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Giunge a Roma solo per questo 29 settembre, al Teatro Stanze Segrete di via della Penitenza 3 (www.stanzesegrete.it), uno spettacolo difficilissimo da intercettare per le sale nazionali e senz’altro anti-mainstream o, perlomeno, poco accomodante rispetto alla media di esibizioni congeneri che si vedono in giro. Sarà forse per il suo contundente mood underground o per la libertaria invisibilità indipendentista rivendicata dai suoi stessi artefici della compagnia ligure Ginnungagap: bisognosi di relazioni e incontri colmi d’intempestivo, affini a delle vere e proprie epifanie spiazzanti entro le sfere extra-quotidiane del Teatro e della Poesia. Un surplus artistico ed esistenziale dirompente e pertanto incoercibile nelle grigie maglie di un sistema teatrale che, invece, è irretito nella ricerca di consensi presso un astratto pubblico di massa da strapparsi a più seducenti mezzi spettacolari. Così, per questi e altri motivi, sarebbe davvero un atto di pregnante rottura assistere a VELENO BREVE, performing-recital concertato appassionatamente dalla presenza e voce di Paolo Spaziani sulle musiche di Giuseppe Della Ragione, secondo la regia di Letizia Corsini. Musiche congegnate ed espresse sul succedersi di una serie di strumenti e ammennicoli vari fatti risuonare dal vivo con puntigliosa fantasia, andanti da una ticchettante macchina da scrivere a fischiettanti palloncini da gonfiare e sgonfiare, da una più canonica armonica a bocca ai volumi rotondi di una ondulante sega, dalle distorsioni di una chitarra elettrica stressata da un archetto alle fredde vampate di sample computerizzati e altro ancora di variegato. Prima ancora di compenetrarsi con tale orchestrazione, Spaziani attende muto e col suo enigmatico sguardo lo spettatore entrante; vestito elegantemente con un’aria da dandy un po’ dark, egli se ne sta al cospetto di un microfono eretto su un’asta, affiancato da una sedia a destra e da un leggio a sinistra, dove poco più in là si situa pure il musicista. Sistemato l’uditorio nell’oscurità della sala, la performance s’accende fra il nascere dei suoni e sulla sottile striscia di luce emanata da un piccolo cilindro che l’attore fa comparire di scatto direzionandolo repentinamente verso il leggio di lato, su cui riposano i fogli da leggere. Il fulminante gesto è accompagnato allo stesso modo dal volto e da un’intensità d’occhi dell’interprete, ed è un’azione che si ripeterà più volte nel corso dell’opera sviluppata dunque sulla bruciante esposizione di testi poetici scelti da un novero speciale di letterati di lingua spagnola particolarmente estremi e maledetti. Trattasi di componimenti databili fra gli anni ’60 e gli ’80, tolti da una generazione d’autori morti per suicidio, droga, alcool o rinchiusi in manicomio e, inoltre, vissuti sotto la cappa dell’ideologia dittatoriale a cui hanno cercato di contrapporre la “disperata vitalità” di un’esistenza e di un’arte talmente devianti da risultare irriducibili a qualunque tipo di compromesso o inquadramento nei ranghi di una società oppressa e opprimente. Quindi, ricerca dello scacco totale al ricatto della mera sopravvivenza nonché a irreggimentazioni politiche e societarie di sorta, pur pagando tutto questo a caro prezzo. Il performer a centro scena, allora, modula svisate fonetiche che inizialmente cantilenano – lancinanti come metallo – il doloroso clangore intimo e le evocazioni randagie di tali artisti maudits, capaci di immagini tanto sepolcrali e dannate quanto ebbre di sovraumane bellezze da potersi vivere appieno. Sicché, la voce si dispiega poi su toni più liberati e tinte maggiormente ariose – sebbene ancorate al sostenibile peso di svariati cromatismi – per raccogliersi alfine nella compressione deflagrante e intrisa d’immediatezza di una progressione rock pronta a rifrangersi sulle orecchie dello spettatore, mentre è accompagnata dallo sciogliersi momentaneo del corpo dell’attore dalla sua posa sospesa sulle brevi direttrici tra il microfono e il leggio. Poli ravvicinati in mezzo a cui, tendenzialmente, il recitante costringe le sue spezzature vocali e gestuali in modo da favorire l’accorpamento di sittante spore liriche frastagliate di vagabondi frasari, tormenti e tensioni a un Oltre: allo scopo di poterle sparare o mirare dritte in testa a chi ascolta e guarda. Tramite soluzioni come quelle appena riferite, la “messa in vita” diretta dalla Corsini assume un’ossatura drammaturgica in grado di conferire superiore nerbo al consueto impianto del recital che, dunque, viene rinvigorito e plasmato dall’interno sino a farne materia di nuovo conio che lascia dietro di sé i residui stantii di una tradizione. Non è certo una novità, se si pensa alle prove su una forma teatrale del genere da parte di numi come Carmelo Bene o Leo de Berardinis, ai quali Spaziani è senza meno devoto. Tuttavia rifulge il suo modo personale di affrontare i versi e i passaggi di prosa poetica, scansando i dettami sintattici o di scansione ritmica suggeriti dalla parola scritta, per affidarsi piuttosto a un ritmo profondamente interiore che si genera e si estrinseca dai singulti e soprassalti del didentro durante il farsi medesimo della recitazione. Cosicché essi irrompono difatti con piglio talvolta improvviso, trasponendosi in folgorazioni espressive confitte di lampi, timbri gridati e assorte scattosità (come accennato), roride di slancio e libertà tali da flettersi a laminare un’intera atmosfera sul volo “della rabbia di chi non si rassegna a morire in un angolo”. Laddove giacciono, cioè, le aspirazioni sfatte di chi si arrende alle tirannie di un Presente avvelenante l’animo di governabile conformismo e ferale indifferenza: che altro non è che tragica assenza di alterità.

VELENO BREVE
di e con Paolo Spaziani
da testi di Alejandra Pizarnik, Fernando Merlo, Rafael Feo, Luis Cernuda, Leopoldo Maria Panero, Eduardo Haro Ibars, Félix Francisco Casanova.
Traduzioni: Alessandro De Francesco.
Selezione e revisione dei testi: Victor Infantes.
Regia: Letizia Corsini.
Musiche originali ed eseguite dal vivo: Giuseppe Della Ragione.
Produzione: Ginnungagap.

[Visto nella stagione appena trascorsa al Teatro Studio Frigia Cinque di Milano (www.quintedicarta.it)].