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Fausto Paravidino torna a Genova con questo suo lavoro, di cui è anche regista, al Teatro Duse dal 9 al 14 Aprile. Drammaturgia interessante, a partire dal testo, dalla sintassi ritmica quasi anglosassone, e dalla articolata scrittura scenica, che vede in gioco la coppia, anzi una doppia coppia in un contesto ludico di rispecchiamenti e di reciproche identità e identificazioni che i movimenti scenici, con modalità quasi da para-teatro per la presenza dei tecnici che spostano le scenografie a sipario aperto, assecondano con abilità e sempre con leggerezza da commedia sofisticata, forse più apparente che reale.
Peripezia sulla coppia e sulla incomunicabilità che quasi inevitabilmente sembra progressivamente riguardarla, con tonalità man mano anche inquietanti dal sapore un po' beckettiano.
Paravidino, infatti, getta uno sguardo sulle dinamiche della coppia contemporanea da una angolatura particolare, e se vogliamo paradossale, quando sottrae consapevolmente ai suoi personaggi ogni contesto esterno, solo accidentalmente richiamato e per motivi soprattutto di equilibrio narrativo, appiattendone la prospettiva in una sorta di effetto proiettivo che li trasforma quasi in portavoce del drammaturgo a mascherarne, oppure a smarcherarne, l'intimità.
Le dinamiche in scena si fanno così eminentemente psicologiche quasi che Paravidino, con un intento tra il liberatorio e il didattico, peraltro esplicitamente dichiarato nel corso di un recente incontro di cui abbiamo dato notizia, volesse suggerire e sperimentare in scena, tramite i suoi personaggi, le proprie evenuali o possibili intenzioni e scelte nelle circostanze date.
È dunque una leggerezza che si tinge man mano di inquietudine, tradita da personaggi così imprigionati nelle proprie contraddizioni (ovvero in quelle del drammaturgo) e che spinge sottotraccia a dialoghi sempre briosi che stringono l'occhio, talora, a gags generazionali molto apprezzate da una parte del pubblico.
Commedia di interni dunque, anzi commedia di un interno-interiore, senza squarci sul mondo esterno e sulle sue dinamiche anche sociali, ad esempio proprie di un'analisi ibseniana del rapporto di coppia e dell'identità maschile e femminile che in essa si forma anche forzandone gli schemi, salvo un ultimo, ma molto importante, richiamo alla concretezza di una esistenza, che comunque scorre al di là dei nostri occhi quando li volgiamo 'fuori', costituita dalla telefonata, proprio allo spegnersi delle luci, del protagonista alla sua giovane fidanzata incinta.
Al gioco di intreccio, in un “pas a quatre” che ripercorre e duplica i più classici menàge dal vaudeville all'immaginario contemporaneo, danno un contributo essenziale i quattro protagonisti in scena, Nicola Panelli e Sara Bertelà, nelle parti principali, e Angelica Leo e Davide Lorino, in quella dei loro eterodossi rispecchiamenti, con una recitazione agile ma sempre attenta alle sfumature mimiche, vocali e direttamente fisiche.
Belle e di atmosfera le musiche di Giorgio Mirto, le luci di Lorenzo Carlucci e i costumi di Dario Alberici, mentre della scenografia di Laura Benzi, essenziale e figurativamente ricca di rimandi simbolici che più che ambienti localizzano atmosfere, già abbiamo detto.
Teatro pieno alla prima con applausi convinti per questa drammaturgia di valore.