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State attenti: sono le parole con cui un illustre critico teatrale (illustre, per la verità, più per la testata su cui si esibisce che non per proprie personali qualità) descrive il protagonista di un testo classico recentemente visto in scena: “Un vecchio livido, avido, dispotico, il volto bianco, incollerito, che conosce solo il pronome di prima persona, “io”, chiuso com’è nella gabbia della sua cattiveria; un vecchio misantropo torvo, per il quale le parole di speranza, di desiderio hanno perso ogni significato, e a cui non resta che giocare fino in fondo la propria partita di ottusa, disperata affermazione di sé contro la vecchiaia e la morte; metafora di un mondo in piena decadenza, avido, involgarito dal desiderio di possedere e di conservare.”

Di chi si tratta? Chi è il mostro? Il Volpone di Ben Jonson? “L’egoista” di Bertolazzi? Il perfido Aaron del “Tito Andronico” di Shakespeare? Il truce protagonista di “Magia rossa” di Ghelderode? Il Mazzarò del Verga?
Se avete optato per una di queste ipotesi, o per altre consimili, siete fuori strada. Il personaggio che così è descritto da Magda Poli (questo il nome dell’illustre critico del Corriere della Sera) è nientemeno che… il goldoniano Sior Todero Brontolon nell’interpretazione di Giulio Bosetti, nella messinscena diretta da Giuseppe Emiliani, clamorosamente bocciata del pubblico di Roma nella scorsa stagione, e che è stato recentemente riproposta a quello di Milano, sia pure in quel limbo che è la settimana di Pasqua e che sa tanto di liquidazione di fondi giacenti in magazzino. Confesso di non aver visto lo spettacolo, non essendo ancora guarito dall’indigestione sofferta nel 2007 a causa delle celebrazioni del Trecentenario goldoniano; non so quindi se questo ritratto così controcorrente rispetto alla comune opinione risponda davvero a quanto perpetrato da Bosetti ed Emiliani o non sia piuttosto la deformazione di una MG di pessimo umore, a causa magari di un ascesso o di un paio di scarpe troppo strette. Temo però di dover pensare come più probabile la prima ipotesi, inquadrando il tutto in un movimento di reazione all’antico e bonario ritratto di un “buon papà Goldoni”, tutto ottimismo e felici virtù borghesi. Che il Goldoni, letto con attenzione, fosse qualcosa di ben diverso da quel ritratto, lo scoprirono per primi il Falchi e il Masi, in occasione del bicentenario goldoniano, nel 1907; lo approfondì poi l’italianista russo Givelegov, lo ribadì in Italia il Duse, lo realizzarono infine sulle scena Luchino Visconti con la celebre “Locandiera” del 1954, e soprattutto Giorgio Strehler a partire dal 1956, con una compiuta ed esauriente esplorazione di tutto quel mondo.

Ma non sarà che stavolta si sia esagerato, e che venga fatto di dire “troppa grazia, sant’Antonio”? Ancora una volta, quando vedo qualcuno raccogliere l’eredità strehleriana per un Brecht, o un Goldoni, o un qualche Shakespeare non posso non constatare la superiorità del mio grande maestro sui suoi epigoni e imitatori. Lo scoprire sotto la levigata superficie della piacevolezza goldoniana i risvolti di una condizione umana spesso amara e a volte velenosa, non ha mai fatto velo in Strehler - nelle “Baruffe”, nella “Trilogia”, nel “Campiello”- al fatto che Goldoni era un autore fondamentalmente comico; che della vita coglieva soprattutto le note, gli aspetti, le vicende umoristiche, che poi narrava con infinito senso umoristico, e con assoluta verità. La sua grandezza sta esattamente nell’aver saputo fondere in un quadro assolutamente obbiettivo l’indubbia comicità di personaggi e situazioni con le implicazioni di una realtà dai risvolti contradditori e problematici. Il “Sior Todero brontolon”, a dio piacendo, è una commedia: il protagonista è un vecchio brontolone, avaro ed egoista, ma tutto sommato gestibile dagli altri fino ad un soddisfacente “lieto fine”. Ci mancherebbe altro, che il Goldoni venisse riletto come autore tragico, intriso di pessimismo e di malanimo, fino a sortirne un’immagine altrettanto parziale ed errata quanto il vecchio dagherrotipo del “buon papà”, felicemente accantonata da qualche decennio.