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Che cosa rende infelice un’amante? La spasmodica ricerca dell’assoluto. Perdersi nell’altro senza più ritrovarsi. Finire in una serie di eventi a catena di cui si smarrisce il disegno iniziale. Il significato di quell’amore. La stesse cosa avviene per l’autore di un romanzo. Che cosa rende felice la scrittura? Per Tolstoj la scrittura è ricerca di unitarietà, significati, rappresentazione di un disegno iniziale. Perdersi nei personaggi e ritrovarsi. Dare senso alle immagini della mente, intorno a un evento che si vuole narrare. Il testo parte proprio da qui, descrivendo il turbamento dello scrittore di fronte al suo personaggio "… all'improvviso mi balenò dinnanzi agli occhi il nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico. Senza volerlo cominciai a fissare questa immagine. Apparvero una spalla, il collo, e infine tutta la figura di una donna in abito da ballo che implorante fissava su me i suoi occhi tristi…" Un fatto di cronaca accaduto il 4 gennaio 1872 nei pressi dell’abitazione di Tolstoj, sconvolse l’autore, una donna di nome Anna Stepanovna Pirogova si suicidò, gettandosi sotto a un treno nella stazione di Jasenki della ferrovia Mosca-Kursk. Quel dolore, quell’infelicità andava raccontato.
“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.” (Lev Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Leone Ginzburg, Einaudi, 1993.) Comprendere l’origine di una insoddisfazione, dell’infelicità, di un desiderio, capire che cosa tiene insieme “l’infinito labirinto delle concatenazioni”, saper raccogliere le idee e le immagini concatenate le une alle altre, vuol dire cogliere l’essenzialità dell’arte. Lo stesso Tolstoj scherzando, racconta, in polemica con alcuni critici, i temi dell’opera e ne descrive il nucleo essenziale: “C’era una signora, che ha lasciato il marito. Dopo essersi innamorata del conte Vronskij ha cominciato ad arrabbiarsi contro varie cose a mosca e si è buttata sotto il treno” Raccogliere le idee concatenate le une alle altre, dare scopo alla loro espressione, individuare il nucleo originario è forza, energia dell’autore. La drammaturgia di Emanuele Trevi e Sonia Bergamasco, parte proprio da questo, dal desiderio di narrare immagini fra loro concatenate, raccontando i turbamenti dell’autore. Per arrivare nel finale a descrivere il gesto disperato di Anna Karenina. Una serie di quadri scenici, svelano il durissimo lavoro di Tolstoj nella stesura del romanzo, i fatti di cronaca che l’hanno ispirato, la paura di perdere la scrittura, (“oggi ho scritto una pagina e mezza”) il desiderio di dare senso all’infelicità di una donna. Il monologo si compone di tante singole parti che corrono verso il finale tragico, passando per la sofferenza dell’autore, la meschinità della borghesia russa di fine Ottocento, l’egoismo di un amante e la sua vanità, la fine della storia. Sonia Bergamasco tiene unite queste singole parti attraverso la sua bravura, la bellezza dei suoi sguardi persi nel vuoto, nella ricerca di un significato. Il monologo non vuole dare voce teatrale a un testo narrativo, ma mostrare la struttura, la nascita, facendo risuonare tra loro tutte le diverse testimonianze, a partire dai primi appunti dell’autore, le lettere della moglie, per arrivare ad alcune sezioni significative dell’opera compiuta. L’idea che fa da perno al lavoro è quella di impiegare il talento di Sonia Bergamasco non solo nel tentativo di rappresentare o incarnare Anna Karenina, ma di cogliere il legame fra l’autore e il suo personaggio. L’idea nel suo farsi. L’ultima regia teatrale di Bertolucci dona questo spettacolo la bellezza di uno sguardo interiore, come respiro affannato, come schizzo, successione di immagini interiori, dialogo con la musica e un pianoforte in scena che diventa personaggio. Luci ed ombre, vuoti e pieni, chiaroscuri, evocano atmosfere che rimandano al dramma esistenziale di una donna, di un’aristocrazia in declino.  Il disegno delle luci di Cesare Accetta sottolinea il linguaggio del corpo, alla ricerca di una linea narrativa che affianca la parola con chiarezza ed efficacia illuminando i ragionevoli dubbi e i dolori della protagonista. Che cosa vuole dirci l’ultimo Bertolucci? Anna Karenina resta quasi imprigionata, nel personaggio, inafferrabile, distante, nelle piega di un’anima che non si piega, che non si abbandona completamente al delirio dei sentimenti, che non perdona gli errori commessi. Troppa perfezione, spesso, disorienta. La felicità di un’emozione, non sempre passa attraverso la perfezione, la grandezza, ma si può cogliere anche nei piccoli gesti, nelle cose semplici che svelano imperfezioni, errori.

Teatro Franco Parenti Milano
Karenina. Prove aperte d’infelicità
Da Lev Tolstoj
drammaturgia di Emanuele Trevi e Sonia Bergamasco
regia Giuseppe Bertolucci
con Sonia Bergamasco
Disegno Luci
Cesare Accetta
Produzione Teatro Franco Parenti/Sonia Bergamasco