Pin It

I SACCHI DI SABBIA ABRAM E ISAAC Sacra rappresentazione in cartoon liberamente tratto dalla rappresentazione di Abramo ed Isac di Feo Belcari scrittura: Giovanni Guerrieri
libri: Giulia Gallo con: Arianna Benvenuti, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Giulia Solano produzione: I Sacchi di Sabbia, Federgat con il sostegno della Regione Toscana

GLI ULTRACORPI – A science fiction Il ritorno degli Ultracorpi Scrittura: Giovanni Guerrieri  con: Gabriele Carli, Enzo Illiano tecnica: Federico Polacci

Recensione di Selene Nannicini

La compagnia teatrale pisana I Sacchi di Sabbia è nota per le sue performance sperimentali e costruite con il minimo indispensabile, dimostrando come anche con pochi mezzi si riesca a far quanto basta affinché uno spettacolo possa definirsi tale. L’ensemble si è presentato al teatro Rossini di Pontasserchio, venerdì 26 aprile (una data già infelice, poiché adiacente ad un ponte festivo, ciò significa scarse possibilità di riempire il teatro), con due atti distinti tra loro: Abram e Isac, ispirato alla vicenda biblica di Abramo e Isacco, che qui viene affrontata attraverso la manipolazione di libri pop-up, e Gli Ultracorpi, A science fiction, basato sul libro L’invasione degli ultracorpi di Jack Finney. Il regista Giovanni Guerrieri ripropone la storia della Bibbia attraverso la riscrittura di Feo Belcari, poeta fiorentino del Quattrocento, autore di sacre rappresentazioni nelle piazze, ed è strano vedere in scena delle attrici femminili, considerato il veto del passato a cui risale il testo: fatto davvero inusuale, come lo è quello di approcciare un’opera sacra con semplici figurine di carta stilizzate, solitamente utilizzate per fini ludici. Il lavoro con i “fumetti” deriva, forse, dalla collaborazione con il disegnatore Gipi nello spettacolo Essedice del 2010. In Abram e Isac tre attrici – Atropo (Arianna Benvenuti), Cloto (Giulia Gallo) e Lachesi (Giulia Solano) – sono sedute intorno ad un tavolo rettangolare in penombra, le due disposte sui due lati esterni del tavolo (quindi di profilo al pubblico) costruiscono e decostruiscono di continuo una pila di libri e i loro movimenti sono scanditi dal ritmo di un metronomo; alla fine di ogni costruzione/decostruzione, l’attrice al centro apre un libro con figure di carta che si distaccano dalla pagina in modo da essere “più” visibili al pubblico: si tratta dei personaggi presenti nella storia, con tanto di animali al seguito, i cui versi sono emessi dalle stesse attrici, in modo da comporre una sinfonia onomatopeica. La musica è presente in parte, visto che una delle attrici, nel mostrare la discesa dell’angelo, intona “a cappella” le note dell’opera lirica Il flauto magico di Mozart. La lirica sembra quasi essere un leitmotiv ricorrente nelle performance della compagnia, come dimostra il Don Giovanni del 2011: una rigorosa partitura da Mozart cantata, anche qui, "a cappella". La voce narrante fuori campo (amplificata dal microfono) del regista accompagna, per intero, la vicenda della durata di circa mezz’ora. La luce si affievolisce al momento del sacrificio rappresentato dalla testa di una delle attrici appoggiata sulla pila di libri: forse, l’unico momento in cui le tre ragazze s’intromettono, fisicamente, nella piccola “sacra rappresentazione in cartoon”. Il finale si rivela interessante, dal momento che uno dei libri, tirato da un filo, appare sulla scena e mostra la sagoma di un capro che va a sostituire Isacco. La scelta di una narrazione biblica tutta al femminile sembra riscattare la figura della donna, inquadrata in una concezione maschilista nelle vicende raccontate dalla Bibbia.
Gli Ultracorpi, A science fiction riprende una storia di fantascienza, secondo la quale forme aliene cadute sulla terra, chiuse all’interno dei baccelli, si sarebbero appropriate dell’anima degli umani dormienti. I Sacchi di Sabbia hanno già avuto modo di portare in scena prodotti ortofrutticoli, un esempio è dato dall’opera letteraria di Salgari, Sandokan, riadattata teatralmente nel 2008, grazie alla quale la compagnia si è guadagnata il premio Ubu. L’apertura del sipario mostra due attori (Gabriele Carli e Enzo Illiano) seminudi in scena: l’uno è sdraiato su un tavolo e contornato da barattoli di baccelli, l’altro invece è in piedi, dietro al tavolo, e compie ampi esercizi di stretching fisico/mimico. La posizione orizzontale e immobile dell’attore sul tavolo si scontra con quella verticale e mobile dell’attore eretto. C’è un senso di adattamento che si tenta di comunicare, o meglio, l’uomo/baccello sdraiato si lamenta palesemente per le nuove sembianze vegetali acquisite, mentre l’altro sembra non essere poi tanto scosso dal suo aspetto mutato. L’Aida di Verdi viene inserita per una similitudine a livello narrativo: il desiderio di fuggire infranto dall’impossibilità di farlo concretamente (come i due amanti/protagonisti dell’opera chiusi nella piramide). Oltre a parlare due lingue diverse, i due adottano pure tempi diversi nel pronunciare le battute (ciò scatena il gioco comico); il dialogo si presenta alquanto dilatato, dal momento che le domande rivolte in napoletano rimangono sospese e non trovano subito la risposta attesa in gramelot russo. Ogni singola frase viene tradotta dai sovratitoli proiettati sul fondale del palcoscenico; ovviamente il lato comico è palese, ma a causa della lettura obbligata molte delle battute si perdono facilmente e con esse il senso umoristico di cui sono portatrici. Inoltre, bisogna precisare che la traduzione non è letterale, ma viene tradotto il senso delle parole pronunciate dai due attori, innescando un ulteriore meccanismo divertente. Difficile criticare negativamente le idee del Guerrieri, perché non sono scontate né banali, invece qualche dubbio sorge sul come queste idee vengono sviluppate: azioni sceniche sistematiche e tempi troppo dilatati. I Sacchi di Sabbia emozionano e deludono insieme, lasciando il pubblico con il sapore di teatro ancora sulle labbra, con la voglia di essere stupiti.

