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Al teatro Filodrammatici, al ritmo di musiche che attraversano i tempi, arrivano frammenti di Virginia Woolf. Il testo racconta alcuni momenti della vita della scrittrice che, nel 1941, si riempì le tasche di sassi e si gettò in acqua; il corpo fu ritrovato venti giorni dopo. S’insiste su alcuni particolari della sua vicenda esistenziale: gli abusi subiti da ragazzina, il suo orientamento sessuale, la depressione, definita da alcuni studiosi vera e propria schizofrenia. Ma Virginia Woolf non fu solo questo e la drammaturgia di Ken Ponzio risente proprio della difficoltà di condensare in poche battute la complessità di una grande personalità, di una grande scrittrice. Virginia Woolf era pazza? Difficile rispondere a questa domanda; certamente la sua scrittura non è quella di una pazza. Soffriva di melanconia, di psicosi maniaco-depressiva. Il suo umore a volte la trasportava verso l´alto, a volte la rinchiudeva dentro una foresta intricata. La scrittrice conosceva molto bene questi suoi estremi, e li ha raccontati, analizzati lucidamente. Visse sempre in allarme. Sentiva che una minaccia mortale l’attendeva: in un sogno, in un’onda dolorosa che cresceva dall’interno, nella pinna di un pesce, in un assalto di emicrania, in una lettera, in un oggetto, in un’ombra. Difendersi dall’onda della depressione era quasi impossibile. Virginia accettò i suoi momenti di luce e di ombre e vi costruì intorno tutta la sua esistenza, riempiendola di scopi e di attività per non farsi trascinare via. Un'altra persona avrebbe cercato di voltare le spalle alla malattia, alla mancanza, ma la Woolf possedeva un grande coraggio intellettuale. Comprese che i molteplici aspetti della sua depressione, andavano raccontati affondando la parola in quelle acque scure, in quella corrente che poi la trascinò via. Soffriva, inoltre, di una seconda malattia. Mancava d’amore. Si sentiva sempre estranea, in ogni luogo, si ritrovava solo nella sua scrittura. Temeva il vuoto, l’abbandono e si consegnò ad essi tranquillamente in un giorno di marzo, mentre i tedeschi bombardavano l’Inghilterra. Anche   la guerra contribuì a farla sprofondare nel dolore, nell’impossibilità di trovare qualche rifugio. Nella drammaturgia, questi aspetti fondamentali del carattere di Virginia, emergono poco. Rimane un po’ in ombra, forse volutamente, la figura del marito che invece, nel bene e nel male, ebbe un ruolo significativo per la scrittrice. Il rapporto con quest'uomo fu importante in tutte le scelte di Virginia, nei momenti di felicità e nella sofferenza, nella scrittura, nelle sue relazioni private e pubbliche, nel modo ambiguo di gestire la sua presunta follia. Comunque cercò di aiutarla e la stimolò ad andare avanti, a raggiungere un’indipendenza economica. Le tre attrici che interpretano la scrittrice sono versatili, dinamiche ed energiche; molto brave nel gestire la molteplicità del personaggio. La parola narrata tuttavia è spesso interrotta da brani musicali, certo d’effetto, ma forse riempiono troppo la scena. Non bisogna dimenticare che la parola di Virginia è musica. I suoi monologhi interiori, il suo procedere avanti e indietro, sono una vera e propria sinfonia del linguaggio. Emozionanti alcuni momenti scenici: le tre figure si muovono contemporaneamente all’interno di una foresta invernale, spoglia e nella “stanza tutta per sé”, cercando di rispondere alla domanda: chi era Virginia Woolf? Era tutto questo: foresta e tranquillità di un pomeriggio trascorso in salotto con gli amici a chiacchierare e bere un buon caffè. La domanda fondamentale non ha una sola risposta. Ognuno di noi è un prisma, una molteplicità di emozioni, sentimenti e Virginia lo era ancora di più.

Frammenti di me. Teatro Filodrammatici. Milano.
8- 20 novembre 2011
di Ken Ponzio
con Silvia Giulia Mendola, Marta Lucini, Debora Zuin
e con Riccardo Pradella
regia di Corrado Accordino co-produzione La Danza Immobile – eThica?