Ci sono occasioni in cui una parola inflazionata e bruttina si riscatta improvvisamente dalla vacuità e assurge ad argomento puntuale, coerente e dotato di senso: questa parolina, nel caso in esame, è “professionalità”. Oh la gioia ineffabile di vederla prendere corpo progressivamente durante una conferenza senza che nessuno pensi a nominarla davvero: oh il piacere indicibile di assistere al concretizzarsi della sua evidenza tra una parola e l’altra messe in campo per dare conto e non per costruire risonanze d’immagine.
Responsabili involontari e inconsapevoli del fenomeno in questione tre signori ben assortiti anche sotto il profilo (per l’appunto) del mestiere, in occasione dell’ annuncio alla stampa, il 21 gennaio 2008, del loro interessante progetto “Schermo/Scena”. Sono infatti attori e registi noti Ennio Coltorti (Direttore Artistico della rassegna e Presidente dell’Associazione promotrice “Logos”) ed Emidio Greco (sostenitore dell’iniziativa inserito nel parterre giudicante). E’ invece un attore e doppiatore affermato Luca Ward (“voce” italiana di Russel Crowe e bello di suo: come negare che l’ascolto si faccia leggermente più emozionante?) chiamato ad affiancare Coltorti nella presentazione della rassegna e quale componente della giuria.
L’idea, in breve, è quella di dare vita a sei piccoli testi teatrali con la regia di Coltorti e l’interpretazione di attori per lo più sconosciuti e di buon talento, da trasformare in corti cinematografici, interpretati dagli stessi attori ma con la direzione di nuove leve della regia. Quindi un confronto finale, a decidere il lavoro meglio realizzato. Il progetto, come si legge, è interessante, l’operazione complessa: la riuscita di un simile intento richiede la supervisione di maestri sicuri ed abbastanza entusiasti: è stato un piacere vedere che c’erano. Non c’erano invece troppe testate ad assistere a quel nastro di partenza e neppure i rappresentanti degli organi istituzionali che hanno creduto nell’iniziativa. Ricaduta di un Governo in caduta? La data, purtroppo, era quella. Non sono stati di molte parole, questi tre signori (come in genere “quelli bravi che non si perdono in chiacchiere”) ma disponibili sì. Due o tre domande e risposte sobrie, centrate, efficaci a rappresentare un quadro; eccolo.
In tempi come i nostri, ormai risolutamente di ”società dello spettacolo” e perciò pervase da approcci mediatici di ogni tipo, mettere a confronto vari processi di trasformazione da messa in scena teatrale a film è argomento di grande pertinenza comunicativa: dove poggia l’enfasi in un caso e nell’altro? Cosa sostiene meglio il racconto, nei vari frangenti, il contesto in movimento o l’espressione del volto, il primo piano? E la voce, nelle diverse occasioni, va scandita come? Deve “accadere”, vera, sul palco o è meglio ricorrere alla registrazione, con i filtri e i tempi costruiti a suggerire meglio gli effetti ricercati? A complicare le cose c’è che alligna nel nostro Paese un difetto di chiusura tra un mondo e l’altro, strutturati (per il male di tutt)i come settori separati. Altrove non è così. Volendo cogliere esempi, in Francia il Teatro è talmente radicato nell’idea di spettacolo, che prima di un film si fanno le prove come in palcoscenico e, se in America si passa con facilità dalla televisione al grande schermo, in Italia la grande stagione del neo realismo ha finito per escludere dal cinema migliori interpreti di teatro e la loro voce impostata.
L’espressione di Ennio Coltorti, attento da anni alla crescita di giovani talenti, tradisce intanto emozione e sicurezza: deve aver trovato, in questa nuova ondata di leve del palcoscenico e del cinema, presupposti seri per il progetto che lo appassiona e diverte: basta arrivare alle serate di messa in scena al Teatro Palladium e tutto si fa chiaro. Tre atti unici rappresentati il 23 gennaio e tre il 24, tra i quali il pubblico sceglierà il migliore. Intanto una folla trepidante di persone giovani, animate da sogni ancora possibili, riempie la sala, il foyer, il marciapiedi antistante il teatro e più avanti la piazzetta.
