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Valerio Binasco riparte e scava in Shakespeare per aprire un suo discorso, assai intrigante peraltro, sul fare teatro e sul senso del teatro nella nostra contemporaneità, all'interno della quale vede il teatro stesso insidiato, quasi assediato, da nuovi linguaggi e da nuove sintassi, non solo espressive ma anche sociali e direttamente esistenziali, che si accavallano e reciprocamente interferiscono.
La fa con questa rivisitazione, direi una 'ipotesi', della più conosciuta delle tragedie sui sentimenti del Bardo, il cui adattamento e la cui traduzione ha curato insieme a Fausto Paravidino, e di cui è regista meritandosi per questo il premio UBU 2011.
Binasco sceglie per questa sua avventura drammaturgica una angolatura assai particolare, e se vogliamo anche paradossale, conservando sostanzialmente integro, nei tempi e nello sviluppo, l'impianto narrativo tradizionale ma incistandolo quasi di elementi linguistici e sintattici contemporanei, in una operazione di innesto destinata nelle sue intenzioni a produrre una mutazione, un travestimento vero e proprio, tale da riportare a noi intatto il senso intimo del racconto shakespeariano così da ramificarlo e radicarlo nella nostra presente sensibilità.
L'effetto è effettivamente straniante, direi spaesante, ma alla fine paradossalmente ed intimamente fedele nella trasformazione genetica e linguistica dei giovani Capuleti e Montecchi in sorta di aggregati di periferia che della violenza, da stadio o da strada, fanno un paradigma del loro vuoto e della disperazione a riempirlo, oppure la mutazione delle ricche e potenti famiglie che li generano in grotteschi borghesi senza cultura e votati al denaro, comunque e ovunque, intrinsecamente prodromi e anticipazioni di un ventennio italiano non ancora, purtroppo, concluso e superato.
All'interno di questo contesto e di questo progetto anche l'amore che nasce e lega indissolubilmente Romeo e Giulietta perde, nelle dinamiche molto giovanilistiche al limite dell'adolescenziale predilette da Paravidino e Bagnasco, molto del suo potere salvifico sia esistenziale che sociale, smascherando in fondo, oltre il confine ormai superato del contrasto 'tragico' tra amore e regole sociali, la natura ora posticcia della condivisione sociale e della pace finale che anche in Shakespeare potrebbe essere più un tributo ai tempi e alle modalità del dramma che una intima convinzione.
Qui la coppia metaforica e tragica di Romeo e Giulietta, portatrice del senso rivoluzionario dell'amore, non solo psicologico, eversore, anche in senso evangelico, del denaro e del potere ad esso connaturato attraverso il suo sacrificio di capro occasionalmente espiatorio, è infatti come depotenziata e sconfitta, in un tempo in cui, come scrive Binasco nelle note di regia, “i capri ammazzati son capri morti e basta, di espiatorio non si vede nulla”.
Ma forse solo in apparenza, e vale la pena in proposito di ricordare che il ruolo di Giulietta, la forza e la profondità psicologica ed esistenziale quasi inesauribile del personaggio shakespeariano, furono per Eleonora Duse l'occasione, la prima, per scoprire il senso della sua recitazione, il valore che questa poteva avere per la via che intendeva prendere nel mondo, e non intendo solo quello del teatro.
Auguro alla giovane e brava protagonista della drammaturgia di Valerio Binasco, attenta nell'intercettare ed utilizzare la mimica e la gestualità anche verbale delle nuove generazioni, un percorso nella stessa direzione.
Una trascrizione, dunque, complessa quella proposta da Valerio Binasco, e con lui da Fausto Paravidino, ove il recupero e la salvaguardia del verseggiare cinquecentesco, talora riproposto nella sua integrità, vorrebbe forse alludere ad un territorio intimo, di sentimenti e di significati, ancora disponibile al di sotto del clamore di tempi violenti e comunque volgari.
Complessa e talvolta padroneggiata con difficoltà ma sempre con abilità nel confronto continuo proposto sul palcoscenico e dal palcoscenico al pubblico tra la ricerca di una autenticità anche esistenziale di tanti giovani, e non solo giovani, nelle società avanzate contemporanee e l'assenza di proposte intimamente esaurienti che queste sembrano in grado di offrire.
Bravi e intriganti, fino al limite della gigioneria grottesca, i protagonisti che citiamo tutti assieme senza qualificarne le parti per unirli in un apprezzamento condiviso con entusiasmo dal pubblico, e cioè Francesco Montanari, Deniz Ozdogan, Milvia Marigliano, Antonio Zavatteri, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Andrea Di Casa, Simone Luglio, Gianmaria Martini, Fulvio Pepe, Giampiero Rappa, Nicoletta Robello, Marcela Serli, Roberto Turchetta.
Le scene, spoglie, mobili e fortemente metaforiche come la sintassi drammaturgica, sono di Carlo De Marino, i costumi, sempre allusivi, di Sandra Cardini, le luci di Pasquale Mari, le musiche, molto interessanti, di Arturo Annecchino. Regista collaboratore Nicoletta Robello.
Questa produzione del Teatro Eliseo in collaborazione con la Compagnia Gank e Gloriababbi Teatro è andata in scena al Teatro della Tosse di Genova dal 18 al 21 aprile, con un notevole e meritato successo.