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Tindaro Granata, attore, autore e regista, è nato a Tindari, in Sicilia. Inizia il suo percorso artistico nel 2002 con Massimo Ranieri in occasione della messa in scena dello spettacolo “Pulcinella”, diretto da Maurizio Scaparro. In questi anni lavora con Roberto Guicciardini (Enrico IV), Nikita Milivojevic (Noushurid Fruit), Carmelo Rifici (Il gatto con gli stivali, La testa del profeta, Fedra), Cristina Pezzoli (Blitz). Da due anni fa parte del progetto PPP coordinato da Cristina Pezzoli. Sostenuto dall’associazione Proxima Res, porta in scena lo spettacolo “Antropolaroid” che a partire dal 2010 ottiene molti riconoscimenti come Borsa Teatrale Anna Pancirolli, “Premio della Critica” assegnatogli dall’Associazione Nazionale Critici Teatrali nel 2011, Premio Fersen 2012 come “attore creativo”, premio Melato 2013 come attore emergente.
E’ uno dei tanti giovani attori italiani che vengono penalizzati pesantemente dalla politica del Governo degli ultimi anni, che ha operato sistematici tagli all’arte ed alla cultura. Abbiamo incontrato Tindaro Granata a Catania, a ridosso del Natale 2013 ed in occasione della messa in scena del suo coinvolgente ed emozionante “Estratti da Antropolaroid”. Gli abbiamo chiesto di parlarci di questo suo importante lavoro, della sua carriera, dei suoi progetti e dei destini della cultura e della nuova drammaturgia siciliana ed italiana.

Come è nato “Antropolaroid”?
“Cristina Pezzoli nel 2008 costituì un gruppo che si chiamava PPP, all’interno del quale dovevamo fare un’analisi della società italiana, partendo dall’unità d’Italia fino a Tangentopoli. Ognuno di noi doveva presentare la propria storia, partendo dai propri bisnonni. Scrissi un primo abbozzo dello spettacolo. L’anno dopo partecipai alla Borsa Teatrale Anna Pancirolli e completai il pezzo, facendolo diventare un monologo. E’ un insieme di storie che mi raccontava mio nonno. Alcune storie sono delle forzature drammaturgiche, anzi, delle licenze poetiche”.

Cosa ti ha dato e cosa ti ha fatto scoprire di te stesso “Antropolaroid”?
“Antropolaroid mi ha dato la possibilità di esprimermi nella mia lingua: quella della mia anima, che si parla nel mio mondo. Mi ha dato la possibilità di avvicinarmi al pubblico, di parlare con loro e di donarmi a loro, perché ho capito il rapporto d’amore che un attore deve avere con il suo pubblico. Quando recitavo da scritturato, ci mettevo tanta passione, ma lo facevo per far bene la parte, per farmi apprezzare dal regista o altre cose inutili.  Ma non mi bastava, avevo bisogno di qualcos’altro, di amare lui: il pubblico. Ho pensato al pubblico come a persone che sono lì perché aspettano me, che io li faccia vivere nelle mie storie e nei miei mondi. Da allora ho pensato ad ogni singola persona seduta in sala e mi sono sempre rivolto a tutti, come se ognuno di loro fosse lì per me, solo con me e quello che accade in scena, è il nostro intimo rapporto d’amore”.

Come è nata la tua passione per il teatro?
“La passione è nata senza che me ne accorgessi, avevo circa 15 anni, in biblioteca c’era una sezione di film del neorealismo italiano che cominciai a guardare e da subito mi innamorai di questa meravigliosa arte, il cinema, la recitazione. Mentre guardavo i film, mi immedesimavo a tal punto che credevo di essere al posto di quei personaggi, spesso ripetevo sotto voce le battute degli attori.  Sono cresciuto con i film di De Sica, Rossellini, Germi, Fellini, Monicelli che, come si direbbe in Sicilia: “m’appicciarono” il fuoco della passione. Appena trasferito a Roma, iniziai a fare il commesso in un negozio di scarpe e poi il cameriere per pagare l’affitto della stanza ed i vari corsi di recitazione. Uno di questi corsi era “Professione Cinema”, diretto da Giulio Scarpati. A fine anno mandarono tutti i ragazzi a fare un provino con Massimo Ranieri, venni scelto e iniziai così, senza sapere cosa fosse il palcoscenico. Da commesso che sogna di fare l’attore, mi ritrovai a girare tutta l’Italia in un debutto così importante. Massimo Ranieri per me è stato un “maestro”, perché mi ha insegnato il mestiere, come un artigiano, un capo bottega, insegna il lavoro al proprio garzone”.