Un’atmosfera di freschezza e passione colpisce con un impatto che non ammette dubbi sull’impegno impiegato: bisognerebbe ringraziarlo, Coltorti, soltanto per avere permesso a tanto fervore di liberarsi tutto insieme. Gli atti unici sono di buon livello: non si respira l’aria di prove di maturità. Gli attori, i testi, appartengono già ad una sfera di capacità e competenza decisamente collaudati, qualsiasi tasto tocchino, qualsiasi stile adottino. Si passa , la prima sera, dal garbo surreale di “Cani al parco che parlano della loro vita” (di Marco Costa, con Simone Francia e Carla Buttarazzi, neo diplomati dell’Accademia adorabili nei modi, nell’aspetto, nella sobrietà del loro humor ) al sarcasmo feroce di “Sugo Finto” una farsa di Giovanni Clementi, con Alessandra Costanzo e Paola Tiziana Cruciani, grandi nella spontaneità dei tempi comici e nella naturalezza salace con la quale imbastiscono rabbiose discussioni, (al di là delle istruzioni di regia, che stranamente marcano oltre il necessario il romanesco di un testo che avrebbe potuto scorrere in tutta levità sul naturale talento delle interpreti). In mezzo “Un’infermiera di nome Laura”, da un algido testo inglese di Ewen Glass, a metà tra Pinter e Jonesco, giocato sulle situazioni di potere e le perversioni che ne derivano in ambito medico-ospedaliero. Con Ottavia Bianchi, Ilaria Genatiempo, Roberto Mantovani e il bravo Stefano Viali. Complessivamente una serata di tutta soddisfazione, perfino competitiva con gli appuntamenti di questa stagione romana, non particolarmente eccellente. Il 26 febbraio “Bravi ragazzi” di Angelo Longoni si impone con forza. La puntualità storica del testo e la sua intelligenza, l’aderenza ai personaggi dei giovanissimi, azzeccati interpreti, sono duttili argomenti per Ennio Coltorti, che offre qui una prova di regia difficile da raggiungere per quella descritta come “Violenza Urbana. Degrado sociale. Immigrazione. Temi forti. Che quattro giovanissimi affrontano con un’impreparazione civile e culturale che porterà ad una inevitabile tragedia”. Grande spettacolo con quasi nulla se non la scelta sapiente dei movimenti di scena, il senso estetico nella distribuzione delle risorse in campo, i tempi, gli effetti, gli accenti e un paio di luccicanti moto pronte ad esuberanti accensioni. Eccellente. Poche chances in tale situazione per gli altri atti unici concorrenti: “Il ferro da stiro”, del francese Marc Michel Georges, con Stefano Benassi e Nunzia di Somma (triangolo borghese con cameriera sexy e opportunista, piuttosto discutibile per ottiche di genere) e “Niente quasi”, inquietante non nuovissimo racconto sulla doppiezza delle classi borghesi (di Marcos Barbosa, brasiliano, con Patrizia Bernardini, Pietro Bontempo, Emanuela D’Amico e Domenico Fortunato). Nell’insieme, ancora, un momento di spettacolo riuscito.
Con simili premesse, le due serate alla casa del Cinema, previste per la presentazione in forma audiovisiva degli stessi sei atti unici, si prospettano come un traguardo intrigante: sebbene quattro settimane per l’adattamento dei testi a sceneggiatura per il cinema, e poi montaggio ed edizione sembrino tempi stretti.
L’appuntamento per queste serate di grande magia, in cui di nuovo il pubblico dovrà scegliere il film migliore, è per il 25 e 26 febbraio, ore 20 e 45. E in effetti si assiste all’incredibile.
25 febbraio, ore 20 e 35 la Casa del Cinema è pressocchè nell’ombra. Entrate sbarrate, uffici stampa assenti e irraggiungibili, non un solo cortese informatore ad accogliere gli invitati. Nell’atmosfera desolata e spenta gruppetti increduli di persone si aggirano, escluse perentoriamente da quella annunciata come pubblica festa . Sono giovani attori smarriti e delusi, distinti signori perplessi e arrivati con qualche disagio cittadino fin lì, che poco dopo un pragmatico personaggio da set cinematografico, miracolosamente apparso nel vano di una finestra irraggiungibile, esorterà a non disturbare: la Casa è gremita già da un’ora, grazie tante, andatevene.
Questo è il genere di schermo che abbiamo visto, questa la scena attesa, proposta in seconda battuta. Rimedieranno poi, il programma annunciato proseguirà, ma si direbbe il segno forte di un’ impreparazione baldanzosa e indifferente alle sue manifestazioni di violenza minima. Epifania dolorosa che conferma il degrado comunicativo e relazionale che vorrebbe combattere. Difficile soffocare un sorriso pensando a un grande Eduardo:
- Gennarino, un’immagine di formaggio!
- Veramente non ce n’è più: Stamattina mi sono abbandonato al mio istinto e, per prestarmi al gioco, me lo sono mangiato.
- Hai fatto bene. Non ce n’è nemmeno una sensazione?
- Niente signore. Nemmeno un fotogramma.

(“Schermo/Scena”: Cinema e Teatro a confronto,attraverso nuovi registi, autori ed attori italiani ed europei. Rassegna ideata e diretta da Ennio Coltorti per l’Associazione Culturale “Logos”)