Recensione di Giulia Paoli

Per quanto Giovanni Guerrieri, regista e scrittore della compagnia tosco-napoletana I Sacchi di Sabbia, non la riconosca ancora come costante, la musica lirica sta affiancando l’ironia e un peculiare uso della voce nei tratti caratteristici dei lavori della compagnia. Dopo Sandokan, ma soprattutto dopo Don Giovanni, rivisitazione in chiave comica dell’opera di Mozart completamente cantata, suonata e “rumorata” live, anche in questa produzione tornano arie operistiche, come tocco drammatico, in Abram e Isaac, o come motivo personificato, ne Il ritorno degli ultracorpi. Nella rielaborazione della storia biblica, nella versione del ‘400 di Feo Belcari, il brano del Flauto magico di Mozart (cantato dalla bellissima voce di Giulia Solano) serve semplicemente a sottolineare il momento drammatico della sospensione del gesto di Abramo da parte dell’angelo nella sospensione del gesto teatrale; nella rielaborazione del romanzo fantascientifico del ’55, invece, il finale dell’ Aida di Verdi risulta una presenza determinante che, insieme alla ricerca di straniamento linguistico, sorregge l’intera scena di per sé esilarante, ma fine a se stessa e diventa quasi un terzo attore con il quale i due dialogano.
Insieme alla lirica torna la proiezione dei sovratitoli, espediente già visto anche in Don Giovanni per creare comicità attraverso una traduzione volutamente forbita in contrasto con il linguaggio più volgare e diretto delle battute. Qui, però, le risate scaturiscono anche dalla conversazione innaturalmente possibile dei due alieni – appena risvegliati in corpi umani dopo la schiusa dei loro baccelli – che parlano l’uno (Enzo Illiano) in napoletano e l’altro (Gabriele Carli) in russo. Ritroviamo poi l’utilizzo rumorista della voce che anche in Abram e Isaac crea il sonoro del racconto e si accompagna all’uso dei libri pop-up (opera di Giulia Gallo, attrice in scena), magico strumento dal quale spuntano le immagini e i personaggi per prendere il centro della scena. Nella totale oscurità, la luce calda e intensa del sagomatore perpendicolare si riflette sui volti delle tre donne a veglia sedute intorno al tavolo creando immagini fotograficamente molto suggestive, con di sottofondo l’ossessivo ticchettare del metronomo a scandire l’inesorabile scorrere del tempo.
La precisa interpretazione degli attori, priva di sbavature e dal forte impatto scenico, si basa in entrambi i quadri su un uso consapevole e minimale del corpo, fatto di gesti semplici, visibili ed efficaci per la comunicazione non verbale e su una sapiente sperimentazione vocale in grado di dar vita ad una ricca scala di toni, suoni e rumori. La stessa tecnica luci e audio, ad opera di Federico Polacci, si rivela di raffinata qualità, architettando invenzioni suggestive e sorprendenti.
La ricerca teatrale che la Compagnia sta da tempo portando avanti, in un continuo mettersi alla prova di fronte al pubblico anche solo con studi e scene singole, è sicuramente un prezioso lavoro da proteggere e che merita spazio e tempi adeguati per esprimersi, sperimentare e sbagliare. Purtroppo questo è il caso in cui si rivela un punto debole, poiché, da una parte, l’accostamento dei due spettacoli (il secondo ancora work in progress) non convince, essendo differenti per tematiche e modalità di mise en scene, e dall’altra,  perché le stesse singole brevi opere non appaiono del tutto incisive, anche se per motivi diversi. Nonostante la qualità recitativa e gli espedienti registici divertenti, interessanti ed efficaci, la riuscita finale, quindi, non è delle migliori: in Abram e Isaac perché, decontestualizzato dalla rassegna di teatro sacro per cui era nato, diventa difficile e a tratti pedante nella reiterazione forzata di certe dinamiche sceniche; ne Il ritorno degli Ultracorpi, perché la scena con un vago sapore assurdo beckettiano non riesce ad esprimere il proprio senso se non come semplice esercizio di comicità. Rimane la curiosità di vedere quali frutti, o meglio baccelli, darà questo percorso.

