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Ciak si gira. Sembra di essere al cinema e invece siamo a teatro. Corrado Accordino, che firma la regia e la drammaturgia di “Una stanza a Sud”, continua il suo percorso di ricerca, pensando al teatro come se fosse al cinema. Si ispira a Tarantino, realizza tagli di scena, fermimmagine, rewind, attinge alle fonti più disparate, dai film di kung fu ai telefilm, dai revenge movies ai chambara agli spaghetti-western... con risultati che incuriosiscono. Ci sarebbe ancora da lavorare poiché in alcuni momenti scenici si avverte un’eccessiva eterogeneità. Ma la strada tracciata non delude per l’originalità, l’energia scenica degli attori Alessandro Castellucci, Pasquale di Filippo, Giancarlo Latina, ben immersi nel ruolo e per l’ottima scelta musicale che lascia un segno drammaturgico significativo. Il luogo è ben definito: una foresta pluviale nell’America Centrale, la storia invece abbastanza indefinita, nulla è certo, la trama conta fino a un certo punto e questo in alcuni momenti disorienta. In realtà lo scopo è quello di provare ad osservare il mondo da un altro punto di vista, i rumori, le voci, le abitudini, il senso delle cose; abituarsi a un nuovo codice di sopravvivenza, abituarsi ad avere un po’ di compagnia, in un luogo dove è ancora possibile sparire, uscire dalle maschere e dalle sovrastrutture. Ci provano i tre personaggi, che sembrano uscire dal mondo narrativo che Bukowski descrive nel romanzo “A sud di nessun nord”. Un mondo definito e ritratto con assoluta fedeltà, con spietata lucidità ma anche con profonda comprensione e simpatia. Lì si parlava di America, qui di Europa, tre Europei disincantati, disillusi, falliti ma desiderosi di amare, ognuno di loro conserva qualcosa che li lega alla loro terra, una lettera, un diario, una foto.  I tre protagonisti (un assassino, un biologo, un fotografo) in questo luogo dove la natura regna sovrana, scopriranno che i loro destini sono intrecciati più di quanto possano immaginare. Qualcosa li lega, il loro desiderio di fuga, la ricerca di una nuova identità. La consapevolezza che non si può vivere da soli. Questo viaggio verso nuove latitudini li porterà a scoprire una nuova umanità. “C’è un tempo” Le parole tratte da le Ecclesiaste nella scena finale, ci spingono a riflettere sul nostro tempo contemporaneo, così frenetico, rapido fatto di attimi brevi, flash. Il tempo teatrale di Corrado Accordino, è lungo, disteso, due ore di spettacolo per riflettere sul nostro tempo e sulle nostre vite fatte di comunità virtuali di abitudini sempre più solitarie. C’è un tempo anche per un consiglio per tutti noi, ce lo regala uno dei protagonisti proprio l’assassino. “Non abituarsi alla solitudine, non abituarsi a stare soli con se stessi, ricordarsi degli altri”. Una frase che mi ha fatto subito pensare a un caro amico, morto qualche secolo fa, John Donne: “Nessun uomo è un’isola, intero per se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, parte della Terra intera...” E’ meraviglioso ricordarlo, fa bene allo spirito.

Milano, Teatro Libero, 2 Dicembre 2013