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Il testo di BRENNERO CRASH sono parole che ho messo in bocca ai personaggi di un plot ideato da Michela Lucenti per una coproduzione Balletto Civile / Neuköllner Oper / Teatro Due. Il partner berlinese, un teatro d’opera, ancorché comique o comunque aperto al contemporaneo, ci ha spinti verso un pastiche linguistico sulla scia di quelli che io e Michela facevamo da giovani ai tempi dell’Impasto - Comunità Teatrale Nomade, di cui siamo stati fautori dal 1995 per quasi un decennio.
Il testo, come si vedrà, è scritto in italiano – principalmente – con inserti dialettali del nord Italia e in lingua tedesca. Il mio tentativo, come scrittore, è stato quello di tutelare un elemento di poesia delle parole all’interno di una dialettica, talvolta piuttosto complicata, tra dramaturg del teatro committente e regista della compagnia commissionaria.
Lo sforzo è stato divertente, spesso addirittura appassionante e, rileggendo il lavoro, ha dato vita a un risultato strano e perciò forse di qualche interesse. Ricorda, secondo me, quelle opere cifrate che si scrivevano sotto dittatura. Ovviamente il testo è davvero soltanto uno degli elementi di un’opera anche molto fisica e musicale, perciò – come spiego nella presentazione dei caratteri – vi ho messo un poco mano per renderlo leggibile da solo.
Di che si tratta? Di un lavoro che parla, balbetta, grida, dell’inesausta ricerca di significato che ognuna e ognuno di noi intraprende per vivere in maniera sensata la propria esistenza terrena: consapevoli che qualsiasi senso o non-senso si voglia dare al mistero assoluto che è essere al mondo, questo rivestimento (o nocciolo) misterioso delle cose c’è e determina completamente il corso degli eventi. I quali, sono condizionati a loro volta dall’ambiente generale, storico, in cui hanno luogo e, in questo caso, da un momento piuttosto deprimente in cui l’ordine sociale ed economico ci schiaccia sempre di più in un calcolato grigiore. Al quale sfuggiamo proprio abbandonandoci alla gioia che dà lo scavo interiore, nelle relazioni: una sorta di nozze coi fichi secchi di ognuna e ognuno con se stessa e se stesso e poi insieme, nel tentativo di dare vita a una comunità allegramente impoverita materialmente ma mai moralmente, spiritualmente, poeticamente, che è quanto di più ardito e difficile il Presente ci chiede.
Io mi occupo delle retrovie, sono ormai poco adatto alle prime linee e mi appassiona il funzionamento del dispositivo umano in condizioni particolari, cioè di invenzione ordinaria del quotidiano, sempre necessaria, e di rinnovamento in tempo reale delle vite di ognuna e ognuno di noi. Da cui il mio essere cristiano, ancorché critico, mistico, perciò sempre da diffidare, come è giusto, da una parte e dall’altra, cioè cattolica e laicista. In mezzo si sta belli caldi e belli in pace. “Sii sconosciuto dove vivi e vivrai bene”, diceva un padre del deserto. A questo motto mi attengo da sempre.

Alessandro Berti (nella foto di Fabio Perroni) è nato a Reggio Emilia all’inizio degli anni ’70, in una casa di cura dove esercitava un medico amico di famiglia. Essendo nato prematuro tuttavia, si rese necessario un suo trasferimento al grande ospedale pubblico cittadino, dotato di incubatrici. Tutto ciò segnerà la sua vita, sempre in bilico tra elemento privato e pubblico, familiare e politico, spirituale e sociale.
Appassionato di traslochi, cambia città ogni tre anni circa e invariabilmente, alterna momenti di vita urbana a mesi di isolamento alpestre. Pur parlando perfettamente quasi tutte le lingue europee (lo studio approfondito delle lingue fu ciò che da adolescente dovette intraprendere perché la famiglia tollerasse la sua passione teatrale), Berti si annoia mortalmente a nord delle Alpi, specialmente invecchiando.
Ha un figlio di cinque anni che pochi giorni fa gli ha dato una testata a una costola, incrinandogliela. Da qui in poi, a quanto pare, saprà dunque prevedere con qualche certezza i cambi di stagione.
Per il resto e per concludere, la sua ricerca negli ultimi anni riguarda la trascrizione in forma poetica della battaglia tra vita vissuta e vita raccontata, tra esperienza e testimonianza posteriore. Da cui, il suo interesse per la vita e la scrittura dei cosiddetti mistici. Pratica un cristianesimo essenziale e una vita semplice, che presentemente si volge perlopiù nel centro storico della città di Bologna, dove vive.

