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Una giovane donna giaceva stesa sul bordo di un sentiero e Richard non ha potuto fare a meno di raccoglierla e portarla a casa, nella propria casa, in attesa che si riprenda. D’altra parte è un medico, e come tale ha istintivamente a cuore la salute delle persone. Corinne, la moglie, lo attende a casa ritagliando belle immagini dai magazine patinati, vorrebbe rivestire la culla dei bambini per circondarli di bellezza e dolcezza.
Un tarlo comincia a scavare nella coscienza di Corinne, la storia di suo marito, così perfetta e morale, non la convince. E se Richard conoscesse quella donna?
In un duello all’ultimo sangue a base di sottintesi e non detti, la realtà mostra il suo volto. Il gioco delle parti alto-borghese di edificante stucchevole perfezione lascia il passo al ritratto sociale di soffocante malessere. Il lato ombra del mondo contemporaneo si mostra con i suoi abissi, l’umanità è ritratta in balia dei suoi istinti e dei suoi automatismi animali, incapace di affrancarsene potendo guardare altrove.
Un pezzo di teatro riuscitissimo è il secondo momento scenico, il dialogo tra Corinne e la misteriosa donna raccolta sul ciglio della strada, Rebecca. La moglie (una persuasiva Laura Morante) difende il marito perché i panni sporchi si lavano in casa e l’uomo, si sa, è facile a peccare. La vittima delle circostanze si rivela come un’amante dominatrice che subito dopo mostra come sia vittima a sua volta della situazione. L’una implora l’altra di smettere, l’una implora l’altra di continuare a raccontare la verità.
Ecco il grande tema di Crimp, vero mantra della sua produzione teatrale: chi è master e chi è slave nel nostro mondo? Tutti siamo entrambe le cose, pare dirci il drammaturgo originario del Kent, in una condanna senza via di fuga dell’umanità intera.
Il ritorno apparente alla normalità chiude lo spettacolo: Richard e Corinne, di nuovo nel salone della loro casa di campagna. In un’apparente quotidianità, lui si rivela tossicodipendente in fuga dalla città con famiglia al seguito per non perdere carriera e reputazione, corruttore di amico-testimone nell’ambito di un processo per mancata somministrazione di cure a un moribondo. E Lei? Neppure lei pare salvarsi, tagliente ma passiva, perpetuatrice di un meccanismo che la vede complice del marito e a sua volta desiderosa di fuga altrove.
Crimp, fin dalle esperienze degli anni Ottanta, ha radicalizzato la lezione di Beckett e Ionesco elaborando un proprio codice espressivo ben riconoscibile. I discorsi appaiono vuoti e superficiali, ma più la tela di chiacchiere si dipana più esse mostrano un sottotesto denso ed evocativo. E’ un teatro stratificato, in cui non è la singola battuta a spiccare per densità comunicativa ma l’intero apparato debordante di frasi e dialoghi.
Visto in prospettiva, è un affresco complesso, raffinato, tagliente e disperato della (non) comunicazione contemporanea. Uomini e donne ne escono a brandelli, ingabbiati in una prigione di inconscio agire dove non c’è spazio per l’etica ma solo per l’istinto. La regia di Roberto Andò pare portare all’estremo questo ritratto, rendendolo ancora più universale mediante una rappresentazione senza epoca e senza luoghi specifici.
Così, quella campagna che nell’immaginario classico era la depositaria dei valori di integrità e sanità, qui diventa il disperato rifugio, l’Eldorado di due disperati rappresentanti dell’umanità che proprio in quella ridente e rilassante country scopriranno che non si scappa da se stessi.