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“E il poverin, che non se n’era accorto,
ancora combatteva ed era morto”
Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata, Atto IV°, cap. XVII.

L’interrogativo, cui darò risposta, è contenuto in una canzone e quindi dovrò proporvelo cantando:

Maramao, perché sei morto?
Pane e vin non ti mancava,
l’insalata era nell’orto,
e una casa avevi tu.

Caro Diario,
sono stato a Santarcangelo per il Festival, di per sé non una grande novità, dato che ci vado regolarmente da trent’anni tondi.
L’edizione di quest’anno, su cui trovate un eccellente rendiconto di Maria Dolores Pesce sul sito, è stato caratterizzato dall’emergenza sia per mancanza di soldi (eredità della dissennata gestione del CdA precedente, con al comando una coppia che sembrava la risposta italiana a Scemo e più scemo) che di programmi, data le tardive dimissioni, a fine marzo, del direttore artistico scelto dal CdA di cui sopra, Olivier Bouin: il presidente dell’attuale CdA, Sandro Pascucci, noto soprattutto per la felice stagione dei comici e dei satiri a Longiano tra anni ’80 e ’90 ha fatto appello alle compagnie teatrali prodotte dal Festival, Teatrino Clandestino e Fanny & Alexander, che a loro volta lo hanno esteso ad altri nuclei artistici, oltre che ai ‘compagni di strada’ del Festival: critici, docenti, ricercatori, spettatori attenti. Già in precedenti occasioni e massime nel 1978, la dimensione critica e teorica aveva felicemente caratterizzato Santarcangelo. Tra le numerose iniziative promosse dalle compagnie e dalla posse di giovani critici Altre Velocità si collocava la presentazione di un’ipotesi di - letteralmente - rinascita del Festival così come congetturata da Piergiorgio Giacchè, valente antropologo perugino coinvolto nel teatro, specie in quello che un tempo si definiva dei ‘gruppi di base’. La proposta di Piergiorgio era impostata sulla formula trinitaria “Il teatro è uno e trino” e si basava - a dirla molto rozzamente - su una combinazione virtuosa tra chi il teatro lo fa (artisti e tecnici), chi lo frequenta e lo osserva (spettatori e critici) e chi lo governa, sia dall’interno (organizzatori) che dall’esterno (politici e amministratori).
Per la direzione artistica si proponevano – in linea con i fondamenti stessi della tradizione del Festival – gli artisti al comando, pescando – auspice il genius loci della Romagna Felix – tra gli artisti affermatisi tra anni Ottanta e anni Novanta: Chiara Guidi della Societas Raffaello Sanzio, Enrico Casagrande di Motus, Ermanna Montanari delle Albe e Cesare Ronconi del Teatro Valdoca. Tuttavia Giacchè premetteva a tutto una dolorosa presa d’atto cioè che il Festival era morto, da cui la domanda: Maramao perché sei morto?
Giacchè, dietro una ruvidezza umbro-perugina di superficie, è in realtà un buono e – pur ribadendo l’amara constatazione del decesso – non lo imputava segnatamente a nessuno o – meglio – lo imputava genericamente un po’ a tutti.
Giunti a questo punto, devo aggiungere che, tra le numerose iniziative critico-informative della Redazione di Altre Velocità, c’erano dei brevi interventi da parte di artisti, operatori, critici e culturame vario, da proporsi subito prima degli spettacoli, brandendo un megafono e intrattenendo la piccola folla che si accalcava attorno, più che altro nel tentativo di guadagnare una buona posizione in vista dell’imminente ingresso allo spettacolo. Tali interventi verbali, in stile retro, da agit-prop, venivano chiamati, con espressione non proprio felicissima - che dire allora della stessa intitolazione del collettivo Altre Velocità? – Rilascio lento. Insomma, sono stato invitato anche io ad effettuare un rilascio lento, per altro al limitare di un bosco, quindi su terreno quanto mai adatto alla bisogna, in quel di Mondaino, ai confini tra Romagna e Montefeltro, ad una buona ora di autobus da Santarcangelo.
Poiché i rilasci erano marzullescamente imperniati sul classico “si faccia una domanda e si dia una risposta”, a meno di non voler rispondere alla triade di domande standard, decisamente non stuzzicanti, mi sono fatto la domanda di cui sopra e cioè: “Maramao perché sei morto” naturalmente cantandola insieme al resto della prima strofa: “Pane e vin non ti mancava, l’insalata era nell’orto, e una casa avevi tu”.
Prima di rispondere alla domanda fatidica ho azzardato una interpretazione dei versi successivi al primo, convinto della loro pertinenza; infatti Maramao era morto nonostante una condizione generale – si sarebbe detto – invidiabile: non gli mancavano infatti pane (che si fa col grano, quindi denari) e vino (gli altri mezzi, come li chiamerebbe Giacchè, liquidi e nondimeno essenziali quali una buona reputazione e la simpatia del pubblico); nell’orto c’era l’insalata, un elemento vivo che cresce in fretta, allusione chiara all’elemento altrettanto vivo delle compagnie e degli artisti.
Infine, basilare, la casa, e qui la metafora si faceva ancor più trasparente: la casa naturalmente era la stessa cittadina di Santarcangelo con il territorio circostante. Dunque, nonostante tutti questi elementi positivi, Maramao muore: perché?

Caro Diario, dovevo rispondere assolutamente, tanto più che ero forse la persona maggiormente informata dei fatti che avevano portato all’infausto decesso, avendo passato un quarto di secolo, dal 1977 al 2002, negli organismi di direzione politico amministrativa del Festival.

A mio modo di vedere Santarcangelo/Maramao non aveva tollerato di essere riportato da Dumb & Dumber al rango di rassegna, dopo essere stato, per quasi trent’anni, un Festival e, a tratti, che Festival! Si era cioè inaridita la linfa vitale che scorreva tra gli artisti e il Festival, la complicità tra chi aveva la responsabilità artistica complessiva – si dovrebbe dire la regia del Festival – e le compagnie. Anche direttori diversissimi tra loro come Roberto Bacci e Antonio Attisani questo avevano in comune, la complicità degli artisti.
Ridotto a rassegna, Santarcangelo non ha retto, Maramao era morto, perché, come scrisse Bacci proprio nel programma del 1978, una rassegna si limita a sommare le compagnie, mentre il crogiolo di un Festival le moltiplica!

Proprio Bacci, nel programma d’intenti del Festival del 1978, La città dentro il teatro, sottolineò la differenza tra un Festival e una rassegna di spettacoli: una rassegna si limita a sommare le compagnie, un Festival le moltiplica.
Retrocesso a rassegna, ridotto a simmetria di elementi disomogenei, Santarcangelo non ha retto e a Maramao, che pure aveva pane, vino, insalata, casa e anche micine innamorate, è mancata l’aria ed è morto.

Caro Diario, adesso vado al mare, dove conto di rimanere a lungo: ti ritrovo a settembre.