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Se avete un’ora da perdere (ma proprio da perdere!, proprio da buttare al vento!) procuratevi la bozza (8-10-2009) del testo unificato delle proposte di una “legge quadro per lo spettacolo dal vivo”, che unifica gli sforzi di vari esponenti dell’uno e dell’altro fronte politico. Poche letture vi daranno l’idea dell’assoluta e cieca inconsistenza cui possa giungere – nel nostro mondo – il lavoro dei nostri parlamentari.

Disegnato per un mondo e per una realtà perfette ed ideali, che non esistono in natura, il progetto è per il resto quanto di meglio si possa concepire per il teatro: esordisce (Art.1) con il riconoscimento da parte della Repubblica del suo carattere di “fondamentale componente del patrimonio culturale, artistico, sociale ed economico del Paese”; prosegue (Art.2) con una serie di impegni che vanno dal “prioritario interesse nazionale per lo spettacolo dal vivo”,al la sua “valorizzazione quale fattore trainante legato al turismo”, “alla promozione dei nuovi talenti”, “alla garanzia di adeguate risorse pubbliche” e così via, dal comma a al comma u.

E poi, avanti Savoia: lo Stato si assume tutti i compiti necessari a fare del teatro una macchina, tutelatissma e assistitissima, in tutti i gradi del suo realizzarsi; chiama le Regioni a fare altrettanto, di tutto e di più; riorganizza ogni cosa onde la realtà si avvicini al vestito che le si ipotizza, eccetera eccetera.

Ma il momento più comico è quando si passa alla questione dei soldi. Perentoriamente, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, il FUS sarà integrato dalle “seguenti ulteriori risorse: a) 25% dei fondi derivanti dalle estrazioni infrasettimanali del lotto; b) il 50% … dei premi non riscossi del gioco del lotto e delle lotterie nazionali; c) il 5% delle entrate del sistema audiovisivo pubblico” etc etc. (Art 7) . Poi (art.8) si istituisc e un “fondo perequativo” per un primo triennio, che viene finanziato con i “residui del FUS”, e (udite, udite!) con “il 40% della porno tax”. Come non bastasse, al FUS e al fondo perequativo si aggiunge (Art.9) un “Fondo per la creatività a sostegno dei nuovi talenti… alla loro formazione e alla realizzaziione delle loro creazioni”, cui si provvede con “il 50% delle risorse provenienti dalla confisca dei patrimoni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata e dalla vendita dei beni immobiliari comunque ad essa attribuibili”.

E così via, fino al consueto ambaradan della formazione di un Consiglio (25 membri, nominati da questo e da quello, in carica per tre anni, rinnovabili una sola volta), seguito da una serie di Comitati tecnici i cui nobili compiti (dalla ” buona amministrazione, alla qualificata presenza all’estero, alla capacità di radicarsi sul territorio..”) fanno impallidire le scarne e sbrigative Tavole che Mosè portò giù dal Monte Sinai.
Ma continuare con questa disamina mi parrebbe quasi uno sparare contro la Croce Rossa. Nel mio inguaribile ottimismo, immagino che i vari Carlucci, De Biasi, Rampelli (e gli altri componenti la verginale dozzina dei proponenti) seduti ad un tavolo, si siano ad un certo punto messi a giocare, a chi sparava il riconoscimento pubblico più trombonesco, l’auspicio più grosso, a chi inventava la sovvenzione più pittoresca. “La porno tax?” , “Ma perché no?” “Il 50% dei beni confiscati alla mafia?” “Ottima idea!” “ Così, pensate: come si confisca un feudo ai Pappalardo di Bettolino Caldo, arrivano i teatranti, e dicono: “Fermi tutti: il 50% per cento è nostro!” E giù tutti a ridere!

Questo progetto di legge è puro tempo perso. Le circa 9000 parole di cui si componte (la Costituzione Americana, compresi 25 emendamenti supera di poco le 7600 parole) sono un concentrato di inutilità, di ipocrisia, di megalomania, di esibizione logorroica. Impossibile che gli stessi estensori non sappiano che un pastrocchio del genere non arriverà mai al parlamento, e che se anche vi arrivasse – votato per certo all’uninimità, stante la sua assoluta insignificanza – sarebbe assolutamente inapplicabile, per l’eccesso stesso dei suoni propositi.

Tempo perso, dunque? Sì: tempo perso, e un’ulteriore dimostrazione della mancanza di un serio e realistico approccio al problema “teatro”.