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Ancora una volta il teatro Vascello, che innegabilmente si distingue per la stagione teatrale 2012/2013, propone un lavoro ricco tanto nei contenuti quanto nella messa in scena. L’Arma - How long is now, opera scritta da Duccio Camerini e diretta da Aureliano Amadei, va in scena dal 30 aprile in prima nazionale assoluta. La trama è fortemente avvincente.

Un uomo, abbandonati famiglia e lavoro, si rifugia in isolamento su una montagna, portando con sé una neonata rimasta orfana. La bambina, inconsapevolmente prigioniera, cresce privata d’identità, relazioni sociali e istruzione. Il figlio rifiutato (Andrea Bosca), dopo anni di ricerche, finalmente scova il luogo dove si nasconde il padre, ma in cima alla montagna vi trova una ragazzina (la giovanissima ed esordiente Mariachiara Di Mitri) amaramente selvaggia. Il padre, interpretato dall’impeccabile Giorgio Colangeli, è un idealista, ostinato e manipolatore. La figlia adottiva è il risultato di una sperimentazione educativa, meditata e rigorosa, da cui sono volutamente escluse le logiche del vivere. Un’arma, appunto, un ibrido anti-sociale da sferrare contro il sistema. L’unica eredità lasciata dal padre, eccetto l’aspra adolescente, consiste in una lunga serie di registrazioni, in cui sono raccolti i suoi dettami. Dopo la morte, egli resta in vita grazie al registratore, elemento rappresentativo di quella società che avrebbe voluto sovvertire e che addirittura lo materializza sulla scena.
Aureliano Amadei sceglie di integrare il montaggio cinematografico alla messa in scena teatrale.
Il regista crea una sequenza di primi piani, componendo un quadro complessivo di grande effetto.  I personaggi ci raccontano la propria esclusiva e intima prospettiva attraverso frammenti alternati che intrecciandosi restituiscono una dimensione alienata, in cui appartenenza ed esclusione diventano fondamento di esistenze claustrofobiche.
Al centro della scena c’è un’ampia pedana, mobile e praticabile, che attraverso un sistema di tiranti -maneggiati dagli attori- si muove per tutta la lunghezza del palcoscenico. Il fondo è un cielo mutevole in cui il vento fa da padrone, trascinando, talvolta, nuvole in tempesta. Tutt’intorno una serie di tronchi, alberi mozzati e accette conficcate nel legno ricreano l’ambiente naturale.
La scenografia assume, sulla scia del costruttivismo, carattere simbolico: tutti gli elementi quali ostacoli, ponti, armi, scale sono emblema della complessa interiorità dei personaggi.
I dialoghi non sono rivolti verso l’interlocutore destinatario ma si disperdono in platea, trasformandosi in veri e propri monologhi, a sottolineare quanto l’assenza del legame relazionale sia il cardine sul quale si muovono labili i tre personaggi. L’assenza/presenza del padre compromette inevitabilmente le vite passate dei due giovani e fortemente le future. Entrambi sono figli/non figli che lottano contro il medesimo insanabile vuoto generato dalla presenza, per l’una, e dall’assenza, per l’altro, di un padre avido e assolutistico. Uomo rude e spigoloso di cui non rimane niente, persino il suo corpo è disgregato e sparpagliato nei boschi. L’immagine dell’idealista si dissolve nelle sue stesse azioni e non resta altro che il desertico male di vivere di un individuo che rifugge il mondo.

L'ARMA
HOW LONG IS NOW   Finalista 50° Premio Riccione per il teatro
di Duccio Camerini
con Giorgio Colangeli, Andrea Bosca e Mariachiara Di Mitri
Regia di Aureliano Amadei
Scenografia Tommaso Garavini e Fabiana Di Marco
Costumi Daniela Ciancio
Aiuto regia Vanessa Bollar Maqueira
Casting Flaminia Lizzani
Disegno luci Vittorio Omodei Zorini