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Si svolge in questi giorni un promettente festival di cinema documentario nell’isola di Salina. E se questo nome dovesse inopportunamente evocare per voi il più famoso rappresentante dell’omonima aristocrazia, tale Don Fabrizio Corbara, principe di Salina, detto il Gattopardo, sappiate che state prendendo un granchio: di quelli grossissimi se poi costui vestisse i panni, atletici e insuperati, di certo Lancaster Burt, di professione attore.
Vero che nel festival è previsto un workshop su cinema e letteratura e che ciò sembra indirizzare il pensiero analogico verso Giuseppe Tomasi DI Lampedusa , ma è più vero ancora che l’argomento del corso (“Ritorno alla realtà? Per un nuovo realismo nel cinema e nella letteratura”) sollecita puntualmente una maggior attenzione ai fatti. Soprattutto nell’intenzione di eludere le pressioni, talvolta improprie, del nostro immaginario, “assediato dal linguaggio delle immagini e della cultura cinematografica complessiva”.
Persuasi senz’altro da questa tesi, non solo per l’identità degli studiosi schierati in campo, che basterebbe a far testo da sola, (Michele Suma con il contributo critico di Romano Luperini e Pietro Cataldi) possiamo allora ricordare che a Salina a starci di casa, come già un tempo Emilio Lussu e Carlo Rosselli, fu Pablo Neruda e non Tomasi Di Lampedusa (che per essere precisi neppure a Lampedusa stava) e che se un film indimenticabile con un indimenticabile protagonista vi venne effettivamente girato, stiamo parlando di Massimo Troisi alle prese con “Il postino”.
Qualcuno, perciò, dal registro artistico e il piglio intellettuale tutti diversi da quelli del possente Luchino. La cosa risulta emblematica per due ragioni , la prima delle quali è che quel film, voluto fortemente dall’attore, per la vicinanza emotiva con il delicato modo di rapportarsi alla poesia del protagonista, restò la sua ultima fatica. Troisi si spense per una malattia cardiaca a riprese appena concluse, legando indissolubilmente il suo ricordo alla grazia e alla malinconia di quel messaggio e di quei luoghi.
La seconda ragione di emblematicità concerne il Luchino Visconti del “Gattopardo”, è di bruciante evidenza e rende d’obbligo una domanda esemplare: c’è qualcuno che, visto il film e letto il libro, poi certamente rivisto il film e forse riletto il libro, ricorda che il grande amore di Tancredi Falconeri (Delon) non era davvero Angelica Sedara figlia di Calogero e nipote di Peppe ‘Mmerda (Cardinale), ma la cugina Concetta Corbara di Salina figlia del Gattopardo (Morlacchi)? Pochissimi se ne ricordano subito: i più debbono farci mente locale, se non addirittura tornare a consultare il testo (come risulta dall’ inchiesta condotta in verifica) e comunque hanno una certa età. Eppure così recita il colpo di scena in chiusura di romanzo: argomento rimasto in genere letteralmente rimosso dalla slavina di immagini sensuali, romantiche e fastose, messa in campo dal regista per celebrare il famoso fidanzamento Falconeri/Sedara.
Colpo di mano visionario, che mette pacatamente in ombra lo spirito imperialista di Don Fabrizio, per nulla intimorito dall’ immolare il futuro di sua figlia pur di mantenere non solo salve le sostanze, ma anche e soprattutto intatti l’ harem e la sovranità patriarcale. Volendo dire con questo che la fiaba, narrata con paternalismo cosciente quanto sapiente (o comunque connaturato), ha travalicato il discorso critico sulla storia, esercitato dallo scrittore prima e dal regista poi, finendo irresistibilmente per riprodurre sull’uditorio gli effetti di quanto Visconti andava illustrando: una rimozione indotta. Anzi, la rimozione indotta di una rivoluzione. Ragione di più per pensare a favore del ritorno del realismo in cinema e in letteratura, “mala tempora recurrunt”.
Quanto al programma del festival, che si annuncia (www. Salinadocfest.org, immagini, suoni e realtà del Mediterraneo), insolitamente attento alle presenze femminili, il cartellone prevede oltre alla proiezione di lungo e medio metraggi in concorso, una retrospettiva di tre documentari girati da Pierpaolo Pasolini (sì, anche “La rabbia”) e svariati interventi, tra i quali quelli di Mimmo Calopresti, Francesca Comencini, Alina Marazzi, Esmeralda Calabria, Silvia Balestra e Simona Vinci. La direzione è di Giovanna Taviani e il coordinamento di Alberto Crespi, con un comitato d’onore a prova d’autore che allinea ben quattro grandi del calibro di Paolo e Vittorio Taviani, Romano Luperini e Bruno Torri. Saranno presento con i loro spettacoli “Shakespea Re di Napoli” di Ruggero Cappuccio e “Primi passi” di Del Bono, Lello Arena, Claudio Di Palma e Pippo Del Bono. Ma è prevista anche una tragedia: quella di chi, considerato il luogo, la stagione, gli eventi, i temi, le persone, sa che non ci andrà per i colpi della sorte avversa ….