Cosa hai fatto prima e dopo “Antropolaroid” e cosa ha significato per te lavorare con Massimo Ranieri, Elisabetta Pozzi ed altri. Cosa ti hanno insegnato?
“Prima ho fatto l’attore scritturato, iniziando, come detto prima, con Massimo Ranieri. Ho lavorato con Carmelo Rifici al Piccolo Teatro di Milano. Adesso faccio ancora lo scritturato, in più scrivo e metto in scena i miei testi. Il secondo spettacolo dopo “Antropolaroid” è “Invidiatemi come io ho invidiato voi. “Lavorare con dei grandi artisti è una “scuola continua”, i moderni direbbero è un “work in progress”, comunque c’è sempre da imparare. Ranieri mi ha insegnato a stare sul palco, Elisabetta Pozzi mi ha insegnato l’amore per questo mestiere e per il pubblico. Da lei ho appreso come ci si comporta con il pubblico che poi la segue, oltre che per il suo grande talento, per la sua apertura d’animo nei confronti degli spettatori. De Francovic, Franco Mescolini, Saverio La Ruina sono altri grandi artisti con i quali ho avuto la fortuna di lavorare e che porto nel mio cuore. Ai grandi artisti cerco di rubare tutto quello che fanno, sia sul palco che dietro le scene”.

Ti consideri un lavoratore, un artista, un artigiano del palcoscenico, un comunicatore di emozioni o storie, un sognatore o altro?
“Mi piace descrivermi come Artigiano Disadattato che vuole essere un Artista.  Artigiano perché costruisco un personaggio o scrivo una storia come se fosse una cosa alla quale dare cura e aggiungere pezzo per pezzo o una pietanza (sono un ottimo cuoco e adoro cucinare quasi quanto recitare), quindi utilizzo il mio corpo e la mia voce, come un artigiano usa degli strumenti per “fare”. Poi mi definisco Disadattato, perché non ho un metodo oppure una tecnica precisa, perciò ogni volta per arrivare ad un personaggio, a scrivere un testo, faccio molta fatica e ci arrivo per vie sempre diverse e spesso casuali. Artista perché vorrei essere uno di quelli che hanno la capacità di parlare senza parole e di muoversi senza ballare”.

Quali ostacoli hai incontrato nell’intraprendere questo tuo sogno d’attore?
“Non vorrei essere troppo filosofico, dove per filosofia si intende parlare di cose astratte, ma mi viene da rispondere che i miei e nostri più grandi ostacoli siano alcuni ladri che ci gestiscono, che hanno la possibilità di gestire i teatri pubblici, ma che di pubblico fanno ben poco. Io sono stato fortunato perché sulla mia strada ho incontrato tanta gente che ama il Teatro e l’aiuto che hanno dato a me, queste persone lo hanno dato a tantissimi altri giovani e non è una prassi comune, purtroppo….Dov’è il Teatro di Roma per i giovani artisti? Dove sono i teatri Siciliani per gli attori siciliani? Perché c’è gente che sta alla gestione di un Teatro Stabile da trent’anni? Ecco, gli ostacoli, sono i cattivi maestri, quelli che hanno tutto per loro e la loro ingordigia non permette di aprire le porte ai giovani”.

La situazione culturale e teatrale nella tua Sicilia ed in Italia. Un tuo parere sulla nuova drammaturgia, sui nuovi testi…
“La situazione teatrale italiana è molto ingarbugliata e quella siciliana è peggio, ma forse le cose stanno cambiando, se si pensa che il Biondo di Palermo non è più in mano a Carriglio…le cose forse stanno cambiando! La nuova drammaturgia è un termometro per misurare il desiderio, di noi autori/drammaturghi, di confrontarci con il presente. Ho letto diversi testi di miei coetanei e quasi la maggior parte parla di disagi del nostro tempo, riferendosi alla nostra storia recente. Fa da padrona l’impossibilità di questa generazione a vivere il proprio tempo perché tutti pensiamo che ci è stato tolto qualcosa da chi ci ha preceduto. Da chi? Dai politici, dai nostri padri, da chi ha amministrato male i nostri teatri? Da noi che siamo meno capaci di reagire alle difficoltà della vita? Non saprei dare una risposta, ma sicuramente quello che ci è mancato di più e che spesso ritrovo, è il non aver ricevuto la giusta educazione, di credere in determinati valori o avere degli ideali; ho l’impressione che i nostri predecessori ci abbiano tramandato il concetto che tutto è lecito e tutto si può fare o dire. Questa superficialità di fondo ha generato una massa di incapaci di capire cosa è giusto e cosa ha valore, cosa dire e cosa fare. Spero che questa “sorta” di analisi che i giovani autori stanno mettendo in atto con la scritture dei loro testi, possa venir fuori prepotentemente e che possa servire per ricostruire una coscienza sociale andata persa. I disagi delle nostre generazioni più giovani, dovranno sfondare qualche muro e devono sapere che non hanno picconi”.

Perché da anni una politica governativa ottusa taglia pesantemente i contributi a chi opera nel mondo dell’arte, della cultura, del teatro?
“Perché la politica ritiene che non abbia valore, oggi, investire in cultura. Penso che quando si raggiungono le poltrone importanti, il sistema sia talmente corrotto che non ci sia possibilità di arrivare a parlare o pensare al cittadino comune. Fortunatamente le piccole realtà locali ancora riescono a mantenere l’antico rapporto di rispetto e di dovere, delle istituzioni nei confronti dei cittadini.  Penso ad un piccolo paesino siciliano dove vivevano i miei nonni, Montagnareale, il sindaco Anna Sidoti, investe in cultura, comprando spettacoli per la sua cittadina di poche migliaia di abitanti. Penso anche a tutti gli enti comunali che hanno comprato il mio spettacolo nel Nord Italia, credo che, forse, partendo dal piccolo, si può ripristinare un rapporto di fiducia con le istituzioni, forse sono loro il tramite che abbiamo con i vertici più alti”.  

Dove sta andando oggi Tindaro Granata come artista e come uomo?
“In questo momento sto cercando di capire come posso esprimermi al meglio e come mettere in scena ciò che mi passa dentro. Sono in viaggio e spero di essere accompagnato dalla fortuna, dalla bellezza e dalla sofferenza. La fortuna permette di trovare la chiave per aprire le porte, la bellezza fa percorrere le strade delle meraviglie, la sofferenza può dare la lingua per poter raccontare i viaggi fatti, passando da quelle porte aperte dalla fortuna e attraversando quelle strade percorribili attraverso la bellezza. Non so che uomo sono oggi, per alcune cose sono più triste di prima, per altre più felice. A volte sono più forte e grande, altre invece, sono più vigliacco e più piccolo. Vorrei amare di più, questo, sì”.

Sogni e progetti per il nuovo anno…
“Come sogni vorrei fare il cinema, vorrei una casa bella, grande e con il terrazzo, vorrei che le persone che amo stiano bene. Per quanto riguarda gli appuntamenti del nuovo anno dal 18 al 23 febbraio del 2014 sarò a Milano con “Invidiatemi come io ho invidiato voi” all’Elfo Puccini, scritto da me e interpretato, insieme ad altri 5 attori straordinari (Francesca Porrini, Mariangela Granelli, Bianca Pesce, Paolo Li Volsi e Giorgia Senesi). A marzo sarò al Dedica Festival di Pordenone per la messa in scena del libro di Tahar Ben Jelloun, con la regia di Serena Sinigaglia e ad aprile a Bolzano ne “La Rosa Bianca” con la regia di Carmelo Rifici”.