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Quando il dolore diventa show. In questa deriva contemporanea, spesso, risulta difficile ricordare sotto i riflettori della spettacolarizzazione. Proxima Res, associazione culturale che si occupa di drammaturgia contemporanea, lavora per mesi cercando di andare oltre i riflettori, intervistando mogli, figli, nipoti, amici di persone morte nelle varie stragi che hanno colpito al cuore il nostro Stato. Le testimonianze hanno dato origine a cinque momenti di riflessione in cui si racconta il dolore di CHI RESTA: la ricostruzione dettagliata dell’accaduto, la ricerca di giustizia, la necessità di tenere in vita il ricordo, il confronto fra le vittime, il perdono. Si chiude con una ballata sull’elaborazione del lutto. Una musica esplosiva che invita a ricominciare tenendo insieme passato presente e futuro. La distinzione fra passato e presente e futuro non è solo l’originaria organizzazione temporale di ogni storia, ma il risultato di un atto originario di ristrutturazione dei dati, delle testimonianze, che parlano anche del presente. Comprendere il presente per capire il passato ci aiuta ad andare avanti, oltre il lutto.
In scena domina il bianco, il bianco di un ospedale, di un obitorio, di un ufficio asettico, di una prigione...il bianco, colore indefinito ma che contiene in sé tutti i colori, simbolo della purezza, dell’attesa.
Il tema della memoria e dell’attesa, l’attesa di chi resta, è declinato in modo diverso in tutti i capitoli della rappresentazione da Roberto Cavosi, Angela Demattè, Renato Gabrielli e Carmelo Rifici, ideatore del progetto e regista. I quattro drammaturghi, raccontano e orientano l’immaginazione dello spettatore attraverso una scrittura fatta di dettagli, si abbandona il territorio della generalità, tipica della nostra società, per entrare nel dolore del dettaglio. Verosimiglianza, coerenza, ordine e selezione creano uno spettacolo che emoziona e ci spinge a riflettere sui nostri dolori. La regia di Carmelo Rifici essenziale e precisa, possiede il raro dono di saper decidere su cosa soffermarsi, selezionare, eliminare “ciò che è in più” il palcoscenico, luogo dell’immaginazione diventa così luogo del necessario. La scena non è un territorio da riempire, ma un ambiente di riflessione comune: di chi crea la scena, di chi la vive, di chi la guarda. La scelta dei segni permette di creare relazioni continue fra presente passato e futuro. Il disegno delle luci di Matteo Crespi, la drammaturgia fisica di Alessio Maria Romano, ci permette di compiere questi salti di immaginazione. Caterina Carpio, Mariangela Granelli, Tindaro Granata, Emiliano Masala, Francesca Porrini, nei panni di chi resta, illuminano i nostri ricordi e le nostre memorie. Si resta a bocca aperta guardandoli nel loro impegno scenico è una meravigliosa sensazione.
Quello dell’attore è un bel mestiere, tiene in vita la memoria non solo di chi se n’è andato, ma soprattutto di chi resta, quando il palcoscenico si svuota e i personaggi svaniscono dietro le quinte.

Milano, Teatro Sala Fontana, 29 Novembre 2013