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La menzogna per Antonio Latella è un percorso importante, profondo, inquietante. Ecco perché ne realizza una trilogia: prima lo spettacolo Die Wohlgesinnten, poi Il servitore di due padroni. Terza tappa A.H. , in scena dal 14 al 17 novembre presso il Teatro Nuovo di Napoli, drammaturgia di Federico Bellini e Antonio Latella, che ne è anche regista. Ma la menzogna non è l’unica parola chiave di questa ricerca e di questo spettacolo. Non possiamo esimerci da mettere in primo piano la religione e naturalmente il male. Tre elementi che, collegati tra loro, scatenano un’enormità di ragionamenti, attraverso i quali non possiamo sganciarci dalla storia. A.H. sono le iniziali di Adolf Hitler, ma la figura del dittatore  è emblema veritiero di ciò che potrebbe essere il simbolo del male, “potrebbe” perché la visione è soggettiva e lo spettatore può condividerla o meno.  Insomma, la platea assiste ad un trattato storico-filosofico sul concetto del “male”, il tutto riportato sulla scena alla maniera e nello stile latelliano.  Luci bianchissime su una scena vuota: sullo sfondo un foglio altrettanto bianco con tiranti e pinze, a sinistra un manichino di legno. Scena a metà tra l’etereo, l’irreale, l’artificiale. L’attore si presenta in proscenio e comincia a parlare: voce nitida, pulita, diretta. Francesco Manetti presenta al pubblico napoletano una delle interpretazioni più complesse, faticose e perfette mai viste. Entra in scena senza minima esitazione e una volta davanti al pubblico la sua presenza è possente, non fisicamente ma mentalmente. Compito arduo per noi spiegare cosa si concentri nel corpo e nell’esercizio attoriale di quest’uomo, così come è arduo per lui presentarlo al pubblico. Hitler è simbolo del male, ma rappresentarlo nella sua storia e nelle sue fattezze solite sarebbe stato banale: allora la viscida, dolciastra, melmosa consistenza della crema di cacao dentro un barattolo diventa elemento di mascheramento. Capelli e baffetti hitleriani sono “disegnati” dalle dita dell’attore intinte nel barattolo di crema scura. Vogliamo partire dal “centro”, dal nodo focale di questo spettacolo, semmai esso abbia un inizio e una fine specifici, perché Hitler e il male solo lo snodo di un discorso di respiro più ampio. Tutto comincia dalle origini, dalla seconda lettera dell’alfabeto ebraico, nonché prima lettera della parola Bereshit (per prima cosa), parola iniziale della Torah, testo sacro ebraico che contiene i 5 libri dell’Antico Testamento cristiano, nonché detto Pentateuco. L’idea di far evolvere uno spettacolo da dove tutto cominciò, in origine, si lega alla figura di una lettera: Bet. Il segno nero sul foglio bianco descrive una sorta di quadrilatero aperto su un lato ( l’antico significato di casa), all’interno del quale il puntino nero cambia il significato  in buono. Nel momento in cui si inserisce all’interno di una lettera-simbolo quel puntino nero, nasce l’idea di bontà che implica necessariamente l’ opposta idea di cattiveria. Il male dunque intraprende un viaggio attraverso la scena latelliana, risalendo addirittura all’origine di tutto.  Latella evidenzia tre punti fermi fondamentali.  Il concetto di bene e il suo alter ego negativo costituiscono il momento di nascita della duplice visione, fortemente collegata alla religione e alle Religioni.  Il bene e  il male non sono assolutamente inscindibili da nessuna teoria religiosa:  hanno condizionato l’evoluzione dell’umanità attraverso enormi menzogne, facendola esplodere in milioni di “pezzetti di carta” ,  strappati pazientemente dalle mani dell’attore, manichino ed esecutore del male simbolico, forbice umana del foglio-contenitore della lettera delle origini.  Il secondo punto di riferimento è la figura di Hitler, non intesa nella sua caratterizzazione storica e neanche nell’interpretazione, imitazione o riproduzione scenica, ma bensì come uno dei simboli fondamentali del male nella storia del mondo. Egli stesso si erge a divinità nella duplice visione di bene e male. L’evoluzione del male attraverso i secoli diventa concetto da “mimare” nel corso di un lunghissimo momento della performance in cui il corpo dell’attore mima, appunto, ogni tipo di arma, riproducendone i gesti, i suoni e anche i  morti. Perché ogni arma è diversa ma ogni morto è uguale. Il percorso si conclude e la scena finale colpisce il pubblico stordito, angosciato,  infastidito da eccessive lungaggini, nonostante siano esse funzionali sia all’attore, sia al discorso notevolmente complesso a cui viene costretto lo spettatore. Non possiamo parlare di vera e propria drammaturgia, ma come afferma lo stesso Latella ci troviamo davanti ad un “partitura drammaturgica sul corpo”, attraverso cui l’attore dà straordinaria prova delle sue capacità: dalla gestualità che riproduce visivamente la prima lettera della Torah, al già citato mascheramento hitleriano, al mimo, ai mascheroni del teatro orientale con tocchi di iconografia barocca, fino al manichino. Il super uomo viene citato. La marionetta umana è prostrata, inerme, davanti al male, ma non prima di aver innalzato le braccia al cielo. L’attore diventa Pinocchio dalle vesti di carta, alter ego del manichino, divinità lignea della menzogna. L’uomo è un cane fedele alla divinità, sia essa benigna o maligna, per poi mostrare il suo corpo crocifisso, denudato in attesa della “vestizione sacra”. Sacralità in cui il male non ha origine e vita se non nella dualità con il bene, entrambi contenuti nel concetto equivoco e ambiguo di religione. L’anima esala al cielo, in una bellissima e commovente scena finale ( che non descriveremo tecnicamente per non togliervi il piacere di vederla dal vivo), sulle note di Antony and the Johnson, Hitler in my heart. Appunto.

Teatro Nuovo Napoli 14-17 novembre 2013
A.H.
Stabilemobile compagnia Antonio Latella in coproduzione con Centrale Fies in collaborazione con KanterStrasse/Valdarno culture
Drammaturgia Federico Bellini e Antonio Latella
Regia Antonio Latella
Con Francesco Manetti
Elementi scenici e costumi Graziella Pepe
Luci Simone De Angelis
Assistente alla regia Francesca Giolivo
Fonico Giuseppe Stellato
Organizzazione Brunella Giolivo
Management Michele Mele
Ringraziamento a Manetti Italia