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Ipercorpo Festival 2013 promosso e organizzato dalla Compagnia Città di Ebla e diretto da Claudio Angelini, dal 16 al 19 maggio negli spazi dell'ex deposito ATR di Forlì. Evento a mio avviso molto significativo, a partire dalla sua denominazione, in quanto cerca di rendere evidenza della crisi, potenziale o già in atto, di un equilibrio che ha retto e su cui si è retto per millenni il teatro occidentale, l'equilibrio tra la parola 'detta' e la presenza scenica, alla sua radice 'rituale', dell'attore.
Il primo a rendersi conto e consapevole di una tale crisi fu, a mio avviso, Edoardo Sanguineti che, attraverso la poetica del 'travestimento', contrappose un accurato e affascinante lavoro sulla fisicità della parola, sulla sua sonorità, sul suo suono tout court, destinandola a diventare segno di una complessa e rinnovata sintassi drammaturgica, un vero e proprio 'attore' in scena, che ri-conquistava il proprio significato appunto nel suo transito scenico.
Testimoni e alfieri in piena autonomia di un tale intento, nella prassi recitativa, furono credo soprattutto Carmelo Bene, nel suo privilegiare la voce come strumento latu sensu musicale più che di dizione, strumento in tendenza da progressivamente incorporare nel corpo stesso dell'attore, e anche, in una certa misura, Leo de Berardinis.
Così, oggi, se da una parte il teatro di narrazione tende a risolvere nel racconto, e quindi in ultima analisi ad annullare, ogni sintassi drammaturgica, dall'altra in molto del teatro nuovo e di ricerca, inevitabilmente influenzato da Jerzi Grotowski, la parola sembra concludere la sua parola annullandosi, incorporata appunto nel corpo dell'attore che con i suoi movimenti scenici e performativi surroga una comunque ineludibile sintassi verbale.
Di quest'ultima tensione dà atto il festival Ipercorpo, e queste righe ne sono un breve diario limitato a sabato 18 e alla mattina di domenica 19 maggio.

In primo luogo va riferito di una iniziativa molto condivisibile degli organizzatori, quella di creare uno spazio fisico ed un momento di incontro, curato da Silvia Mei, tra operatori di teatro e direttori artistici di realtà europee e cinque giovani compagnie, che hanno potuto presentare il loro lavoro sostanzialmente 'raccontandolo' con l'aiuto di installazioni video e brevi filmati.
Tra queste tre compagnie di performer, “Instabili Vaganti”, “In_Ocula” e “Opera”, che sviluppano un interessante lavoro performativo sul corpo dell'attore, quasi proiettato e duplicato con raffinati interventi multimediali e mutuati da altre arti, così da tentare, anche alla luce dell'insegnamento grotowskiano, di far emergere realtà psichiche e interiori, realtà peraltro prevalentemente dominate, sotto il segno di una contemporaneità in un certo senso 'sgradevole' o non gradita, dal sentimento dell'angoscia.
A fianco colui che può essere definito un giovane e promettente esponente del teatro di narrazione, Roberto Corradino con il suo “Reggimento Carri Teatro”, Corradino che peraltro meticcia la tradizione dell'attore drammaturgo di sé stesso con tecniche tratte dall'happening e fa della vicinanza del suo corpo con il pubblico, quasi mescolandolo in esso, un tentativo di di-svelamento e reciproco riconoscimento.
Infine Francesca Proia, danzatrice, coreografa e performer, che il suo lavoro lo racconta veramente ma che insieme ci propone una intrigante e significativa suggestione, quella della tecnica monastica della voce curatrice, la cosiddetta tecnica della “voce lattea”, e che dunque fa della riscoperta fisicità del suono un elemento non solo di conoscenza ma di vero e proprio intervento sulla realtà, un elemento di prassi dalle declinazioni anche terapeutiche a partire dalla tradizione antichissima del “consolare”.

Poi gli spettacoli veri e propri.

CHERCHEZ LA FEMME
Drammaturgia danzata della Compagnia “gruppo nanou” di Ravenna, scritta da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, con Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci, Marco Maretti e Stefano Questorio. Sound di Roberto Rettura che con Amico e la Bracci è il fondatore nel 2004 del gruppo. La piéce nasce da una suggestione Shakespearina, quella del corpo di Ofelia e la trascrive nei movimenti coreografici di una messinscena mai realizzata, come l'amore d Ofelia, e mai realizzabile che dunque si esaurisce su sé stessa. Il lavoro sul corpo danzante diventa così annullamento degli spazi abituali quasi a creare con il movimento stesso un vuoto accogliente, per i nostri pensieri fin al metafisico e per i nostri sentimenti privi e privati di parola. Singolare e molto suggestivo il richiamo ad una sintassi scenica da café chantant, o meglio da commedia musicale americana, in cui il già debole “plot” era occasione per parlare d'altro, attraverso il corpo che danza, e conoscere un altrove in cui si nasconde il senso di quello che facciamo, senso psicologico e affettivo ma anche di semplice, e spesso a torto vituperato, 'divertimento'.

PERDERE LA FACCIA
Spettacolo della Compagnia “Menoventi” in collaborazione con Daniele Ciprì che cura anche la regia da una sceneggiatura (e non a caso è usato un linguaggio cinematografico) di Consuelo Battiston, Gianni Farina e Alessandro Miele (fondatori nel 2005 del gruppo). In scena Consuelo Battiston, Alessandro Miele e Rita Felicetti. Intrigante e tragi-comica riflessione più che sul teatro sulla finzione che del teatro è fondamento, finzione vista come mezzo per la ricerca della sincerità che, non sempre anzi quasi mai, si declina lì con la verità o la realtà. Spiace raccontarne gli elementi costruttivi e sintattici perché è nel loro di-svelamento contingente che si realizza e percepisce il senso dell'operazione drammaturgica di Ciprì e dei Menoventi (- 20 è la temperatura di casa nostra al rovescio ci tengono a precisare), perché è nel rovesciamento che si realizza il riscatto della finzione-menzogna in sincerità. Basti dire che la piéce ruota intorno ai meccanismi della presentazione di un corto-metraggio, modalità che inevitabilmente attiva aspettative forti, apparentemente smentite ma in realtà solidamente confermate. Il sapiente uso di tecniche recitative alienanti nella ripetizione tecnica e nell'uso-abuso del luogo comune, produce comunque resistenze e frizioni che scatenano ilarità e coinvolgono il pubblico che partecipa e supporta spontaneamente l'evento mentre questo si evolve in scena. Una menzione per i protagonisti, tutti molto bravi, per la coerente gestione dello spazio vuoto e mobile e per i movimenti recitativi, spesso inaspettati e comicamente spiazzanti come nelle corde di Ciprì.

SPORT
Altro spettacolo del “gruppo nanou” ideato da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci che ne è anche la protagonista in scena, supportata come di consueto dal suono di Roberto Rettura. Celebrazione del corpo e del suo movimento svincolato apparentemente, come si direbbe nello sport, da qualsiasi valenza o potenzialità significativa, ma che appunto per questo quella valenza e potenzialità, autonoma e iscritta nella spontaneità-guidata del movimento, alla fine enfatizza e ribadisce. Il vuoto che il movimento crea come un mulinello nel fiume, della realtà e dell'esistenza, ha infatti orrore di sé stesso e si riempie del pensiero che è richiamo alla soggettività esistente, a partire da quella dell'atleta per giungere alla nostra di spettatori di quel luogo e di quel tempo.

All'anno prossimo.