Recensione di Gemma Salvadori

Tre donne nella penombra aprono la scena nel primo quadro dello spettacolo in due tempi (Abram e Isac e Il Ritorno Degli Ultracorpi) realizzato dalla compagnia tosco-napoletana I Sacchi di Sabbia.
Atropo (Arianna Benvenuti), Cloto (Giulia Gallo) e Lachesi (Giulia Solano), nero vestite, si presentano davanti al pubblico in platea; il solo volto illuminato, sedute intorno ad un piccolo tavolo impiegate a raccontare l’episodio di Abramo e Isacco attraverso libri capaci di illuminare il buio quando da essi saltano fuori le bianche figure di carta con cui viene narrata la storia di “colui che ebbe fede”.
La scena ideata da Giovanni Guerrieri (regista) si snoda attorno a un meccanismo piuttosto semplice ma non per questo meno efficace: il libro pop up, un gioco per bambini elevato, in questo contesto, a grande mezzo espressivo capace di dar voce alle parole di Feo Belcari, scrittore fiorentino del 1400.
In questo primo quadro è la figura della donna ad essere essenziale, poiché è qui che la presenza femminile assume un’importanza rilevante vestendosi di sacro nell’atmosfera di veglia che viene a crearsi nel piccolo rettangolo di palco illuminato. Il biblico, il comico e il tragico si mescolano all’interno della ritualità martellante dello sfare e disfare scandita dalle brevi pause d’orologio che lontano risuona in platea: preludio del momento finale in cui la mano di Abramo verrà fermata.
Il sipario si chiude per poi nuovamente aprirsi su un mondo sconvolto da una subdola invasione aliena.
Soggetto di questo secondo quadro sono due insoliti baccelli: alieni appena nati, interpretati rispettivamente da Gabriele Carli e Enzo Illiano, incastrati a loro dire in corpi non troppo soddisfacenti e linguisticamente, tra di loro, lontanissimi, uno napoletano l’altro russo ma comunque capaci di capirsi e di metter su una discussione. Il fondale si copre di frasi: sopratitoli “ingentiliti” descrivono ciò che si dicono i due cloni nel loro dialogo straniante accompagnato dall’ultimo atto dell’Aida di Verdi che fa da colonna sonora a tutta la vicenda. Il tema del doppio è qui riproposto dalla compagnia che scherzando pone sotto una nuova luce il famoso topos fantascientifico dell’alieno in grado di rubare l’identità dell’uomo durante il sonno: clone uguale nell’aspetto ma differente nell’anima.
Lo spettacolo di Guerrieri è accompagnato da quello che potrebbe essere forse considerato una sorta di filo rosso: l’opera lirica. Se nel primo quadro una delle tre donne canta un'aria de Il Flauto Magico di Mozart, nella seconda parte la stessa condizione di Radames e Aida imprigionati nella cripta e destinati alla morte è addirittura paragonata ai due sfortunati alieni incastrati nei miseri corpi umani nei quali sono capitati.
Quella dei Sacchi di Sabbia si rivela, in conclusione, una messa in scena a suo modo originale destinata, però, a perdere il suo vero potenziale, a causa di una decontestualizzazione che non premia.