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17 Novembre 1972 “I’m not a crook”. Non sono un delinquente. Nixon si dichiara innocente. Dopo qualche mese si dimetterà e sarà successivamente graziato per ogni accusa sul Watergate. Ma se è vero che “la nostra storia sarà quella che noi vogliamo che sia” (le parole sono di Murrow, grande giornalista americano) qualcosa bisogna pur fare. A farlo, un uomo di televisione, non un giornalista free-lance in cerca di verità storica, ma un conduttore di trasmissioni popolari alla ricerca di un riscatto professionale negli Stati Uniti. A dispetto di ogni difficoltà Frost tiene duro, rischiando anche in prima persona e dopo una lunga serie di interviste televisive, riesce a ottenere da Richard Nixon una fenomenale confessione. Pubbliche scuse. Altre storie, altre vite. Se pensiamo alle vicende di casa nostra, ci fischiano le orecchie. Altri tempi in cui la televisione non era solo intrattenimento.
Il testo di Peter Morgan (sceneggiatore e drammaturgo inglese) tradotto da Lucio De Capitani, è stato scelto proprio per le tematiche che affronta, Frost/Nixon è un match che mette a confronto il potere politico e quello mediatico, che possono essere al servizio del bene comune e dell'emancipazione dei cittadini, oppure possono diventare strumenti di asservimento e di sopraffazione.
Ferdinando Bruni e Elio De Capitani (firmano anche la regia), nel ruolo di Frost e Nixon, immersi in un duello continuo, in un confronto mediatico. C’è molto da vedere e da imparare. Precisi nel gesto, nei toni di voce nei movimenti che creano situazioni. Tutti gli altri attori in scena luminosi nel loro ruolo (Luca Torraca, Alejandro Bruni Ocana, Andrea Germani, Claudia Colì, Matteo De Mojana, Nicola Stravalaci) svolgono funzione narrativa, entrano ed escono dal personaggio e si rivolgono al pubblico come conduttori televisivi.
Lo spazio scenico è quasi vuoto, gli oggetti assumono un valore diverso a seconda delle esigenze, dei sogni. Sei poltroncine con rotelle, danno vita ad uno studio televisivo, un ospedale, una lussuosa camera d’albergo, un auto, un aereo. Il disegno della regia si concretizza nelle luci magistralmente realizzate da Nando Frigerio. Luci dirette, taglienti che esprimono sogni e cadute. Luci d’effetto che determinano l’atmosfera, che caratterizzano l’ambienti sottolineando espressioni, forme e materia. Persone e oggetti. Gli oggetti di scena mostrano tutto ciò che è condannato a rimanere fuori scena o invisibile, creano una galassia testuale e stimoli continui nello spettatore invitandolo ad usare la propria immaginazione per decodificare, tradurre riflettere.
In contrapposizione con quello che fa alcuna nostra televisione che invece inebetisce, addormenta, intontisce. Lo spettatore resta attivo, riflette e soprattutto impara. Due ore senza intervallo e il tempo vola.  Si entra in una dimensione immaginifica che permette di decodificare spazio e tempo. In una scenografia dove lo spazio e il tempo sono continuamente allargati e confusi. I pochi oggetti scenici si caricano di una pluralità di significati. I tagli, i colori e le combinazioni delle luci danno forza alla visione poetica della regia. Non è più tempo di dormire. E anche quella piccola scatola magica (in scena ci sono anche diversi monitor), se non vuole diventare un semplice ammasso di fili deve cercare altri significati. Deve trasformarsi in un oggetto che abbia un valore etico, sociale e civile. Ma i significati dobbiamo trovarli noi, se vogliamo liberarci da una televisione come cosa inutile, vuota. E così lo spazio teatrale e i suoi oggetti diventano simbolo delle ricerca della nostra libertà. “La pietra non diventerà oggetto se non promossa al rango di fermacarte” (Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 2003). Questo discorso vale per le pietre ma anche per tanta nostra tv spazzatura.

Milano, Teatro Elfo Puccini, Prima Nazionale, Ottobre 2013