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Da un ricco e ben organizzato sito, apprendiamo tutto di Emma Dante.

Siciliana, nasce quarantadue anni or sono, si dedica al teatro, si diploma al DAMS di Bologna, fonda nel 1999 la compagnia Sud Costa Occidentale, che “non è finanziata e vive dei soli ricavi degli spettacoli prodotti” (vedi sito). Attivissima, scrive testi in un difficile ma efficacissimo siciliano (“mPalermu” e “Carnezzeria”), con i quali ottiene una valanga di premi, taluni peraltro un po’ evanescenti - come il premio Lo Straniero, “assegnato da Goffredo Fofi” – o misteriosi, come il Golden Graal o il Donnadiscena o il Superpremio Vittorini. Varie anche le motivazioni: miglior progetto, migliore novità italiana, migliore regista (sia emergente che in assoluto) eccetera eccetera. Nel 2008 - “dopo anni di forzata latitanza a causa di una ben consolidata indifferenza e ignoranza da parte delle istituzioni e dei teatri locali” (vedi sempre il sito) – la compagnia trova una sede in uno scantinato di palermitano.

Nel 2009 debutta nella regia lirica, firmando la “Carmen” con la quale il Teatro alla Scala di Milano inaugura la sua stagione. Una carriera niente male, a voler ben guardare, che per la lirica si conclude in quel tempio dell’opera che è la Scala, che è per solito un punto d’arrivo e non – come nel suo caso – un punto di partenza. La sua “Carmen” è stata ampiamenrte fischiata, anche se Daniel Baremboin assicura che passerà alla storia. Ma questo non ha importanza: chi vivrà vedrà, e vinca il migliore.

Qualcosa peraltro insospettisce: non tanto i riconoscimenti e i premi ricevuti, quanto il riferimento all’”assoluta indifferenza delle istituzioni” nei riguardi suoi e della sua compagnia. La cosa è credibilissima per chiunque si occupi di teatro, e mai avrei obbiettato alcunchè… se non fossi stato informato dal summezionato sito che suoi allestimenti sono stati finanziati dalla Regione Sicilia, dalle province di Palermo, Trapani e Agrigento, dal Ministero degli interni, dall’Ente Fiera di Palermo, dal teatro Mercadante di Napoli, dal Théâtre du Rond-Point di Parigi, in cooproduzione con Théâtre National de la Communauté Française di Bruxelles. Beh, cazzo di Budda (pardon!, ma mi è proprio scappato!), anch’io nel mio piccolo mi occupo di teatro, e quando Emma Dante è nata collaboravo già con Grassi e Strehler da quasi un decennio, e mi dilettavo di scribacchiare testi; ma non ricordo – né allora né di poi – sovvenzioni di sorta e men che mai corone d’alloro e targhe di riconoscimento. Per non parlare della Scala, dove – appunto – avendo un giorno presentato l’idea di uno spettacolo, mi è stato risposto che alla Scala si arriva quando si hanno bauli di benemerenze, e non “così!”, solo perché si ha una buona idea.

A Emma Dante va la mia incondizionata ammirazione per l’energia, la fattività, l’intensità operosa che mette nella sua professione teatrale e in tutto quello che fa; la sincera considerazione dei suoi testi drammatici; l’invidia – non verde, bensì tutta rosa e d’argento – per la strepitosa carriera dallo scantinato di Palermo alla Scala di Milano. Ma a tutto questo aggiungerei anche un’ombra di sospetto: non per indulgere al celebrato principio di Andreotti, secondo il quale a pensar male si fa peccato ma qualche volta si indovina; bernsì alla luce di quella verità - molto italiana e italiota – che nel nostro tempo “le conoscenze” valgano assai più che “la conoscenza”. Emma Dante è tutt’altro che una sprovveduta di conoscenza, ma la sua storia – che essa narra in termini di faticata conquista contro l’indifferenza del mondo – appare a me piuttosto una felice excalation su tappeti rossi e tapis roulant, come per l’assunzione in cielo delle vergini-e-martiri nei quadri del Seicento.

Probabilmente essa coltiva assai bene i rapporti umani e le pubbliche relazioni: cosa che segnalo – e questo sottolineo a scanso di ogni equivoco – come una dote in più, quanto mai utile e opportuna in questa valle di lacrime.