A due settimane di distanza dalla manifestazione indetta da Micro Mega per l’8 luglio a Piazza Navona, mi trovo a fare i conti con un’evidenza imprevista: si è trattato di un evento rimasto scolpito nella mia memoria con un incisività così perentoria che non può essere eludibile in questa sede.
E non soltanto perché da lunghissimo tempo non mi accadeva di sperimentare un’emozione e un’adesione così totali in presenza di performances di carattere politico (tanto che sono costretta a tornare, per fare paragoni, a Dario Fo e Franca Rame di “Morte accidentale di un anarchico” ), ma perché questa stessa consapevolezza esige un impegno. Non fosse altro nei confronti dei più giovani che non dispongono di quella traccia emotiva, tanto forte a suo tempo da marcare l’orizzonte etico generazionale .
Devo premettere che non ho assistito al discusso intervento di Sabina Guzzanti e neppure a quello di Grillo, se non in mimima parte. Ciò visibilmente conta, considerata la risonanza che le parole di questi combattivi testimoni della satira hanno avuto, ma non quanto sembrerebbe a prima vista. Il senso profondo di questo convergere in quella piazza era la volontà di migliaia di persone di partecipare alla costruzione di una “forma resistente” alla disintegrazione delle istituzioni repubblicane attraverso le “leggi vergogna” e contraria all’uso privatistico dello stato da parte della maggioranza.
Ciò che nelle prime due ore è stato catturato con prontezza e lucidità da Pancho Pardi, da Paolo Flores d’Arcais, da Antonio Di Pietro e Marco Travaglio è stato il rifiuto e lo sgomento per quanto si vedeva precipitosamente accadere nella sala delle leve di comando. I politici hanno indicato le coordinate di questo sommovimento: Pardi l’elenco sterminato e gravissimo di reati decaduti con la legge bloccaprocessi, Rita Borsellino e Flores D’Arcais il senso profondo dell’indebolimento democratico, Di Pietro lo schema strutturale dell’attacco in corso alla democrazia (“sequestro di funzioni parlamentari a fini estorsivi con ricatto e riscatto”, ovvero delinquenti impuniti e in libertà con la legge bloccaprocessi che vale quanto un sequestro strumentale delle funzioni della Giustizia di questo Paese e ricatto con l’immunità-impunità per “la sola delle massime cariche dello stato che ne ha veramente bisogno”); le persone di spettacolo, Travaglio in primis, hanno animato la descrizione agile ( e irresistibile) dell’andamento della scena politica e dell’obbligatorietà quasi coatta delle mosse dei suoi protagonisti, imbrigliati (“diversamente concordi” quasi come “diversamente abili”) ognuno nel suo diverso progetto.
Prescindendo dunque dall’abbondanza e dall’ esplosività degli interventi successivi, alle 20 e 30 la scena di quell’evento era già pienamente configurata e dotata di significato. In chiave narrativa questo l’eroe (la minoranza resistente), questi gli ostacoli (l’attacco alla democrazia), quelli gli aiutanti (le forze manifestanti), questo il cammino possibile (“Un futuro di gazebini per l’abrogazione di leggi infamanti”)…In chiave di ascolto, al benessere sottile che aleggia in una condizione di livello massimo e ben largo di condivisione, si percepiva il retrogusto della malinconia per dover essere dopo 15 anni ancora allo stesso punto, con lo stesso impaccio e lo stesso avversario, reso più arrogante dalla parte di Paese che si rema contro. “Non ci avranno per stanchezza” è la dichiarazione ferma di Rita Borsellino, ma non riesco a non pensare a costo di quale dispersione di energie, di economie, deve difendersi questo Paese.
Il popolo del teatro è sempre in risonanza di quanto emerge nel sociale: da un lato la crisi dei Festival come Santarcangelo e dall’altro la polverizzazione degli eventi festivalieri, connessi sovente a eventi gastronomici acchiappaturista: uno “tsunami di eccitazioni” che riempie e confonde il vuoto crescente di comunicazione e lucidità. Anche la manifestazione di Piazza Navona ha rischiato di veder oscurato il suo senso di chiarezza e coesione da una sopraffazione di brillanti battute sarcastiche, ma la sua forza effettiva era là: nello sforzo condiviso di “continuare a portare avanti la nostra coscienza e la nostra esperienza”. E rubo non a caso questa battuta a Maria Dolores Pesce, che parlando di Santarcangelo ha avuto nostalgia di Berlinguer…
Se l’angelo nuovo annuncia un proliferare di gazebini, auguriamoci che possano essere teatrini veri dove, per dirla con Umberto Eco, sia consentito alla minoranza dissidente “di esprimersi a voce alta ogni volta che pensa che la maggioranza ha torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della democrazia). E lo faccia sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha avuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di avere sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia..”