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È sempre difficile descrivere uno spettacolo teatrale ed è difficile darne un giudizio rispettoso: c’è in esso lo sguardo sul mondo di persone che si esprimono costruendo in scena un congegno in cui tutto si tiene e in cui è davvero difficile separare un elemento dall’altro. Scriviamo questa volta di “Due passi sono”, lo spettacolo/rivelazione della giovane compagnia messinese “Carullo-Minasi” che, meritatamente vincitore del “premio scenario per Ustica” nel 2011, continua a girare con successo per le piazze teatrali italiane e s’è visto domenica scorsa, 17 marzo, sulla scena del Teatro Garibaldi di Enna nel contesto della rassegna “Inondazioni”. Si tratta di uno spettacolo interessante e davvero molto poetico (scene e costumi di Cinzia Muscolino, Luci di Roberto Bonaventura, produzione de “Il castello di Sancio Panza”). Interessante perché presenta in scena la quotidianità faticosa di una coppia (Pe e Cri) alle prese coi problemi, piccoli o grandi che siano, del rapporto con la realtà e con la distorsione, spesso comica e paradossale, che questi problemi subiscono nel contesto di un menage coppia. Poetico perché, al di là delle immagini, dell’atmosfera minimalista, dei colori e degli inserti musicali che rimandano ironicamente alla cultura francese novecentesca, ci sono due elementi in questo spettacolo che emulano e riproducono l’essenza stessa del lavoro poetico: il ritmo di scena (sempre brioso, ma capace di valorizzare anche i silenzi) e la capacità di moltiplicare il senso di ogni singolo elemento senza perderne, al contempo, il controllo autoriale e registico. Tutto si tiene segretamente e tutto parla e si ribalta in ironia, un’ironia tanto sottile e delicata quanto amara: nutrirsi solo con pillole che hanno sapore di tutto, litigare e gioire per un colorato fiore di plastica, aver paura di toccarsi, di uscire, e poi i costumi, le parole, i dialoghi serrati, gli oggetti di scena, i motivi, i sentimenti, le paure, le insopportabili fragilità, gli slanci interrotti, i colori, gli elementi metateatrali. Mentre la calata siciliana e reggina della dizione degli attori spegne sul nascere ogni rischio di leziosaggine e d’ inautenticità. Non è poco. Non è poco perché lo spettacolo s’impone immediatamente, già dalle prime battute, agganciando il pubblico, costringendolo a capire quanto accade in scena e, ben oltre il lieto fine del matrimonio (tenerissimo certo, ma quasi accidentale e quindi venato d’inquietudine e d’amarezza), lasciando passare l’idea esatta di un piccolo congegno scenico che potenzialmente, alla stregua d’un carillon, potrebbe suonare all’infinito.