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È l’atto unico di Patrizia Valduga ad inaugurare Dominio Pubblico, esperimento di programmazione congiunta tra Teatro Argot e Teatro Dell’orologio. Federica Fracassi è eccezionale,  con straordinaria abilità  riesce ad amalgamare le serrate e nervose direttive registiche di Valter Malosti al tessuto verbale tanto composito della Valduga. Il testo della poetessa veneta si avvale del metro sirventese classico per dare voce ai pensieri di un malato terminale. L’alternanza dei registri, che si articolano tra linguaggio aulico e linguaggio “basso”, mescola l’immaginifico poetico, dimenticata inclinazione dell’animo umano, ad un sentimento intriso di sdegno nei confronti dell’attualità esecrabile che ci circonda. Preghiere, slanci lirici, orizzonti di montagne maestose, desideri, cieli stellati, Venezia e i suoi ponti, fanno da contrappeso a invettive feroci scagliate contro l’Italia e il suo popolo, la televisione, i ministri, i giornalisti, i presidenti.

[..] Ahi! serva Italia ancora coi fascisti,
e con quell’imbroglione da operetta,
ladruncolo lacchè di tangentisti!
Le tivù ci hanno fatto l’incantesimo…
Se non scarica il cielo una saetta,
tutti servi del secolo ventesimo!” 

La scena è essenziale: un paio di scarpe rosse, una sedia a rotelle e su quella, in penombra, Federica Fracassi. Immobile, diafana e disfatta combatte contro un paese spregevole, l’ipocrisia di un sistema deliberatamente corrotto, il disinteresse, la vacuità, ma sopra ogni cosa contro lo scempio della parola.
Federica Fracassi, prigioniera di un corpo immoto, non esaurisce la performance nell’uso della voce, pur adoperandola con estrema maestria tecnica.Tutto appare fermo, ma tutto è in costante movimento. Il dinamismo interno è tangibile. Le forze in opposizione che attraversano il copro dell’attrice giungono magnetiche fino allo spettatore, coinvolto a sua volta in questo gioco di disequilibrio incendiario. Una donna inerme, malata terminale si ricongiunge al suo ineluttabile destino, dispiegando dolore, ira, desiderio, calore. Preghiere, bisbigli, moniti, urla, irrisioni si susseguono in sintonia con poliedrici giochi di luce.  Tagli netti, luce diffusa e oscurità improvvisa si fondono a effetti acustici nervosi generando pulsioni di gravitazione elettrica. Il tutto sostenuto da una colonna sonora multiforme, che ripercorre le note di Beethoven e Wagner, per rovesciarsi in fervore con Fausto Romitelli e Giovanni Lindo Ferretti, sino a placarsi con la romanza toccante “L’alba separa dalla luce l’ombra” di Francesco Paolo Tosti.

Corsia degli incurabili
Di  Patrizia Valduga
Regia  Valter Malosti
Con Federica Fracassi
Suono e luci   G.u.p. Alcaro
Costumi  Federica Genovesi
Produzione   Teatro di Dioniso, Residenza Multidisciplinare di Asti in collaborazione con Teatro I, Festival delle  Colline