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Esiste, dentro e forse oltre la storia, una materia comune, una terra feconda e misteriosa che genera, ciascuna singolare e allo stesso modo comune, utopie e speranze, nel senso in cui le intendeva il filosofo Ernst Bloch, cioè capaci di produrre quell'energia insieme concreta e psicologica in grado di modificare il mondo e la storia di uomini e donne. In quella terra dai mille frutti affondano le loro radici, e, al di là anche

di ogni essenzialità o eccesso intellettualistico, sporcano le loro mani i ragazzi di “Punta Corsara” che con questa loro drammaturgia, mescolando sapientemente la tradizione delle maschere napoletane della commedia dell'arte di Antonio Petito con i virtuosismi simbolisti dell'avanguardia russa di Aleksandr Blok, riescono a mostrarci direttamente quella materia unificante, che in fondo è la vita stessa, di cui si alimenta continuamente, contro ed oltre la morte fisica, il teatro che la morte supera, sublima e alla fine sconfigge.
È quella stessa speranza che ha alimentato l'esperimento di Punta Corsara, che da Scampia si è infine riscattata dai suoi molti genitori, a partire dalle Albe di Marco Martinelli e Ermanna Montanari che tra i primi l'hanno risvegliata e alimentata, senza però mai disconoscerli.
Storia di vita, dunque, e storia di teatro che si mescolano, anzi mescolare è parola inadatta ed inadeguata, piuttosto che non si separano ma si riconoscono reciprocamente e, simbolo icasticamente ineludibile, si legittimano comuni nelle radici e comuni nella speranza.
La fame eterna di Pulcinella ne è, credo, la metafora più immediata, perchè dalla fame, materiale e spirituale, Pulcinella non sa e non vuole separarsi, segno della sua vita e della sua utopia, attesa concreta di riscatto ed insieme segno del suo riscatto medesimo.
Senza la fame infatti, dice ad un certo punto della pièce Pulcinella, come potrei domani essere felice di fronte ad un fumante piatto di 'maccaroni'?
Colpisce in “Petitoblock”, ma forse non deve stupire date le premesse, la spontaneità, abile e quasi manuale, con cui Antonio Calone, il drammaturgo, e Emanuele Valenti, il regista per l'occasione anche in scena a sostituire un attore altrove impegnato, gestiscono ed organizzano le plurime corrispondenze drammaturgiche, sintattiche e anche linguistiche, che si affollano, mai disordinate, sul palcoscenico.
Dalla sempre vitale farsa popolare napoletana, da cui emergono l'eterno Pulcinella e il più recente epigono di Arlecchino, quel Felice Sciosciammoca creato da Scarpetta, alle evoluzioni della commedia dell'arte transitate nella Francia del diciottesimo secolo, e infine ai suoi più tardi recuperi nel simbolismo rivoluzionario russo di Blok, Mejerchol'd e Stravinskij, in una linea che unifica Arlecchino, Pierrot e Petruska, per una drammaturgia dalla elevata e costante qualità di scrittura anche scenica.
Non stupisce la qualità della sapienza recitativa dei giovani protagonisti e la loro capacità di aderire senza sforzo alcuno alle scommesse del palcoscenico e a rinnovare, senza smentire o allontanare la tradizione, quelle maschere 'riluttanti' e forse per sempre vaccinate contro la morte, perchè ci sarà sempre un ragazzo e una ragazza a Scampia, a Parigi, a Ravenna o a Mosca capaci di immaginare e sognare allo stesso modo.
In uno spazio scenico essenziale  firmato ancora da Emanuele Valenti e da Daniela Salernitano, tra i pali di un vecchio teatro-baraccone ambulante e poliedrico, simbolicamente ricchissimo, si muovono dunque Pulcinella, un bravissimo Giovanni Vastarella degno dei migliori pulcinella a partire proprio da Petito ovvero “Totonno 'o pazzo”, cacciato di casa dalla moglie e Felice Sciosciammocca,  Christian Giroso straordinariamente a suo agio nella ricchezza degli ammiccamenti mimici e corporei, cacciato invece dallo zio.
Due maschere allo sbando, ricche solo delle loro utopie molto concrete, minacciate dalla “Morte”, una Giuseppina Cervizzi 'tragica' come una Erinni e molto patenopea, quasi confidente e confidenziale nella recitazione (“me la ricordavo più secca” dice Pulcinella), e dal “Ciarlatano”, lo stesso regista Emanuele Valenti essenziale e diretto, suo Sacerdote e forse fautore di un teatro senza e oltre la 'vita' e quindi destinato alla sconfitta.
Motore del dramma e centro del complessivo movimento scenico, Colombina, una Valeria Pollice coerente con il personaggio ed insieme, rispetto a quello, quasi 'esuberante', bambola meccanica, manichino, 'grande marionetta' di Gordon Craig, capace qui, oltre ogni simbolismo o metafora, di suscitare sentimenti e passioni molto umane e molto concrete, che né Pulcinella né Felice Sciosciammocca riescono a nascondere.
Meta-teatro, o teatro nel teatro, che dir si voglia in “Petitoblok” in fondo è questione di amare e mangiare, nell'ordine che si preferisce, e di lasciare alla morte solo le 'spoglie' dei burattini mentre i loro corpi riprendono la commedia, più forte di ogni minaccia perchè è in quella terra che ha radici, riscattandosi e riscattando Colombina da ogni meccanicità, quella stessa meccanicità che, oltre metafora, è forse la prigione in cui, modernità e società ineguali e oppressive in nome di una presunta 'razionalità', vogliono rinchiudere la nostra utopica e speranzosa spontaneità.
Così si conclude la drammaturgia, in un vortice di inseguimenti e botte da orbi, di equivoci e chiarimenti,  di sangue che di nuovo scorre nelle vene della vita e del teatro.
Non vanno dimenticati poi, Antono Gatto disegnatore delle luci, Marialaura Buonocore che ha 'ideato' e costruito, tradizionale e insieme innovativa, la maschera di Pulcinella, il tecnico Giuseppe Di Lorenzo, la grafica Ida Basile, e per l'organizzazione Marina Dammaco, che è anche fotografa di scena, e Rosario Capasso.
In tournèe dal luglio 2012 fino all'aprile 2013, Petitoblok è stato in scena a La Spezia all'auditorium Dialma Ruggiero, per la rassegna “Fuori Luogo”, venerdì 8 e sabato 9 febbraio. Per questa drammaturgia ai giovani protagonisti è stato attribuito, e meritatamente credo, il premio “UBU” 2013 per over 30.
Conseguente e, come dire, inevitabile la reazione del pubblico numeroso che ha a lungo applaudito.