legame di Sanguineti con Berio). Se tali sono le premesse da programma, la serata è resa interessante soprattutto dalla presenza di un attore televisivo e cinematografico che ha convinto e divertito, restando tuttavia umanamente e professionalmente un’incognita: il pubblico è incuriosito dal vederlo agire in un territorio più ravvicinato ed è attratto dal suo intuibile spessore umano e professionale. Di Gnoli, dalla scrittura appassionante, tutti ricordano certamente la collaborazione allo spazio culturale di Repubblica, sebbene la sua presenza in scena trovi fondamento nella paternità  (per Feltrinelli, 2006) del libro-intervista “Sanguineti’s song. Conversazioni immorali”. A titolo personale invece, rammento bene di aver apprezzato la sua vicinanza con il filosofo Franco Volpi, percettivo traduttore del molto atteso “Nietzsche” di Heidegger, al quale devo un passaggio chiave di tesi di laurea. Come Rubini con Sanguineti (apprenderò poi), avrei sempre desiderato ringraziarlo…..buffa coincidenza di assenze lancinanti…

In effetti mi attende uno strano spettacolo. Rubini arriva in scena rapido e leggero, ma senza un sorriso (?) e tutto in nero: compreso il tutore  per l’ imprevisto braccio al collo, che lo rende molto nervoso e  visibilmente a disagio. Enuncia un po’ precipitosamente, per essere l’ottimo attore che è, il senso della sua scelta teatrale, dovuta ad una predilezione giovanile per Sanguineti che non è mai  venuta meno e  che porta il segno di una malinconia: non aver mai incontrato quel suo poeta, per leggergli quei versi in presenza, confrontandosi  sulla forza, il valore e l’efficacia di quella condivisione. A metà serata si avrà la percezione esatta di quanto si sia trattato di una effettiva grande occasione mancata per entrambi.

Senonchè questo inizio è esitante: l’attore è bloccato a metà dal tutore che gli immobilizza il braccio destro per effetto di un intervento alla spalla. Considerata la caratteristica scioltezza del suo gestire abituale, la sua disinvoltura e talora una certa “faccia tosta” messa in copione (in veste per lo più simpatica, ma al bisogno anche intimidatoria) viene da chiedersi se il tutto non si presti ad una strategia registica che intenda sottolineare una dissociazione del protagonista, oltre all’impedimento.

Così che per “tutore” (strumento di sostegno, ma anche imbrigliante), non debba intendersi piuttosto il ruolo inizialmente troppo didattico e pressocchè da “Super –io recitante” assegnato a Gnoli. Una soluzione teatralmente lontanissima dalle possibili scelte drammaturgiche del Sanguineti più maturo (propenso a sopprimere del tutto le didascalie in teatro, pur di non limitare la naturale espressività degli interpreti) ma in sintonia con la sperimentazione linguistica del poeta, non di rado facente il verso al linguaggio degli intellettuali progressisti come Gnoli…
Messa così, la messa in scena si annuncerebbe costruita su una lettura della poesia delle neoavanguardie come “mimesi critica della schizofrenia, rispecchiamento e contestazione di uno stato sociale e immaginativo disgregato”, volendo citare l’esattezza di Alfredo Giuliani.

Anche l’avvio dello spettacolo sembra soffrire della tripartizione come di uno schema autoritario: procedendo a segmenti separati l’evento tasta il terreno in modo incerto, mantenendosi per un po’ sul piano del saggio amatoriale: ci metterà alcuni minuti prima di scorrere, di guadagnare una dimensione intensa...

E’ nel leggere i versi che ha scelto per il suo reading, che Sergio Rubini si va acclimatando alla situazione: si sente che la padronanza di quella lettura gli parte dall’interno, da un moto intimo di condivisione del diniego radicale e provocatorio  che le  prime due poesie,  contenute forse in “Laborintus”  e  pertanto insolenti, ironiche e geniali, dichiarano…

Ciò che sorprende di Rubini è l’assoluta mancanza di riguardo per se stesso, per il suo ruolo di protagonista sulla scena : addirittura sembrerebbe tentato, in primis, di conferire questo riguardo a Gnoli, quasi fosse portavoce di un sapere più autorevole di quello attoriale. Cosa peraltro impossibile, non fosse altro che in virtù dell’adesione appassionata ai testi, che Rubini manifesta anche fisicamente, con una fisicità marxista, fiduciosa dell’essere sostanza, come a Sanguineti sarebbe piaciuto …Ciò che sembra catalizzare la sua sensibilità, allora, è la spinta emotiva di una responsabilità profondamente sentita: restituire tutte le connessioni con il poeta assente, farsi una sua proiezione….Almeno in memoria.

E’ tanto vero che, spettacolo procedendo, Gnoli e Rubini, prima collocati ai poli opposti della scena, si vanno avvicinando, si siedono accanto, quasi leggendo insieme: e la forza dell’attore aumenta a mano a mano che il verso e il commento si fanno più contigui e quasi condivisi.  Mentre inforca gli occhiali mi scopro a pensare che sembra proprio un intellettuale progressista…

Ma anche questo vigore attoriale si dispiega con maggior decisione e intensità mentre l’esperimento poetico di Sanguineti si avvicina alla positività e alla fiducia di aspetti vitali non compromessi con la falsità del mondo del profitto: versi memorabili  dedicati al femminile, al mondo familiare e privato.

A fine spettacolo il pubblico in piedi chiede appassionatamente un bis…Solo allora, quasi sorpreso, Rubini, finalmente sorride…Luminoso di una luce incredula, lascia trapelare  all’improvviso uno slancio dolcissimo, una disponibilità  generosa a continuare malgrado le riluttanze altrui… Non potrà..”Ma meglio no”, commenta un misterioso signore seduto accanto a me, “ha toccato un livello talmente alto di contenuto e di stile che sarà meglio portarcelo subito via…”. e io, che non ci avevo pensato…

Gli ultimi film di Rubini (“La terra”, “Colpo d’occhio”, “L’uomo nero”) sono portatori tutti di un impegno ideologico e politico di grana affine a quella di Sanguineti e ad un’ottica visibilmente marxista. Perfino il suo strepitoso Bertuccio, per il “Conte di Montecristo televisivo”,  parlava già sanguinetiano: una specie di Gatto con gli stivali, di  Visconte dimezzato, che nell’”Uomo nero” affiora finalmente tutto, junghianamente, (come a Sanguineti, ancora, sarebbe piaciuto), a demistificare la realtà alienante e la fatica dell’intellettuale per vederci chiaro…

“Questo è il gatto con gli stivali” è una poesia che non era nel programma  della serata, ma contiene molto, in fondo, del poeta e dell’attore, del reading e perfino del giornalista :

questo è il gatto con gli stivali, questa è la pace di Barcellona
fra Carlo V e Clemente VII, è la locomotiva, è il pesco
fiorito, è il cavalluccio marino: ma se volti il foglio, Alessandro,
ci vedi il denaro:

questi sono i satelliti di Giove, questa è l’autostrada
del Sole, è la lavagna quadrettata  (…..
…………………………………………………………………………
……….) ma se volti il foglio, Alessandro, ci vedi il denaro:

e questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza e sono i libri di storia con le loro storie:
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente..