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LA RICOTTA di Pier Paolo Pasolini con Antonello Fassari e Adelchi Battista. Progetto musicale di Lele Marchitelli. CHARLOT e MIND PRODUCTION.

Recensione di Giulia Paoli:

La ricotta è un cortometraggio di Pier Paolo Pasolini, terzo capitolo del film di quattro episodi Ro.Go.Pa.G. per la regia di Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti.
Realizzato dopo “Accattone” e “Mamma Roma”, tratta il sacro declinandolo nei temi della povertà e della contrapposizione sottoproletariato/borghesia, accennando riflessioni sull’uomo medio e sul marxismo e con vari riferimenti all’arte sacra (cfr. Deposizioni del Rosso Fiorentino e del Pontormo). Tutti temi già cari all’autore sin dai suoi primi lavori. Pretesto per esprimersi sui citati argomenti è la realizzazione di un lungometraggio sulla Passione, di cui Orson Welles interpreta il regista, tramite il quale parla direttamente Pasolini. Quest’opera cinematografica gli è valsa la censura e l’accusa di blasfemia.
La vicenda si sviluppa durante le riprese di questo film. Il protagonista Stracci, comparsa che interpreta il ladrone buono, cede il suo pasto alla famiglia. Affamato, dopo varie vicissitudini sfortunate, riesce finalmente a mangiare, abbuffandosi con pane e ricotta. Morirà, quindi, d’indigestione mentre è issato sulla croce aspettando di girare. Stracci non è solo una sfortunata comparsa che, nel sacrificarsi per moglie e figli, trova la morte, ma diventa il simbolo di due precise condizioni: da un lato, il sottoproletariato alla mercé della borghesia e, dall’altro, un Cristo dei nostri tempi, non più solo crocifisso ma lasciato morire dall’indifferenza di un mondo ripiegato su stesso.
Dal cortometraggio, Pasolini ha tratto anche un racconto. È proprio questo che Antonello Fassari, noto volto televisivo famoso per I Cesaroni, ha scelto per realizzare il suo omaggio a Pasolini, cercando di incrociare una lettura scenica con l’inserimento di dettagli caratterizzanti del film (le luci, alcuni movimenti, brani musicali).
Sul palco ci sono una piantana, dei costumi, qualche scatola, delle sedie sparsi quasi casualmente nello spazio: rappresentazione, a detta dello stesso Fassari, di un set cinematografico abbandonato.
Adelchi Battista ha una sua postazione musicale sullo spazio scenico, si occupa dell’audio (live e registrato) facendo anche da presentatore all’attore e da spalla in scena. Fassari interpreta il testo pasoliniano, muovendosi e cercando di riproporre voci e gesti del film. Anche se poco apprezzabile la scelta del microfono, l’attore rende molto bene i dialoghi grazie ad un’attenta interpretazione delle voci e delle intenzioni. Meno la narrazione, che rimane a metà tra una lettura scenica e una messa in scena, senza soddisfare le caratteristiche di nessuna delle due. La presenza invece di Battista risulta inutile poiché come spalla funge una o due volte, il presentatore in questo caso è futile e anzi appesantisce la situazione e la musica poteva esser controllata ovunque. Quindi  di fatto non è che un elemento di disturbo. La stessa alternanza tra musica live e musica registrata contribuisce a far sembrare tutto sporco e non curato.
La vicenda procede non troppo scorrevole, Fassari si muove in modo scomposto in molti casi, anche quando non necessario e le luci cercano di riportare il clima cinematografico con scarso successo. L’unico atto si presenta quindi poco chiaro e abbozzato.
L’impressione è che forse il risultato finale avrebbe potuto essere più efficacie se il nostro attore si fosse avvalso dell’aiuto di un regista.
Dopo questa lettura/messinscena, gran finale, la proiezione del corto originale di Pasolini. Allora tutto appare più chiaro: capisci la musica, capisci i colori, capisci le parole, capisci il significato. Viene quindi da chiedersi il senso di tutto questo. Un omaggio è sempre ben accetto o tanto valeva vedersi la pellicola e basta?

Recensione di Selene Nannicini:

Una scena spartana con uno sfondo bianco e due pannelli neri: sul palco due riflettori ai lati del boccascena, una piccola scalinata sulla destra, mentre sul lato opposto si distingue un’altra simil-scalinata, che poi si rivelerà un pianoforte, e dietro un appendiabiti con alcuni indumenti appesi. Una scena spoglia dunque, ma a volte l’essenzialità riesce a descrivere ed a comunicare più di qualsiasi altro arredo. Il silenzio è rotto dalle note di un piano suonato dal vivo e su questa tessitura musicale il protagonista, l’attore Antonello Fassari, si accinge ad iniziare il monologo intitolato La Ricotta, un atto unico della durata di circa un’ora, dove si narra la vicenda di Stracci, un poveruomo, che si trova ad interpretare il ladrone buono sul set della “Passione di Cristo”; l’opera in questione si ispira ad un episodio del film di Pier Paolo Pasolini Rogopag – Laviamoci il cervello qui ripreso e riadattato per il teatro: un arrangiamento non facile ma ben riuscito. I temi di Pasolini riguardano molto spesso la quotidianità, la miseria, le ingiustizie ed i suoi personaggi sono ripresi dal popolo. Fassari dimostra di saper assolvere bene all’arduo compito: da una parte impersonare non uno ma più personaggi (come spesso succede nelle prove di monologo) e dall’altra convertire il prodotto cinematografico in teatrale (di solito è il contrario). Il protagonista da narratore prende le sembianze del protagonista della storia, Stracci, che, per sfamare la moglie ed i figli, si priva del suo cestino del pranzo restando così a bocca asciutta e con una gran fame. La tonalità della voce dell’attore cambia man mano che da un personaggio passa ad un altro, ciò è intuibile soprattutto quando il passaggio è dal narratore, dalla dizione pulita ed il tono pacato, al personaggio principale, dai modi grezzi e la calata romana. L’attore si muove e si agita nello spazio, danza a ritmo di cha cha e non è solo accompagnato dal piano, ora intervengono anche alcune registrazioni sonore riprese direttamente dal film di Pasolini. La scenografia è sempre in continuo movimento, proprio come quella di un set cinematografico: l’attore fa uscire di scena l’appendiabiti, dispone al centro la sedia pieghevole (unico oggetto bianco in scena) e non appena seduto diventa un regista indifferente che risponde annoiato alle domande di un giornalista agghindato; ecco che la luce illumina il centro del palco dove un attore semplice, privo di un trucco marcato e vestito con indumenti dei giorni nostri si destreggia nei panni di queste due figure opposte tra di loro.
Alla fine Stracci riesce a riempirsi lo stomaco con un po’ di ricotta e mangia fino a scoppiare: lui è l’unico vero Cristo di questa storia che porta su di sé la pesante croce della povertà e dell’indifferenza altrui; muore di indigestione “crocifisso” e solo in quel momento gli altri si accorgono di lui, o meglio, la società si accorge di lui. Stracci vive nell’indifferenza e muore con lei, in uno scenario di desolazione e degrado; lascia il mondo come uno del popolo e niente di più. La performance di Fassari è seguita dalla proiezione del corto pasoliniano, come ad omaggiare la grandezza del regista; sembra quasi che l’attore, mostrando il film al pubblico, voglia dimostrare la sua bravura nel trasformare un film composto da diversi personaggi in un monologo teatrale. La vicenda si chiude con la vittoria del cattivo ladrone (la società) su quello buono (il singolo), un finale non banale ma abbastanza reale.