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Dopo anni vissuti in maniera defilata rispetto al panorama teatrale nazionale, il talento di Mariano Dammacco (due volte insignito al Premio Scenario negli anni ’90) torna alla ribalta attraverso una drammaturgia originale che, un anno e mezzo fa, si fregiò del premio “Il Centro del discorso”. Finalmente, grazie al contributo produttivo del festival Asti Teatro 34, il testo L’ULTIMA NOTTE DI ANTONIO è andato in scena con la regia dello stesso autore e del venticinquenne Salvo Lombardo, i quali ne sono stati pure interpreti assieme alla giovane Serena Balivo. Lo spettacolo impegna il terzetto in una visionaria ricostruzione post mortem dei capitoli finali della storia di cocaina e male di vivere del defunto Antonio. Cosicché la scena si presenta alla stregua di una zona di confine che predispone un limite sul fondo, dove un paravento si erge a incorniciare una bianca porta sospesa su una frontiera spaziale dischiusa su un orizzonte altro. Al di qua, invece, quattro microfoni montati su aste se ne stanno piegati e solitari in uno spoglio rettangolo scenico, abitandolo di un’attesa colma del loro mutismo iniziale che chiama presenze e suoni passibili di farli vivere oltre isolanti barriere di silenzio e vacuità. Eccole, quindi, le tre figure umane che gradualmente entrano ad animare quel luogo sulla palpitazione irregolare di tenui movimenti e coreografie a terra o in cerchio, oppure secondo ghirigori, vortici e triangoli, che agganciano e trascinano fatalmente lo sguardo dello spettatore nel labirinto della tormentata vicenda. La musica è compagna di viaggio in questa sortita fra gli smarrimenti interiori, i dolori epici, i tramortiti slanci e i fantasiosi nomadismi mentali del protagonista. Musica ancestrale e ieratica da cui, talvolta, si staccano affilati lirismi evocanti una tensione a un raggiungibile assoluto che possa ricomporre a un’unità le lacerazioni sparse di un’esistenza franta, di cui le parole pronunciate dagli attori manifestano il nodo di interrogativi radicali sino al confronto non scontato con la banalità, o altrimenti esprimono le aspirazioni grandi ma incerte fino allo spasimo corporeo, i personali desideri di appartenenza spezzati però da un senso di irriducibile singolarità, nonostante la partecipe o distaccata vicinanza espressa dalle postume testimonianze altrui. Prende forma e sostanza, insomma, l’ansia volubile di un animo umano che chiede di più da se stesso e dal proprio divenire senza sapere invero cosa e come fare, pur nella sua sensibile interazione con gli altri; poiché ovviamente neanche la spinta psicoattiva scatenata dalla candida droga realizza un effettivo superamento di limiti, schematismi disadattivi e falsi miti, auto-inculcati per una necessità di difesa dalla travolgente intensità a cui la vita chiama ognuno. Un cocente magma intimo fatto risaltare e ispessito dalla correlativa amplificazione delle voci che, lungo lo spettacolo, riversano nei microfoni la drammatica poesia testuale concepita dall’autore con struggimento e nondimeno ironia. Infatti, si ride nel corso della messinscena: per esempio, quando Salvo Lombardo svolge la sua funzione di “Coro” raccontando con piglio fiabesco fatti e aneddoti storico-fantastici sulla cocaina, accompagnato con fanciullesca grazia dagli umoristici siparietti mimati dal protagonista – impersonato da Dammacco – insieme alla figura femminile incarnata dalla Balivo. Sono onde di riposo e distensione dell’“ultima notte” di cui Antonio è sempre al centro e che offrono allo spettatore la possibilità di avvicinarlo ulteriormente per toccarne l’interno dissidio, scavalcandone le ipoteche di preclusione da un’esperienza apparentemente distante. La tossicodipendenza di un quotidiano incedere nelle abitudini di un’arida società, l’ovvietà ineludibile di certi nostri pensieri senza originalità, il bisogno costante di essere salvati anche se la vita può rivelarci inetti al suo cospetto sono, d’altronde, analoghe nottate senza fine che adombrano le pieghe oscure di ogni nostro giorno. “L’ultima notte”, cioè, avviene in continuazione ma solo pochi esseri lucidi se ne accorgono. Allora la recitazione assume perlopiù toni dolenti, spezzettati, con timbri ricorrenti da straniata fiaba allo scopo di comunicare giusto un senso d’insormontabile atemporalità. In tale contesto, la Balivo – caricata di una bionda capigliatura e di un vistoso costume elegantemente démodé – dà corpo a una fibrillante marionetta dall’andatura storta e dalla fragile vibratilità nel racconto del suo amore ingenuo, ma vero, verso il caro estinto; Dammacco libera movenze sognanti e gesti di aerea levità da spirito d’altri mondi, riequilibrandoli tuttavia nell’impadronirsi carismatico e deciso della scena di cui è la ragione ed espressione principale; Lombardo si muove con vaga circospezione punteggiata d’accelerazioni danzanti e sguardi di perlustrazione, interponendosi in qualità di testimone nella spirale di densità affettive tessuta dai primi due. Egli diviene così anche un tramite di empatie in quanto, coi suoi interventi, espande l’onda degli assilli e degli afflati al di là della loro sfera particolare, dettata dalle varie circostanze drammaturgiche. Avendo assistito al paio di recite iniziali del lavoro, rilevo che le differenti ritmiche recitative mostrano l’opportunità di precisarsi secondo una maggiore calibratura reciproca (pur nel rispetto delle diversità di scansione), dimodoché il piano verbale fluisca in omologa sintonia col descritto coreografismo di coinvolgenti simmetrie e movimenti che pare condurlo fisicamente sulla scena. E difatti, fermi restando il visibile potenziale di valente caratura dei due attori più giovani (destinati perciò a crescere) nonché il fisiologico rodaggio a cui sottoporre l’opera, certuni strascicamenti ravvisati a tratti nella loro dizione appesantiscono il decorso del testo, arrecando un indebolente contrasto in un organismo teatrale di simile coesione e mobilità. Organismo di toccanti tenebre e bagliori grazie, per giunta, all’accurato intervento luministico di Francesco Dell’Elba in grado di vivificare ulteriormente l’agone scenico insufflandolo di attimi di spiritica sospensione per mezzo di annebbianti chiaroscuri, oppure aprendone feritoie trasversali di luce in cui gli occhi possono distendersi respirando; tra esplosivi lampi nel buio del teatro e stroboscopie da delirio psichedelico, dove vortica il Big Bang di uno spettacolo che attraversa le frontiere della morte per ritrovare territori nuovi della vita. Un conturbante esodo che può rivelarsi l’oggetto di culto della prossima stagionale teatrale, purché vi siano addetti e operatori lungimiranti che intendano proporlo a platee di persone vogliose ancora di stupirsi.

Foto di Giorgio Sottile

L’ULTIMA NOTTE DI ANTONIO
di Mariano Dammacco
Regia: Mariano Dammacco e Salvo Lombardo.
Costumi: Luigi Spezzacatene.
Luci: Francesco Dell’Elba.
Suoni: Roberto Iacomucci.
Disegno locandina: Stella Monesi.
Interpreti: Serena Balivo, Mariano Dammacco, Salvo Lombardo.
Produzione: Piccola Compagnia Dammacco e Asti Teatro 34.
Asti, Teatro Alfieri, 4 e 5 luglio 2012 (http://comune.asti.it/teatro/).
[Prima rappresentazione assoluta: Rovagnate (LC), Villa Sacro Cuore, 28 giugno 2012 per Il Giardino delle Esperidi Festival (www.scarlattineteatro.it)]