Leggi il testo


BRENNERO CRASH è andato in scena per la prima volta assoluta il 16 agosto 2013 alla Neuköllner Oper di Berlino (www.neukoellneroper.de), teatro coproduttore assieme alla Fondazione Teatro Due di Parma (www.teatrodue.org) e al Balletto Civile di Michela Lucenti (www.ballettocivile.org), regista e coreografa dello spettacolo stesso. Una creazione che, dal 17 al 26 ottobre 2013, è stata rappresentata nello Spazio Bignardi del medesimo Teatro Due, ponendosi come uno degli eventi di punta del Teatro Festival Parma dell’annata appena trascorsa.

“Fa da cornice alle vicende un autogrill, tempio laico dell’umanità viandante, sperduto non-luogo che raccoglierà i nostri ammaccati viaggiatori, e night club all’occorrenza per performance burlesche. Punto focale dello spettacolo, il crash automobilistico diventa metafora di un incontro-scontro tra destini, dell’imprevedibilità di un evento che ferisce e nello stesso tempo ricompone storie. L’atto prettamente invalidante come quello di un incidente stradale diviene paradossalmente la principale causa di una narrazione fisica. Mentre la scena rimanda ad ambientazioni metafisiche e rarefatte, entrano in gioco scalcinate vite danzanti e cangianti, rivolte a una poetica grottesca, disperata a tratti, ma che non rinunciano a rivendicare una loro identità, per quanto visionaria e farsesca, curandosi le ferite e inscenando un cabaret di sconfitti, ma sopravvissuti. Al ciglio di una strada esseri incidentati si ritrovano così a condividere l’interruzione di un tragitto e la ricerca di una nuova meta, tra ritmi polifonici, idiomi forestieri e danze incagliate negli spazi freddi di una carreggiata, di un bagno di servizio o sul dorso di uno zerbino, che è anche la schiena di un individuo, figura narrante della vicenda”.
(Andrea Alfieri, da “Krapp’s Last Post - www.klpteatro.it”, 6 novembre 2013)

Aggiungendo che Alessandro Berti si è formato alla Scuola del Teatro Stabile di Genova divenendo subito dopo uno dei degli artisti più stimolanti, interessanti e autenticamente originali della new wave teatrale sorta durante gli anni ’90, bisogna qui menzionare alcune sue creazioni di cui è stato autore e interprete col suo gruppo de L’Impasto, venendo altresì prodotto da teatri quali il glorioso Crt di Milano diretto da Sisto Dalla Palma, il CSS - Centro Servizi e Spettacoli di Udine e da festival come le Orestiadi di Gibellina e quello di Santarcangelo. Pertanto, si ricordino almeno gli spettacoli SKANKRER (1996), TERRA DI BURRO (1997), TRIONFO ANONIMO (2000), IL QUARTIERE (2002); più di recente, CONFINE (2006), EROI (2007, dalle poesie di Claudio Damiani), CREATURA (2008, ancora con Michela Lucenti e Balletto Civile, per la Biennale Danza di Venezia), PIETRA, PIANTA (2009) e – con Casavuota, il suo nuovo progetto teatrale – L’ABBANDONO ALLA DIVINA PROVVIDENZA (2010, dal capolavoro spirituale di Jean Pierre de Caussade), COMBATTIMENTO SPIRITUALE DAVANTI A UNA CUCINA IKEA (2011, Premio I Teatri Del Sacro), MAESTRO ECKHART (2013, dai sermoni tedeschi del grande filosofo e mistico medievale). Nel 1998 si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione Ttv per SKANKRER O LA FAMIGLIA DELL’ARTISTA, felice trasposizione video dello spettacolo succitato, realizzata con Anna de Manincor; mentre, nel 2002, ha vinto il Premio Gherardi per il suo TEATRO IN VERSI (“La Riga”, “Rivedere le Stelle”, “Poema delle moltitudini”). Dal 2003 dirige a Udine la “Scuola Popolare di Teatro” e il progetto tematico legato al disagio mentale ARTE/SOCIETÀ/FOLLIA. Sui siti web “alessandroberti.blogspot.com” e “casavuota.blogspot.it”, si trovano informazioni, testi e immagini sulla sua attività.

 

A cura di Damiano Pignedoli